.|. You Have My Sword, and You Have My Bow .|.

by Marianna, Leia, Rosa

Gandalf è caduto nelle miniere di Moria, Boromir è stato ucciso, gli hobbits rapiti e Frodo e Sam hanno deciso di continuare il loro viaggio da soli. I membri della Compagnia rimasti uniti sono abbattuti, sfiduciati, e proprio questo dolore sembra far avvicinare Legolas e Aragorn... ma quali altre prove dovranno superare i due guerrieri per dimostrare che il loro legame è più forte della sofferenza? Possibilità di scegliere fra due svolgimenti della storia!!

Drammatico/Sentimentale (anche un po' ironico? Uhm... fate voi) | Slash | Rating PG - 13/R | One Piece

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Il biondo elfo camminava leggiadro tra l'erba alta.

Il sole gli illuminava il volto con violenza e lui scrutava il cielo con gli occhi socchiusi e i pugni serrati. Come avevano potuto permettere che Frodo continuasse il viaggio da solo? Come potevano salvare i poveri hobbit dal destino crudele che li attendeva nelle mani del nemico? Ma non perse la calma, non una emozione rivelava il suo sguardo. Lentamente si girò verso i compagni di sventura.

Riposava all'ombra di una grande e rigogliosa quercia il guerriero. Il volto macchiato dal sangue di colui che di più simile a un fratello aveva mai avuto. Riposava ma era sempre all'erta, pronto a percepire il movimento del vento tra le fronde del grande albero o il verso lontano di una creatura della vicina foresta.

Riposava, capo chino, braccia conserte. E l'elfo lo osservava. Quel grande corpo legnoso incuteva timore e rispetto, le grandi mani ferme ma pronte a posarsi sull'elsa della spada per dar battaglia. Eppure pareva indifeso nella sua solitudine, nel dolore che ogni giorno sceglieva di affrontare e sopportare. Era in silenzio eppure la sua anima pareva urlare, un grido antico e straziante. Ma l'elfo dall'alto della sua perfezione udiva quel grido soffocato e ne provava pena. Una pena infinita. E non riusciva a nascondere a se stesso quanto avrebbe voluto porre fine a quella pena, al suo dolore. Ma non sapeva come, né perché.

I due sguardi si incrociarono, per un istante infinito, la tristezza urlante dell'uno, la freddezza rassicurante dell'altro. Non potevano dire nulla, non poteva dirgli nulla, ma il fruscio del vento parlava per lui...

Gli occhi chiari di Aragorn indugiarono a lungo sui lineamenti delicati, praticamente perfetti del compagno di viaggio, come studiandoli, come volendoli tracciare nella propria testa in un arabesco sinuoso dai toni dorati, simili a quelli dei suoi capelli di seta...

Ma c'era qualcosa, in quegli occhi penetranti e tristi, un desiderio che il ramingo, dal cuore segnato da ormai troppe battaglie e sofferenze, non aveva provato più da molto, molto tempo. Avrebbe voluto confessarlo all'elfo. Sì, parlargli senza remore, senza timori e paure, chiedendogli di mettere fine a quell'immenso vuoto che, adesso più che mai, sentiva crescere dentro di sé, inesorabilmente.

Ora che aveva perso Frodo, Gandalf, gli altri Hobbit e Boromir...

Ora, che aveva capito anche se troppo tardi quanto teneva e aveva tenuto a tutti loro... Aragorn figlio di Arathorn, l'erede di Elendil (alè!! ndLeia), aveva giurato a se stesso che mai, mai avrebbe più permesso che accadesse qualcosa a nessuno fra coloro a cui teneva. A nessuno fra coloro che... amava.

Amava... ?

"Ti vedo turbato, amico mio... ", disse in quel momento l'elfo con voce quasi timorosa ma sempre simile a musica soave, avvicinandosi piano al cavaliere. "Se vuoi confidarmi i tuoi pensieri sai che accanto a te c'è sempre qualcuno su cui puoi contare", aggiunse poi.

Si sedette con eleganza vicino a lui, mentre una folata di vento scompigliava i capelli di entrambi. Aragorn volse il capo verso Legolas, notando per la prima volta dal loro incontro quanto il suo viso risplendesse ad ogni sorriso e ad ogni sguardo, e come la sua lucentezza venisse esaltata da quella calda e rassicurante del sole, alto su di loro. No, non poteva più negarlo: gli elfi erano davvero le creature più eteree esistenti nella Terra di Mezzo, e di sicuro Legolas era una delle più belle che avesse mai avuto la fortuna di incontrare.

"Non preoccuparti troppo per me", rispose quindi, fissandolo nei suoi dolci occhi castani con tale intensità da sembrar stesse bevendo da essi. "Anche se la tua gentilezza mi rincuora. Purtroppo, non abbiamo più molto di cui rallegrarci, ormai... ".

Lo disse con una tale amarezza che l'elfo si sentì colmare, improvvisamente, della stesso sentimento. Avrebbe dato tutto per poter alleviare, anche solo di poco, il dolore del Re di Gondor, il gravoso peso che trasportava sulle sue stanche seppur forti spalle. Oh, se avesse potuto vedere sul suo volto la gioia, anche solo per un attimo...

"Non dire così, ti prego". L'elfo scosse il capo, poi posò una mano sul braccio del compagno, abbandonato come un peso morto sull'erba. "Non tutto è ancora perduto, lo sai. Ritroveremo Frodo, non devi dubitarne, così come ritroveremo Merry e Pipino".

Si fermò, esitando nel continuare a parlare. Forse, un modo per dare un momento di serenità al cavaliere c'era...

"Aragorn", riprese con voce sicura, raccogliendo tutte le sue speranze. "Adesso, non vale la pena continuare a disperarsi. L'unica cosa che possiamo fare è ristorarci e trascorrere questa giornata a riposo, per riprendere poi la ricerca e il cammino con più forza, coraggio e vigore. Quindi... ".

Aragorn tornò a guardarlo, in attesa delle sue parole. Cosa significava quell'espressione sul suo viso? Era forse... imbarazzo? Confusione?

"... ecco, che ne diresti di rinfrescarci con un bagno nel lago? Siamo entrambi affaticati, in fondo... ".

Aragorn prese la testa tra le mani chinandola lentamente, poi rialzò il capo guardando dinnanzi a sé. Le sue mani erano ricoperte di sangue. Poteva ancora percepirne il calore, poteva ancora sentire il dolore per la perdita dell'amico. Scrollò le spalle con fare deciso come per scacciare quella tristezza che lo opprimeva, che gli annebbiava la vista a tratti e gli faceva sentire il corpo pesante, privo di slancio, privo di vita.

Guardò l'elfo che se ne stava in piedi poco distante. Eretto, fiero, lo sguardo su di lui ancora lo interrogava. I capelli biondi lunghi viaggiavano nel vento e la pelle chiara, lunare, sembrava quasi rilucere sotto gli ultimi raggi del sole. Non sembrava affatto avere bisogno di un bagno. Ma lui si, le vesti sudice si erano fatte pesanti tanto erano cariche di fango e sangue.

La lotta corpo a corpo contro le decine di nemici, la morte dell'amico fra le sue braccia, l'impotenza dinanzi alla sua repentina dipartita... si sentiva sporco dentro.

"Perché no".

Pronunciò stanco a fatica le poche sillabe scandendole lentamente, accompagnandole con un sorriso carico di comprensione. "So che sei stanco quanto me" pensava, "So che sei spaventato, più di me".

Con uno scatto felino Aragorn fu in piedi e in un lampo le sue vesti furono per terra. Caddero uno ad uno gli strati di lino e juta che ricoprivano il suo corpo, con un tonfo sordo sull'erba. Fu presto completamente nudo. Solo una spessa cintura di pelle copriva il suo torace da parte a parte. E sulla schiena riluceva il metallo della grande e preziosa spada da cui Aragorn mai si separava.

"La terrò con me, non posso lasciarla qui" (si si come no… ndMari). L'elfo si allontanò, quasi furtivamente, alla vista del giovane guerriero che si denudava. Legolas si avviò al lago per primo, completamente vestito. L'acqua era limpida e il cielo infuocato dall'imminente tramonto vi si rispecchiava donando alla radura una luce inconsueta, magica. L'elfo ne rimase incantato. Sobbalzò nell'udire i passi sempre più vicini di Aragorn che si apprestava a seguire il suo consiglio, e ne era inspiegabilmente intimorito.

Aragorn fu in un attimo dietro di lui (ehehe… ndLeiaMaliziosa).

"Allora, che aspetti".

Il guerriero percorse a grandi falcate la ghiaia della riva dello stagno e si immerse nell'acqua fino ai fianchi. Si voltò.

Legolas continuava a fissarlo ma non accennava a muoversi. Il bagliore rossastro del sole morente rendeva il suo sguardo ancor più indecifrabile.

"Cosa pensi, perché esiti...".

Come se gli avesse letto nei pensieri Legolas si spogliò del fedele arco e lo posò per terra. Poi ad uno ad uno sganciò i lacci della giubba e la lasciò scivolare lungo la schiena fin giù ai suoi piedi.

Poi passò agli stivali, che sfilò lentamente. Sentiva che Aragorn continuava a guardarlo, e non poteva smettere di fare altrettanto. Come due nemici che si studiano e osservano ogni movimento dell'avversario i due continuarono a scrutarsi, come se non potessero fidarsi l'uno dell'altro, come incerti dei reciproci pensieri e desideri, come desiderosi di scoprirli attraverso quell'attenta e ininterrotta osservazione.

Aragorn accarezzava l'acqua con le grandi mani producendo piccole onde circolari che partivano dal suo palmo per perdersi lontano da lui. Ora aveva avanzato dove l'acqua lasciava scoperto solo il suo petto, e per un terzo la sua spada vi era immersa. (!!! ndMari)

Legolas guardava quelle grandi mani muoversi lentamente e sentiva l'onda, la vibrazione, si sentiva acqua sotto i suoi occhi. Cristallino e senza che alcun segreto potesse essere mantenuto, senza che alcuna maschera potesse essere indossata.

Aragorn guardava l'elfo sulla riva esitare e gli sorrise, come un invito.

Come un cenno di intesa "Ho capito, ti ho capito".

La giubba sottile che gli rimaneva indosso nascondeva ben poco di quel corpo perfetto e vibrante, che tante volte aveva visto scattare all'attacco. E il poco che copriva fu presto svelato quando Legolas, senza distogliere lo sguardo, si sfilò la giubba e poi i calzoni.

Con passo leggiadro si avvicinò all'acqua e vi immerse prima un piede e poi l'altro, lentamente. Poi vi si immerse e si diresse dove l'acqua era più profonda. Ora erano l’uno dinnanzi all'altro. L'uno guardava l'altro con ammirazione, comprensione, dolore. Quella complicità che solo due uomini che hanno combattuto insieme possono sperimentare.

Legolas pareva finalmente a suo agio, e sorrise.

"Era quello che ci voleva".

Anche Aragorn sorrise divertito. Era la prima volta che vedeva l'elfo senza il suo arco a portata di mano.

"Sei molto bravo con l'arco".

Ma prima che Legolas potesse ringraziarlo dell'osservazione, Aragorn gli fu addosso.

"Ahah vediamo come te la cavi senza! Combatti!".

Lo prese per la testa e lo costrinse sott'acqua per alcuni secondi.

L'elfo si divincolò dalla stretta ferrea del guerriero ed emerse respirando affannosamente. Si guardò attorno ma Aragorn pareva scomparso. Quell'uomo lo disorientava, riusciva a sorprenderlo, avrebbe persino potuto batterlo, era fortunato ad essere suo alleato nella lotta tra il bene e il male. Ma dov'era finito?

"Sono qui, battuto" disse Aragorn prendendolo alle spalle e cingendogli il collo con forza con l'intero braccio. Ma Legolas non reagì. Continuò a risuonare il suo affanno della desolata radura. L'acqua non si mosse, il vento si era calmato.

Aragorn incerto gli si fece più vicino tanto che il suo petto aderì alla schiena dell'elfo che continuava a non proferir alcuna parola.

Il guerriero avvicinò le sue labbra all'orecchio di Legolas per dirgli qualcosa ma non una parola uscì dalle sue labbra se non un soffio. L'elfo sentì quel sussurro vibrargli nell'orecchio, poi tuonargli nel petto con forza fino a raggiungere tutti i suoi sensi.

Aragorn non lo mollava, teneva stretto il suo collo col braccio destro e la mano sinistra al suo fianco, lambendolo con la stessa delicatezza dell'acqua. L'elfo ormai fremeva e ad ogni sussulto sentiva (visibilmente) crescere l'eccitazione di Aragorn. Così Legolas rosso in volto inarcò la schiena e si tese, come avrebbe teso il suo arco, per offrirsi al compagno, al guerriero che tanto ammirava. Perché potesse scoccare la sua freccia e colpirlo...dritto al cuore.

Aragorn gli era addosso. Era rigido, quasi spaventato dalla violenza delle sensazioni che l'elfo aveva scatenato in lui. Sulla schiena il metallo freddo della spada bruciava sulla pelle nuda, fino ad essere parte di quella pelle. Aragorn sentiva bruciare tutto il suo corpo e si avvicinò all'elfo che sembrava pronto ad accogliere qualsiasi gesto, ad esaudire qualsiasi desiderio.

"Aragorn, Legolas, presto!! Sono qui sono qui!!".

Urlò il nano a squarciagola, paonazzo in volto, quasi cadendo in acqua per quanto era alterato.

 

Cosa succederebbe se a questo punto Aragorn venisse ferito? Se lo vuoi sapere, vai avanti a leggere, oppure... se preferisci che sia Legolas ad essere ferito, vai al secondo bivio, più in basso, alla seconda interruzione in grassetto!

 

I due invece, colti alla sprovvista, si allontanarono di scatto l’uno dall’altro. Quindi, seppur a malincuore, Aragorn si girò, dirigendosi velocemente verso la riva per rivestirsi. Legolas tenne gli occhi bassi sulla superficie dell’acqua ancora qualche istante, poi guardò in direzione del nano, che già si era nuovamente allontanato per controllare l’avanzata dei nemici. A quanto pare, fortunatamente non aveva notato la situazione… (beh, cosa volete che ne capisca Gimli?? ndLeia)

Tranquillizzato, il principe sospirò, ripensando poi a quello che l’amico aveva urlato poco prima. Non potevano essere ancora Uruk-Hai… ormai se n’erano andati da tempo, dopo aver catturato gli Hobbit. Con più probabilità poteva trattarsi di semplici Orchetti, anche se a giudicare dalla reazione di Gimli dovevano essere in molti.

L’Elfo chiuse gli occhi un attimo. Sapeva qual era il suo dovere: combattere. Non c’era tempo per altro, nient’altro aveva la priorità in quel periodo di lotte e battaglie, ed anche Aragorn l’aveva capito. Ma forse, tutto era stato solamente rimandato…

Se ne vergognò, ma lo sperò, ardentemente. Desiderò, come mai prima aveva desiderato qualcosa, che quei pochi minuti trascorsi in acqua con il compagno d’avventura non fossero stati solo un gioco, ma qualcosa di più…

Con ancora vivo il ricordo della calda pelle del guerriero a contatto della sua, Legolas uscì dal lago. Si rivestì in silenzio, senza nemmeno cercare con lo sguardo il Re di Gondor. Per un attimo l’idea che il ramingo fosse qualche metro dietro di lui, fermo a guardarlo con quei suoi limpidi e bellissimi occhi chiari, lo fece imbarazzare terribilmente. Ma subito quella sensazione svanì, e un certo compiacimento ne prese il posto.

"Non devo più pensare a queste cose… non adesso", si disse, afferrando faretra e arco e tentando di far dimenticare al suo corpo e alla sua mente l’eccitazione che ancora lo pervadeva, come una droga che inebria e stordisce, facendo mancare la ragione. "Non ora…".

Superò un gruppo di cespugli, intravedendo, nascosti dietro a degli alberi, sia l'uomo che il nano di Moria. Guardavano concentrati il sentiero, le mani pronte sulle loro armi. Aragorn sembrava essere tornato il cavaliere malinconico ma irreprensibile di sempre, e quando l’Elfo si accostò al suo fianco, lui non si mosse, anche se gli rivolse un’occhiata fugace.

"Aragorn, io…", sussurrò il principe biondo, senza che Gimli, dall’altro lato, lo sentisse. "Per prima… ecco…".

Il guerriero non spostò il capo, ma sembrò attendere in silenzio che Legolas terminasse la frase. La sua voce era sempre incredibilmente dolce, soave come una musica… ogni volta, Aragorn si chiedeva come potessero esistere creature talmente meravigliose.

"Io… volevo…".

Ma le parole dell’Elfo furono purtroppo interrotte dalle grida orribili degli Orchetti che, a decine, stavano avanzando pesantemente per la foresta, distruggendo con le asce grezze di ferro battuto ogni ostacolo si trovassero davanti. Foglie, rami, cespugli.

E si stavano dirigendo… proprio verso di loro. Cosa ci facevano in quella zona? E così in tanti, poi…

Alla vista di quell’esercito, Gimli arretrò di un passo.

"Sono troppi. Non potremo mai farcela da soli. Dobbiamo fuggire prima che ci vedano!".

Aragorn annuì.

"Già. Potrebbero essere stati mandati da Saruman al seguito degli Uruk-Hai per terminare il lavoro… per trovare noi. Dobbiamo prendere per forza un’altra strada".

Detto questo, i tre tornarono piano al lago; i cavalli erano legati a degli alberi poco distanti dalla riva. Si trattava solo di raggiungerli, e di andarsene senza farsi notare dagli Orchetti.

Tutto procedette per il meglio, ma quando erano ormai già tutti in sella, convinti che sarebbe bastato partire al galoppo per mettersi al sicuro, quegli esseri immondi comparvero alle loro spalle e alla loro sinistra, circondandoli in parte. Le facce scure e grinzose presero a ghignare con cattiveria, mentre centinaia di occhi gialli e sporgenti fissavano i tre compagni di viaggio, occhi assetati di sangue e terrore.

Aragorn rimase qualche istante a guardarsi intorno. Non c’era la minima traccia di agitazione sul suo volto che, imperturbabile, stava chiaramente cercando una soluzione. La calma di certo non mancava al guerriero, soprattutto in certe situazioni.

Ad un certo punto si voltò verso Legolas e Gimli che, entrambi sullo stesso cavallo, davanti a quello dell’uomo, lo stavano fissando a loro volta. L’Elfo era teso, ma anche lui, come tutti i membri della sua nobile razza, non lo dava a vedere. Interrogò con lo sguardo Aragorn, che come leggendogli nel pensiero alzò una mano, facendo un cenno che l’altro interpretò subito. Non doveva usare l’arco. Anche se avrebbe potuto uccidere molti Orchetti in poco tempo, non sarebbe mai riuscito ad eliminarli tutti prima che questi li assalissero. No, era chiaro che l’unica cosa da fare era una. Una sola. In fondo, avevano il vantaggio di essere a cavallo…

"Kela! (Andate!)", urlò infatti il Ramingo in elfico (come sono dottaaa so pure l’elficooo yeaah! ndLeia) e fissando intensamente Legolas, che ubbidì immediatamente. "Più in fretta che potete, prima che ci circondino! Io vi sono dietro! (non è il momento di pensare male!! ndLeia)".

Mentre entrambi i cavalli partivano al galoppo uno dopo l’altro, gli Orchetti tentarono di chiuderli, anche se invano. Dopo qualche minuto Legolas udì le loro urla farsi sempre più lontane, e rincuorato si voltò verso il nano, sorridendogli. Ma nel momento in cui alzò però lo sguardo oltre le sue spalle, vide con orrore che Aragorn, a pochi metri da loro, era chinato in avanti, il corpo abbandonato sul dorso del purosangue dal manto scuro che cavalcava. Una freccia piumata spuntava oltre il suo collo, conficcata probabilmente sotto una scapola.

Un Orchetto dotato di un arco doveva averlo colpito alla spalle…

"No!", gridò l’Elfo fermando di colpo il cavallo, negli occhi la paura, il terrore di aver perso la persona a cui più teneva, forse, al mondo. "A… Aragorn… Estel!".

Anche Gimli si girò.

"Oh mio dio… l’hanno colpito… Legolas, dobbiamo fermarci! Non possiamo continuare!", esclamò quindi, implorando l’amico.

Il principe biondo fissò il vuoto con gli occhi azzurri, lucidi.

Si… si, voleva correre da lui, subito…

Estel…

Dio, e se… se…

Con un salto leggero scese dal cavallo, mettendosi a correre verso quello che portava il guerriero. Urlò delle parole sconosciute che riuscirono a far fermare il destriero, che si fece docile alle richieste dell’ Elfo.

"Aragorn…", mormorò così Legolas, prendendo con delicatezza il re di Gondor fra le sue braccia per portarlo a terra. "Riesci… riesci a sentirmi?".

L’uomo rimase immobile per qualche lungo, interminabile secondo, poi, con immensa gioia dell’Elfo aprì gli occhi. Il suo viso era però sofferente.

"Legolas…", sussurrò a fatica, sollevando una mano per cercare quella del compagno. "Sto… bene…".

Ma la sua voce si spense nuovamente, e il cavaliere svenne per il dolore. L’arciere strinse le sua dita, rendendosi conto che era assolutamente necessario curarlo. La freccia non sembrava aver colpito organi vitali, forse perché scoccata da troppo lontano per penetrare a fondo, ma esisteva comunque il rischio di un’infezione. Tra l’altro, il sangue usciva copiosamente.

"Gimli!", esclamò con voce tremante, chiamando il nano ancora sul suo cavallo. "E’ svenuto, ma devo curarlo al più presto possibile! Khemir (il cavallo!!) ti porterà anche senza che io lo guidi, puoi fidarti di lui. Devo cavalcare con Aragorn fino a quando ci fermeremo…".

Il nano annuì con lentezza, addolorato.

"Certo. Speriamo… che ce la faccia".

"Ce la deve fare. Cioè, lui… ce la farà, stai tranquillo".

Detto questo, dopo aver estratto la freccia dalla schiena dell’amico e aver tamponato un po’ la ferita col mantello avuto a Lothlórien, Legolas riuscì a riportare il cavaliere sulla groppa dell’animale. Dietro, si sedette lui.

I due cavalli ripartirono, correndo fra l’erba alta della pianura ancor più velocemente di prima. Adesso, erano in lotta contro il tempo. Dovevano distanziare abbastanza gli Orchetti per non correre rischi, e trovare un luogo adatto e sicuro per curare Aragorn.

Legolas strinse a sé il corpo del compagno, mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia diafana.

Se avesse perso anche lui…

Se anche lui se ne fosse andato, dopo Gandalf, Boromir, gli Hobbit…

No… non se lo sarebbe mai perdonato.

Chiuse gli occhi. Le lacrime si moltiplicarono, e nel vento che gli sferzava il viso asciugandole una ad una, Legolas si chiese se quello che stava provando con quell’intensità crudele e dolce potesse essere amore.

"Tieni… tieni duro, ti prego".

 

Cavalcarono tra i boschi per così tanto tempo da perdere il conto dei minuti, delle ore. Ormai era notte inoltrata e la foresta si era riempita dei versi sinistri degli animali notturni. Gli urli stridenti degli orchetti si erano affievoliti durante la corsa fino a scomparire del tutto. Dovevano essere ormai abbastanza lontani per permettere una sosta.

“Fermiamoci qui” tuonò Legolas giunto dinnanzi ad un vecchio salice. I rami stanchi arrivavano quasi a terra dando al grande albero l'aspetto di una alcova sicura, almeno per il momento.

Gimli tirò un sospirò di sollievo. “Finalmente! Ho quasi strappato la criniera a questa povera giumenta!” disse scendendo, tutto indolenzito per la cavalcata che era stata piuttosto difficoltosa per lui.

Legolas scese da cavallo e portò di peso Aragorn sotto le fronde dell'albero. Era ancora privo di conoscenza.

Gimli colse l'apprensione nel suo sguardo. “E' strano che non sia ancora rinvenuto, un uomo così grande e grosso che sviene per una freccetta scagliata da lontano…”.

“Non è una semplice freccia, è imbevuta di qualcosa. Qualcosa che non riconosco dall'odore, né dai sintomi che provoca. Qualcosa che invade il suo corpo forzandolo al riposo, che lo raffredda lentamente fino alla, alla…”.

Non riusciva a terminare la frase, rabbia e disperazione si stavano impadronendo di lui. Avrebbe voluto piangere ma quelle emozioni così umane, così intense, erano nuove per lui, così difficili da gestire.

Ricacciò dentro di se il moto di tristezza e coprì Aragorn con il suo mantello e la sua giubba. L'aria fredda della notte pungeva sulla pelle ma non gli importava.

Gimli si avvicinò preoccupato, scostò il mantello e girò il corpo di Aragorn per ispezionare la ferita. Poi prese la freccia che l'aveva causata dalla sacca di Legolas e ne esaminò attentamente la punta.

“Questa è polvere di ametista!” disse il nano soddisfatto. “E’ difficile da ottenere ma ha un effetto letale”.

Legolas lo guardò sconsolato, un'altra brutta notizia.

”Letale ma temporaneo! Se riusciremo a fargli passare la notte, se riusciamo a tenerlo al caldo senza che il suo corpo diventi freddo come quello di un cadavere, se riusciremo a mantenere fluido e vivo il suo sangue, sopravviverà. E la polvere si dissolverà senza lasciare traccia in lui”.

Legolas non disse un parola ma il suo sguardo parlava per lui. Una luce si era accesa in fondo ai suoi occhi. Rimboccò le coperte al ramingo e si mosse a cercare legna per accendere un grande fuoco. Ma Gimli osservò:

“Non possiamo accendere il fuoco, gli Orchetti potrebbero riprovarci”.

“Ma dobbiamo farlo o Aragorn non avrà alcuna speranza!”.

Gimli scosse la testa. “E sia, io pattuglierò la collina nel caso dovessero trovarci grazie al fuoco, tu occupati di lui. Quando sarò troppo stanco mi darai il cambio”.

Legolas doveva averla trovata una buona idea, perché annuì senza chiedersi perché il nano aveva di punto in bianco preso il comando. In fondo era un bene, lui era troppo preoccupato per fare altro!

Mise insieme della paglia e piccoli tronchetti di legno raccolti qua e là e accese il fuoco poco lontano dal giaciglio di fortuna preparato per Aragorn. Continuava a dormire tranquillo apparentemente, ma il volto si era fatto pallido, il corpo era rigido e sempre più freddo.

Presto però il ramingo fu sconvolto da violente convulsioni e da tremori improvvisi e prolungati. A tratti pareva smettere di respirare. L'elfo era disperato, lo teneva tra le sue braccia stringendolo forte e sussurrandogli parole di conforto. Ravvivava il fuoco spesso in modo da tenere caldo Aragorn più che poteva.

Ma la sostanza che lo uccideva era più forte di qualsiasi fuoco e Aragorn presto smise di tremare, il suo corpo sembrava morto tra le braccia di Legolas. Calde lacrime d'elfo lo ricoprirono più e più volte, lacrime sincere e disperate.

No, ti prego, no…”.

Quando il respiro del malato si fece irregolare, Legolas era in preda al panico. Non stava succedendo davvero, non poteva andare via così, lasciarlo così (lasciarci così... ndMari).

Legolas alzò lo sguardo e pianse ancora, un urlo soffocato riempì l'oscurità. Legolas lasciò cadere il corpo esanime di Aragorn sull'erba umida e guardò il suo volto. Sembrava in pace, sembrava sereno come non lo aveva più visto da tempo. Accarezzò quel volto privo di vita e piano vi si avvicinò. Baciò teneramente le sue labbra e il coraggio del suo gesto lo sconvolse. Amava quell'uomo coraggioso, quel forte guerriero che aveva avuto accanto, lo amava come un fratello, lo amava tanto da desiderarne il corpo e l'anima, tanto da voler dirgli addio con un bacio lieve, leggero.

“Non può essere… morto…”

Ma presto la disperazione divenne rabbia, il dolore fu tremenda, profonda, violenta reazione. Legolas si privò dei vestiti e fece lo stesso con Aragorn. Il suo corpo era pesante e freddo, così freddo…

Attizzò il fuoco e vi stese accanto un telo, vi distese Aragorn e poi sormontò il suo corpo freddo e privo di vita con il suo.

Lo strinse forte e calde lacrime continuarono a bagnarlo tutta la notte, le mani forti scorrevano lungo la schiena e i fianchi sfregando la pelle con forza, tentando di svegliarla con il tocco violento delle dita. Il petto, l'addome, le cosce tornite e le forti braccia rigide, immobili sotto le sue mani nervose. E continuò così per così tanto che, perse le speranze, gli si accasciò accanto privo di forze in lacrime e si addormentò.

 

Era stato il canto degli uccelli, così rumorosi all'alba, a svegliarlo. Si guardò intorno confuso, dove si trovava? Era completamente nudo e non era solo. Accanto a sé giaceva il corpo anch'esso nudo di Legolas che dormiva e respirava piano. Scostò i suoi lunghi capelli biondi e rimase a guardare il suo volto così contrito, addolorato. Sorrise, un moto di tenerezza gli gonfiò il cuore e ricordò l'accaduto. Era stato ferito, poi il buio, poi più nulla. Legolas doveva aver vegliato su di lui, doveva averlo guarito, lo aveva salvato. Ora doveva essergli anche grato per questo. Ma dove era finito Gimli?

Aragorn strinse a sé Legolas e con fare incerto accarezzò la sua fronte, la sua spalla. Avrebbe dovuto svegliarlo ma la tentazione di toccarlo ora che dormiva, così indifeso, era forte, incontrollabile. Gli era così vicino, quel profumo che emanava la sua pelle, quel colore così chiaro, quelle forme così perfette, così...

Un movimento quasi impercettibile delle palpebre, poi le sue mani scosse da un lieve fremito. Legolas si stava svegliando.

Aragorn si scostò, come se avesse commesso un peccato, si alzò e si allontanò…
 

Hai preferito leggere di Legolas che viene ferito? Allora prosegui da qui... anche se forse dovresti leggere entrambe le possibilità! ^_-

 

Aragorn stava provando sensazioni sconosciute sino ad allora. “Cosa mi sta succedendo, lui è mio amico… ma vorrei che il tempo si…” stava pensando il giovane guerriero.

Il suo braccio era ancora intorno al collo di Legolas, la sua mano era appoggiata con noncuranza sul petto glabro dell'elfo, e proprio sotto di essa sentiva il cuore del suo amico accelerare i battiti…

Legolas sentiva il torace dell'amico poggiato contro la sua schiena, la sensazione di calore che quel contatto emanava era incredibile, provava sensazioni a lui sconosciute, piacere misto ad eccitazione. “Cosa… che… che cosa è questa sensazione che fa battere il mio cuore cosi convulsamente, io… io… vorrei rimanere cosi per… “.

I pensieri dei due giovani furono interrotti dall'inopportuno vociare del nano che li chiamava; come predetto dalla sua voce, comparve sulla sponda del lago, tutto trafelato e con il fiato corto per la corsa.

“Presto… venite… Un gruppo di Orchetti si sta avvicinando ed anche molto velocemente… sbrigatevi”.

I due giovani non si guardavano in viso, memori delle sensazioni provate. Aragorn fu il primo ad uscire dall'acqua, si rivesti in fretta e con la sua spada in mano si voltò verso l'amico rimasto ancora nel lago.

“Vieni… ho bisogno del tuo arco… voglio che mi guardi le spalle…” e gli sorrise, intuendo i pensieri che affollavano la mente di Legolas, dato che erano anche i suoi; il giovane elfo all'invito dell'amico si avviò verso la riva, non senza un certo imbarazzo per il suo stato di eccitazione, anche se il guerriero non diede a vedere di essersene accorto.

Legolas arrivato sulla riva si vestì, anch'egli prese i suoi pugnali lunghi ed affilati e li posizionò nel suo fodero morbido e intarsiato, prese la faretra, l'arco, e le posizionò dietro le spalle ben disegnate.

Aragorn controllava ogni movimento dell'amico, ogni sua mossa era cosi aggraziata e misurata che provocava in lui sensazioni mai provate. 

“Chissà cosa sanno fare quelle mani sul…”. Fu scosso da questi pensieri dalla voce sgraziata del nano.

“Muovetevi, altrimenti ci circondano…”. Detto ciò il nano si avviò con passo veloce nel bosco.

Aragorn e Legolas lo seguirono, giunti ad una radura gli acuti sensi di Legolas percepirono il nemico prima di vederlo. “Sono molti… sono ad alcuni metri davanti a noi…”. Non finì la frase che dal fitto bosco sbucarono orribili creature armate fino ai denti.

I tre combatterono senza tregua, proteggendosi a vicenda… Aragorn protesse Legolas e l'elfo fece altrettanto. Fu proprio in uno di questi momenti che Legolas si frappose tra Aragorn ed una freccia a lui indirizzata dal capo del gruppo di nemici.

Legolas sapeva che quella freccia non avrebbe potuto fargli nulla, ma nel momento stesso in cui fu colpito capì che quella non era una freccia normale. Nel penetrare la sua carne sentì un forte bruciore ed un acuto dolore. “Avvelenata… è avvelenata…” pensò il giovane elfo.

Aragorn, liberatosi da un Orchetto, gridò: “Presto via… nel bosco non ci inseguiranno”. Il nano lo seguì, Legolas che non voleva ritardare la fuga con immenso dolore si strappò dalla carne la freccia e parti all'inseguimento del nano e del suo amico. Il dolore era molto ma non un lamento uscì dalla sua bocca. Tenne duro, sapeva che il veleno con la corsa sarebbe andato in circolo più velocemente, ma dovevano allontanarsi dal pericolo e se lui avesse detto solo una cosa il gruppo si sarebbe fermato e non voleva mettere in pericolo gli amici e soprattutto…

“Aragorn”. Non si accorse di aver pronunciato il suo nome ad alta voce, e il giovane guerriero sentendosi chiamare si voltò. Ma l'elfo fece cenno di continuare.

Aragorn nel voltarsi notò che il viso dell'amico solitamente impassibile era in quel momento particolarmente teso, e cosa assai strana appariva sofferente e con una lieve sudorazione, cosa che sapeva benissimo non esser possibile dato che gli elfi non sudano. Ma rassicurato dall'amico continuò la sua corsa sino ad un dirupo, dove vi erano delle caverne dove potersi nascondere.

Entrarono nella più grande. Aragorn ordinò al nano: “Controlla le altre, non voglio avere scherzi e pattuglia la zona…”. Il nano obbedì. Le caverne erano il suo territorio e lì si sentiva a casa propria.

Aragorn si voltò verso l'amico e notò la sofferenza sul suo volto. “Legolas cosa ti succede… che hai…”. Si avvicinò e gli afferrò, senza l'intenzione di fargli del male, il braccio ferito, ma al contrarsi e al sussulto dell’ amico Argorn si preoccupò.

Ma non fece in tempo a formulare la domanda che Legolas cadde fra le sue braccia.

“Che diavolo…”. Era la prima volta che vedeva una cosa del genere, mai in vita sua aveva visto un elfo svenire. “Che…”. Nell'afferrare l'amico notò sulla manica del suo magnifico abito una macchia, la toccò e vide che era sangue. “Ma come… non poteva… come poteva, che è successo…”. Non riuscì a formulare una frase coerente, troppa era la preoccupazione per il suo caro amico.

Lo adagiò con delicatezza su di un letto di aghi di pino, cerco di scuoterlo, chiamandolo con dolcezza e con la sua voce bassa. “Legolas… Legolas, amico, che cosa…”.

Ma l'altro non dava cenno di volersi svegliare. Allora toccò la sua diafana pelle e sentì che era calda, cosa molto strana.

“Devo vedere che ferita hai… mi dispiace”, continuava a dire il giovane guerriero a voce bassa,  all'indirizzo dell'elfo.

Estrasse il suo lungo ed affilato pugnale, e facendo attenzione a non fargli male penetrò con la lama all'interno della manica e con un movimento fluido tagliò il prezioso tessuto.

Ciò che gli apparve fu una ferita da freccia, ma ciò che lo sconvolse fu che il colore della pelle del braccio non era come il resto del corpo. No, era di un colorito rosso ed era gonfia la zona circostante la ferita. Toccò la parte e seppur il suo tocco fosse delicato, ciò strappò un sussulto di dolore da Legolas che si svegliò dal suo torpore. 

“Aragorn… mi dispiace, non volevo… io non…”, mormorò in risposta l'amico.

“Shhhh, non preoccuparti… perché non me lo hai detto, ci saremmo fermati…”.

Ma l’elfo disse: “Era quello che volevo evitare, la freccia è avvelenata, ma non…”.

Non terminò la frase, perché cadde nuovamente in un torpore che lo avrebbe portato alla morte se non si faceva qualcosa.

Aragorn non sapeva cosa fare, non era a conoscenza di un veleno in grado di uccidere gli elfi ma a quanto pare esisteva e doveva trovare un antidoto altrimenti avrebbe perso…

Fece fatica a dire quelle parole ma le disse “Il mio Legolas…”.

Aragorn sapeva che tra quelle oscure montagne cresceva un fiore il cui succo era un antidoto per moltissimi veleni e pregò che lo fosse anche per quello. Coprì Legolas con il suo mantello, aveva la febbre e doveva stare al caldo… accese un fuoco e spogliatolo con delicatezza prese il suo amico tra le braccia e lo depose accanto al fuoco, in modo che potesse riscaldarsi.

Prima di uscire posò un dolce bacio sulle labbra fredde dell'amico. Ciò lo spaventò perché il corpo di Legolas era caldissimo… lo guardò un’ultima volta prima di iniziare la sua ricerca, e sussurrò a fior di labbra: “Resisti, resisti mio…”. Non doveva perdere tempo…

Corse nella notte, vagò alla ricerca del fiore, ma sembrava che questo fiore non esistesse.

Stava per darsi vinto e tornare sconfortato dal suo compagno quando un dolce profumo colpì i suoi sensi, seguì la scia…

Arrivato alle pendici di un dirupo notò che su di una sporgenza rocciosa vi era un unico esemplare di fiore.

“Siiiii! L'ho trovato, potrò salvare il mio… amore…”.

Pronunciò quella parola senza timore. Si arrampicò sul dirupo e strappò il fiore dalla sua nicchia protetta. “Mi dispiace, ma mi servi…”.

All'interno del fiore vi era un seme, Aragorn tolse il seme e lo piantò nello stesso luogo.

Corse come se avesse un orda di Orchetti alla calcagna, mancava poco, doveva salvare il suo amico, il suo compagno…

Arrivato alla grotta si accostò subito al corpo di Legolas che sembrava privo di vita, lo toccò e notò che era freddo. Una paura gli artigliò il cuore, ma un debole e flebile lamento gli disse che era ancore in tempo. Preparò la mistura e la fece ingerire a Legolas, ora doveva scaldarlo ma un fuoco notò che non bastava. Ne accese altri ma nulla… il corpo di Legolas era sempre freddo.

Allora decise di scaldarlo con il proprio corpo. Si tolse gli abiti e nudo si stagliò contro la luce dei fuochi. Legolas in quel momento si destò dal suo torpore e fissò quella creatura maestosa, ma il veleno offuscò i suoi sensi e pensò che Aragorn fosse il nemico e quando gli si avvicinò il giovane elfo alzò le mani in segno di difesa e sussurrò: “No, non avvicinarti non voglio… non avvicinarti…” e si tirò indietro. Aragorn vedendo l'amico sveglio si avvicinò, ma notò la sua reazione e ne rimase sorpreso. Con voce bassa pronunciò il suo nome. “Legolas sono… Aragorn… non mi riconosci…”.

Ma il giovane elfo continuava a pronunciare parole sconnesse e cariche di terrore…

“Non… non voglio che… noo…”.

Aragorn gli si avvicinò ancora e abbracciandolo cercò di avvicinarlo al suo possente corpo muscoloso per tenerlo al caldo, ma Legolas reagì come se lo avessero imprigionato e si dimenò tra le braccia dell'amico.

Il guerriero, per fermare quella lotta intrapresa dall’elfo contro un nemico inesistente, gli bloccò le mani e per impedirgli di gridare lo baciò sulla bocca. Fu un bacio tenero ma allo stesso tempo forte, e ciò sembrò aver ragione sull'esigua forza dell'elfo.

Aragorn continuava a stringere il corpo dell'amico fra le braccia, e Legolas sembrava ormai calmatosi.

Coperti i propri corpi con le coperte e i mantelli, Aragorn si mise in una posizione più comoda e tenne così, nel suo abbraccio sicuro il suo Amore, il suo Compagno… rimase così per tutta la notte e gran parte della mattinata.

Legolas fu il primo che si riebbe. Il veleno era stato vinto, ma cosa strana si trovava nudo e tra le braccia di Aragorn. Volle rimanere in quel sicuro nido, le braccia del suo amico erano calde e possenti e lo stringevano cosi delicatamente che gli sembrava di essere una crisalide nel suo bozzolo di seta, pronta a uscire trasformata in farfalla al primo accenno di felicità e quale momento migliore di felicità… “se non quello di donarmi al mio amico, che amo da sempre…”. Ora ne era consapevole.

L'incanto però cessò quando un rumore proveniente dall'esterno della caverna fece svegliare Aragorn, che sorprese Legolas che lo fissava. Non c’era più traccia di malattia.

Il guerriero sorrise, un sorriso caldo e sincero, e l'elfo di rimando gli diede un bacio sulle labbra. I loro sguardi incatenati l'uno all'altro erano carichi di promesse… 

 

Finale...

 

Si guardarono a lungo negli occhi per comprendere cosa era appena accaduto. La lunga notte, la fuga, il ferimento, l'attacco del branco di Orchetti...

Ma non esisteva nulla al di fuori dei loro sguardi in quell'interminabile istante. Nulla, se non il battito dei loro cuori galoppanti.

Legolas sorrise all'amico con la dolcezza di cui solo un elfo è capace, si girò verso di lui e posò il palmo della sua mano su quella del guerriero che sembrava confuso, perso.

“Sei vivo, Estel!” sospirò l'elfo. Nella sua voce dolcezza sorpresa e gioia, malcelata.

“Per un attimo ho pensato che non avrei più rivisto i tuoi occhi aperti guardarmi… così…”.

Ma il ramingo era spaesato, come se non comprendesse le parole dell'amico. Lo guardava smarrito, quasi contrariato. Legolas se ne rese subito conto e tentò di calmarlo.

“E' finita, il veleno che ti voleva morto è stato sconfitto, sei un uomo forte e sei fuori pericolo ormai! Se ti fosse capitato qualcosa io… io…”.

Ma Aragorn lo interruppe.

“Per 1000 elfi, cosa blateri? Io non sono stato ferito. Mio povero amico, devi essere ancora in balia del veleno, ti confonde i ricordi e ti offusca i pensieri. La freccia ha colpito te Legolas, non ricordi?”

Gli sfuggì una risata. Ma la cosa non doveva aver divertito l'altro che serio lo fissò e ripeté con insistenza la sua versione dei fatti.

Entrambi sorridevano confusi senza riuscire a capire cosa mai poteva essere accaduto.

“Ciò che conta è che tu sia qui vivo… vicino a me” sussurrò Legolas. Poi si riprese sorprendendosi delle parole che pronunciava. Ma ormai era troppo tardi e Aragorn sentì la dolcezza delle parole del compagno pervadergli il corpo in un fremito e gli fu sempre più vicino. Ancora un sorriso.

“Anche io sono felice di vederti qui… vivo… così vicino”.

Accostò il volto alle suo e posò un bacio lieve sulle labbra dell'elfo, che non si scostò. Il mondo che sembrava scomparso tornò piano a circondarli con i suoi profumi e i suoni del bosco. Un lontano rumore di scosciare di acque si fece sempre più vicino, e l'aria intorno si fece fresca ed umida, come quella profumata e magica delle radure e dei laghi dall'acqua limpida e pura.

Aragorn si mosse verso Legolas lentamente, come trasportato dalle acque si sentiva leggero e fresco e… al sicuro. Legolas lo accolse tra le sue braccia e il bacio divenne profondo. Aragorn sentiva le labbra morbide dell'elfo sulle sue, sui suoi occhi, sul suo volto e le mordeva per comunicargli il desiderio che oramai non riusciva più a nascondere. Era così felice che Legolas fosse guarito, così felice di essere riuscito a salvargli la vita. E poco diversi erano i pensieri dell'elfo che accarezzava i capelli e il capo del ramingo e lo sentiva nella sua bocca, sotto le sue mani, sulla sua pelle fresca, bagnata... bagnata?

Una folata di vento gelido scosse i due corpi intrecciati nell'abbraccio. Il distacco doloroso fu inevitabile e entrambi aprirono la mente e gli occhi a quello che li circondava.

Erano immersi nell'acqua fino a metà del dorso, intorno una fitta foschia quasi profumata. Non lontana una piccola cascata dalla quale proveniva un fruscio, un levare di ali, un rumore indistinto ma di grazia infinita e di lì apparve una donna. Lunghi capelli rossi intrecciati a erbe e frutti di bosco le cadevano molli sulle spalle nude e le coprivano i seni di cui si intuiva la forma, avanzò con grazia verso i due quasi camminando sull'acqua e si fermò dinnanzi a loro, sempre più confusi.

 

Ho dischiuso il vostro cuore

viandanti

Nelle acque fatate di Aglaia

signora della radura

vi siete bagnati

Ed ogni segreto è stato svelato

Ogni sensazione è vostra

di entrambi

Tornate alla realtà e condividete ciò che vi lega

siate l'uno dell'amore dell'altro consapevoli

come io ho voluto

E tornate uniti, sul sentiero che vi attende,

dal vincolo che io proteggo e benedico.

 

La donna si dissolse lentamente sorridendo e quando scomparve il vento freddo che l’aveva accompagnata andò via con lei. Rimasti immersi nell'acqua limpida e ora calma i due sventurati si guardarono intorno tornando lentamente alla realtà. Erano nel piccolo laghetto che aveva offerto loro una breve sosta e un piacevole fresco riposo, e piano compresero che nessuno era stato realmente ferito, nessuno realmente attaccato, nulla era accaduto realmente. Nulla se non la rivelazione prepotente e inattesa dei sentimenti che provavano l'uno per l'altro e che mai erano riusciti a confessare all'altro e a se stessi.

Forti della nuova consapevolezza Aragorn e Legolas si scambiarono uno sguardo di intesa e si sorrisero. Legolas si avvicinò al guerriero lentamente, gli prese le mani e intrecciò le dita con le sue. Aragorn lo tirò verso di sé e i loro volti furono così vicini che i loro respiri si confusero. La reazione dei loro corpi e delle loro menti ormai consapevoli fu istintiva, improvvisa ed entrambi sentirono il violento insopprimibile bisogno di stringersi, di essere più vicini.

“Sai che darei la mia vita per te, Aragorn” disse Legolas. Avvolse il capo del guerriero con il suo braccio e avvicinò le sue labbra al suo volto.

“Ora ne ho la certezza, e tu sai che se ti perdessi lottare per distruggere l'Anello non avrebbe più alcun senso per me… Sono così, così… felice che tu sia qui con me…”.

Aragorn abbassò lo sguardo, socchiuse gli occhi e respirò profondamente il profumo intenso che sprigionava l'elfo mentre sfiorava il suo corpo.

“Io sarò sempre al tuo fianco, Estel…”.

FINE!!