.|. Un Velo per gli Occhi .|.

2. La Festa

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Dopo estenuanti giorni di preparativi, finalmente giunse la tanto attesa sera della festa.

La grande festa nella città di Minas Tirith, i cui invitati non si limitavano soltanto alla razza degli Uomini, ma erano accorsi, da ogni parte della Terra di Mezzo, Hobbit, Nani ed Elfi. Tutti assieme, riuniti per il grande evento.

Gli antichi dissapori e le vecchie diatribe tra le varie razze erano ormai sopite da tempo. Gondor e il suo re avevano svolto un importante ruolo di pacificatori per creare nuove alleanze e per fare in modo che la pace, così arduamente costruita, durasse a lungo.

Il regno di Mordor era rimasto solo e in ombra dinanzi allo splendore e alla forza di questi popoli alleati, che erano riusciti a combattere il male non infliggendo altro male, che avevano posto fine alla guerra senza proclamarla a loro volta.

Uno splendido bagliore di luce dorata avvolgeva tutta la città, conferendogli una piacevole aura di sicurezza e di tepore. Ogni abitante aveva acceso nelle proprie case almeno una candela, ponendola sul davanzale della finestra, le fiaccole ardevano in ogni strada e in ogni via, e la luce del mondo degli Uomini, quella notte, riusciva a specchiarsi e a confrontarsi con quella infinita del cielo, dell’universo sovrastante.

Da giorni ormai il via vai di genti, di stranieri, di viandanti pareva essere irrefrenabile. Il cancello di Minas Tirith era sorvegliato dalle guardie del re, ma lasciato sempre aperto… in fondo, chi poteva temere l’arrivo di qualche nemico in quei tempi sereni?

Ognuno giungeva con un dono della propria terra per il re e la regina, cibo prelibato e qualche animale da parte degli Hobbit, pietre preziose, scovate nelle grotte o nelle miniere da parte dei Nani, ed oggetti arcani, ricchi di splendore e di magia, che sembravano appartenere più ad un ipotetico futuro che al presente, da parte degli Elfi.
Tutto era pronto per quella festa, volta a celebrare l’attuale regno di pace e l’anniversario dell’unione tra Re Elassar e Arwen Undomiel.

Voci e schiamazzi, risate gioiose, musiche e rumori si udivano dappertutto, travolgendo anche i più piccoli spazi di silenzio.

Forse…

Aragorn era solo nella sua stanza, dinanzi al grande specchio posizionato contro la parete bianca.

Non aveva ancora terminato di vestirsi. Una lunga tunica color porpora ricadeva morbidamente su di lui, esaltando il carnato del suo volto e il nero profondo dei suoi capelli. Eppure, i lacci che dovevano chiudere l’abito all’altezza del petto erano ancora abbandonati svogliatamente sulla stoffa. Le mani dell’uomo si erano fermate lì, forse desideroso di una più completa libertà, forse annoiato dal continuo frastuono che giungeva alle sue orecchie. Un frastuono colmo di gioia e di tutto ciò che egli stesso aveva costruito, ma che in quel momento non sembrava appartenergli.

Aragorn non era riuscito ad andare oltre. Non era riuscito a concludere quel rito di vestizione che compiva per le occasioni speciali, allo stesso modo, ormai da anni.

Non aveva mai amato la confusione. Ma mai come quella notte si era sentito così solo.

Arwen era già scesa nel grande giardino addobbato a festa, dove era stata imbandita un’enorme tavola per la cena, avrebbe trattenuto lei gli ospiti fino al suo arrivo, finché insieme non si sarebbero diretti ai loro posti, avrebbero dato il via ai festeggiamenti e nel momento più opportuno avrebbero proclamo dinanzi a tutti il loro amore… come già era accaduto tanti anni prima.

“Il nostro amore…” sussurrò l’uomo allo specchio, passandosi involontariamente una mano sulla fronte.

Quella che vedeva dinanzi a sé era la sua immagine, la sua immagine reale, sebbene si dica che gli specchi, alle volte, siano dei grandi prestigiatori d’illusioni.

Dopo tanti anni… Aragorn si stava guardando.

E ciò che vedeva era uno splendido uomo dagli occhi malinconici che aveva lasciato cadere a terra, almeno per un istante, la sua costante forza, la sua maschera quotidiana.

Ciò che vedeva non era un re, né un imbattibile eroe, ma un giovane ragazzo nel pieno della sua fragilità. Un bambino forse…

“Maledetti pensieri…” sibilò a se stesso.

E con un gesto veloce, fece scivolare una mano sui lacci del suo abito. Ma come le sue dita iniziarono a correre sulla pelle nuda, un’immagine fin troppo nitida, ritornò alla sua mente. E la sua mente ritornò alla sera precedente.

 

Il corridoio era immerso nell’oscurità più totale. Soltanto la flebile luce di una fiaccola in lontananza riusciva a far intravedere qualcosa all’uomo. La porta della sua stanza da letto era dinanzi a lui, ed Arwen era probabilmente là dentro ad aspettarlo, in piedi dinanzi alla grande finestra, come di consueto, o seduta dinanzi allo specchio, intenta a pettinarsi i lunghi capelli color della notte. O forse, cosa in cui egli sperava più che mai, distesa sul grande letto, completamente nuda, pronta ad accoglierlo e a cancellare con quell’amore dolce ed intossicante tutti i suoi dubbi e i suoi pensieri.

L’uomo fece per aprire la porta quando una mano lo fermò.

Si voltò di scatto, spaventato.

“Perdonami, Estel…”

Non ebbe bisogno di vedere chi fosse la persona che si trovava dinanzi a lui, perché quella voce raggiunse rovinosamente il suo cuore.

“Principe…” si corresse “Legolas…”

Intravide il suo sorriso.

“Perdonami se ti ho spaventato, immagino… immagino che stavi raggiungendo la tua sposa…”

“Posso fare qualcosa per voi?” si affrettò a dire l’uomo.

Gli parve di udire il leggero respiro dell’elfo invadere l’intero corridoio, gli parve di percepirlo vicino, tremendamente vicino… sulle labbra.

“In verità, ho bisogno di fare un bagno.”

A quelle parole, senza una ragione precisa, il cuore dell’uomo prese a battere violentemente, come scosso da una rivelazione improvvisa, qualcosa di sconosciuto e non ben definito che gli ritornava improvvisamente alla mente… qualcosa di bruciante.

“Ho viaggiato a lungo e…”

“Ma certo, amico mio…” l’interruppe Aragorn “Perdonatemi se non ve l’ho proposto prima… lasciate che vi accompagni…”

“Non ce n’è bisogno, Estel…” soggiunse Legolas “Basta che mi indichi dove si trova la stanza del bagno…”

“Si trova in fondo al corridoio.”

Le parole dell’uomo uscirono sicure dalle sue labbra, come se Legolas  avesse potuto dirigersi soltanto in quella direzione…in fondo al corridoio… come tanti anni prima, in un luogo diverso, in un’epoca diversa forse, quando il tempo delle aspettative e dei sogni era ancora giovane e incontaminato.

“In fondo al corridoio?” ripeté l’elfo. Sorrise enigmatico. “Non ne dubitavo.”

Così, dopo un breve saluto, s’incamminò verso la stanza, lasciando Aragorn immobile nella sua posizione, prigioniero di due porte, di due luoghi… l’una, quella dove l’attendeva la sua regina, l’altra, più lontana e improvvisamente ignota, dove si stava avviando l’elfo.

Aragorn rimase a fissare un punto indistinto nell’ombra, finché i suoi occhi, spogliati da qualunque difesa, non venivano catturati dal bagliore rossastro della stanza del bagno, dal rumore di quella porta proibita che lentamente si apriva.

Ma prima che si richiudesse alle spalle dell’elfo, l’uomo si mosse, forse troppo per tornare indietro, lasciando la sua camera da letto e dimenticando chi vi fosse al suo interno ad aspettarlo.

Arwen quella notte sarebbe rimasta sola…

L’aveva guardato. L’aveva osservato per tutto il tempo del bagno, con lo stesso timore di essere scoperto che lo assaliva quando era ancora bambino.

Si era nuovamente perso negli impossibili percorsi che i movimenti del suo corpo creavano.    Corpo nudo. Corpo perfetto.

E dinanzi a quel corpo, ora, il suo essere uomo reagiva. Reagiva con forza e con violenza.           Con consapevolezza. Questa era forse la cosa più terrificante.

Era dunque proprio Legolas quel sogno che si faceva carne nella sua primavera ad Imladris? Era lui lo splendido giovane a cui non era mai riuscito a dare un nome, o una parola per definirlo?
Aragorn strinse l’ultimo laccio del suo abito e rimase ancora un po’a contemplarsi. Si trovava in quello stato dalla notte precedente, aveva, anche questa volta, nascosto le sue emozioni molto bene, ma cosa avrebbe fatto nel momento in cui, quella sera, i suoi occhi avrebbero incontrato nuovamente quelli di Legolas? E soprattutto, come avrebbe potuto dichiarare ancora una volta al suo popolo, l’amore che lo legava ad Arwen?

A quel pensiero, un terribile senso d’angoscia s’impossessò del suo cuore, sentì sulla sua fronte un lieve e fastidioso velo di sudore e si odiò per questo.

“Come sono codardo… ho ancora il coraggio di chiedermi cosa mi stia succedendo!”

Ma la sua mente non voleva rispondere a quella domanda, ed egli, mentre finiva di vestirsi, continuò a cercare inutili vie di fuga a quei pensieri e a quei ricordi che lo assalivano.

Non poteva negarlo…la sua eccitazione era diventata dolorosamente dura quando aveva visto Legolas spogliarsi e bagnarsi con il panno morbido e zuppo d’acqua, per poi godersi a lungo quell’istante e infine cospargersi di oli profumati.

Si era aggrappato alla porta, maledicendo il rumore del legno e pregando che il consueto velo calasse sui suoi occhi, perché se non riusciva a staccarsi da quella visione innocente e oscena al tempo stesso, avesse almeno potuto non essere visto, non essere scoperto.

Così era stato. L’elfo non si era accorto di nulla ed era sprofondato in un dolce tepore, tra i caldi fumi dell’acqua e l’odore inebriante degli oli.

Ma quel gioco… fino a quando sarebbe potuto durare?

Vedere e non essere visto, sfiorare e non essere toccato, amare e non essere contaminato, mai.

Sospirò.

Si sistemò i lunghi capelli sulla tunica, si lanciò un ultimo sguardo.

“Il re è pronto…”

E facendosi coraggio uscì dalla stanza.

Come raggiunse i grandi giardini, ogni rumore, ogni risata ed ogni voce cessarono e tutti gli astanti s’immersero in un reverenziale silenzio.

Aragorn intravide Arwen, a poca distanza dalla tavola, che lo stava guardando con un sorriso di complicità e di ammirazione.

“Sono il tuo sostegno, Estel… anche questa volta non devi aver paura…”

Così le avrebbe detto la sua compagna, ma non erano quelle le parole che l’uomo cercava in quel momento.

Tuttavia sorrise, allargò le braccia verso i suoi amici e verso il suo popolo, e un grido di gioia in onore del re si levò nell’aria.

Iniziò così il rito di sempre, quel rito che l’aveva sempre reso completo e felice. Parlò con la sua gente, salutò gli amici, s’intrattenne con chiunque volesse parlargli e si commosse nel vedere quanta gratitudine e quanto amore i suoi sudditi nutrissero per lui.

Con la volontà e con una fiamma diversa da quella che aveva accompagnato i suoi avi, era riuscito a scrollarsi di dosso la sua pesante eredità. Ormai nessuno lo vedeva più come l’erede di Isildur, quella condanna, quei giorni neri erano soltanto un ricordo lontano per il popolo di Gondor.

Arwen continuò a guardarlo per un lungo istante, poi si ritirò, lasciandolo alle sue incombenze.

Aragorn trovò il tempo per ogni persona che lo avvicinava, trovò parole e sorrisi, ma non smise neppure per un istante di guardarsi intorno.

Una parte di sé gioiva per l’affetto della sua gente, ma l’altra era continuamente tormentata da quelle immagini che avrebbe dovuto allontanare.

Finché, pochi istanti prima della cena, non raggiunse la sua sposa, che stava sistemando assieme alle cuoche le ultime cose sulla tavola.

“Aragorn…” disse l’elfo, accogliendolo con un sorriso “Credo sia ora  iniziare…”

L’uomo annuì, e lanciò una rapida occhiata alle persone presenti.

“Dov’è Legolas…?” domandò a bruciapelo, chinandosi un poco verso di lei.

“Non lo so… era qui pochi attimi fa…”

“Era qui?” sussultò Aragorn, spalancando gli occhi.

Arwen non ebbe il tempo di rispondere, né di comprendere quell’improvviso sussulto dell’uomo, che una voce alle loro spalle fece voltare entrambi.

“Perdonate il ritardo…”

“Legolas…”

Il sorriso della regina supplì al silenzio e alla fissità di Aragorn, che, nell’istante in cui i suoi occhi si erano posati sull’elfo, era rimasto senza parole.

Il giovane indossava una leggera tunica azzurro chiaro, tanto da suscitare l’invidia sia del mare nei suoi attimi di quiete profonda, che del cielo immerso nei colori sereni della sera.

 Sembrava leggero come l’aria e bello come gli stessi Valar, se mai gli Uomini avessero avuto il privilegio di vederne uno. Il suo volto trasudava un’ intensa dolcezza, unita a quei tratti evidentemente femminili che sapevano renderlo conturbante, perché custodi della sua virilità nascosta.

Legolas si scostò una ciocca di capelli dalla spalla e si avvicinò al re.

“Maestà…” gli sussurrò a bassa voce, chinando un poco la testa “Siete splendido stanotte!”

Una strana luce attraversò gli occhi dell’elfo, una luce che Aragorn non aveva mai visto negli sguardi di quella razza… avrebbe potuto definirla… quasi maliziosa.

Ma la sua mente era ormai incapace di formulare pensieri sensati… la voce del giovane, le sue parole e il suo sorriso lo avevano completamente catturato.

In quell’istante si rese conto che, nonostante le resistenze imposte dalla sua ragione, oltre che a guardare la bellezza del suo ospite, si stava, a sua volta, lasciando guardare da lui.

Si sentì improvvisamente scoperto, ed ebbe quasi paura, paura di perdere il controllo dinanzi alla sua sposa e dinanzi al suo popolo.

Sorrise nervosamente. Accompagnò Arwen e Legolas al tavolo, facendoli sedere, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra, e così, con un breve discorso, dette il via alla cena.

Le ore trascorsero rapidamente e in modo piacevole. Oltre che parlare, bere e mangiare, ogni ospite si dilettò a mostrare al re qualcosa della propria terra. Furono gli Hobbit però, a dare il via alla vera festa, intonando canzoni della Contea, e dopo aver bevuto troppe pinte di birra, oltre che numerosi bicchieri di vino rosso, si lanciarono in musiche e danze che coinvolsero tutti.

Molti degli astanti, terminata la cena, si alzarono da tavola e presero a ballare con i Mezzuomini, seguendo i loro passi e perdendosi in interminabili girotondi senza respiro.

Aragorn osservò a lungo quell’atmosfera di festa, felice a sua volta, e sperando, in cuor suo, che nessuna guerra e nessun orrore potessero turbare quello stato di serenità e armonia.

“Tutto questo è tuo, Estel… ed è commovente!”
L’uomo si voltò ed incontrò gli occhi di Legolas, realmente umidi di lacrime. Sentì un’immensa gratitudine nei confronti dell’elfo per ciò che aveva appena detto, e quella sensazione, per un istante, sembrò mischiarsi con qualcosa di altrettanto intenso, talmente gioioso da far male… folle.

“Se mi guardo indietro non ricordo un periodo simile nella nostra storia… un periodo di assoluta pace…” proseguì il giovane autenticamente emozionato “Sei riuscito a creare qualcosa d’incredibile, amico mio…”

“Se l’ho fatto, è solo perché siete stati voi Elfi ad insegnarmi tutto questo… che non c’è bisogno d’odio per sconfiggere l’odio, né di violenza per far cambiare i tempi…”

“Che la pace si conquista soltanto con la pace…” concluse Legolas, con lo sguardo perso, come se rammentasse qualcosa di lontano “Elrond… la sua saggezza è in te… sapeva quale fosse la strada giusta, sebbene nei giorni del bisogno non si sia mai tirato indietro ed è stato un grande elfo guerriero.”

Aragorn sorrise, senza più riuscire a staccare gli occhi dal giovane, estremamente bello in quell’attimo di raggiante felicità.

“Si, Estel… non solo hai imparato da noi, ma… stai diventando simile a noi…”

A quelle parole cadde tra di loro un silenzio profondo, un silenzio d’intesa, di chi sa già di poter condividere tutto.

Legolas si alzò lentamente dal tavolo, e senza lasciare mai lo sguardo dell’amico, si allontanò dalla confusione, avviandosi verso un lato più appartato del palazzo.

Aragorn, come incantato, non poté che seguirlo, noncurante della sua azione, azione istintiva dopo tanto tempo, noncurante degli occhi della gente, né della festa, né della confusione, né… del suo ruolo di re.

Come raggiunse l’elfo, tutto scomparve dietro di lui.

Si ritrovarono nel giardino dove Aragorn era solito passeggiare, protetti dal possente marmo delle colonne del palazzo e dagli alti alberi, che con le loro chiome sfidavano sfacciatamente la notte. I rumori del banchetto sembravano non poterli raggiungere.

L’unica melodia che percepirono furono i reciproci respiri… quello pacato, quasi silenzioso di Legolas, e quello più ansimante, impaziente dell’uomo.

Si guardarono a lungo, nuovamente impossibilitati a parlare, come se ormai soltanto le azioni avessero il potere di spezzare la barriera del silenzio.
Aragorn si avvicinò all’elfo titubante, che se ne stava lì, immobile ad aspettarlo, come se l’avesse atteso da sempre… immerso nei riflessi azzurri dell’abito e nel bianco statuario del marmo che lo circondava. L’uomo avrebbe voluto parlargli, chiedergli mille perché, ma non poté far altro che avvicinarsi ancor di più a quel giovane in verità sconosciuto, ma allo stesso tempo così simile e vicino.

Si accostò a lui e con il proprio corpo lo premette contro la fredda colonna. Appoggiarono la fronte l’uno all’altro per guardarsi a fondo, si sfiorarono la punta del naso… dolcemente… si respirarono, rubando l’uno un po’ del profumo dell’altro… indugiarono sulle reciproche bocche… si trovavano ad una distanza disarmante, così vicini da far male, ma impedirono alle loro labbra di toccarsi… neppure per un bacio fugace.

Legolas pareva darsi a lui e pareva sfuggirgli, costringendo l’uomo a rincorrerlo, costringendolo a smascherarsi del tutto, violentandolo dentro, tormentandolo con la sua presenza, raggelandolo con la sua fuga.

Aragorn si sentì bruciare di un fuoco sconosciuto. Dimenticò completamente dove si trovasse, dimenticò cosa stesse facendo… dimenticò il suo ruolo e ritrovò il suo essere.

Spinse ancor di più Legolas contro la colonna, e prima di possederlo con la bocca, lasciò scivolare una mano tra i lacci della sua tunica leggera, facendola scomparire sotto la stoffa, sul petto nudo dell’elfo. Sentì la sua pelle tremare, sentì il suo vigore maschile scorrere nei suoi muscoli, un calore troppo a lungo sopito pulsare nei suoi capezzoli, ormai irrimediabilmente turgidi.

Desiderò possederlo, come fino ad allora aveva fatto con la sua sposa, ma si trattenne, affinché, complici i sospiri sempre più rapidi, i primi deboli gemiti, e la carne bollente dell’elfo sotto al suo tocco, la sua eccitazione venisse torturata fino al limite.

Fu allora che Legolas gli dette libero accesso alla sua bocca, accogliendo la sua lingua in quell’antro caldo e bagnato. Si persero in un bacio senza ritegno, distruttivo, senza via di ritorno.

Aragorn continuò a muovere freneticamente la mano sul corpo dell’elfo, toccando ogni parte potesse raggiungere, senza mai aprire del tutto la tunica, per assaporarsi senza fretta l’oggetto dei suoi più profondi desideri.

Oggetto, si. Perché Legolas in quell’istante non era che questo. Una fantasia troppo a lungo coltivata, fattasi realtà, realtà palpabile e invitante.

Il bambino Estel sentì di diventare, in quell’istante, uomo, uomo come non lo era mai stato, uomo arrogante che non si accontenta di semplici sguardi, uomo guerriero che vuole conquistare e possedere la sua preda, e Legolas, per troppo tempo l’aveva fatto attendere, per troppo tempo gli aveva negato quella risposta di cui aveva bisogno.

Aragorn, con quel bacio, aveva appena segnato la propria condanna ma al tempo stesso aveva finalmente scoperto la sua verità.

D’un tratto il giovane elfo afferrò l’uomo per le spalle e l’allontanò lentamente da sé. Aragorn continuò a guardarlo, trafelato, smarrito, privo di difese e proprio per questo splendidamente vero e selvaggio.

“Perché?” riuscì solamente a sussurrare “Perché dopo così tanti anni?”

L’elfo gli scostò dolcemente una ciocca di capelli dalla fronte.

“Ho dovuto attendere, sai…?” rispose “Allora i giorni non erano ancora maturi…”

“Perché?”ripeté l’uomo quasi con disperazione.

Legolas lo carezzò ancora… sensualmente.

“Perché ora e soltanto ora è tempo che tu viva ciò che hai sempre desiderato di essere!”