.|. Tourniquet .|.

5. Tourniquet

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...Sono troppo perduto

Per essere salvato?

Sono troppo perduto?…

Quella notte l’aria era calda, quasi ferma, non tirava una foglia. Il cielo sudava sparute gocce di pioggia su una terra sanguigna e tralasciata. Forse perché è vero che la Terra sente tutto quello che accade su di lei, dentro di lei…

Quei baci, tutti quelli, che sono belli e forti come il primo, ma che dovrebbero essere sempre l’ultimo.. il fremito della pelle, così forte da scuotere corpo e cuore, quell’ansito continuo, fondo, quella voglia irrefrenabile…

-Ilu sinome…. Ve nuun… (Non qui, più giù…)

Aragorn portò le labbra verso l’ombelico dell’Elfo. Piano piano lo spogliava, slacciando un bottone alla volta, come assaporando quella loro ultima e giurata notte.

-Ve… ve… nuun… (Più.. più….giù…)

Lo faceva apposta. Voleva riempirsi l’anima degli ansiti dolcissimi dell’Elfo. Voleva farlo perché sarebbe stata la loro ultima volta, se l’erano giurati.. la loro ultima alba, la loro ultima possibilità di..

-Ooooh….

Legolas gemette con forza, trascinando su di sé Aragorn per le spalle. Lo baciò avidamente, catturandolo addosso a sé e stringendolo, strisciandogli le mani sui fianchi per far scivolare via la camicia.

Si ritrovarono di nuovo sullo stesso letto della sera prima, il sangue caldo, le mani impazienti di avere dall’altro quell’amore quasi atroce.. non in senso offensivo, ma in senso di forza.

Legolas lanciò un gemito convulso e l’uomo si vide costretto a tappargli la bocca con una mano, mentre lentamente lo stringeva a sé. L’Elfo portò le mani sulle sue spalle, premendolo verso il basso e scotendo la testa per liberarsi dalla presa. Le sue dita scivolarono sulla schiena dell’uomo, che si abbandonò a lui, incastrandogli la testa nell’incavo del collo. Legolas lo premette contro di sé e si morse il labbro inferiore per non gridare. Allora il ramingo si alzò, inginocchiato a cavalcioni su di lui e lo prese, alzandogli la schiena per aver presa sui suoi fianchi.

Legolas chiuse gli occhi, la testa all’indietro e le labbra semiaperte, gesto che permise all’uomo di allungare il collo verso di lui e baciarlo, lambendo le sue labbra, il mento, giù lungo il collo teso, mentre lo avvicinava a sé premendogli il bacino con delicata decisione.

Lo fece distendere di nuovo, portando le mani sul suo petto, fino al ventre che si alzava ed abbassava convulsamente.

-Lo stai facendo di nuovo…

lo rimproverò l’Elfo, alzando la schiena e puntellandosi sui gomiti. Aragorn sembrò svegliarsi da un attimo di ipnosi.

-Cosa?

-Lo stai facendo di nuovo…

ripeté l’Elfo scivolando da sotto di lui. Lo prese per le spalle e lo voltò, facendogli poggiare la schiena sul proprio petto.

-Ti sei fermato a guardarmi.

Aragorn sorrise con uno sbuffo e prese le braccia di Legolas, inducendolo a mettergliele intorno alle spalle. L’Elfo gli baciò il collo, arrivando fino all’incavo sotto l’orecchio. L’uomo piegò il capo dal lato opposto per fargli spazio e Legolas andò avanti fino alla punta dell’orecchio, poi tornò giù, accompagnando le labbra con le proprie mani.

-Non posso non guardarti. Ti sembrerà sciocco, ma mi piace mentre tu…

le parole gli morirono in gola e gettò la testa all’indietro, sulla spalla dell’Elfo. Il piacere del sentire le mani calde dell’amante su di sé l’aveva letteralmente sopraffatto.

-Che hai, grande uomo..?

lo prese in giro l’Elfo. Per tutta risposta il Ramingo girò un braccio all’indietro, afferrando la schiena dell’Elfo ed aggrappandosi a lui, ancora gemendo. Legolas ritrasse le mani e le fece scorrere lungo il petto dell’uomo, soffermandosi sulle sue spalle per premergliele all’indietro.

-Ah..

mugolò quello, confuso, l’Elfo continuò ad accarezzarlo, stavolta sulla schiena, massaggiandogli piano la parte bassa del collo.

-Sei teso…

-Lo sono sempre, quando ci sei tu e sei… senza vestiti.

Borbottò come scusa a bassa voce. Si vergognava a dirglielo, ma era estremamente vero. Voleva sempre essere, voleva sempre dare e ricevere con forza, voleva essere.. all’altezza.

-Lo sono anche io.

Quelle quattro parole vennero come una benedizione. E’ sempre fantastico sentire e capire che qualcun altro è come noi. Ci rende forti e sicuri. Perché ,anche se per merito di una sola persona, non ci sentiamo nel torto. Legolas prese Aragorn stretto a sé e scivolò di lato a lui.

-Anche io sono teso.. certe volte.

Gli prese il mento con due dita, per far sì che lo guardasse. Ma Aragorn prese l’iniziativa e bloccò il polso dell’Elfo, lo tirò a sé sbilanciandolo e facendo in modo di afferrare al volo le sue labbra, con quel desiderio addosso che nessuno avrebbe mai potuto togliergli. Così, con quel bacio sulla bocca, l’uomo si distese trascinando Legolas con sé.

-Mhhh.. mi rammarico di aver giurato che questa sarebbe stata l’ultima volta…

aggiunse. L’Elfo gli chiuse la bocca con un altro bacio, un “non pensarci adesso” diretto e piacevole. Furono momenti lunghi come i loro respiri, fondi, esagitati, convulsi. Più volte Aragorn spinse Legolas sul baratto dell’incoscienza dovuta al piacere e lui stesso godette infinitamente del corpo dell’amante.

L’Elfo attese l’alba a guardare Aragorn, addormentato ed aggrappato a lui come ad un saldo appiglio. Sentiva perfettamente il suo corpo caldo addosso, ogni singolo lineamento dell’uomo lo conosceva a memoria eppure non si stancava, non era ancora pago di stare a guardare quel viso disteso, gli occhi chiusi, le labbra semiaperte, la mano dalla pelle abbronzata abbandonata sul suo petto. Una gamba di Aragorn intrappolava la destra di Legolas mentre il suo fianco stava sopra al braccio con la cui mano l’Elfo gli carezzava timorosamente la schiena. Se qualcuno gli avesse dato la possibilità di esprimere un desiderio, quello sarebbe stato di spegnere il sole appena sorto per poter prolungare il sonno dell’uomo e godere di quel momento per l’eternità. Purtroppo, però, era perfettamente a conoscenza di quello strano, morboso pericolo che stava loro alle calcagna. Ripensandoci, magari quella volta che aveva visto qualcuno fuori dalla porta stava solo sognando, febbricitante tra le calde braccia dell’uomo: però ora era mattina, lui avrebbe dovuto essere nel dormitorio comune e non a stringere Aragorn, steso tra le lenzuola del suo medesimo letto. Si accoccolò sui cuscini stropicciati e si lasciò andare in un profondo torpore. Sarebbe andata come sarebbe dovuta andare. A qualunque costo.

Sentì una lacrima passeggiargli lungo la guancia, fredda come appena sgorgata da una sorgente, come se gli fosse piovuta in viso. Ma sulle sue labbra risultò una lacrima vera, salata e triste. Strinse un poco Aragorn a sé. Non voleva lasciarlo andare. Girò la testa di lato ed appoggiò la fronte contro quella dell’uomo: se si fosse svegliato, lo avrebbe guardato negli occhi.

E così fu.

Il ramingo mosse un poco le palpebre, come se fosse appena riemerso dalle scure e sinuose onde del sonno ed aprì prima un occhio, poi l’altro, sorridendo alla visione dello sguardo di Legolas.

-Uu-le vaare an-In o koiva? (Hai atteso che mi svegliassi?)

-I uu vaare  o … (Ho atteso per…)

Aragorn portò una mano al viso dell’Elfo e lo accarezzò sulla guancia, con le nocche dell’indice e del medio.

-I uu vaare o man. (Ho atteso per questo.)

e così dicendo avvicinò le labbra a quelle dell’uomo, baciandolo piano, dolcemente, quasi con più rispetto che passione.

-Questo cosa?

Legolas abbassò lo sguardo.

-LLon telwa miguil… (Il nostro ultimo bacio..)

Aragorn gli prese il viso con le mani e ne scrutò a fondo lo sguardo, sperando di vedere che quello era tutto uno scherzo, una sciocchezza. Trovò solo una vera tristezza, in un mare azzurro.

Legolas si girò e fece per alzarsi, ma l’uomo lo trattenne e lo tirò indietro, facendolo sbilanciare, di nuovo con la schiena stesa sulle lenzuola. Lo dovette bloccare a forza, perché quello opponeva una disperata resistenza. Si aggrappò a lui e lo trasse a sé ancora, incrociandogli le braccia sul petto per non farlo scivolare via. Poggiò il mento sulla sua spalla e continuò a stringerlo.

-Kara-n-In wanya! Aragorn..!

gridò l’Elfo quasi spaventato, il cuore lentamente gli si frantumava nel petto e ne sentiva le schegge di vetro. Aragorn non aveva nessuna intenzione di mollare la presa, anzi, alzò la schiena trascinando l’elfo con sé, mettendolo a sedere. Quello allungò le braccia all’indietro, per cercare di spingerlo via, senza risultato alcuno.

-Ho cambiato idea… non andartene, non puoi! Ci ho ripensato e non voglio perderti.

Gli mormorò l’uomo all’orecchio, ma Legolas scosse vigorosamente il capo.

-Le uume hanya? (Non capisci?)

e così dicendo cercò di strattonarsi via dalla presa calda dell’uomo, tendendo le braccia all’indietro ed inarcando la schiena.

-E’ filo spinato quello che avvolgi intorno alle mie mani, con queste parole… con questo abbraccio… Lasciami andare!

Aragorn lo lasciò andare di scatto, ma Legolas non si mosse da sedere. Rimase così, fermo. Il Ramingo gli si avvicinò nuovamente, lasciando che le sue mani scivolassero lungo le braccia dell’Elfo, fino ai polsi.

-Lasciami svolgere questo filo spinato… non andartene…

Il principe rabbrividì nel sentire le labbra di Aragorn sul suo collo, ma poggiò una mano sul suo capo e lo lasciò fare.

-Aara na rat-o-wanwa… (L’alba è quasi finita…)

Aragorn lo fece voltare verso di sé e lo catturò in quell’ultimo bacio che sarebbe dovuto arrivare da tanto. E fu proprio l’ultimo, questa volta, un bacio che era più confuso degli altri, più forte. Un turbinare continuo nel quale si ha bisogno di stringersi a qualcuno per non venire trascinati via. Si dice che in un bacio si possa trovare qualsiasi emozione possibile. Dall’odio per chi ha stabilito una fine alla gioia di un inizio, all’impazienza di averne ancora; dall’ansia di sapere “che sarà finita” al vuoto che lascia quel “e dopo?”. Dopo? Cosa ci sarebbe stato dopo? Cosa ci sarebbe stato dopo quel giuramento? Sarebbe stato un vuoto incolmabile e spaventoso, o una via, una fiaccola ci sarebbe stata? Qualcuno si sarebbe ricordato di accendere una lanternina lontana per loro?

Immaginati di chiudere una porta e di lasciarci un pezzo di cuore, dietro. Immagina di chiuderla a chiave e di donare i lucchetto alla persona verso la quale sarai fedele  per il resto dei tuoi giorni.

-Era questo.. il nostro ultimo bacio…

Aragorn gli carezzò il viso e rimase a guardarlo ancora, il lenzuolo sul suo corpo sembrava una veste chiara e spiegazzata. Ripetiti più volte di non andare mai più ad armeggiare con la serratura cercando di riaprirla.

-Ma l’alba spunterà sempre, ed io lascerò che il mio cuore ti baci ancora..

Conforta il tuo cuore dicendo che continuerà a battere anche senza quella fetta che gli manca.

L’uomo lo strinse a sé, abbracciandolo. Si alzarono ambedue iniziando a rivestirsi.

-Come faremo.. d’ora in poi?

E trascorri la tua esistenza così. Col segreto di quella porta.

Legolas scosse il capo.

-Non lo so.

Com’era bello. Bello anche quando era triste, magari di più. Perché quando l’Elfo abbassava lo sguardo, le sue labbra lo seguivano all’ingiù, in una morbida curva sensuale. Il viso chino da un lato, quasi gravoso su di una sola spalla, aveva un’aria così dolce, lontana, di chi col pensiero era riuscito a tornare… a casa. Ma non sarebbero bastate le salde mura di roccia chiara dei reami nascosti di Thranduil a farlo sentire protetto. Oramai aveva capito che la protezione non poteva essere data dalla solidità senza sentimento della pietra. La protezione era data dal provare qualcosa di forte e piacevole. La protezione si trovava nell’amore. E allora chi l’avrebbe protetto, da quel giorno in avanti?

-Legolas… io…

Aragorn gli si avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. L’altro non si mosse, sembrava una meravigliosa statua di marmo chiaro.

-Come farò, in futuro.. sapendo che tutto ciò che ho mai avuto di bello nella mia vita sta a qualche settimana di cavallo al galoppo da me… e che io non posso raggiungerlo?

Mormorò l’Elfo sconsolato ed uscì dalla stanza.

Non lo seguire. Non buttarti a capofitto dietro di lui. Non faresti altro che fargli del male. Quello che hai sognato l’altra notte.. potresti farglielo tu, se gli corri dietro e lo fermi. Lascialo andare. Ormai è perso, lasciato e riperduto. Ma questa volta non è colpa tua.

Ah, sì?

Già. Questa volta puoi benissimo incavolarti come un ossesso e dare la colpa al mondo. Questa volta puoi. Chi non ha mai sognato di andare in mezzo alla steppa a gridare al cielo “Bastardo! Bastardo! E’ solo colpa tua!” ? Tu ne hai la possibilità.

E perché.. proprio il mondo?

Perché questa volta è stato il mondo quello incapace di capire. Questa volta quelle regole dell’etica morale che sono state impartite da chissachì quando non aveva nulla da fare vi si sono ritorte contro. Ed è colpa del mondo che gira solo da un lato e non riesce a concepire che se si sforzasse riuscirebbe a girare anche dall’altro. Ci sono cose, su questa terra, che preferiscono guardare la luna invece che il sole. Ce ne sono altre che preferiscono il sole e la luce. Altre che odiano ambedue. E come sono dette quelle cose? Reiette, storte, macabre, morbose e torbide. Non si riesce ad accettare una tale diversità, non ancora. Magari quando il tempo sarà cresciuto ancora ed avrà abbandonato questa giovinezza stolta nella quale sembra ora voler stagnare, allora potrà capire che le persone cieche sono quelle che vedono meglio. Potrà rendersi conto che tutto ciò che è amore è giusto e non ha distinzioni. Ma se questo tempo ancora non arriverà, allora tu avrai il permesso di gridare al mondo la sua colpa. E lui sarà obbligato a riconoscerla.

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E’ quando il mondo si muove che cominci a farci il callo. E’ quando il mondo ti costringe a capire che la tua via non è quella che ,per il momento, non può essere accettata che inizi a dirti di rassegnarti. E chiudi la porta. E’ quando vedi l’orrore che può dare la sofferenza, quando sei ad un passo dal toccare la morte che capisci quando diavolo sarebbe stato bello vivere in quel sogno di qualche tempo prima. Ma è proprio quando ti accorgi che quello è stato solo un sogno, che capisci di non poterlo vivere eternamente. Puntualmente, qualcosa arriverà a svegliarti e tu ci soffrirai. Puntualmente qualcuno verrà a dirti di smetterla. Puntualmente ti rassegnerai.

Dritto e militare come un orologio.

…Et earello, endorenna uthulien

Sinome marovan, a hildyniar

Tenn’ambar-metta…

Fuori dal grande mare,sono arrivato in questa Terra di mezzo. Qui dimorerò e la mia stirpe dopo di me, fino alla fine dei giorni. I giorni del Re. Ed ora a Gondor era tutto così bello, Minas Tirith non aveva mai brillato così tanto sotto il sole del mattino. Aragorn venne incoronato ed investito letteralmente da una pioggia di petali d’argento e Niphrodel. E quello fu l’ultimo giorno che vide Legolas. Avanzava a capo del corteo inviato da Bosco atro, negli occhi quello sguardo dolcissimo e fiero. Aveva imparato a nascondere la tristezza. E dopo averlo salutato, un’ultima, straziante volta, era scomparso correndo tra la folla, facendosi largo a spintoni, sgusciando per le vie di pietra. Alcune guardie giurarono di aver visto passare Finwe a cavallo, senza sella né redini. Finwe, che poi risultò essere Legolas. Aragorn l’aveva rincorso, alla fine della cerimonia, aveva urlato il suo nome e come risposta aveva visto l’Elfo voltarsi, ma oramai era già un puntino lontano, un petalo scappato col vento, in sella al suo cavallo nero.

Ma si era voltato, prima di andarsene definitivamente,l’aveva udito, l’aveva riconosciuto.. e ciò diede all’uomo il coraggio di andare avanti ancora a lungo. Perché quando si viene a sapere d’esser stati dimenticati, anche noi ci dimentichiamo di noi stessi, tutti gli altri finiscono col dimenticarsi di noi… e veniamo davvero lasciati indietro.

Un brillante mattino dei giorni del Re, sulla piana del Pelennor apparve una figura slanciata, a cavallo, l’armatura rilucente ai raggi del sole. Subito le guardie andarono ad informare il Re dicendo che un Elfo, dal crine biondo e l’andatura fiera stava salendo a cavallo fino alla cittadella dell’ultimo piano di Minas Tirith. Il cuore di Aragorn iniziò a saltargli in petto, pazzo di speranza. Poteva essere lui… poteva essere tornato… Ma mentre era circondato da quel suo desiderio intangibile, sentì qualcosa strattonargli la veste dal basso. Chinò il capo ed i suoi occhi gelidi incontrarono quelli sgranati di un bambino. Suo figlio, Eldarion. Lo guardava sgranando i grandi occhi azzurri ed aveva una ciocca di capelli spettinati all’insù.

Sette anni. Erano passati sette anni da quando Legolas si era voltato ed aveva udito il suo grido. Sette anni fa, Aragorn aveva chiuso la sua porta personale e aveva donato il lucchetto ad Arwen. L’Elfo varcò la soglia marmorea del palazzo e si tolse l’elmo dorato. Aragorn strinse Eldarion che ora gli stava seduto sulle ginocchia, per impedirsi di piangere. Non era Legolas.

-I na in handaresse e Legolas o Wenyalassea, haryon e Sindarinwa Wenyatavassea. (Sono un messaggero di Legolas Verdefoglia, principe degli elfi di Boscoverde)

si presentò e s’inchinò al re. Eldarion era rimasto colpito dalla sua armatura e stava sporgendo il capo in avanti, rischiando di cadere dalle ginocchia del padre.

-I voite in tengwale… ten in Haran e Gondor. (Ho una lettera per il Re di Gondor)

e così dicendo tirò fuori da sotto il lungo mantello scuro una lettera avvolta in una seta verde chiara, sottile e quasi assente al tatto. Aragorn la prese con mano tremante e ringraziò il messaggero, chiedendogli di restare, ma quello declinò cortesemente l’invito, scusandosi poiché il “bosco chiamava”.Eldarion aveva iniziato a saltellare da seduto sopra le gambe di Aragorn, incitandolo ad aprire quello che per lui sembrava quasi un pacco regalo. Ci rimase un po’ male quando vide che il contenuto non era dolciastro o quantomeno commestibile e scese sul pavimento di marmo per poi eclissarsi nelle enormi stanze del palazzo. L’uomo aprì l’involucro di carta pergamena e sul grembo gli scivolò una chiave sottile, un luccichio d’argento lavorato e screziato.

…Immagina di chiuderla a chiave e di donare i lucchetto alla persona verso la quale sarai fedele  per il resto dei tuoi giorni…

Il tremore alle mani si fece sempre più intenso. Apri la lettera.

Caro Aragorn,

avevo giurato di dare la chiave della mia anima alla persona alla quale sarei stato fedele per tutta la vita.. come vedi ho fatto la mia scelta. In tutti questi anni di vita mi sono ritrovato ad amare veramente una sola persona. Svisceratamente, disperatamente, con tutto me stesso io ho scoperto cosa davvero volesse dire quel brivido così piacevole, quel peso sul cuore quando la solitudine si fa rumorosa… una sola volta. Ed ora, Aragorn, la mia solitudine mi sta attanagliando. E’ tutto così buio.. gli alberi non ondeggiano più al vento, l’acqua del lago rimane indifferente al sorgere del sole, l’aria stessa sembra non avere voglia di volare via. La luna si beffa di me, il sole m’infastidisce ed ogni sacrosanta notte.. il mio letto sembra così duro e vuoto… Ho cavalcato tanto fino al margine del Bosco, per vedere di scorgere la sagoma della tua città bianca, ma la nebbia della mia sofferenza sempre mi vela lo sguardo, sempre m’impedisce di scorgere il tuo viso… La nostra alba..non ho dimenticato il calore delle tue mani, la forza del tuo corpo, ho ancora voglia dei tuoi baci, ma purtroppo devo sempre nascondermi, farmi del male perché devo far capire a me stesso che no, non posso raggiungerti e che tu dovrai sempre rimanere lontano, lontano ancora… La disperazione è notte, la tua assenza ha spento le stelle nel mio cielo eppure non sono scoraggiato, perché so che…

Eldarion corse incontro a suo padre tenendo tra le manine un grosso librone coperto di pelle e con giochi d’oro sulla copertina.

-Papà.. che cos’è questo?

E lo alzò sopra la testa. Aragorn lo prese ed issò il figlioletto su un bracciolo del trono d’ebano. Aprì il libro. Era un vecchio tomo elfico, pieno di figure e tengwar che Eldarion non faceva altro che additare chiedendo “Cos’è? Che vuol dire? Chi è?”. Ed Aragorn, paziente, raccontava. Ad un tratto, a circa metà del libro, l’attenzione del figlioletto s’incagliò su un’immagine di un Elfo, regalmente abbigliato e seduto su di un trono di pietra.

-E questo? Chi è questo qui?

-Lui è Thranduil, grande signore degli Elfi. Vive a Bosco Atro…

-Quello dove sei stato tu?

Il re sorrise e voltò la pagina.

-E questi chi sono?

Domandò ancora il bambino indicando col dito quattro Elfi raffigurati insieme. Ad Aragorn la voce andò via dalla gola.

-Questi… sono i figli di Thranduil.

Disse, poi con un dito, carezzò leggermente la guancia di uno di essi, raffigurato in un angolo della pagina.

-Vedi, Eldarion.. lui è Legolas. A detta di molti, il più bello dei discendenti di Finwe il Dorato.

-Più bello anche di me?

L’uomo rise e prese in braccio il bambino, scarmigliandogli i capelli con la mano. Poi, d’un tratto, si alzò dal suo trono e condusse il figlio con sé, fuori, sotto un cielo azzurro come mai prima d’allora. Arrivarono insieme alla punta della lancia di Minas Tirith, proprio alla fine della Torre Bianca.

-Vedi, Eldarion..

-No, papà.. c’è il muro e non ci arrivo!

L’uomo prese il bambino in braccio ed indicò un punto lontano avanti a loro. All’orizzonte si distingueva a fatica un’ombra scura, come un segno di matita cancellato male.

- Guarda.. laggiù c’è Bosco Atro. E.. se aguzzi bene bene la vista,proprio dove c’è il mio dito… puoi vedere Legolas cavalcare.

Il bambino cercò di sporgersi un poco, aggrottò le sopracciglia per la concentrazione e poi sbottò.

-Io non lo vedo…. Tu lo vedi, papà?

Aragorn guardò ancora l’orizzonte, poi volse uno sguardo affettuoso al piccoletto.

-Sì, lo vedo.

…perché so che… Ovunque nel mondo sarai, ed ovunque nel mondo sarò, se uno di noi penserà all’altro…

…sorgerà il sole.