Capitolo Undici
~
"Non so cosa pensare, Glorfindel...
veramente. Io..."
Aragorn prese un po' della radice e la sbriciolò fra le dita, poi, di
colpo, lasciò cadere tutto sul tavolo e si pulì con rabbia le mani sui
pantaloni.
Glorfindel guardò il volto stanchissimo dell'uomo e provò una gran pena.
Non c'era più nulla dell'espressione felice e vitale che sempre, anche
nei momenti più tristi, lo illuminava quando Legolas era con lui. Ora si
trovava di fronte a qualcuno che era morto dentro e su cui il destino
sembrava volersi accanire.
"Estel... mi dispiace... e per un attimo ho perfino pensato che fosse
Erestor ad entrare nell'armeria. La cosa migliore è che tu le parli e-"
Si fermò di colpo. Qualcosa, un'ombra, gli aveva per un attimo oscurato
la vista e aveva sentito un freddo intenso per tutto il corpo. Poi, vide
distintamente il volto di Erestor, pallido e immobile, e il suo corpo
senza vita sdraiato su una pira funebre.
Non si accorse quasi del grido che gli uscì dalla gola.
"Erestor..." Sussurrò il suo nome e alzò gli occhi verso l'uomo, e
Aragorn sentì per un attimo il cuore fermarsi.
"Oh no. Andiamo Fin. CORRI."
***
"Non sai per quanto ho aspettato questo momento, Erestor; per tutta la
vita, credo..."
Erestor si alzò lentamente e rimase immobile a fissarla.
"Che cosa vuoi fare, Arwen, uccidermi?"
"Ma che acume il nostro Primo Consigliere..." Un sorriso sarcastico le
distorse i lineamenti e, per un momento, Erestor vide chiaramente la
luce malsana della follia in quello sguardo carico d'odio.
"Lo sai cosa accade a chi uccide qualcuno
della propria razza..."
Cercò di mantenere il tono calmo e
controllato nonostante la paura che gli faceva battere il cuore.
Arwen lo fissò con aria incuriosita, come
se avesse detto la cosa più insensata del mondo.
"E tu credi a tutte queste leggende, Erestor? Ti facevo più
disincantato".
Rimasero in piedi, l'uno di fronte all'altro, avvolti in un silenzio
immobile. Non c'era bisogno di parole, l'odio che li aveva tenuti
distanti per secoli era ora presente e fisico fra di loro.
"Allora forse ho commesso un grave errore a non ucciderti tanto tempo
fa, quando ne ho avuto l'occasione."
"Già, avresti dovuto farlo Erestor, ma la tua pietà ti corrotto la
ragione. Che sciocco che sei stato, credevi che mi sarei dimenticata di
te e di tutto quello che hai mi fatto?"
"Io non ti ho fatto nulla, Arwen. Ti ho solo impedito di fare del male
alla tua famiglia-"
"TU HAI ALLONTANATO DA ME I MIEI FRATELLI, HAI FATTO NASCERE IL SOSPETTO
IN MIO PADRE!"
Si fermò di scatto, come se il suono troppo alto della propria voce
l'avesse colta di sorpresa.
"Hai cercato di uccidere tua madre, Arwen.
Hai PAGATO perché qualcuno mandasse il suo manipolo di Orchi ad
ucciderla per liberarti di lei! Ed eri ancora quasi una bambina." Vide
Arwen impallidire e, a sua volta, sentì un dolore antico riaffiorare in
superficie.
"Come... come lo sai?"
Erestor la fissò, il peso di quel passato che aveva sperato chiuso per
sempre stava ritornando, più violento e feroce che mai, a riaprire
vecchie ferite e infliggerne di nuove.
"Non lo sapevo, ma l'avevo sempre sospettato, dal momento in cui ho
visto come lei ti ha guardato mentre la nave per Valinor la portava via
per sempre dalla sua famiglia. E l'ho visto sul tuo viso, nell'aria di
trionfo controllata a stento che ti illuminava gli occhi. Hai ingannato
tutti, ma non me".
"Mia madre era una buonannulla, viveva persa nel suo mondo di sogni e
poesie; mio padre aveva bisogno di una donna forte, qualcuno in grado di
stargli vicino e solo io-"
Per la prima volta da quando era entrata in quella stanza Arwen si rese
conto che stava perdendo il controllo della situazione. Ancora una
volta, Erestor stava rovinando il suo piano, piano su cui aveva
sistematicamente lavorato per tutta la vita: ottenere sempre quello che
voleva. Non ci era riuscita con suo padre, che era partito per Valinor
con il sospetto che quella figlia che aveva venerato non era quello che
credeva. Ma non avrebbe fallito con Aragorn e il regno. Erano suoi, e
avrebbe fatto di tutto per non perderli.
"Solo io, cosa? Solo tu saresti stata in grado di farlo felice? Sei
malata, Arwen, la gelosia e il risentimento che hai dentro ti stanno
annientando la ragione."
Arwen lo studiò a lungo prima di
rispondere; c'era stato un tempo in cui lo aveva desiderato, aveva
cercato di sedurlo, nella speranza che, portandolo nel suo letto,
avrebbe smesso di controllarla come un cane da guardia. Ma lui l'aveva
respinta, disgustato.
"Lascia perdere, Erestor, non capiresti. Il tuo senso del dovere, la tua
patetica fedeltà verso i tuoi principi ti rendono cieco. Il Potere,
Erestor, è questo che muove tutto. Non sono nata per stare in secondo
piano, a nutrirmi degli avanzi altrui. Voglio Aragorn, l'ho voluto dal
primo momento in cui l'ho visto, era mio prima che quel maledetto Sinda
si mettesse di mezzo-"
"Ma tu non lo ami, Arwen!"
"L'amore è per gli sciocchi e i deboli. Si può volere una cosa anche
senza amarla, ma per il gusto di possederla e-"
"Allora è così..."
Arwen si girò in direzione della voce, e lo vide, fermo sulla porta, con
lo sguardo stupito. Vide Glorfindel muoversi alle spalle dell'uomo e
portarsi vicino ad Erestor, senza toglierle gli occhi di dosso. Lo sentì
bisbigliare qualcosa sottovoce ma non riuscì a capire cosa.
Stava perdendo ancora.
E li odiò tutti, profondamente.
"Ho sentito, sai Arwen, non tutto, ma solo le ultime parole e mi sono
bastate. Perché mi stai facendo questo?"
Arwen rise, buttando la testa indietro; aveva una risata sgradevole,
forzata e, ancora una volta, Aragorn si trovò a fare un confronto con la
risata limpida i Legolas.
"Ti prego, Estel, sei patetico... Non dirmi che piangi ancora sulla tua
puttanella di Mirkwood... probabilmente sarà già morto, oppure salpato
per Valinor dove si consumerà nel ricordo, insieme a mia madre e a tutti
i perdenti come loro che non hanno avuto il coraggio di affrontare la
loro esistenza."
"LUI NON HA AVUTO SCELTA, ARWEN; lo ha fatto per me, per non
costringermi a scegliere fra di voi, e per permettermi di dare un erede
a Gondor".
Fece per scagliarsi su di lei, quando una mano forte si posò sulla sua
spalla, stringendola; l'uomo si voltò e vide Faramir.
"Non farlo, Aragorn, non ne vale la pena".
L'uomo riprese il controllo e cercò di controllare la rabbia, poi si
ricordò dell'involucro che ancora stringeva fra le mani e lo gettò con
forza addosso alla donna.
"Ma non ci sarà mai un erede, vero, Arwen?" La vide impallidire e capì
che aveva paura. E si sentì bene per questo.
"Che tu sia maledetto, Estel!", si girò come una furia, fissandoli uno
ad uno, indicandoli col pugnale, come se avesse voluto aprire le loro
gole "e che siate maledetti voi tutti! Guardatevi! Branco di patetici
esseri viventi! Mi fate solo ridere, Voi, con la pretesa del vostro
amore immortale, e tu, Estel, sciocco romantico, hai il Potere nelle tue
mani, un Regno, la benedizione dei Valar e sei pronto a buttare tutto al
vento per uno stupido sentimentalismo, e voi... Uomini! La più debole
delle razze... dimmi Faramir, ti è piaciuto farti scopare da un
Uruk-hai? Oh! Dimenticavo. Nessuno mai te lo ha detto, vero? Te lo hanno
tenuto nascosto per proteggerti; e così, mentre tu ti tormentavi per
cercare di capire cosa ti facesse svegliare di notte urlando, loro hanno
continuato a riempirti la mente di storie fantasiose. Ma non sei colpito
da tanto amore??"
"ORA BASTA ARWEN!"
La donna si girò di scatto verso Glorfindel, puntandogli il coltello
addosso.
"Non osare rivolgerti così a me... Dove stai andando, Estel?!"
L'uomo la guardò e improvvisamente fu come se si trovasse di fronte a
qualcuno che non conosceva.
"Vado a prenderlo".
"NON PUOI!! Io mi sono unita a te: se fai così mi ucciderai!"
Aragorn si fermò di colpo.
"Lo so. E, sai una cosa, Arwen? Spero che tu soffra."
"MALEDETTO!!"
Ma le sue parole si spensero sulla soglia vuota. Si accorse solo in quel
momento della spada di Glorfindel puntata dritta verso la sua testa e si
rese conto che non avrebbe avuto la minima esitazione ad affondargliela
nella gola.
Per un momento eterno nessuno parlò. Erestor osservò i loro volti:
dall'incredula confusione che leggeva nello sguardo di Faramir alla
paura che vedeva chiaramente in quello di Éomer, dalla disperazione da
animale braccato di Arwen alla stanchezza degli occhi Glorfindel. Il
loro mondo si stava chiudendo nello spazio di quella stanza. E,
dolorosamente, realizzò che le loro vite non sarebbero mai state più le
stesse.
Vide Glorfindel abbassare la spada e guardarlo, sorridergli come per
rassicurarlo. E vide Arwen scagliarsi sul suo compagno come una furia,
col pugnale puntato contro il suo cuore.
Riuscì appena in tempo a spingerlo di lato con tutte le sue forze. Sentì
il telo che lo copriva scivolare lungo i fianchi, accarezzare la pelle e
raccogliersi ai suoi piedi e sorrise perché quel fruscio leggero gli
riportava alla mente tutte le volte in cui Glorfindel lo aveva
spogliato. Sentì il pugnale che gli colpiva la spalla di striscio. Solo
un bruciore leggero e nulla più.
Guardò stupito la pelle tingersi di rosso e
si accorse appena del trambusto intorno a lui.
Sentiva in lontananza le urla di Arwen mescolarsi con le grida di Éomer,
poi un rumore di passi, molti passi, gente che correva e che gridava.
Poi, la voce di Glorfindel emergere piano su tutte le altre, fino a
diventare l'unica voce che riusciva a sentire. E si aggrappò ad essa per
non perdere la ragione.
"RES!!! Rispondimi Res!!!
"Fin..."
"Res... mi hai fatto prendere una paura... Guarda, è solo una ferita
superficiale, ti ha appena sfiorato, è solo-"
"Fin..." Erestor cercò di controllare la voce. Appoggiò la mano sul
volto di Glorfindel guardando il suo bellissimo compagno. Capì che
sapeva, era un guerriero. Come avrebbe potuto essere diversamente? Come
non poteva avere riconosciuto che quello era il SUO pugnale, un pugnale
di Morgoth?
"No... Res, ti prego..." Glorfindel sentiva gli occhi bruciare, e la
prima lacrima scese senza che riuscisse a trattenerla, cadendo sulle
labbra di Erestor.
"Shhhh... non piangere Fin-"
Non piangere, ti supplico, non adesso... non posso consolarti.
"È stata colpa mia, se non mi fossi voltato.."
"No, no... non dirlo...ti prego, non dirlo MAI. Adesso portami via di
qui."
Sentì Glorfindel sollevarlo da terra nella stanza ormai silenziosa. Si
chiese cosa avessero fatto di Arwen ma poco importava.
L'unica cosa che importava era il poco tempo che gli era rimasto.
***
Rimase fermo a guardalo, senza il coraggio di dire una parola. Era, in
piedi, immobile, in punta allo strapiombo: sarebbe bastato un solo
movimento, un leggero sporgersi della testa in avanti e Faramir sarebbe
caduto nel vuoto, precipitando nelle acque dell'Anduin.
Per questo non si era mosso, non lo aveva chiamato: per paura di
spaventarlo e di fargli perdere l'equilibrio. Così era rimasto immobile
per un'eternità, sperando in un piccolo passo indietro e temendone uno
piccolo in avanti. Éomer sentiva il sudore freddo lungo la schiena, la
tensione indurirgli i muscoli fino a fargli male. Era pronto a lanciarsi
verso di lui e tentare di afferrarlo se solo avesse avuto l'impressione
che quel passo in avanti stava per compiersi. Ma Faramir non si era
mosso. Aveva continuato a fissare le acque di sotto, con i pugni
serrati, le nocche bianche e i capelli che gli frustavano il viso sotto
le folate del vento invernale.
"E così è questo che mi avete nascosto per tutto questo tempo."
Le parole improvvise lo fecero sussultare.
"Faramir... vieni via di lì, ti prego." Non aveva nessun diritto di
chiederlo ma avrebbe fatto tutto quello che poteva per evitare che
un'altra tragedia segnasse le loro vite.
"Dove l'hanno portata?"
Aveva deliberatamente cambiato discorso, ma Éomer sperò che almeno, in
questo modo, di poter prendere tempo.
"L'hanno rinchiusa in una stanza, nella torre alta. È guardata a vista
da cinque guardie e c'è solo una piccola finestra. Ma non credo che
tenterà di scappare. Ha perso quasi del tutto la ragione, continua a
gridare il suo odio per Aragorn, Legolas, sua madre e perfino i Valar.
Un messaggero è partito subito per Caras Galadhon, cercheranno di
parlare con Lord Celeborn, nella speranza che possa aiutarci."
"E... Erestor?"
Éomer aveva temuto quella domanda e forse non era nemmeno pronto a
rispondere, sembrava tutto così assurdo... ma non poteva mentire. Lo
aveva già fatto per troppo tempo, negando a Faramir la verità su quello
che gli era accaduto; e ne stavano pagando entrambi il prezzo.
"Non... non c'è nulla da fare, Faramir, era un pugnale di Morgoth... il
veleno è già in circolo... non c’è niente che si possa fare..."
Si fermò perché gli faceva male anche solo dirle, quelle parole. Non
aveva mai avuto un rapporto profondo con il Primo Consigliere, più che
altro perché gli metteva soggezione; però lo aveva sempre profondamente
rispettato e capiva la venerazione che molti avevano nei suoi confronti.
Ammirava la sua predisposizione a risolvere sempre le cose cercando la
strada più semplice; come tutti, era rimasto affascinato dalla
tranquilla autorità che emanava e dalla naturalezza con cui riusciva a
farsi obbedire. E, come tutti, era rimasto incantato dalla sua bellezza
esotica, da quegli occhi tempestosi e dalle labbra colore del sangue.
Per lui Erestor era la figurazione dei Valar, come se li era sempre
immaginati.
"Quanto tempo?" La voce di Faramir lo strappò dai suoi pensieri.
"Non si sa, forse un mese, forse un anno... Erestor è forte e il suo
legame con Glorfindel sicuramente lo può aiutare ma... Ma se Erestor
muore, a Glorfindel si spezzerà il cuore e-”
Non riuscì a continuare. Alzò gli occhi e vide che Faramir aveva fatto
un passo indietro e ora non guardava più il fiume, ma il cielo bianco,
carico di neve. Si avvicinò lentamente, poi, senza pensarci, lo
abbracciò da dietro, facendogli passare le braccia intorno alla vita, e
gli appoggiò la testa sulla spalla.
"Se ti butti, Faramir, io vengo con te."
Sentì il corpo dell'altro sussultare
leggermente poi, una debole risata che lo colse di sorpresa.
"Pensavi che mi sarei buttato?" Si voltò verso di lui, senza
divincolarsi dalle sue braccia, e lo guardò dritto negli occhi. Éomer
ricambiò il suo sguardo, stupito e sollevato allo stesso tempo.
"S... sì..."
Faramir sorrise e appoggiò la fronte sulla sua.
"Ci ho pensato, per un attimo. Ma un attimo solo. C'è già stato troppo
dolore, e temo che ce ne sarà tanto ancora. Ammetto anche di aver
pensato di andarmene per sempre, lontano da te, da tutti voi. Ma poi ho
riflettuto, sai? Nonostante tutto quello che è accaduto, con te ho
passato il periodo più bello della mia vita. Tu mi ami, Éomer, lo sento
ogni istante che siamo insieme, e questo mi dà la forza di continuare. E
io non posso rinunciare a te. Il passato non si può cambiare. Il sapere
la verità non rende le cose meno dolorose o più semplici ma almeno ho un
motivo più che valido per cercare di dimenticare una volta per tutte, e
il motivo sei tu."
Sorrise di fronte agli occhi sgranati
dell'altro e lo baciò leggermente sulle labbra.
"Quindi..., quindi mi perdoni?"
"Sì Éomer, ti perdono." Sentì il giovane compagno rilassarsi fra le sue
braccia e lo strinse forte.
"L'ho fatto per proteggerti. Avevo paura che, ricordando, il tuo dolore
sarebbe stato ancora peggiore e io non avrei saputo cosa fare. Sono
stato egoista e-"
"No, no non dirlo. Non sei stato egoista. Credo che al tuo posto avrei
fatto esattamente la stessa cosa. Non è egoismo cercare di proteggere il
proprio amore."
Sorrise fra sé. Gli piaceva il significato di quella frase.
"Erestor ci vuole parlare."
Rimasero ancora per qualche momento abbracciati. Poi, in silenzio,
tornarono al castello.
***
"Devi salpare per Valinor. DEVI farlo, Erestor!"
Erestor si girò verso Glorfindel e si accorse che aveva paura. La
disperazione nei suoi occhi era la cosa più difficile da accettare, più
dell’idea stessa della propria morte.
Stranamente, lui, invece, non aveva paura. Il suo terrore più grande era
sempre stato quello di sopravvivere a Fin e di morire di dolore,
piangendolo per anni e anni con la consapevolezza di non rivederlo. Mai
più.
Il suo più grande sogno, invece, era stato quello di salpare un giorno
insieme per Valinor... Ma i Valar avevano deciso diversamente, e lui si
sentiva stranamente calmo e rassegnato nell'accettare quella decisione.
In fondo, aveva avuto molto più di quello che si era aspettato.
Si avvicinò lentamente al suo compagno, gli prese il volto fra le mani e
si rese conto di quanto sembrasse vulnerabile in quel momento.
"Fin, amore mio, lo sai che non servirebbe a nulla. Un volta entrato in
circolo, non c'è nulla che si possa fare contro il veleno. Salpare per
Valinor non mi salverà la vita."
Vide Glorfindel crollare all'improvviso, come se tutte le forze e anche
la più flebile delle speranze lo avessero abbandonato di colpo, e riuscì
a stringerlo fra le braccia appena in tempo, prima che si lasciasse
cadere a terra. Lo tenne stretto ascoltando il suo pianto silenzioso,
senza smettere di cullarlo, fino a che rimase immobile fra le sue
braccia. Si staccò da lui e lo guardò dritto negli occhi bagnati,
prendendogli le mani.
"Ora voglio che mi ascolti attentamente Fin." Si fermò e aspettò che
l'altro facesse un cenno di assenso col capo "potrebbero volerci mesi,
addirittura anni prima che io muoia."
Glorfindel voltò il capo: non voleva sentire quella parola, si
rifiutava.
Delicatamente, ma con decisione, Erestor lo
girò ancora verso di sé.
"Fin, ti prego, è già difficile..." si fermò, non riusciva a continuare,
non di fronte a quegli occhi che lo guardavano, quasi come se lo
stessero accusando. Si alzò con rabbia e si diresse verso la balconata;
guardò il cielo e scivolò sulle ginocchia, appoggiando la testa sugli
avambracci.
“Non è giusto....”
Glorfindel lo guardò stupito. Erestor non poteva morire.
La morte era un concetto troppo definitivo
per loro, soprattutto per lui che l'aveva sconfitta già una volta. Lo
osservò piegarsi su sé stesso, con i capelli che ricadevano davanti,
ricoprendolo come un manto di seta nera, e stringersi le braccia intorno
alla vita, come per sostenersi. Strisciò verso di lui e lo avvolse con
il proprio corpo.
"Sposami, Res."
Erestor rimase in silenzio; per quanto tempo aveva sognato quelle
parole...
"Come?"
"Sposami Res, ora, subito."
"Perché adesso?"
"Perché ti amo e ho bisogno... disperatamente bisogno di sapere che tu
sei mio e di nessun altro... ho bisogno di un segno tangibile che
testimoni per sempre quello che è il nostro amore." Aveva la gola chiusa
in un nodo che faceva male mentre diceva queste parole.
"Io sono sempre stato tuo, lo sarò sempre."
"Lo so. Volevo chiedertelo questa primavera, avevo già organizzato
tutto, sai? Ti avrei portato a Rivendell e ti avrei chiesto di sposarmi
nello stesso posto in cui ti ho baciato la prima volta."
"Il giardino..."
"Sì, il giardino di Celebrian..."
Erestor alzò gli occhi e incontrò quelli di Fin, lesse tutte le parole
che non gli aveva mai detto, in quegli occhi, e vide chiaramente davanti
a sé l'immagine di loro due, in quel giardino... Sorrise.
"Sì."
"Grazie, Res."
"Solo una cosa...", lo allontanò per un attimo, serio e determinato,
come solo lui sapeva essere "nessuno, Glorfindel, nessuno deve sapere,
non almeno fino a che non mi sentirò pronto per dirlo."
"Ma, Res... come puoi tenerlo nascosto? Faramir ed Éomer erano lì, ed
Arwen..."
"Arwen non mi preoccupa, dubito che si ricordi quello che è successo; in
quanto ad Éomer e Faramir, li ho fatti chiamare, chiederò loro di
rispettare la mia volontà e di non dire nulla a nessuno."
Glorfindel rabbrividì: sembrava quasi che Erestor avesse programmato
ogni cosa in ogni piccolo dettaglio splendido. Lo strinse a sé,
aggrappandosi al suo calore, alla forza di acciaio che scaturiva da quel
corpo sottile.
"Ma cominceranno ad accorgersene-"
"No, non lo vedranno. Nessuno lo vedrà, perché io e te faremo
esattamente come era nei tuoi piani: mi porterai a Rivendell e mi
bacerai nel giardino di Celebrian, e lì mi sposerai. E lì passeremo
tutti i giorni che ci rimangono e li renderemo indimenticabili, uno dopo
l'altro."
Glorfindel non rispose. Gli prese il volto fra le mani e lo baciò,
lasciando che la sua bocca, il suo corpo, i suoi sospiri e la sua pelle
parlassero per lui.
***
Legolas scese dal letto. Si sentiva meno stanco; la sua mente era più
lucida, anche se il freddo non lo abbandonava mai.
Aveva passato quei sei giorni sempre con suo padre, e gli aveva
raccontato tutto: dell'amore infinito e senza speranza che aveva legato
lui ed Estel, di Arwen e del suo ricatto, di quella notte terribile in
cui aveva toccato il fondo del proprio degrado, della sua decisione di
andarsene. Parlare con Thranduil era stata la sua salvezza, il legame
che esisteva fra di loro lo stava aiutando a non morire. Legolas non
sapeva se sarebbe mai guarito. Se, un giorno, sarebbe riuscito a
guardare al passato con uno sguardo dolce, seppure amaro e malinconico,
ma non voleva arrendersi. Arrendersi, morire, voleva dire che Arwen
aveva vinto e lui perso.
Nelle lunghe serate passate davanti al camino, mentre gli raccontava
della sua vita a Minas Tirith, aveva visto il volto di suo padre
rianimarsi e suoi occhi tornare vivi e attenti e, più di una volta, lo
aveva colto mentre cercava di nascondere un sorriso indulgente quando
gli parlava dei momenti dolci e sereni che aveva trascorso con Estel.
Aveva voluto sapere di Erestor e di Glorfindel, e avevano riso insieme
sulle vicende incredibili che spesso li vedevano protagonisti: dalle
animate discussioni su chi aveva il diritto o meno di prendere le
decisioni alle imbarazzanti dichiarazioni d'amore che, spesso, Fin
proclamava davanti a tutti facendo sprofondare di vergogna il povero
Erestor.
Ogni tanto vedeva suo padre fissare le fiamme e allora capiva che, in
quel momento, anche lui stava pensando al suo passato, ad un amore
lontano e perduto, di tanto tempo prima, prima che lui nascesse, prima
che conoscesse sua madre. Un amore di cui aveva sentito fare cenno solo
una volta durante una conversazione fra Thranduil ed Erestor, che lui
aveva sentito per sbaglio, non visto. Non aveva mai avuto il coraggio di
chiedere chi fosse quell'amore perduto, ma gli occhi di suo padre mentre
Erestor gli diceva che un giorno lo avrebbe sicuramente rivisto, quelli
non se li era mai dimenticati. Erano vivi, sognanti, eccitati, commossi,
pieni di speranza. Erano gli occhi di chi ama con tutto il cuore.
Li aveva visti, quegli stessi occhi, molte volte, molto tempo dopo,
nella propria immagine riflessa nello specchio.
Si mosse piano nella stanza, guardando ancora gli oggetti del suo
passato. Si avvicinò all'angolo dove erano appoggiati l'arco e la
faretra e fece scorrere la punta delle dita sulla cocca piumata di una
freccia.
Era stata l'unica cosa che aveva portato via con sé nella sua fuga da
Gondor, l'unica cosa che fosse veramente sua.
***
Thranduil rimase sorpreso nel vederlo entrare vestito con la divisa da
arciere.
"Legolas... dove l'hai trovata?"
Legolas sorrise di fronte allo stupore del padre.
"Nel mio armadio, Ada, insieme a tutto il resto... ci sono ancora i
vestiti di quando ero alto così" disse, indicando con la mano l'altezza
di un bambino.
Risero entrambi e il suono riecheggiò nella grande stanza deserta.
"Esci a caccia?"
"Sì, voglio vedere se so ancora usare il mio arco. Vieni con me?"
"No, vai pure. Magari ti raggiungo più tardi." Lo vide girarsi per
andarsene e sentì una strana sensazione. "Legolas, aspetta..." Lo
abbracciò e lo baciò sulla fronte.
"Fai una buona caccia."
Legolas gli sorrise, con gli occhi pieni di limpida fiducia.
"Anatra per cena?"
"E anatra sia!"
Thranduil rimase alla finestra guardandolo mentre si allontanava nelle
neve e ringraziò i Valar per avergli dato quella possibilità. Sapeva che
lo stava per perdere ancora. Ma, questa volta, non lo avrebbe
ostacolato: era ora che ognuno seguisse il proprio destino.
Sentì dei passi alle spalle e la voce del suo Capitano richiamò la sua
attenzione.
"Mio Signore, c'è uno straniero... un Uomo, chiede di vedervi."
Thranduil fece un cenno con la testa. "Sì, fallo entrare e chiedi ad uno
scudiero di occuparsi del suo cavallo."
Il Capitano lo guardò con apprensione. Aveva capito chi era l'uomo
ancora prima che si fosse presentato e, per un attimo, era stato colto
dalla tentazione di dire che non c'era più nessuno. Perché, se l'avesse
fatto entrare, quell'uomo avrebbe portato via il Principe Legolas e,
questa volta, era sicuro, Thranduil ne sarebbe morto. Ma poi, si era
reso conto che una simile decisione non spettava a lui e, riluttante,
era andato ad annunciarlo al suo Signore, pronto ad eseguire ogni suo
ordine. Sopratutto se si trattava di cacciare l'uomo per sempre da
quelle terre.
Ma Thranduil lo aveva spiazzato. Aveva reagito con calma rassegnazione,
come se lo stesse aspettando.
"Ma... mio Signore, non potete... lui lo porterà via e..."
"Lo so, Thoren."
"E non intendete fare nulla?!"
"Ma sto già facendo qualcosa, credimi."
L'altro lo guardò come se fosse impazzito e il Re vide la domanda
inespressa dipinta sul suo volto.
"Sto aiutando mio figlio ad essere felice. Ora, ti prego, fallo
entrare."
Il Capitano abbassò il capo e si diresse verso l'uscita.
L'ultima volta che aveva visto Estel era poco più di un ragazzino. Era
stata l'ultima volta che era stato a Rivendell.
"Mio Signore..."
Thranduil alzò lo sguardo e stentò a riconoscere nell'uomo stanco e
invecchiato che gli stava di fronte lo stesso giovane vigoroso e
impaziente che aveva conosciuto ai tempi. Guardò gli abiti sporchi, la
barba incolta e gli occhi arrossati per il freddo e cerchiati di scuro.
Non era stata una vita facile, nemmeno la sua.
"Ti stavo aspettando, Estel." Non c'era ombra di rabbia o risentimento
nel tono della sua voce; l'uomo lo guardò stupito e Thranduil sorrise
stancamente. "Cosa credevi, che ti avrei aizzato contro i miei cani?"
"A dire il vero... sì, mio Signore..."
"Come vedi non l'ho fatto. Hai fatto un lungo viaggio, Estel."
L'uomo annuì e non riuscì a non guardarsi intorno, alla ricerca di
qualcosa che gli dicesse che Legolas era vivo ed era lì.
Thranduil vide l'angoscia in quello sguardo impaziente e provò pena per
lui.
"Lui sta bene, Estel, è fuori, a caccia."
Il sospiro di sollievo che uscì dalla bocca dell'uomo si congelò in una
nuvoletta di vapore ed Aragorn si sentì sull'orlo delle lacrime.
Rimasero per un attimo in silenzio, uno di fronte all'altro. Per la
prima volta l'uomo si rese conto di come fossero simili Legolas e suo
padre, se non per il colore degli occhi. Avevano la stessa pelle colore
del latte, i capelli biondi come le spighe dei campi di grano in estate,
la bocca sottile e decisa, con due fossette ai lati. Gli occhi di
Thranduil però erano verdi ed erano gli occhi più belli che avesse mai
visto.
"Se lui vorrà venire via con te, questa volta non cercherò di fermarlo.
Ma se lo fai soffrire, Estel, giuro che ti verrò a cercare e-"
"NO! No... basta sofferenza! Basta dolore, mio Signore. Ho sciolto il
mio legame con Arwen e sono pronto a rinunciare a tutto, tutto quello
che ho per stare con lui. Ci sono state tante menzogne... io non so più
cosa sia vero e cosa no... ho creduto a lungo che il destino del mio
popolo dipendesse da un erede, figlio mio e di Arwen, predestinato per
volontà dei Valar a governare Gondor dopo la mia morte... è per questo
che sono rimasto con lei, che ho cercato di assolvere come meglio potevo
il mio compito, mentre ogni istante che passavo lontano da lui mi
sentivo morire. Mi dovete credere, mio Signore, tutto quello che ho
fatto l'ho fatto per il mio popolo, in nome di una profezia che comunque
non potrà mai avverarsi perché lei..."
Senza accorgersi, mentre parlava, Aragorn si era avvicinato alla
finestra dove stava Thranduil. Si fermò di colpo, rendendosi conto che
stava violando uno spazio in cui non aveva il diritto di essere; ma
l'elfo sembrava non essersene accorto e lo fissava come per cercare di
leggere al di là delle sue parole. Poi, inaspettata, una mano fredda gli
accarezzò una guancia e lo sguardo di Thranduil si fece improvvisamente
dolce.
"Ti credo, Estel, ma non è a me che devi delle spiegazioni.", si voltò
verso la finestra e indicò con la mano un punto in direzione del bosco.
"Vai da lui, ora."
Aragorn rimase in silenzio. Si era preparato ad uno scontro violento, si
era preparato perfino alla notizia che Legolas era morto. Ma le parole
di Thranduil, la serenità dei suoi occhi mentre le diceva lo avevano
sconvolto. Eppure, allo stesso tempo, lo avevano liberato da un peso
enorme che gli aveva schiacciato il cuore per troppo a lungo.
Si inginocchiò e prese la mano di Thranduil fra le sue,. La strinse,
baciandola, e la portò alla guancia, senza curarsi delle proprie lacrime
che la bagnavano.
"Grazie, mio Signore." Le dita di Thranduil gli sfiorarono una tempia e
quando l'uomo alzò gli occhi su di lui vide che stava sorridendo.
Thranduil rimase a lungo immobile alla finestra, avvolto nel silenzio
della grande sala. Per la prima volta, dopo moltissimo tempo, non
sentiva più quel dolore insistente al cuore che gli toglieva il respiro.
Aveva sentito la completa e totale sincerità nelle parole di Aragorn e
questo gli era bastato. Sapeva che un giorno l'uomo sarebbe morto ma
aveva anche capito che, fino a quel giorno, avrebbe amato Legolas più
della sua stessa vita.
Ora gli rimaneva un'ultima cosa da fare.
***
Legolas lo vide in lontananza, una figura scura che camminava a fatica
nella neve. Per un attimo aveva temuto un'allucinazione, ma, più la
figura si avvicinava, più sentiva il cuore riprendere a battere con
vigore, il sangue scorrere con forza nelle vene, la sua pelle
riscaldarsi.
Lasciò cadere arco e frecce e arrancò verso di lui, mormorando il suo
nome ancora e ancora come per paura che, non chiamandolo, la figura si
sarebbe dissolta. Fu solo quando si trovò a pochi passi da lui che
rimase in silenzio. Allungò un braccio e gli toccò il viso e un
pezzettino di tempo si perse per sempre perché non si ricordò come
successe ma, all'improvviso, era stretto fra le braccia di Estel e
sentiva le sue labbra contro il viso che ripetevano all'infinito "Ti
amo, Legolas".
Fu solo molto tempo dopo, quando entrambi avevano smesso di tremare e di
baciare ogni parte che le loro labbra riuscivano a raggiungere che
Legolas, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata sulla spalla
dell'uomo, ebbe il coraggio di chiederlo.
"Perché sei venuto, Estel?"
"È tutto finito, Legolas. Il mio legame con Arwen è sciolto per sempre,.
Rinuncio a Gondor, se mi verrà chiesto, ma rimarrò con te fino alla fine
dei miei giorni e, se lo vorrai ancora, dichiarerò il mio amore per te
davanti al mondo perché tu sei l'unica cosa che conta per me."
Legolas sentiva le parole dell'uomo riscaldarlo e accendere la speranza,
ma non poteva essere così semplice, non lo era mai stato. Si staccò da
lui e gli appoggiò una mano sulla guancia.
"Mi chiedi se ancora lo voglio... non ho mai voluto altro che il tuo
amore, Estel, e non mi importa se lo griderai a tutti o se lo
sussurrerai solo a me, ciò che importa è che io non ti debba mai più
dividere con nessuno. Ma sai bene che se resti con me non potrai avere
l’erede che tutti si aspettano..."
Estel appoggiò la mano su quella dell'elfo e gli sorrise.
"Ma non ci sarà mai comunque un erede, o forse c'è stato e io non l'ho
mai saputo. Arwen ha sistematicamente fatto uso di un'erba abortiva in
tutti questi anni. Se c'è mai stato un erede, lei lo ha ucciso ancora
prima che venisse al mondo."
Il significato terribile di quelle parole lo colpì improvviso come un
pugno... facendolo barcollare. Sentì le braccia di Legolas stingerlo e
si aggrappò a lui.
Non saprò mai come sarebbe stato mio figlio...
"I Valar ci malediranno, ci siamo opposti al loro volere."
Aragorn rimase in silenzio per un lungo momento. Durante tutto il
viaggio fino a Mirkwood aveva pensato alle conseguenze che il gesto di
Arwen e la sua decisione di rompere l'unione con lei, chiudendo
definitivamente ogni possibilità di mettere al mondo un figlio,
avrebbero avuto su di loro e sulla vita del suo popolo.
Non era riuscito a darsi una risposta. In cuor suo si sentiva colpevole
di un crimine molto più grave che quello di avere rotto il legame con
un'assassina: avere condannato Legolas ad un'esistenza infelice
portandolo quasi a morire di dolore.
"Non lo so cosa faranno i Valar, Legolas, ma di qualunque tipo siano le
conseguenze, le affronteremo insieme."
Gli sollevò il mento e lo baciò sulle labbra, accarezzandole con la
punta della lingua. Sentì la bocca di Legolas aprirsi e si spinse dentro
di lui, stringendolo contro di sé fino quasi a fargli male.
Si rese conto che lo desiderava da impazzire e vide nei suoi occhi che
si erano fatti più scuri lo stesso desiderio.
"Vieni." Legolas lo prese per mano e si incamminarono verso il palazzo.
***
Aragorn sorrise guardando il cavallo a dondolo.
"E così questa è la tua stanza? E questo il tuo cavallo?"
"Certo! Come credi abbia imparato a cavalcare?"
Risero entrambi, senza smettere di guardarsi per un solo momento.
Legolas aveva trovato il camino acceso nella propria stanza, un vassoio
con formaggio, carne secca e frutta e una caraffa di vino. Con due
bicchieri. Aveva sorriso e ringraziato suo padre mentalmente, sicuro che
le sue parole lo avrebbero raggiunto. Nella stanza da bagno, un
servitore aveva riempito una tinozza con acqua calda e sapone e insieme
avevano scherzato sul fatto che Legolas non lo avrebbe fatto mai entrare
nel suo letto se prima non si fosse tolto di dosso l'odore di cavallo e
di sei giorni di viaggio, e, alla fine, l'uomo lo aveva trascinato nella
tinozza, con ancora i vestiti addosso.
Aragorn si sedette dietro di lui, di fronte
al camino, e cominciò a spazzolargli i capelli umidi cercando di
annullare, con quel gesto a loro così familiare, quei maledetti giorni
in cui erano stati lontani.
"Vorrei chiedere a mio padre di tornare con noi a Minas Tirith."
C'era una certa esitazione nella sua voce.
Aragorn scostò i cappelli da un lato e gli sfiorò il collo con un bacio,
facendolo rabbrividire.
"Tuo padre è più che benvenuto, Legolas, e sono sicuro che rivedere
Erestor gli farà solo bene. E poi Glorfindel... vale da solo un viaggio
a Gondor. E sono certo che si troverà benissimo con Éomer e Faramir,
parleranno di guerre, strategie, cavalli e armi fino a che non si
addormenteranno l'uno sulla spalla dell'altro."
Legolas scoppiò a ridere, un po' per il sollievo, un po' perché si era
immaginato suo padre, Éomer e Faramir che dormivano l'uno sulla spalla
dell'altro.
"Come stanno tutti?"
"Bene", Aragorn decise di rimandare ad un altro momento il racconto di
come erano andate le cose e si affrettò a cambiare discorso "e manchi
terribilmente a tutti: Erestor ha quasi cercato di farmi fuori perché ti
volevo venire a prendere."
"Erestor mi conosce più che bene, sono certo che, qualsiasi cosa abbia
fatto lo ha fatto per proteggermi."
L'uomo sorrise al modo con cui Legolas si era subito schierato in difesa
del suo tutore.
"Lo so, mi ha raccontato di voi, sai? Di come gli avete salvato la vita,
tu e tuo padre. Gli devo molto. Se non fosse stato per Res sarei
impazzito. Mi ha aiutato ad andare avanti, mi ha dato la speranza che
forse ce l'avresti fatta..."
“E... Arwen?”
“Non lo so cosa ne sarà di lei. Sono corso da te appena ho capito che
forse c’era ancora speranza per noi. Credo che la imprigioneranno, e
lasceranno giudicare a Celeborn e ai Valar il suo destino.”
Aragorn gli appoggiò il mento sulla spalla e rimasero per un po’ senza
parlare, guardando il fuoco; l’unico rumore, quello della legna che
crepitava nel camino.
Era passato molto tempo da quando avevano condiviso una pace simile; i
silenzi, fra di loro, alla fine, erano stati carichi di tensione e di
rabbia,. Quello, invece, era morbido e avvolgente, sereno e
rassicurante.
Tutto sembrava lontano, perfino le paure più concrete erano per il
momento chiuse al di fuori di quella stanza.
Legolas si sdraiò sui cuscini, con un braccio dietro la testa e l’altro
appoggiato sul ventre; poi sollevò una mano e l’allungò verso l’uomo.
“Vieni...”
Aragorn lo guardò: era bellissimo, con il corpo candido e morbido,
appena un po’ smagrito, su cui danzavano i riflessi delle fiamme
facendolo sembrare dorato. Era lì per lui e Aragorn avrebbe voluto
prenderlo subito, fare l’amore senza dargli il tempo di respirare, tanto
era il desiderio che aveva. Ma, allo stesso tempo, voleva che quel
momento durasse il più a lungo possibile, perché, una volta usciti da
quella stanza, tutto poteva essere terribilmente diverso e terribilmente
difficile.
Si inginocchiò di fronte all’elfo e fece scorrere le mani sulle cosce.
Lo vide chiudere gli occhi e rabbrividire e sorrise fra sé, consapevole
dell’effetto che quel gesto aveva su di lui.
Si sdraiò fra le sue gambe, coprendolo con il proprio corpo, e si rese
conto di quanto fosse eccitato, di quanto lo fossero entrambi; sentiva
la pelle del ventre bagnarsi sempre di più, là dove, con piccoli
movimenti lenti, premeva contro il sesso durissimo di Legolas. Si mosse
piano, spingendosi ancora con un gesto deciso del bacino, e lo sentì
rispondere, con gli stessi movimenti lenti, con gli stessi gemiti.
“Io ti amo, Legolas.”
“Melin chen, Estel.”
Gli sfiorò le labbra con un bacio
appena accennato, schiudendole con la punta della lingua; poi con un
dito seguì il profilo del volto, tracciando le linee di un dipinto
invisibile; le mani di Legolas si muovevano sulla sua schiena,
accarezzandolo, tirandolo verso si sé per non perdere quel contatto che
lo eccitava da impazzire.
“Toccami Estel, con la bocca...” Le parole uscirono come un sussurro ma
subito sentì la bocca umida scendere lungo il collo, baciare la vena che
pulsava velocissima, chiudersi su un capezzolo, sfiorandolo con la punta
della lingua e con le labbra. Inarcò la schiena verso di lui, stringendo
le mani nei suoi capelli.
“Ancora... non ti fermare...” gli sembrava di essere sul punto di
scoppiare; sentiva la carne pulsare là dove i denti dell’uomo si
chiudevano, stuzzicando la punta turgida dei capezzoli e i movimenti di
Aragorn contro di lui si erano fatti più forti, quasi violenti. Non
riusciva a fermarsi, non riusciva a smettere di gemere, non riusciva a
smettere di toccarlo, non riusciva a smettere di volere più forte il
sesso dell’uomo che si muoveva contro la sua carne.
Aragorn scivolò piano sul suo corpo accarezzando con le labbra la pelle
morbida del ventre; seguì con la lingua il contorno dell'ombelico,
toccando con la punta la carne sensibilissima al suo interno. Sentì
contro la fronte i muscoli dell’addome alzarsi e abbassarsi velocemente
al ritmo del suo respiro. Scese ancora e appoggiò la bocca sul pene,
succhiandolo piano, circondando con la lingua la pelle tesa e
sensibilissima, graffiandola appena con i denti.
“Estel... sto per...”
Lo sentì sussultare, spingere con forza il bacino verso la sua bocca,
poi, il liquido caldo e leggermente amaro divenne più consistente e
l’uomo capì che stava per venire.
Si fermò di colpo, strappando all’elfo un grido di protesta; si tirò a
sedere in ginocchio, con l’erezione dura come il marmo e bagnata che
sembrava sul punto di scoppiare. Guardò Legolas e dovette mordersi un
labbro per non venire subito: sarebbe bastato pochissimo, un soffio
sulla punta del pene, e Legolas avrebbe perso il controllo, senza essere
nemmeno sfiorato
Ma non era quello che voleva. Voleva venire dentro di lui, riempirlo con
il suo seme e sentire quello di Legolas bagnargli la pelle. Aspettò fino
a che non lo vide riprendere una parte di controllo.
"Girati."
Lo aiutò a spostarsi su un fianco e con la bocca percorse la schiena,
baciando la pelle salata. Divaricò dolcemente i glutei e cominciò a
prepararlo, bagnandolo con la punta della lingua.
Legolas alzò la testa di scatto, afferrò il cuscino senza riuscire a
trattenere un gemito più forte degli altri. Sentì la lingua dell'uomo
muoversi in circolo e temette di perdere la ragione in quella sensazione
sconvolgente che non aveva mai provato. Non riusciva a trattenersi, si
mosse contro di lui, supplicando in silenzio che non si fermasse, che
gli entrasse dentro così, scopandolo con la lingua. Nel momento in cui
la sentì spingersi più forte, penetrandolo, un brivido violento lo fece
tremare per tutto il corpo e il suo respiro divenne quasi impazzito.
Spostò con un gesto impaziente una ciocca di capelli che gli aderiva al
volto; si accorse che la sua pelle era bollente e coperta di sudore.
Sentì la lingua dell’uomo spingersi ancora dentro di lui e muoversi,
accarezzandolo, e una tensione intensa alla base dei testicoli gli fece
capire che stava per venire. Poi, la lingua si ritrasse e fu sostituita
dalle dita forti che si muovevano dentro e fuori, prima una, poi due,
dannatamente vicino a quel punto che lo faceva impazzire ma senza mai
toccarlo.
"Estel!"
Non riuscì a trattenere le lacrime di frustrazione, non voleva
supplicare ma non riusciva a fermarsi, aveva disperatamente bisogno di
sentirlo dentro di sé, di avere la conferma che quello che stava
accadendo era tutto reale.
Aragorn percepì questo bisogno in un modo quasi fisico e capì che non
poteva più giocare. I gemiti di Legolas erano un richiamo potente,
erotico e disperato allo stesso tempo, il suo corpo era pronto per lui.
Si inginocchiò, e lo afferrò per un braccio, tirandolo verso di sé.
L'elfo lo seguì, e si trovò cavalcioni su di lui. Appoggiò le mani sulle
spalle dell'uomo e lo guardò.
"Ora, Estel."
Lo sentì scivolare dentro di sé e strinse i denti, cercando di scacciare
il dolore, concentrandosi solo sulla sensazione bellissima e violenta
del suo sesso che lo riempiva poco a poco.
Aragorn rimase immobile, con un braccio stretto intorno alla sua vita,
accarezzandogli la schiena con la mano libera; sentiva i muscoli tesi
sotto la pelle e si rese conto che conosceva ogni singola sfumatura di
quel corpo che tanto amava. Rimase immobile fino a che non sentì Legolas
muoversi piano e allora spinse i fianchi verso l'alto, penetrandolo
completamente. Lo guardò gettare indietro la testa, sostenendosi con le
mani strette sulle sue spalle, e lo afferrò per i glutei, guidandolo nei
movimenti. Legolas lo strinse a sé, appoggiandogli la testa sul il
cuore. Si sentì travolgere da un’emozione intensa e sconvolgente, antica
e nuova allo stesso tempo, e, quando si ritrasse per guardarlo negli
occhi, vide che le sue labbra si stavano muovendo e riconobbe subito le
parole del Sacro Rito di Unione, parole che avevano già pronunciato una
notte terribile, tanto tempo prima. Sorridendo, prese la mano di Aragorn
e la portò al cuore e, insieme, recitarono ancora una volta la formula
sacra.
Raggiunsero l’orgasmo nello stesso istante; le loro anime si unirono
ancora una volta; ognuno sentì il proprio piacere fondersi con quello
dell’altro e il mondo intorno a loro perse consistenza.
Solo loro, Estel e Legolas.
***
Legolas capì che qualcosa di strano stava per accadere nel momento
stesso in cui entrarono nello studio di suo padre. I pochi servitori
rimasti erano indaffarati a raccogliere libri e oggetti che venivano
messi in pesanti casse di legno.
"Ada... cosa sta succedendo?" Si guardò intorno preoccupato senza
riuscire a trovare una spiegazione per tutto quel trambusto.
Thranduil osservò suo figlio e lo trovò cambiato: gli occhi erano
tornati limpidi, vivi e azzurri come il cielo; la pelle aveva un
piacevole colorito rosato e i capelli erano legati nell'acconciatura del
suo rango. Di fianco a lui, l'uomo sorrideva sereno, circondandogli la
vita in un gesto che Thranduil trovò al contempo protettivo e di
rassicurazione reciproca.
La felicità di Legolas era stata la cura migliore: quella mattina si era
svegliato con il sorriso sulle labbra, si sentiva più forte e, quando si
era guardato allo specchio, gli era sembrato di trovarsi di fronte ad
un’altra persona: quello che era stato lui un tempo.
"Legolas, Estel, venite..."
Senza aggiungere altro uscì dalla stanza dirigendosi in una piccola sala
dove il camino era acceso e riscaldava piacevolmente l'ambiente. Il Re
si sedette su una vecchia poltrona vicino al fuoco e invitò suo figlio e
l'uomo a sedersi di fronte a lui.
"Cosa succede, Ada?" Thranduil percepì chiaramente la preoccupazione
nella voce del figlio; ma rimandare era inutile.
"Mi sto preparando a partire."
Legolas sorrise, sollevato.
"Ma non hai bisogno di portarti tutta quella roba! A Minas Tirith c'è la
più grande biblioteca dell'Arda, e poi c'è Erestor che sa dove trovare
ogni libro."
"Legolas ha ragione, mio Signore! Oltretutto Lord Elrond ci ha donato
molti dei suoi libri prima di partire per Valinor." Si fermò, qualcosa
nello sguardo di Thranduil era cambiato nel momento in cui aveva
menzionato il nome di suo padre adottivo.
Thranduil sospirò e allungò le mani, prendendo quelle del figlio nelle
sue.
"Legolas, Estel, non potete immaginare quanto sia onorato del fatto che
mi vogliate a Gondor". Fece un profondo respiro per darsi coraggio: "Ma
non verrò con voi."
Legolas lo guardò senza capire e Thranduil sentì una fitta al cuore:
sapeva che sarebbe stato difficile, ma non immaginava quanto.
"Cosa vuoi dire? Perché non vieni con noi? Non puoi rimanere qui! E poi,
tutte quelle casse-"
"Parto per Valinor." Le parole uscirono da sole, pesanti come pietre;
eppure si sentì meglio non appena le ebbe dette e capì che aveva fatto
la scelta giusta. Legolas aveva aggrottato le sopracciglia e piegato la
testa di lato e quell'immagine gli ricordò quando era ancora piccolo;
gli strinse le mani e lo tirò verso di sé, facendolo inginocchiare di
fronte. Lo baciò sulla fronte e si preparò a parlare.
"Legolas, c'è una cosa che non ti ho mai detto. Per la verità non ne ho
mai parlato con nessuno, salvo con Erestor."
Legolas ed Aragorn lo guardavano in silenzio. Si fece coraggio e
continuò.
"Moltissimo tempo fa, molto prima ancora che conoscessi tua madre, mio
padre, Oropher, e il padre di Elrond, Ëarendil, erano grandi amici ed
alleati. Le visite fra Mirkwood e Rivendell erano cosa consueta e io ho
passato molti anni a Imladris. Lì conobbi Elrond. Era molto più grande
ma passavamo comunque tantissimo tempo insieme; lui diceva perché gli
piaceva stuzzicare un marmocchio come me, ma io sapevo che gli piaceva
la mia compagnia perché parlavamo di tutto, e perché ero diverso, più
libero e meno formale degli elfi di Imladris". Si fermò per un attimo,
sorridendo ad un ricordo improvviso, poi lo scacciò con un movimento
della testa e riprese il racconto."Un'estate tornai a Rivendell, con il
cuore pieno di una strana emozione, non capivo nemmeno io cos'era. Avevo
passato da poco la maggiore età e non mi ero mai innamorato."
Guardò il volto del figlio rischiararsi con un leggero sorriso e capì
che poteva continuare.
"Appena arrivai a Rivendell corsi a cercare Elrond, avevo tantissime
cose di cui parlargli, erano passati quasi quindici anni dall'ultima
visita e molte cose erano cambiate, io era cambiato...
E anche Elrond lo era. Era diventato
improvvisamente freddo e distaccato, era sempre chiuso nello studio e
faceva di tutto per evitarmi. Quel comportamento mi faceva soffrire
tremendamente, ma io ero figlio di Oropher e l'ostinazione è un dono di
famiglia". Risero tutti e tre per l'osservazione. In silenzio, Aragorn
si spostò sul pavimento, di fianco a Legolas, e gli cinse ancora la vita
con un braccio.
"Una sera mi feci coraggio, e mi infilai nel suo studio senza bussare.
Elrond era seduto da solo, davanti al camino, con i capelli sciolti e
un'espressione così triste che mi spezzò il cuore. Vidi che stava
accarezzando qualcosa e quando mi avvicinai, mi accorsi che era uno dei
miei fermagli a forma di farfalla, che avevo perduto durante l'ultima
visita. Arrivai davanti a lui e lo vidi guardarmi con un'espressione di
disperata rassegnazione. 'Non dovresti essere qua' mi disse. Non gli
risposi. Mi inginocchiai di fronte a lui, gli tolsi il fermaglio dalle
mani e gli diedi un bacio sulle labbra. 'E dove altro dovrei essere?' fu
tutto quello che riuscii a dire. Mi guardò come se mi vedesse realmente
per la prima volta e cominciò a parlare. Mi raccontò che presto si
sarebbe dovuto sposare con una donna che non amava, un matrimonio
combinato per saldare l'alleanza fra Imladris e Lorien. Mi raccontò
tutto, di quanto questa decisione lo aveva colto di sorpresa, di come si
rendeva conto che non poteva tirarsi indietro, del timore di non
riuscire ad essere all’altezza di quello che tutti si aspettavano da
lui. Mentre lo guardavo parlare, con gli occhi cupi fissi sul fuoco,
capii il senso di tutti i miei turbamenti, delle mie ansie e
dell'eccitazione che mi aveva spinto a convincere mio padre ad
anticipare il viaggio a Rivendell di un mese: ero disperatamente,
perdutamente innamorato di Elrond."
Si fermò, perso nei ricordi. Fu la voce di Legolas a scuoterlo: "Cosa
successe poi?"
Thranduil guardò suo figlio ma non c'era
ombra di biasimo nei suoi occhi, solo la consapevolezza di chi aveva
vissuto un dolore simile sulla propria pelle.
"Successe l'inevitabile. Diventammo amanti, nascondendolo a tutti. Fu un
periodo meraviglioso, Legolas. Scoprii cos'era l'amore ed Elrond tornò a
sorridere. Ci eravamo regalati quegli attimi prima del matrimonio e
dell'inevitabile distacco a cui ci avrebbe costretti. Ma cercavamo di
non pensarci. Rimasi a Rivendell per un anno e mentre tutti impazzivano
per i preparativi di quelle nozze maledette, Elrond ed io ci rifugiavamo
nei nostri posti segreti, lontano da tutto e da tutti.
Quando arrivò il giorno delle nozze, naturalmente mio padre ed io
eravamo fra gli ospiti d'onore. Osservai tutta la cerimonia in silenzio,
senza battere ciglio, anche se avrei tanto voluto gridare che era tutto
sbagliato, e quando arrivò il momento in cui Elrond doveva proclamare il
suo voto a Celebrian, lo vidi voltarsi verso di me e aveva una tristezza
negli occhi che mi sentii mancare. Ma lo amavo più della mia vita e
sapevo che dovevo fare di tutto per aiutarlo. Così gli sorrisi e gli
feci un cenno con il capo. Lui si voltò, e dopo pochi attimi, lui e
Celebrian erano sposati."
Si fermò, le ultime parole erano state quasi un sussurro e un nodo
doloroso gli serrava la gola. Aveva paura che se avesse continuato il
tremito della voce avrebbe tradito l'emozione intensa che nasceva con
quei ricordi. Un stretta delicata ma decisa sulla mano lo costrinse ad
alzare gli occhi su Legolas.
"Ada... mi dispiace così tanto. Se lo avessi saputo..."
"Non avresti potuto comunque fare nulla. Non era scritto nel nostro
destino e nessuno di noi ebbe mai il coraggio di sfidarlo, questo
maledetto destino."
"Non vi siete mai più visti da allora..."
"Oh no, ci vedemmo eccome. Riuscimmo a mantenere un'amicizia molto
solida che ci aiutò ad andare avanti, anche quando i rapporti
diplomatici fra i nostri regni divennero difficili. Alla morte di mio
padre mi ritrovai ancora giovane con un regno difficile e un bimbo in
fasce che aveva appena perso la madre." accarezzò la guancia di Legolas
e gli sorrise "le mie visite a Rivendell divennero sempre meno frequenti
anche perché sapevo di non essere ben visto da lady Celebrian."
Si voltò verso l'uomo e vide la stessa commozione che leggeva negli
occhi di suo figlio.
"L'ultima estate che venni a trovare tuo padre adottivo, Elrond mi disse
che non avremmo mai più dovuto vederci, che il nostro tempo era finito.
Non capii il senso di quelle parole ma provai un dolore immenso e,
quando lo guardai, vidi che lo stesso dolore era suo. Non ebbi la forza
di chiedere nulla, partii quella sera stessa e tornai a Mirkwood.
Riuscii ad andare avanti grazie e mio figlio."
Thranduil chiuse gli occhi:, quel racconto, ricordare tutto il suo
passato, lo aveva sfinito ma lo aveva anche liberato di un grosso peso.
"Ada..."
Aprì gli occhi e vide che Legolas lo guardava commosso e preoccupato.
"Sto bene, Legolas, è solo che... era tanto tempo..."
"È... è per questo che vuoi andare a Valinor? Per rivederlo?"
Thranduil annuì. "Sì, ho bisogno di sapere, Legolas, ho bisogno di
capire se è troppo tardi o se c'è ancora una speranza per me, per
noi..."
Vide una lacrima scendere lungo la guancia del figlio e l'asciugò con la
mano.
"Non piangere, figlio mio, tu hai una strada da seguire, ma mi hai
dimostrato di essere forte, e sono sicuro che insieme ce la farete. Ora
ho bisogno di seguire la mia, con la speranza che non sia già troppo
tardi."
"Mio Signore", la voce di Aragorn lo colse di sorpresa: si era quasi
dimenticato delle sua presenza, non aveva detto una parola per tutto il
tempo. "Io credo che mio padre non vi abbia mai dimenticato. Prima di
salpare per Valinor, mi disse che era sereno, e che stava andando in un
posto dove le farfalle volavano libere e che avrebbe aspettato, un
giorno, di rivedere la più bella. Sinceramente non capii a cosa si
riferiva, ma vidi che mentre parlava aveva sfiorato con le dita un
piccolo fermacapelli. Identico a quello che portate voi."
Thranduil sorrise e si sentì finalmente in pace.
"Grazie, Estel."
Guardò suo figlio, poi prese la sua mano e quella dell'uomo e le strinse
nelle sue.
"Ho sbagliato per molto tempo, ho creduto di proteggerti, perché non
volevo che tu soffrissi e mi sono reso conto che non ho fatto altro
alimentare il tuo dolore, invece che esserti d'aiuto. Chiedo il vostro
perdono, e pregherò i Valar perché non vi abbandonino mai."
Senza rispondere, Legolas si alzò e abbracciò suo padre: "Mi mancherai
tanto, Ada..." Cercò inutilmente di soffocare le lacrime e si accorse
che anche suo padre stava piangendo. Ma per nessuno di loro erano
lacrime di dolore.
"Su! È ora che vi mettiate in viaggio. A Gondor si chiederanno che fine
ha fatto il loro re-"
"No", la voce di Aragorn era calma ma decisa, "a Gondor possono
aspettare, vorrei avere l'onore di scortarvi fino ai Porti Grigi, mio
Signore."
Vide Legolas ringraziarlo in silenzio con un sorriso radioso e capì di
avere preso la decisione giusta.
Thranduil chinò il capo in segno di ringraziamento e strizzò un occhio.
"Permesso accordato, figliolo..."
***
Rivendell alla fine dell’estate era il posto più bello di tutta l’Arda.
Anche senza l’aura di Vilya aveva continuato a prosperare; i colori si
fondevano in una tavolozza vivace e brillante e il riflesso del sole
sulle acque del Bruinen illuminava tutto di una luce dorata.
Dalla loro camera che abbracciava tutta la valle, Glorfindel poteva
vedere i figli dei nuovi abitanti giocare nelle acque tranquille del
fiume. Sorrise a quell’immagine di serena armonia.
Erano passati otto mesi da quando avevano lasciato Minas Tirith ed erano
stati i mesi più belli e intensi della loro vita.
Avevano atteso il ritorno di Legolas e Aragorn da Mirkwood e avevano
festeggiato in modo memorabile.
Pochi giorni dopo il loro ritorno, una delegazione di elfi di Lorien era
venuta a prendere Arwen. Non avevano detto nulla, nemmeno quale destino
l’aspettava.
L’avevano vista uscire scortata dalla stanza in cui era rimasta
prigioniera con un’espressione distante sul volto, li aveva maledetti
ancora una volta prima di sparire per sempre dalla loro vista, in una
nera processione che aveva messo i brividi.
Legolas era impallidito di fronte alle sue
parole d’odio, ma non aveva abbassato lo sguardo, l’aveva fissata dritta
negli occhi fino a che non era stata lei a voltare il capo.
Un mese dopo, lui ed Erestor erano partiti per Rivendell. Era stato
Erestor a raccontare a Legolas ed Estel quello che era successo, ed era
sempre stato Erestor a consolarli quando si erano lasciati prendere
dalla disperazione per quella che sarebbe stata la sua sorte.
Perché, lui, il potente sterminatore di Balrog, non ce l’aveva fatta. Si
era rifugiato nelle baracche per tutto il tempo e aveva pianto come un
bambino tutte le lacrime che non aveva potuto versare nei giorni passati
e che non avrebbe potuto versare in quelli a venire.
Poi, la sera, quando Erestor era tornato da lui, pallido e sfinito, ma
deciso a non cedere, lo aveva accolto con il più bello dei suoi sorrisi
e aveva fatto l’amore con lui per tutta la notte, stringendolo e
dicendogli parole d’amore fino a che non si era addormentato fra le sue
braccia.
Tornare ad Imladris era stato bellissimo. I pochi elfi che ancora
l’abitavano avevano continuato a curarla e ad amarla e molti uomini
avevano cominciato ad abitare le case abbandonate rendendole ancora
vive, con una bizzarra ma piacevole mescolanza di stili e tradizioni.
C’era stato un momento in cui erano quasi riusciti a dimenticare tutto:
Erestor aveva perso un po’ del suo pallore e aveva lasciato che il sole
gli dorasse la pelle; aveva abbandonato molti dei formalismi che lo
avevano imbrigliato nel corso della sua esistenza e sembrava vivere
tutto con un nuovo spirito, come se volesse essere sicuro di catturare
l’essenza di ogni istante che passavano insieme. Sorrideva sempre e
Glorfindel si sentiva sciogliere ogni volta di fronte a quel sorriso.
Si erano sposati una sera di aprile nel giardino di Celebrian,
scambiandosi due anelli in Mithril, dono di Estel. Quella sera,
guardando gli occhi di Erestor brillare di gioia e commozione,
Glorfindel aveva pensato che non poteva essere vero, che lui non poteva
morire.
Poi, un giorno, Erestor lo aveva guardato e gli aveva detto
semplicemente ‘Credo che ci siamo, Fin’.
Tutta la luce lo aveva abbandonato di colpo.
‘Come lo sai?’ aveva chiesto lui cercando di nascondere il panico. ‘Lo
so e basta, lo sento’. E, per la prima volta da quando era successo
tutto, Glorfindel aveva visto la pura sul suo volto, quegli occhi
disperati che lo guardavano in cerca di una spiegazione che non aveva.
Lo aveva tenuto stretto; il suo corpo sottile che tremava fra le sue
braccia era stata la presa di coscienza che stava accadendo veramente.
Lui, Erestor, che era stato sempre il più forte, ora aveva paura.
‘Non è giusto, Fin, non è giusto’. Lo aveva ripetuto fra le lacrime fino
a che non aveva avuto più voce nemmeno per implorare i Valar di non
farlo morire.
No, non era giusto.
Poi Res si era ricomposto di colpo e lo aveva guardato con la sua solita
determinazione ‘Non devi cedere, Fin. Non lasciare che il dolore ti
uccida, fallo per me. Devi vivere per me’.
Aveva fatto cenno di sì con il capo, consapevole che era una promessa
che non poteva mantenere, la prima fra di loro: la sua morte era
iniziata già da tempo, dal momento in cui aveva visto quel pugnale
colpirgli la spalla.
“Ehi...”
La voce di Erestor lo richiamò al presente. Si girò cercando di
sorridere, ormai era diventato bravissimo in questo. Si avvicinò al
letto e guardò la figura sdraiata. Non era cambiato nulla, non dal di
fuori, la sua bellezza non era stata intaccata. Ma era dentro che era
cambiato: il suo cuore era troppo debole anche solo per riuscire ad
alzarsi e la febbre non lo abbandonava da giorni.
Erestor guardò fuori dalla finestra e vide la giornata luminosa. Prese
la mano di Glorfindel fra le sue e gli sorrise.
“È una bellissima giornata.”
“Già... ti va di uscire un po’?”
Erestor fece un cenno affermativo con il capo e sentì le braccia di
Glorfindel sollevarlo; riuscì a passargli un braccio intorno al collo e
ad appoggiare la testa sulla sua spalla.”
Non pesava nulla; Glorfindel lo strinse cercando di non fargli male.
Uscirono al sole e Glorfindel lo portò nel suo posto preferito, una
piccola radura davanti al fiume, protetta da alberi di pesco. Si sedette
a terra e fece sedere Erestor fra le sue gambe, lo tirò verso di sé, in
modo che potesse rimanere comodamente appoggiato contro di lui.
“Ho fatto uno sogno strano, questa notte.”
Glorfindel lo guardò incuriosito, era da molto tempo che Res non gli
parlava più dei suoi sogni.
“E c’ero io in questo sogno?”
“Veramente no... ho sognato Mandos...”
Fin cercò di scherzare ma sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Ah... devo essere geloso?”
Erestor sorrise.
“No, non cercava di sedurmi, sai tranquillo. Però mi sorrideva, mi
accarezzava il viso e mi diceva di non perdere la speranza.” Si fermò
per un momento, come per ricordare qualcosa “e, sai una cosa? La sua
mano era calda. Avevo sempre creduto che fosse gelida.”
Glorfindel strinse le braccia intorno al suo compagno e appoggiò una
guancia sulla sua testa.
“Non ce la faccio, Res, non riesco ad essere forte non-“ non riuscì a
soffocare e un singhiozzo e si odiò per la debolezza che stava
dimostrando.
“Shh, non piangere amore mio, ti prego...“
Glorfindel strinse i denti cercando di ricomporsi.
“Hai paura?”
Res rimase in silenzio, riflettendo sulla domanda.
“Ora non più. Ho passato giorni in cui credevo di impazzire, giorni in
cui ero così disperato che sono arrivato a pensare di farla finita
perché, ancora peggio della morte, è l’attesa. Ma poi mi bastava
vederti, sapere che, comunque, avevo avuto ancora un giorno con te e
allora un po’ della disperazione se ne andava.
Ma oggi non ho più paura. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sento
veramente sereno. È come se si fosse accesa una luce dentro di me, come
se, in qualche modo, sapessi che non è veramente finita.”
Fin sentì una fitta fortissima attraversagli il cuore, togliendogli il
respiro per un attimo.
“Ti amo così tanto, Res, ti prego... non mi lasciare...” Lo sentì
muoversi fra le sue braccia, cercando di girarsi per guardarlo. Poi,
Erestor gli prese il viso fra le mani e lo fissò. Tutto l’amore che
provava per lui, tutto quello che era stata la loro vita era ora
riflesso in quello sguardo e, insieme a tutto questo, ineluttabile, un
addio.
“NO!!” Glorfindel non riuscì a trattenere un grido e lo afferrò con
forza, incurante del gemito di dolore che uscì dalle sue labbra. “No,
non puoi, non ti lascio andare, tu non puoi lasciarmi.”
Con uno sforzo enorme, Erestor si divincolò
dalle sue braccia e rimase a guardarlo, ansimando: se avesse potuto, si
sarebbe preso su di sé anche il suo di dolore. Ma non c’era nulla che
poteva fare. Gli prese il volto fra le mani, lo baciò dolcemente e con
la disperazione nella voce lo implorò: “Ascoltami, Fin, tu DEVI
lasciarmi andare. Ogni giorno che passa, ogni attimo, è sempre peggio.
Guardami, non ho quasi più nemmeno la forza di parlare. Non voglio
morire ridotto come un vegetale... ti prego...”
Glorfindel lo guardò, il significato incredibile di quelle parole
cominciava a prendere forma nella sua mente. “Che cosa vorresti dire..
che tu, che tu puoi decidere quando....”
Erestor mosse piano il capo. “Nel sogno... stanotte. Ho capito che da
quel momento la scelta spetta a me.”
Mormorò le ultima parole senza riuscire a trattenere le lacrime. Si
strinse a Glorfindel pregando dentro di sé che capisse la sua scelta.
“Ti amerò sempre Erestor, sempre.” Vide il paesaggio diventare una
macchia di colore confusa attraverso le lacrime e avvolse Erestor nel
suo mantello, e lo strinse il più vicino che poteva.
“Ti amerò sempre, Glorfindel di Gondolin. Non ti dimenticare di me.”
Glorfindel deglutì cercando di togliere il tremito dalla sua voce. “Sei
tutta la mia vita, Erestor, come posso dimenticarti?” Gli appoggiò le
labbra sulla fronte e vide che stava sorridendo.
Posto mae, melethe,
gûren ninnatha nanarad as achên len.
Era sera quando finalmente la sentì
arrivare. La morte degli elfi che ti spezza il cuore. Si sentì fortunato
perché non aveva dovuto aspettare. In fondo, i Valar erano stati pietosi
con lui.
Guardò il volto immobile al suo fianco, con le labbra socchiuse, rese
vivide e brillanti dalla luce del tramonto.
Sembrava che dormisse. Si sdraiò di fianco a lui e lo abbracciò,
appoggiando le labbra sulla fronte finalmente fresca.
Mi dispiace, amore mio, ti ho mentito. Ma come potevi pensare che
sarei potuto vivere anche solo un giorno senza di te?
Sentì un’altra fitta, più forte, e una morsa gelida intorno a cuore.
Ti troverò, Erestor, ti ritroverò dovessi sfidare Mandos e i Valar
tutti.
Chiuse gli occhi e sentì le palpebre diventare pesanti.
Poi, finalmente, non vide più nulla.
Dieci anni dopo
“Che cosa stai leggendo?”
Legolas si sedette sullo schienale della panchina di marmo vicino alla
fontana cercando di leggere al di sopra della spalla di Aragorn.
“Ehi! Chi ti dice che non siano cose personali?”
Legolas lo guardò divertito, piegando la testa di lato.
“Me lo dice qualcuno a cui stanotte scalderò il letto, e non solo
quello. Oppure no?”
Aragorn scoppiò a ridere.
“Va bene, mi hai convinto. È una lettera di Faramir.”
“Ah! E che cosa dice?” Legolas scivolò sulla panchina di fianco all’uomo
e, agilmente, si infilò sotto il suo braccio, mettendosi comodo.
“Dice che sta bene, e che spera di venire a Gondor la prossima estate,
insieme ad Éomer, naturalmente.”
“Beh, questa è una gran notizia.”
Aragorn si sporse in avanti e baciò Legolas sulla punta del naso.
“Direi di sì.”
“Mae Govannen, Estel, Legolas”
L’uomo si staccò imbarazzato al suono della voce sconosciuta. Nonostante
la sua unione con Legolas fosse ormai stata ufficializzata con una
cerimonia pubblica e una festa che era durata sette giorni, provava
ancora un po’ di imbarazzo a lasciarsi andare di fronte a persone che
non conosceva.
“Chiedo scusa-“ Si staccò da Legolas e alzò il capo rimanendo a bocca
aperta di fronte al visitatore.
“Mio Signore!”
Si alzò velocemente e si inginocchiò di fronte a Lord Celeborn, imitato
da Legolas.
L’elfo di Lorien sorrise.
“Alzatevi, vi prego... lasciamo perdere i formalismi.”
Aragorn e Legolas si alzarono, ancora increduli di fronte a quell’apparizione
del tutto inaspettata. Una gomitata nelle costole ricordò al Re di
Gondor quali erano i suoi doveri.
“Ma cosa... Ah sì, vi chiedo perdono, Mio Signore, è che non vi
aspettavamo. Ma dovete essere stanco. Venite, vi faccio preparare subito
una camera.” Si girò per andarsene quando la voce tranquilla di Celeborn
lo fermò.
“Aspetta, Estel, c’è tempo. È da tanto che non vedo questi posti.
L’ultima volta che venni a Minas Tirith era una città di pietra, bella
ma fredda. Ora è un incanto, piena di piante e fiori e fontane. E questo
giardino; è bellissimo. Mia figlia l’avrebbe amato.” Si girò verso
Legolas che lo guardava timidamente. “È merito tuo, Legolas?”
L’elfo chinò la testa prima di rispondere, in segno di rispetto.
“Non solo mio, Signore. Mio, di Estel e di tutti quelli che vi hanno
contribuito: elfi, uomini, nani. Abbiamo fatto portare in questo posto
tutte le piante e i fiori più belli, abbiamo chiamato i migliori
artigiani e scultori e l’abbiamo fatto diventare il giardino di...”
Non riuscì a terminare la frase. Ancora adesso, dopo dieci anni, il
ricordo di Erestor e Glorfindel era vivo e doloroso. Si girò in
direzione della fontana, cercando di nascondere la commozione, e rimase
a guardare la splendida statua che la dominava al centro: era la statua
di Erestor e Glorfindel, così bella e reale che in molti avevano la
convinzione che avesse un’anima. Rappresentava Glorfindel, più alto e
forte che racchiudeva in un abbraccio, tenero e protettivo al contempo,
il corpo più delicato di Erestor. Erestor aveva il volto sollevato e
guardava il suo compagno. Ed entrambi si sorridevano, persi l’uno
nell’altro.
Aragorn si avvicinò a Legolas e gli cinse la vita, baciandolo sulla
nuca.
Dietro di loro, Lord Celeborn osservava la statua, con un sorriso
nostalgico.
“Sapete, io e Fin abbiamo combattuto insieme...”
Aragorn e Legolas si girarono insieme, incuriositi dalla notizia.
“Veramente?”
“Sì, aveva la brutta abitudine di fare scherzi a tutti.”
Aragorn sorrise, “In questo non è mai cambiato, mio Signore, ve lo posso
garantire.”
Rimasero in silenzio a contemplare i riflessi turchesi dell’acqua sul
marmo bianco.
“Venite, sediamoci. Vi porto una notizia molto importante.”
Celeborn si sedette sul bordo della fontana e aspettò che si
accomodassero sulla panchina di fronte a lui.
“Lady Arwen è morta.”
La notizia li colse di sorpresa. Era da molto tempo che il suo nome non
veniva più fatto.
“Morta... Come è successo?”
Celeborn li studiò: Legolas aveva stretto la mano dell’uomo nella sua e
aveva un’espressione neutrale. Aragorn aveva un’ombra di tristezza.
“I Valar le hanno tolto l’immortalità. Ha ucciso i figli che portava in
grembo, ha ucciso Erestor, condannando a morte Glorfindel. Il suo
risentimento non l’ha abbandonata fino all’ultimo. Non ha mai chiesto
scusa, a nessuno.”
Abbassò il capo e Aragorn si rese conto dell’angoscia che doveva avere:
in fondo, si trattava di sua nipote.
“Mi dispiace per voi, mio Signore, era vostra nipote...”
Celeborn sollevò la testa e sorrise stancamente.
“Non hai nulla di cui dispiacerti. So quello che ti ha fatto, che ha
fatto tutti voi. Neppure io, per quanto abbia sperato fino in fondo che
prendesse coscienza, mi sento di perdonarla.”
“E... la profezia... Lady Galadriel e Lord Elrond mi parlarono di una
profezia, di un figlio nato da me ed Arwen che avrebbe preso il mio
posto e avrebbe garantito la prosperità e il futuro di Gondor.”
“La profezia era vera, Estel, ma non parlava di un figlio, bensì del
primo figlio, il primo che fosse stato da voi concepito. E che non ha
mai visto la luce perché lei lo ha ucciso ancora prima che venisse al
mondo.”
“Quindi... era vero... non-“ sentì Legolas stringersi a lui e gli fu
grato per quel conforto silenzioso.
“Che ne sarà di noi... cosa accadrà a Gondor.”
Celeborn sorrise. “È proprio questo il motivo della mia visita. Nel
momento in cui i Valar le hanno tolto l’immortalità hanno deciso di
donarla a te, Estel. Gondor non ha più bisogno di un erede perché sarai
tu il suo Re, e Legolas sarà al tuo fianco. Per sempre.”
Aspettò che le parole venissero assorbite dai due che lo guardavano
allibiti, poi, all’improvviso, Aragorn si girò, prese Legolas fra le
braccia e lo baciò sulla bocca, dimenticandosi di lui, di Gondor e della
profezia.
Celeborn sorrise. Quel posto gli piaceva. Forse aveva trovato una nuova
casa.