Capitolo Sette
~
// = flashback
Legolas chiuse
gli occhi; la sensazione della guancia ruvida che sfiorava la pelle
delicata all'interno delle cosce gli provocò un brivido lungo la
schiena. Si piegò verso l'uomo e i capelli, ormai lunghissimi, gli
ricaddero in avanti. Le mani di Aragorn si insinuarono sotto di lui e lo
afferrarono per i glutei, tirandolo in avanti, quasi sul bordo del
panchetto su cui si trovava.
Aprì gli occhi e vide che lo stava guardando: lesse la disperazione, in
quello sguardo, ma anche il profondo, totale amore che provava per lui;
con un gesto delicato gli spostò una ciocca di capelli dalla fronte e
appoggiò la propria mano fresca sulla guancia bollente dell'uomo. Era
per momenti come quelli che era disposto ad affrontare tutto il resto,
anche l'isolamento in cui si era rinchiuso volontariamente, perché era
in quei momenti che sentiva quanto Aragorn avesse bisogno di lui.
"Estel meleth-nîn...."
Come era dolce il suo nome pronunciato dalla voce bassa di Legolas; solo
lui ormai lo chiamava così, Estel, Estel, amore mio...
Senza parlare, Aragorn gli posò un piccolo bacio sul ventre, sfiorando
l'ombelico con la lingua, facendogli contrarre i muscoli dell'addome;
scese ancora un poco, lasciando che i peli morbidi dell'inguine gli
accarezzassero una guancia; cominciò a baciarlo in mezzo alle gambe,
desiderando prolungare quel momento in eterno. Ma sapeva che Legolas non
avrebbe resistito a lungo, non così, non quando la tensione era forte,
non quando le ultime notti era rientrato dai consigli che già dormiva e,
per non svegliarlo, si era sdraiato al suo fianco, senza nemmeno
svestirsi, guardandolo nel suo sonno agitato, non quando, quella e le
notti a venire, sarebbe dovuto andare da lei.
Abbassò il capo e cominciò a succhiarlo lentamente, lo sentì spingersi
con forza dentro la sua bocca, e aumentò la stretta intorno ai fianchi,
per impedirgli di muoversi, di finire tutto troppo in fretta. Il suo
respiro si era già fatto veloce, irregolare.
"Ti prego... Estel...."
Aragorn mosse appena la lingua sulla punta bagnata del suo sesso, poi,
soffiò leggermente, strappandogli un grido soffocato.
"Melin chen, Legolas."
Lo disse senza staccare la bocca da lui, lasciando che il suono delle
sue parole vibrasse sulla sua carne accesa e si spingesse fino ai lombi.
Allentò la presa sul corpo di Legolas e subito lo sentì spingersi
un'ultima volta nel calore umido delle sue labbra, e venire nella sua
bocca, chiamandolo.
Alzò lo sguardo, mentre continuava a succhiarlo, e lo vide, con le
braccia allargate, le mani avvinghiate sui bordi del tavolo, la testa
gettata indietro. Riuscì appena a stringere la mano in mezzo alle
proprie gambe un istante prima di venire dentro i pantaloni.
Nel silenzio della stanza Legolas sentiva il battito veloce del proprio
cuore e il respiro affannato di Aragorn; i brividi intensi dell'orgasmo
non si erano ancora dissolti del tutto. Staccò le mani dal tavolo e si
piegò in avanti, appoggiandole sulla schiena umida dell'uomo; lasciò che
i capelli ricadessero in avanti, avvolgendoli entrambi.
Un lampo improvviso illuminò la stanza facendoli voltare verso la
finestra, poi, in lontananza, il rombo di un tuono, ruppe il silenzio.
***
Il salone dei ricevimenti del castello era illuminato a giorno da un
numero infinito di candele e piccoli bracieri; la luce si rifletteva
sulle pareti e sui tendaggi creando bellissimi giochi di colore, resi
ancora più affascinanti dal susseguirsi dei lampi. Ovunque erano
sistemati tavoli imbanditi di piatti raffinati e bevande di tutti i
tipi, dalla forte birra dei Nani, al vino pregiato delle cantine di
Minas Tirith al dolce e fortissimo Miruvor, il liquore degli elfi. La
sala era gremita di gente, in un'atmosfera vivace e piacevolmente
rumorosa.
Il colloquio con i delegati era andato più che bene ed Èomer aveva
accolto con sollievo che la sua presenza a Rohan, seppur gradita, non
era indispensabile, non immediatamente comunque: Lady Eowyn se la stava
cavando più che egregiamente e questo dava ad Èomer tutto il tempo di
organizzare la propria partenza e quella di Faramir. In una situazione
ancora così precaria la fretta era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.
Aragorn, dal suo trono, lasciò che lo sguardo vagasse per la sala; al
suo fianco, bellissima e sorridente, come sempre, Arwen giocava alla
perfezione la parte della regina benevola e della moglie devota. I suoi
grandi occhi turchesi scrutarono la stanza e si soffermarono,
compiaciuti, sulla figura solitaria che guardava la pioggia attraverso i
vetri.
Quello è il tuo posto, piccolo bastardo. Il più lontano possibile da
qui. Resta a struggerti nella tua solitudine; non riuscirai a portarmelo
via. Lui è mio, questo posto è mio.
Una sensazione strana alla bocca dello stomaco la fece voltare
all'improvviso: Aragorn la stava fissando; non riuscì a decifrare quello
che conteneva quello sguardo, ma, per un momento, il sorriso le si
spense sulle labbra.
Aragorn avrebbe voluto alzarsi e andare da lui, prenderlo per mano e
farlo sedere accanto a lui, dichiarando pubblicamente che Legolas, non
l'Elfa al suo fianco, era il suo compagno, che con lui aveva scelto di
celebrare il rito dell'Unione Eterna, che quel matrimonio, invece, era
tutta una farsa, una messa in scena a beneficio di tutti, frutto di un
ricatto e di una minaccia. Ma le parole di Elrond e Galadriel
rimbombavano ancora nella sua mente... Il tuo sangue scorrerà in tuo
figlio, e in lui si trasmetterà il tuo coraggio e il potere dei Mezzelfi
e solo allora il Male sarà per sempre scacciato da queste terre...
Scacciò il pensiero delle disastrose conseguenze che gli erano state
prospettate nel caso avesse agito contro il destino e tornò a
concentrarsi sui presenti.
Guardò Èomer e Faramir parlare con alcuni dei Signori di Rohan:
sembravano entrambi sereni e gli fece bene al cuore vedere, per una
volta, il volto solitamente cupo di Faramir aprirsi in bellissimo
sorriso per qualcosa che Èomer stava dicendo. Si chiese ancora una volta
se la scelta di non raccontargli la verità fosse giusta. Ma anche quello
era un pensiero su cui, quella sera, non voleva soffermarsi.
Ci fu un attimo di silenzio nella sala, tutti si voltarono nella stessa
direzione e, con una nota di divertimento, Aragorn notò non pochi degli
astanti rimanere a bocca aperta o interrompere all'improvviso un
discorso per ammirare la coppia che faceva ora la sua apparizione nella
sala.
Del vano dell'ingresso principale stavano entrando Erestor e Glorfindel;
vestito di nero e blu scuro il primo, i capelli legati in una singola
treccia a lasciare scoperto il viso dai lineamenti esotici, un sottile
cerchio in mithril gli incoronava il capo; in verde, grigio e oro
Glorfindel, i colori della sua Casata, i capelli dorati trattenuti dalle
trecce da guerriero, la sua enorme spada fedelmente legata al fianco.
Glorfindel amava le entrate ad effetto, un piccolo vezzo che lui, il Re,
non aveva nessun motivo di criticargli, soprattutto quando tali entrate
non erano a suo beneficio ma solo ed esclusivamente per Erestor.
Glorfindel voleva che tutti, nessuno escluso, ammirassero il suo
bellissimo compagno e che tutti, nessuno escluso, comprendessero a fondo
a cosa potevano andare incontro se si fossero permessi di rivolgere
anche solo un pensiero inadeguato nei suoi confronti.
Vide lo sguardo di disagio di Erestor di fronte a tanta attenzione.
Subito dopo, un braccio di Glorfindel si chiuse possessivo intorno alla
sua vita come per rassicurarlo.
All'inizio Aragorn si era trovato a chiedersi se Erestor partecipasse
attivamente a queste entrate trionfali ma il totale imbarazzo e il
delizioso rossore che colorava ogni volta le guance del suo severissimo
Primo Consigliere lo avevano convito che ne fosse completamente
all'oscuro. Invidiò la totale libertà con cui si muovevano insieme, come
il pollice di Glorfindel accarezzasse, rassicurante, il fianco di
Erestor, come quest'ultimo cercasse la mano del suo compagno per
mascherare il nervosismo. Li osservò scambiarsi poche battute mentre
educatamente, si dirigevano verso il trono per rendere omaggio a lui e
ad Arwen
"'Fin... non è possibile, però... anche questa volta per ultimi..."
"Non è colpa mia se sei così desiderabile..."
"'Fin... ti prego, non ora..."
Si fermarono di innanzi al Re e alla Regina e si inchinarono, prima di
fronte all'uno e poi all'altra. Arwen percepì il silenzioso disprezzo
sia nell'inchino ostentato, quasi ironico, di Glorfindel che in quello
appena accennato, un semplice movimento del capo, di Erestor. La stavano
insultando, di fronte a tutti. Si girò di scatto verso il Re, per
cercare un appoggio contro quella dichiarata mancanza di rispetto, ma lo
sguardo di Aragorn era già tornato sulla figura solitaria che si era
appena staccata dalla finestra per andare ad accogliere, sorridendo, i
suoi amici.
Senza aspettare di essere congedato, Glorfindel si girò e si diresse
verso una delle tavole imbandite, soffermandosi prima a salutare Legolas
con un sonoro bacio sulla fronte che fece ridere molti dei presenti e
arrossire il giovane Elfo fino alla punta delle orecchie. Erestor si
soffermò un istante più a lungo, fissando Arwen negli occhi. Poi, si
girò di scatto e raggiunse Glorfindel.
*
Con un gesto meccanico, Aragorn prese la mano di Arwen, e si alzarono
entrambi, dando così il segnale ufficiale che la festa poteva avere
inizio.
Con il passare delle ore, l'atmosfera della sala si era fatta chiassosa
e caotica, con persone che ballavano, Elfi e Nani che si sfidavano a
gare di bevute; ogni tanto, la risata di Glorfindel copriva tutte le
altre voci, e allora qualcuno si lasciava trascinare da quel suono
contagioso e la sala esplodeva in una risata fragorosa senza che nessuno
capisse bene il perché di tanta ilarità.
"Mi sei mancato..." Legolas sobbalzò al suono improvviso della voce e si
girò, sorridendo ad Aragorn, con le guance leggermente arrossate dal
Miruvor. Il Re prese una mano delle sue e la portò alle labbra,
baciandogli il palmo. Il rossore si intensificò.
"Che ti succede mio bel principe, pare che stasera tutti facciano a gara
per metterti in imbarazzo."
"Estel... ma ci può vedere chiunque--"
"E allora? La gente si aspetta che metta al mondo un erede, quello che
faccio nel frattempo è affare che non li riguarda." Lo disse con una
smorfia ironica sul viso ma Legolas provò un piacere immenso nel sentire
quelle parole. Si guardò intorno nervosamente e notò che,
effettivamente, nessuno li stava osservando, tutti erano troppo intenti
a bere, ridere, parlare, mangiare. Si rilassò e lasciò che Aragorn gli
baciasse il polso; una piacevole sensazione di calore gli attraversò il
corpo, scendendo fino ai lombi.
"Aragorn, amico mio, hai intenzione di mangiartelo qui davanti a tutti?"
La voce di Glorfindel li fece trasalire entrambi e Legolas ritrasse di
scatto la mano da quella del Re. Erestor e Glorfindel li stavano
guardando divertiti, poi, il primo, notò il pallore sulle guance del
giovane Principe e si mosse a pietà.
"Su, stai tranquillo, ogni tanto Glorfindel si dimentica di pensare
prima di aprir bocca, ma per fortuna sono tutti troppo ubriachi per
capire una singola parola di quello che dice. Bevi, Legolas, ti farà
bene, sembra che tu abbia visto Mandos in persona."
Senza protestare Legolas si portò alle labbra la coppa che Erestor gli
offriva e bevve in un solo sorso, lasciando che il potente liquore gli
calmasse i nervi. Poi, sempre senza parlare, afferrò il calice nelle
mani di Glorfindel e trangugiò anche quello.
"Glorfindel, stai avendo una cattiva influenza su Legolas!"
L'espressione di simulata innocenza che si dipinse sul viso del
Comandante li fece ridere di cuore, ma nel momento in cui alzò gli
occhi, Legolas vide lo sguardo di Arwen fisso su di lui, carico di un
odio che non aveva mai visto e che gli bloccò il respiro; per un istante
si sentì scaraventato lontano, mentre la stanza e le persone si
dissolvevano intorno a lui.
"Legolas, Legolas... Stai bene?" La voce gli arrivò in lontananza, come
attutita mentre i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli gelidi
della Regina. Sentì una mano scuoterlo e dovette fare appello a tutte le
sue energie per riportare la propria attenzione sugli altri. Vide i loro
volti preoccupati e cercò di tranquillizzarli; soprattutto Aragorn, non
voleva preoccuparlo, non quella sera, non davanti a tutti.
"Deve essere il liquore, e il temporale... noi Elfi Silvani siamo molto
sensibili ai fulmini," cercò di scherzare. Aragorn continuò a guardarlo
preoccupato; per un attimo aveva avuto l'impressione che fosse come in
trance. Prese una mano fra le sue e sentì che era gelida. Ancora una
volta sentì il cuore spezzarsi per lui che stava pagando il prezzo più
alto per di colpe non sue.
Glorfindel gli appoggiò la mano sulla spalla, il suo viso si era fatto
serio. "Aragorn... vai, ci sono diversi delegati che vorranno parlare
con te, rimaniamo noi con Legolas." Aragorn annuì, Glorfindel aveva
ragione, il suo ruolo gli imponeva di rivolgere almeno una parola a
tutti i convenuti. Strinse ancora una volta la mano di Legolas nella
propria e si incamminò lentamente verso gli ospiti.
Nel momento in cui Aragorn gli girò le spalle Legolas sentì che la forza
nervosa che lo aveva aiutato a non cedere di fronte a lui lo stava
abbandonando. Si girò e appoggiò la fronte al vetro freddo, lasciando
che gli rinfrescasse la fronte rovente.
Un braccio gli cinse delicatamente la vita e un'altra figura si mise al
suo fianco, coprendolo del tutto dalla vista delle persone in sala.
Legolas si appoggiò pesantemente ad Erestor e posò la testa sulla sua
spalla.
"Finirà per uccidermi, 'Res, sento il suo odio entrarmi dentro ogni
volta che mi guarda, è come un veleno..."
"NO! Non ti farà del male, nessuno ti farà del male." Alzò gli occhi
verso Glorfindel con una supplica muta.
"Erestor ha ragione pen-neth, nessuno ti farà del male, non fino a
quando ci saremo noi a proteggerti."
Sì, ma cosa succederà quando un giorno non ci sarete....
Quando, molte ore dopo, il ricevimento arrivò al termine e gli ultimi
ospiti si diressero verso le loro stanze, Aragorn scrutò la sala nella
vana speranza di vedere Legolas. Ma se ne era già andato, aveva voluto
risparmiarsi anche il tormento di vederlo dirigersi verso la camera
reale, nel letto suo e di Arwen.
***
Sdraiato sul letto, con le braccia dietro la testa, Glorfindel osservò
Erestor mentre si spazzolava i capelli.
Vide lo sguardo distante riflesso nello specchio e non ebbe bisogno di
chiedersi a cosa stesse pensando. Le parole di Legolas avevo turbato
profondamente anche lui.
Ma lui non era come Erestor, non riusciva a dissimulare le emozioni
dietro una facciata di indifferenza o un sorriso ironico; lui le sentiva
affiorare in superficie e distorcergli i lineamenti del volto, sentiva
la pelle prendere fuoco e gli occhi brillare. Per una volta non aveva
cercato di controllarsi, aveva lasciato che, almeno sul suo volto,
trasparisse tutto il disprezzo, no... l'odio che provava per quella
donna.
Sospirò e si tirò a sedere, cercando di eliminare quella presenza
malsana dalla sua mente.
Guardò Erestor appoggiare la spazzola e rimanere a fissare il vuoto,
poi, finalmente, sembrò scuotersi e si girò verso di lui. Glorfindel
capì subito che il sorriso che gli stava rivolgendo era forzato.
"Guarda che se vuoi puoi urlare." Erestor lo guardò per un attimo come
se fosse impazzito.
"Lo sai che non urlo mai..."
"No??" Finalmente Erestor notò la smorfia sulla sua bocca si e scoppiò a
ridere, questa volta senza fatica.
"Bhé, quasi mai... ma in quei casi non vale." Sorrise al suo bellissimo
compagno e ne contemplò la figura poderosa: 'Fin riusciva sempre, alla
fine, a farlo ridere. E a farlo sentire al sicuro.
Glorfindel allargò le gambe e picchiò con la mano sul materasso.
"Vieni qui, Primo Consigliere, lascia che questo Comandante si prenda
cura di te..." Erestor capì subito che non c'erano secondi fini in
quell'invito e, in un certo senso ne fu sollevato: era così stanco da
sentirsi prosciugato, non solo mentalmente ma anche fisicamente; la
storia che gli Elfi non sentivano mai la stanchezza era una leggenda di
cui si era chiesto spesso la provenienza.
Si sedette in mezzo alle gambe di Glorfindel e lasciò che l'altro lo
attirasse contro di sé, sdraiandosi; si accomodò appoggiandogli il capo
sul petto e, senza pensarci, cercò una ciocca dei suoi capelli dorati e
cominciò a strofinarla fra le dita, un gesto che aveva il potere di
calmarlo più di qualsiasi pozione.
"Lui e suo padre sono stati tutta la mia famiglia, 'Fin. Thranduil mi ha
accolto quando ormai ero disperato, esiliato dalla mia terra, senza più
nessuno. Ho visto Legolas nascere, non riesco a sopportare di vederlo
soffrire così."
Si fermò
all'improvviso; detestava piangere, ma non riuscì ad evitare che una
lacrima gli sfuggisse dalle ciglia serrate, cadendo sulla pelle di
Glorfindel. Senza parlare, Glorfindel gli posò una mano sul capo e
cominciò ad accarezzargli i capelli.
"Non riuscirà a fare del male a Legolas, noi glielo impediremo." Sperò
che le sue parole suonassero convincenti. Continuò ad accarezzargli i
capelli fino a che non sentì il suo respiro farsi leggero e regolare e
la mano che fino a poco prima giocherellava con le sue ciocche fermarsi
e scivolare lentamente sulla sua spalla; capì che Erestor si era
addormentato. Cercò di scacciare ogni pensiero negativo, lasciando che
il rumore della pioggia lo aiutasse a prendere sonno.
Guardò le gocce infrangersi contro il vetro; ogni tanto, un lampo
illuminava il cielo e la stanza. Il temporale stava perdendo di
intensità ma gli scrosci di pioggia erano ancora violenti e il rimbombo
dei tuoni faceva tremare la fiamma delle candele contro le pareti.
Amava i temporali, il rumore della pioggia, l'odore della terra bagnata,
l'acqua violenta che si scatenava spesso alla fine di ogni battaglia,
lavando via il sangue e l'odore di morte; li aveva amati ancora di più
dopo la sua lotta contro il Balrog di fuoco, la sua morte e la sua
rinascita. Tante notti, prima che fosse Erestor a prenderlo fra le
braccia e a calmarlo, si era svegliato urlando, con l'odore delle
propria carne bruciata fortissimo dentro le narici, vomitando l'anima
per il terrore che stesse succedendo tutto daccapo; quelle notti, dopo
il suo ritorno dal regno di Mandos, erano stati i frequenti temporali a
non farlo impazzire, quando usciva barcollando dalla propria stanza e
lasciava che l'acqua gli inzuppasse la pelle e i capelli e cancellasse
il ricordo del fuoco che lentamente consumava la sua carne. Ed era stata
una notte di temporale la prima volta che Erestor era andato da lui.
Glorfindel sorrise nel dormiveglia mentre le immagini di quella notte,
dolcissima e indimenticabile, si ricomponevano nella sua mente.
//
Era così assorto nei suoi pensieri mentre preparava le poche cose che lo
avrebbero accompagnato nella spedizione contro gli Esterling che quasi
non aveva sentito il leggero bussare alla porta; quando la sua mente lo
aveva registrato aveva, detto di entrare senza voltarsi, sicuro che,
chiunque fosse stato, se ne era già andato.
Non aveva sentito la porta aprirsi e aveva continuato la sua
preparazione. Poi, all'improvviso, aveva avvertito come un brivido sul
collo e si era girato. E l'aveva visto. Fermo sulla porta, con i capelli
lunghissimi scompigliati, sciolti sulle spalle, la veste da notte
candida e le mani avvinghiate l'una nell'altra. Lo stava guardando con i
suoi strani occhi da lupo e, per la prima volta, Glorfindel aveva visto
cosa si nascondeva dietro la facciata: paura, dolore, solitudine. Non
aveva parlato, era rimasto a fissarlo affascinato, stentando quasi a
riconoscere in quella figura angosciata e indifesa l'Erestor con cui, da
tempo immemore, si scontrava tutti i giorni.
Poi Erestor aveva parlato, e la voce gli tremava.
"Volevo solo dirti... che pregherò i Valar perché veglino su di te... su
tutti voi... E che io... io non sono diverso da te... sono un esiliato
di Gondolin, ho visto la mia famiglia morire bruciata dai Balrog di
Morgoth, ma, a differenza di te sono fuggito e..." Aveva deglutito a
fatica, incapace di dare forma alla valanga di pensieri che
improvvisamente quella notte gli erano esplosi nella testa facendolo
alzare dal letto e precipitarsi senza nemmeno riflettere verso la stanza
dell'Elfo che, più di tutti, gli aveva reso la vita impossibile. Ma
aveva dovuto farlo, le parole contenute nel discorso che quella sera
Glorfindel aveva tenuto d fronte a tutti sapevano tanto di addio, e
quello sguardo appena accennato che gli aveva rivolto aveva, in un colpo
solo, fatto crollare tutte le barriere che si era costruito nel corso da
sua lunga e solitaria esistenza.
Ed ora era lì, incapace di formulare un pensiero coerente, di dare voce
ai propri sentimenti.
Per tutto il tempo Glorfindel aveva lasciato che il proprio sguardo
vagasse sulla figura di fronte a lui: i capelli, gli occhi, la bocca
umida, la curva del collo, le mani che si tormentavano, la veste da
notte candida da cui si intravedeva un lembo di pelle, i capezzoli tesi
sotto la stoffa, i piedi nudi sul pavimento. Tutto era nuovo e antico
allo stesso tempo: quello era lo stesso Erestor che incontrava tutti i
giorni, che lo metteva a tacere con una risposta secca, che a malapena
tollerava la sua presenza, ma, al contempo, era una creatura
completamente diversa, quasi indifesa e inconsapevolmente sensuale.
Aveva scacciato quel pensiero e si era concentrato sulle sue mani che,
solitamente immobili, ora si torcevano fra di loro nel tentativo, vano,
di fermare il tremore.
Le sue parole appena sussurrate gli accarezzavano le orecchie e gli
scivolavano dentro e, anche se non ne comprendeva il significato, rapito
com'era dalla sua immagine, gli piaceva il suono, dolce ed esitante. Gli
era sfuggito un sorriso all'idea di un Erestor che, per la prima volta a
sua memoria, aveva difficoltà a dire qualcosa ma il sorriso era sparito
subito quando aveva visto l'altro fermarsi e guardarlo con espressione
ferita.
"Ho sbagliato a venire, Glorfindel, dimentica tutto." Era ritornato l'Erestor
freddo e distante che conosceva. Si era girato e si era diretto verso la
porta.
Glorfindel era rimasto a guardarlo, ancora incredulo, poi, il rumore
fortissimo di un tuono lo aveva risvegliato di colpo e, senza quasi
rendersene conto, era già sulla porta e aveva afferrato Erestor per le
spalle, girandolo con forza.
Erano rimasti così a lungo, fissandosi; Glorfindel percepiva la rabbia
repressa dell'altro, vedeva la mascella contratta, il petto abbassarsi e
alzarsi velocemente, i muscoli tesi delle braccia là dove le sue mani lo
tenevano immobile. Per un attimo aveva pensato che gli avrebbe lasciato
dei segni ma non gli importava.
"Tu non vai da nessuna parte." Glielo aveva sibilato in faccia,
chinandosi leggermente su di lui, guardandolo dritto negli occhi. "Io
non ti lascio andare via."
Senza dire altro, lo aveva tirato contro sé con forza e aveva schiantato
la bocca contro quella di Erestor, costringendolo ad aprirla, cercando
la sua lingua con la propria. Lo aveva sentito dapprima fare resistenza
e poi, all'improvviso, lasciarsi andare in quel bacio che sembrava
bruciarlo da dentro. Allora, Glorfindel aveva allentato la presa e lo
aveva avvolto nelle sue braccia, stringendolo come se fosse la cosa più
preziosa che mai avesse avuto. Aveva staccato la bocca da quella di
Erestor e gi aveva posato le labbra sulla fronte, baciandolo e parlando
allo stesso tempo.
"Quanto tempo abbiamo gettato al vento, mio Erestor, avrei potuto amarti
fin da subito e invece non me lo hai mai permesso." Aveva continuato a
baciargli la fronte, gli occhi, le guance, e poi ancora le labbra,
sentendo il sapore salato delle sue lacrime, e gli era sembrato il più
dolce dei sapori.
"Ho paura, Glorfindel, ho paura, di quello che posso provare, ho paura
che se mi innamoro di te tutto quello che ho costruito possa crollare e
io ho solo quello per difendermi..."
"Shhh, non parlare di paura, la paura si combatte insieme, io sarò con
te, se lo vorrai, ma, ti prego, non richiuderti perché non potrei
sopportare di perderti, non adesso. Mai."
Lo aveva stretto così forte che, per un attimo aveva avuto paura di
romperlo.
Ma Erestor era forte, molto più forte di quello che lui stesso credeva.
Si era svincolato dolcemente dal suo abbraccio e gli aveva preso il
volto fra le mani: l'espressione di gelido distacco aveva lasciato per
sempre il suo bellissimo viso, sostituita da quello che per Glorfindel
era il più dolce degli sguardi.
"Fai l'amore con me, Glorfindel, questa notte. Unisciti a me, per
sempre." La sua voce era calma e forte tanto quanto la determinazione
che leggeva nei suoi occhi.
Glorfindel si era sentito morire: "Lo sai che potrei non ritornare... Se
dovessi unirmi a te, tu..."
Ma Erestor non lo aveva lasciato finire: i suoi occhi si erano fatti
ancora più dolci e un bellissimo, morbido sorriso gli aveva illuminato
per la priva volta il volto.
"'Fin, ho passato la mia intera esistenza a nascondermi, dagli altri,
dai sentimenti, da me stesso. Avevo scoperto una nicchia segreta in cui
potermi rinchiudere ogni volta che il mio cuore si permetteva di fare
diversamente da quello che mi imponeva la ragione. Avevo rinunciato ai
sentimenti perché era il modo migliore per evitare altre sofferenze.
Poi, un giorno, tantissimo tempo fa, sei arrivato tu ad Imladris, e hai
iniziato a rendere la mia vita impossibile. Ma quegli scherzi, il tuo
mettermi in imbarazzo davanti agli altri sono diventati necessari come
l'aria perché comunque tu ti accorgevi di me, perché mi parlavi, mi
cercavi, anche solo per farmi arrossire con qualche pettegolezzo di
corte. E mi sarebbe bastato questo in eterno, credimi, perché mai e poi
mai avevo pensato che ci fosse dell'altro, ma per me era più che
sufficiente, serviva per farmi sentire che, comunque, per qualcuno,
esistevo. Ma questa sera, quando ci hai detto addio e hai parlato
dell'amore mi è mancata la terra sotto i pied. Ho pensato "il mio 'Fin
se ne sta andando e non gli ho nemmeno detto grazie per avermi fatto
sentire importante". E mentre queste parole mi rimbalzavano nella testa
ho visto i tuoi occhi su di me e ti ho sentito mentre parlavi del dolore
di non rivedere più qualcuno che si è amato. E ho capito che non potevo
lasciarti partire senza dirti che io ti amo, Glorfindel, e che se tu
dovessi non tornare più allora per me nulla avrebbe senso e metterei
termine alla mia vita con le mie stesse mani. Morire di dolore perché ti
sei unito a me per sempre sarebbe infinitamente meno doloroso perché
almeno, per una volta... sarei stato tuo..." Le ultime parole gli erano
morte sulle labbra, mentre le guance gli bruciavano; aveva asciugato con
le dita le lacrime dal volto di Glorfindel e lo aveva guardato.
"Bhé... non è poi detto che muoia... in fondo Mandos mi ha già cacciato
una volta. Se dovessi tornare però sappi che non hai nessun diritto di
lamentarti, posso essere veramente impossibile... a volte!" Erestor lo
aveva guardato per un attimo esterrefatto, poi la bocca di Glorfindel si
era piegata in una smorfia e lui era scoppiato a ridere, gettandogli le
braccia al collo.
"Non cambierai mai, vero?"
"Cambierò solo se tu lo vorrai."
Erestor aveva appoggiato la guancia contro la sua. "Mai."
Senza più paralare, Glorfindel lo aveva preso per mano e lo aveva
portato verso il letto. Lo aveva spogliato lentamente, aprendo i legacci
della lunga veste bianca e facendola scivolare lentamente dalle spalle,
lungo le braccia, scoprendolo lentamente, fino a che non si era raccolta
come una piccola nuvola ai suoi piedi. Era rimasto incantato dai suoi
capezzoli, rosa cupo, rotondi e turgidi quasi come quelli di una giovane
fanciulla; ne aveva sfiorato uno e subito Erestor si era lasciato
sfuggire un gemito.
Glorfindel lo aveva fatto sdraiare sul letto e si era spogliato a sua
volta, lentamente, consapevole dello sguardo curioso e timoroso
dell'altro. Si era seduto di fronte a lui, divaricandogli dolcemente le
gambe, lasciando che le proprie mani scivolassero sulla sua pelle
morbida delle cosce, sentendo la sensazione incredibile di quel
contatto; lo aveva osservato mentre gli occhi di Erestor cadevano in
mezzo alle sue gambe, sul suo sesso che già rispondeva al quel semplice
contatto, e lo aveva visto deglutire leggermente mentre le mani
stringevano le lenzuola. Un pensiero improvviso lo aveva colpito.
"Erestor... tu non hai mai..."
"No, non ho mai avuto nessuno, 'Fin."
Era arrossito mentre lo diceva e Glorfindel aveva trovato quel misto di
innocenza e inconsapevole sensualità così erotico che la sua eccitazione
era arrivata alle stelle. Aveva dovuto concentrarsi per resistere alla
tentazione di buttarsi su di lui e scoparlo, come avrebbe fatto con
chiunque altro. Invece lo aveva accarezzato ancora e gli aveva sorriso.
"Renderò questa notte speciale, Erestor, ti insegnerò cose che forse non
hai mai nemmeno letto sui tuoi
libri, ti farò gridare il mio nome così
forte da non avere più voce.
E mi unirò a te, per l'eternità."
Si era sdraiato fra le sue gambe aperte, lasciando che il proprio sesso
premesse contro il ventre di Erestor, abituandolo lentamente a quel
contatto carne contro carne. Lo aveva baciato sulla bocca,
accarezzandolo con la lingua, lasciando che Erestor lo accarezzasse, lo
scoprisse con le proprie mani, con la bocca, con il corpo. Era sceso
lungo il collo, succhiando la pelle leggermente salata, e lo aveva
sentito muoversi contro di lui, stringere le mani sulle sue spalle
mentre il respiro si faceva sempre più forte. Si era fermato di fronte a
quei capezzoli teneri e invitanti e li aveva sfiorati con i capelli e
subito Erestor si era spinto verso di lui e una debole supplica gli era
uscita dalle labbra. In quel momento Glorfindel aveva capito: sotto quel
corpo candido e perfetto vibrava un universo di sensazioni ed emozioni
troppo a lungo soffocate di cui lui aveva avuto l'onore di essere il
primo e unico beneficiario; un dono prezioso e unico che Glorfindel,
aveva giurato a sé stesso, avrebbe amato e onorato, così come avrebbe
amato e onorato Erestor fino a che i Valar glielo avrebbero permesso.
Era andato avanti per un tempo infinito a giocare con quei piccoli
germogli di carne, toccandoli, succhiandoli, mordendoli dapprima
delicatamente e poi un po' più forte, stuzzicandoli con la punta della
lingua, bagnandoli e poi investendoli con un soffio leggero che li
faceva indurire fino all'impossibile. I gemiti di Erestor erano il suono
più bello che avesse sentito da tempo immemore, le sue preghiere di
toccarlo ancora, il modo con cui inarcava la schiena contro la sua
bocca, le braccia e le cosce allargate, i movimenti del bacino, tutto
gli arrivava come una scossa continua al basso ventre, rendendolo quasi
incapace di trattenersi, mentre le sue mani instancabili continuavano la
loro esplorazione di quel corpo ancora inviolato, toccandolo ovunque
tranne che dove ne aveva veramente bisogno. Lo aveva portato al limite,
e quando aveva visto il suo sesso pulsare pochi istanti prima che
raggiungesse l'orgasmo lo aveva chiuso nella sua mano stringendolo alla
base, impedendogli di venire, per il puro piacere di sentire ancora il
suo nome uscire dalle sue labbra gonfie di baci. Lo aveva guardato, con
il respiro impazzito, gli occhi socchiusi e la pelle madida di sudore, e
poi si era chinato su di lui, accarezzando con le labbra la punta della
sua eccitazione, lasciando che le prime gocce del suo seme gli
bagnassero la bocca, poi, quando i gemiti di Erestor erano diventati una
supplica incoerente, lo aveva sollevato dal letto, spingendolo dentro di
sé con forza, aiutandolo a raggiungere quell'orgasmo che così a lungo
gli aveva negato. E lui stesso non era più riuscito a controllarsi;
mentre le ultime gocce di Erestor scendevano nella sua gola, aveva
portato la mano in mezzo alle gambe stringendola intorno al proprio
sesso durissimo. E poi, un tocco leggero, quasi esitante: la mano di
Erestor si era infilata nella sua stringendolo, i suoi grandi occhi lo
avevano guardato quasi timorosi e Glorfindel si era arreso a quella
sensazione così intensa da farlo gridare. Aveva ripetuto il nome di
Erestor mentre veniva nella sua mano e aveva chiuso gli occhi.
Erano crollato addosso al corpo esausto del suo amante, cercando di
controllare il respiro, e le braccia di Erestor si erano chiuse su di
lui. Fra quelle braccia si era sentito finalmente a casa. Erano rimasti
così per molto tempo, incuranti del sudore e del liquido che gli
appiccicava la pelle. Poi Erestor aveva iniziato a parlare,
raccontandogli di sé, della sua infanzia a Gondolin, della sua vita di
rifugiato a Mirkwood, dell'amicizia con Thranduil e dell'affetto
profondo per il giovane Legolas, del dolore della separazione quando era
venuto ad Imladris, dei lunghi anni di isolamento e la decisione di non
legarsi più a nessuno. Glorfindel lo aveva ascoltato, mentre gli
accarezzava i capelli, accorgendosi che il suo amore per Erestor stava
crescendo sempre di più ad ogni istante che passava.
Il temporale era al culmine quando aveva fatto l'amore con lui la prima
volta. Quando le loro voci erano ormai roche per il troppo parlare e gli
occhi pesanti per il sonno, lo aveva tirato su di sé, prendendogli il
volto fra le mani. La pioggia sui vetri era l'unico rumore nella stanza.
Non aveva avuto bisogno di fare domande: l'amore che aveva visto negli
occhi di Erestor era la risposta che cercava.
Lo aveva preparato lentamente, con delicatezza, soffocando il disagio e
il dolore nei suoi baci e nelle carezze, era entrato dentro di lui
lentamente, mordendosi le labbra per soffocare l'impulso di spingersi
con forza in quel corpo caldo che lo risucchiava. Aveva fatto l'amore
con lui pianissimo, attento ad ogni suo gemito, asciugando con le labbra
le lacrime che gli scendevano lungo le guance; l'aveva sentito
rilasciarsi lentamente, rispondendo sempre di più ai suoi movimenti,
poi, quando aveva ruotato leggermente i fianchi, aveva sentito il primo
gemito di piacere uscire delle sue labbra e i suoi occhi scuri lo
avevano guardato stupefatto. Gli aveva sorriso e lo aveva baciato
ancora. Si era sollevato a sedere, tenendoselo in grembo, e le lunghe
gambe di Erestor si erano avvinghiate intorno ai suoi fianchi mentre
Glorfindel lentamente lo guidava a muoversi su di lui, sempre un po' più
veloce, e ogni volta che il suo sesso lo sfiorava in quel punto Erestor
apriva la bocca e contraeva i muscoli, facendolo impazzire di desiderio.
Lo aveva lasciato guidare, prendere il ritmo, cavalcarlo, mentre con la
bocca succhiava la piccola vena che gli pulsava sul suo collo; e quando
si era reso conto che non avrebbe potuto resistere più a lungo aveva
infilato la mano fra di loro afferrando il sesso di Erestor,
stringendolo con movimenti esperti. Nel momento in cui le prime gocce
gli avevano bagnato la mano, si era lasciato andare, venendo dentro di
lui, chiamandolo e stringendolo contro di sé, lasciando che le loro
anime entrassero l'una nell'altra congiungendosi per sempre; in quell'istante,
ognuno aveva sentito dentro di sé il piacere dell'altro.
Erano rimasti avvinghiati, esausti, incapaci di reagire all'intensità di
quello che avevano appena vissuto. Poi, lentamente, avevano ripreso
coscienza ed erano crollati esausti, i loro corpi intrecciati, in un
breve sonno senza sogni.
Quando la mattina gli eserciti erano partiti, in molti avevano notato il
viso stravolto e le occhiaie sul volto di Glorfindel, ma lo avevano
imputato alla tensione per la battaglia; solo qualcuno aveva notato lo
stesso pallore e la stessa angoscia riflessa come in uno specchio sui
lineamenti solitamente impassibili di Erestor.
Nel momento in cui gli eserciti erano spariti dalla visuale, Erestor si
era diretto come in un sogno verso la camera di Glorfindel, si era
avvicinato al letto sfatto, accarezzando le lenzuola e aveva pianto come
mai aveva fatto in vita sua, pregando i Valar che gli riportassero il
suo compagno. Era rimasto a lungo con il volto nascosto fra i cuscini,
con i singhiozzi che gli squassavano il petto fino a che non aveva perso
i sensi.
//
Glorfindel guardò la figura addormentata accoccolata contro di lui e
sentì il cuore scoppiare per l'amore che provava per lui.
"A nessuno, nemmeno ai Valar avrei permesso di non farmi ritornare."
Portò una mano di Erestor alle labbra baciandola dolcemente e si
addormentò tenendola stretta fra le sue.