.|. The End .|.

Capitolo Sei

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Per un attimo si chiese se non aveva sognato; aveva perso il senso del tempo e, anche se il calore del corpo che lo stringeva gli suggeriva che era nel suo letto, con Glorfindel accoccolato contro di lui, in quella che era la loro posizione preferita, qualcosa in un angolo remoto della sua mente registrava una sorta di anomalia.

Uscì a fatica dallo stato di dormiveglia e cercò di mettere a fuoco la fonte di luce che gli feriva gli occhi: era la luce del fuoco, il camino, ed era troppo vicino per essere quello della loro stanza. Con uno sforzo aprì del tutto gli occhi e, all’improvviso, tutto gli ritornò chiarissimo alla mente.

 

“Ben svegliato, bell’addormentato...”

 

La voce assonnata di Glorfindel gli accarezzò l’orecchio. Erestor si sciolse dal suo abbraccio e si girò a guardarlo con aria perplessa.

 

“’Fin... ma quanto tempo è passato? Abbiamo dormito? Dov’è Legolas?”

 

Glorfindel lo guardò attraverso le palpebre socchiuse; nel sonno le trecce con cui durante il giorno teneva legati  capelli si erano allentate e alcune ciocche ricadevano ribelli sul viso.

 

“Una domanda per volta, ‘Res... dammi il tempo di svegliarmi per bene.”

 

Lo attirò ancora di più in mezzo alle sue gambe ed Erestor avvertì chiaramente l’erezione premere contro il suo fianco. Si divincolò ancora e si staccò da lui, rimanendo inginocchiato ad una distanza che ritenne abbastanza sicura.

 

“Glorfindel! Ma ti sembra il momento? Non so nemmeno che ore sono, Legolas è sparito e, per quello che ne sappiamo noi, potrebbero esserci cinquanta delegati di Rohan ad aspettare che il Primo Consigliere e il Capitano dell’Esercito Reale si degnino di fare la loro apparizione!”

 

Glorfindel sospirò e si stirò con un movimento indolente che ricordò ad Erestor un enorme gatto.

 

“Va bene, va bene. Sì, abbiamo dormito; no, la delegazione di Rohan non è ancora arrivata e Legolas se ne è andato poco fa e ti ha scritto un messaggio. Soddisfatto ora?”

 

Erestor si alzò a fatica e si girò, guardando nella direzione che gli indicava Glorfindel; raccolse il pezzo di pergamena e lesse le poche parole scritte da Legolas.

 

Hannon le, mellon-nin.

 

Studiò il pezzo di carta a lungo, come se gli nascondesse qualcosa. Lo strinse fra le mani e si avvicinò al camino, fissando le fiamme.

 

“Perché non mi avete svegliato?” Avvertì un tono di tristezza nella propria voce e si detestò per questo: sembrava una madre che non si rassegna di fronte ad un figlio che va per la sua strada.

 

Non si accorse che Glorfindel si era alzato dai cuscini sui quali avevano dormito tutti e tre fino a che le sue braccia lo cinsero intorno alla vita. Sentì un bacio tenero sulla nuca e improvvisamente provò una stanchezza senza fine.

 

“Perché sei esausto. Guardati, ‘Res, hai cerchi scuri intorno agli occhi, mangi poco o nulla passi le giornate e buona parte delle nottate chino su queste carte o a discutere con qualche consigliere idiota su questioni che io nemmeno capisco.” Con una mano sciolse il legaccio che teneva insieme la treccia ormai disfatta di Erestor e affondò il volto nella cascata di capelli corvini.

 

“Mi manchi, ‘Res.”

 

Erestor sentì le lacrime bruciargli gli occhi alla quella semplice ma dolorosa ammissione: era vero, era talmente assorbito dal suo nuovo incarico che, in quegli ultimi mesi trascorreva raramente le notti nella loro camera, e quando lo faceva, crollava esausto su letto addormentandosi subito dopo.

 

Si girò senza liberarsi dalla stretta della braccia di Glorfindel e gli prese il volto fra le mani, guardando i bei lineamenti: non c’era ombra di accusa negli occhi colore del cielo, solo l’amore, intenso e quasi disperato che provava per lui.

Erestor chiuse gli occhi e si avvicinò di più fino a che le sue labbra non sfiorarono quelle socchiuse di Glorfindel. Sentì appena le loro bocche sfiorarsi e poi la punta della lingua dell’altro accarezzargli dolcemente il labbro inferiore, mentre una mano continuava ad muoversi nei suoi capelli.

Glorfindel si ritrasse ed Erestor lo guardò con una nota di disappunto. Senza parlare, senza sciogliersi dall’abbraccio lo trascinò con sé fino a che la sua schiena non incontrò la parete nuda di fianco al camino.

Lentamente sciolse i lacci della camicia bianca e cominciò a sfilarla; senza protestare, Glorfindel sollevò le braccia lasciando che Erestor lo spogliasse.

 

“ Fai l’amore con me, ‘Fin. Adesso.”

 

Glorfindel rimase a guardarlo, fissandolo nella liquida profondità di quei grandi occhi neri. Ma anche così, riusciva a vederla: la sua bocca. Era la prima cosa che lo aveva colpito in Erestor, fin dal primo istante: la bocca; una macchia porpora sul bianco e nero dei suoi colori, grande, carnosa, un contrasto quasi osceno sulla sua figura austera.

Se solo gli altri avessero saputo... Glorfindel non riuscì a sopprimere un sorriso compiaciuto.

 

“Non mi sembra una buona idea, ‘Res; dovremmo prepararci, e poi potrebbe entrare qualcuno...”

 

Le labbra color porpora si piegarono in una smorfia di disappunto. Glorfindel accettò la propria resa.

 

“Non accetti mai un no, vero?”

 

“No…” Erestor non distolse gli occhi dai suoi e, continuando a fissarlo, si tirò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio, lasciando poi scorrere le dita lungo il collo.

 

Glorfindel lo guardò divertito, curioso di scoprire fino a che punto sarebbe arrivato. Il sorriso gli morì sulle labbra nel momento in cui Erestor, gli afferrò una mano, se la portò alle labbra e iniziò a succhiarne le dita; deglutì: il divertimento aveva lasciato il posto a qualcos’altro. Erestor si rilassò contro il muro e continuò lentamente a succhiare, avvolgendo le dita con la lingua. La loro Unione in quel momento era più forte che mai: nel silenzio della stanza i loro pensieri scivolavano nelle loro menti senza bisogno di essere pronunciati ad alta voce.

 

Ecco cosa ti farei…

 

...’Res…

 

Glorfindel socchiuse gli occhi e si bagnò le labbra con la punta della lingua.

 

“Ne ho bisogno, ‘Fin... ti prego.

 

Glorfindel sentì nella sua mente il tono di supplica contenuto in quelle parole. Capì dove voleva arrivare.

 

Tu ne hai sempre bisogno…

 

Mi hai voluto tu così…

 

Ed era vero, era stato lui a trasformarlo in quello che era diventato: sensuale, esigente, sfrenato ed instancabile; lo aveva fatto uscire lentamente dal rigore della sua vita e gli aveva insegnato tutto quello che sapeva ed Erestor era stato un allievo perfetto, aveva assorbito ogni cosa con un’avidità che lo aveva sconvolto. Il rigore era rimasto una maschera esteriore per gli altri, a beneficio del suo lavoro e della sua posizione, pronta a scomparire nel momento stesso in cui si richiudevano alle spalle la porta delle loro stanze private. Ogni volta che facevano l’amore, ogni volta che lo guardava, con i lunghi capelli neri sciolti a solleticargli il petto o sparsi sul cuscino, ogni volta che vedeva quella bocca rossa aprirsi per accoglierlo, Glorfindel si sentiva morire e rinascere, in un circolo vizioso che avrebbe voluto durasse in eterno.

 

Con la mano libera gli sfiorò una guancia, seguì il profilo dell’orecchio con la punta di un dito e scese ad accarezzare il collo; la lentezza dei suoi movimenti ripetuta dal ritmo della bocca di Erestor intorno alle sue dita. Scese ancora un po’ fino ad incontrare il primo degli alamari che chiudevano la tunica di seta nera; lo aprì, e poi quello successivo, e poi un altro ancora fino a che la tunica si socchiuse lasciando intravedere la pelle colore del latte. La spostò con un movimento delicato delle dita, facendola scivolare da un lato, scoprendo una spalla. Ancora una volta rimase a contemplare il gioco di contrasti: capelli neri, pelle bianca, occhi neri, labbra porpora, il rosa cupo di un capezzolo. Lo sfiorò con la punta di un dito, circondandolo lentamente fino a che non lo sentì indurirsi.

 

Potrei farti venire solo così, toccandoti in questo modo...

 

Si accorse che Erestor aveva smesso di succhiare e lo guardò mentre con le sue dita ancora in bocca si lasciava andare completamente. Sfilò le dita dalla sua bocca e contemplò le labbra umide: gli bastò quell’immagine, così intensa e decadente, per fargli quasi perdere il controllo. Ma lui sapeva controllarsi, lo sapeva fare benissimo per il piacere del suo Consigliere. Fece scivolare la tunica anche dell’altra spalla e con il dito bagnato sfiorò l’altro capezzolo, pizzicandolo leggermente con le unghie. Erestor li sentì, sensibilissimi, indurirsi entrambi e un formicolio familiare irradiarsi fino all’inguine; inarcò la schiena istintivamente. Risucchiò l’aria e si morse il labbro fino a che non sentì il sapore di una goccia di sangue; nello stesso istante, Glorfindel aumentò con forza la pressione sul capezzolo e sentì la propria erezione pulsare: avvertiva il dolore e il piacere di Erestor dentro di sé, così come Erestor sentiva le sue sensazioni.

 

Ti sento, ti sento meleth-nîn, sento quello che stai provando, lo sento dentro di me.

 

Erestor abbassò lo sguardo e vide i capezzoli arrossati e induriti tendersi dal petto del suo amante; allungò le dita per sfiorarne uno e subito la sensazione si riflesse su di lui. Spinse le spalle contro il muro e inarcò il bacino, spingendo fianchi in avanti e divaricando leggermente le gambe, in una posizione di totale sottomissione che aveva imparato molto tempo addietro

 

Toccami, ‘Fin, ti prego... ne ho bisogno….

 

Lo so, lo sento… non puoi aspettare ancora molto vero?

 

No… oh….

 

Erestor abbassò la mano e la portò in mezzo alle gambe di Glorfindel, iniziando a massaggiarlo lentamente;  vide le prime gocce del suo seme inumidire il tessuto leggero dei gambali formando una macchia scura e sfiorò il pollice in quel punto. Sentì su di sé la sensazione della stoffa ruvida sfregare contro la pelle tesa e sensibilissima e nella sua mente udì distintamente il gemito uscire dalle labbra di Glorfindel.

Aveva disperatamente bisogno di lui, avrebbe supplicato ancora, se fosse stato necessario. Sentì una mano afferrargli il polso. Glorfindel ora era a pochi centimetri da lui, il calore della sua pelle era intenso, vide piccole gocce di sudore luccicare sulla sua pelle.

 

“Non. Ci. provare.” La voce questa volta era reale. “Lo sai chi comanda in questo gioco.”

 

Erestor si staccò dal muro in un gesto di sfida; si leccò le labbra asciutte e fissò ancora più intensamente Glorfindel: i suoi occhi azzurri erano diventati cupi per il desiderio. La forza di quello sguardo lo ricacciò contro il muro. Nel silenzio totale della stanza, le loro volontà si stavano incontrando e scontrando ancora una volta, in una lotta per la supremazia che spesso li lasciava esausti per ore.

 

All’improvviso, senza rendersene conto, Erestor sentì il corpo del suo amante contro di lui, la sua erezione premere contro l’inguine; cominciò a muoversi istintivamente contro di lui. Le mani di Glorfindel lo afferrarono per i glutei e lo guidarono nel movimento, aumentando l’attrito, mentre la sua bocca lo reclamava in un bacio possessivo; lasciò che la sua lingua scivolasse nelle bocca di Glorfinde  e non riuscì a controllare un mugolio indistinto quando l’altro iniziò a succhiarla come se lo stesse prendendo con la bocca.

 

Immagina che sia dentro di te, ‘Res. Immagina che stai guardando quello ti sto facendo. Lo senti? Mentre mi muovo dentro di te?

 

Sì.. ancora, non ti fermare.. ancora…. Sono sopra di te… ti sento… non ti fermare…

 

Glorfindel percepì le parole di Erestor trasformarsi nella sua carne, lo sentì stringerlo, prenderlo e rilasciarlo; lo sollevò contro la parete nuda e sentì le lunghe gambe chiudersi intorno ai sui fianchi; si mosse più velocemente, spingendolo con violenza contro il muro mentre con la lingua continuava a simulare le immagini che la sua mente trasferiva a quella di Erestor.

Erestor non si rese conto della parete ruvida che gli graffiava la schiena, non sentiva la barriera degli abiti fra di loro, solo il corpo di Glorfindel che spingeva contro il suo e la propria erezione che pulsava, gonfia e dolorante. Cercò di portare una mano in mezzo a loro, voleva toccare Glorfindel, voleva che lo toccasse. All’improvviso Glorfindel si fermò e lo afferrò per i capelli, costringendolo a piegare la testa all’indietro.

 

No... ti prego, non ti fermare... non posso...

 

Oh, certo che puoi. Tu vieni quando lo decido io.

 

Sì, ‘Fin...

 

Glorfindel rimase a contemplare l’immagine di fronte a sé: il petto che si abbassava e rialzava velocemente, la curva del collo piegato all’indietro in un angolo quasi innaturale, le labbra socchiuse; appoggiò una mano sul ventre e con il pollice sfiorò i morbidi ricci scuri del pube che si intravedevano là dove i pantaloni si erano abbassati. Sentì le cosce di Erestor contrarsi attorno ai suoi fianchi.

 

Mio....

 

Si rese conto che non poteva più aspettare. Appoggiò le labbra sulla vena del collo e cominciò a succhiare delicatamente, sentendo le pulsazioni impazzite del sangue. Riprese a muoversi, spingendo il proprio sesso contro quello di Erestor; lo sentì gemere. O forse era lui che stava gemendo. Con la mano libera riuscì a sciogliere i legacci dei pantaloni, poi afferrò la mano di Erestor e la guidò a chiudersi intorno alle loro erezioni, l’avvolse con la propria e iniziò a muoverle, lentamente ma con forza.

 

Ora, Res, ora...

 

Nel momento preciso in cui quelle parole entrarono nella sua mente, Erestor sentì un’ondata di calore intenso irradiarsi dai lombi, e un’altra, e poi un’altra ancora fino a che il suo corpo non fu scosso dai sussulti di un orgasmo che per un istante gli fece quasi perdere i sensi; Glorfindel si abbandonò a quella sensazione lasciando che il proprio corpo rispondesse al richiamo del suo amore. Chiuse gli occhi soffocò un grido sulla pelle umida di Erestor, mentre un calore bagnato gli inondava il ventre.

 

Rimasero fermi per un tempo lunghissimo, cercando di riprendere il controllo del proprio respiro, Erestor contro il muro, con le gambe ancora avvinghiate ai fianchi di Glorfindel; Glorfindel completamente abbandonato su di lui, la bocca premuta contro l’incavo del collo.

 

“Dovremmo... darci una sistemata... e... accogliere la delegazione.” Glorfindel si staccò un poco per permettere ad Erestor di rimettersi in piedi, ma nel momento in cui lo lasciò, Erestor si rese conto le gambe non erano ancora in grado di leggerlo.

 

“’Res....” Glorfindel lo afferrò e lo tenne fra le braccia.

 

“Non mi lasciare, ‘Fin.”

 

Glorfindel sentì in quelle parole una richiesta che andava al di là della necessità del momento; aumentò la stretta intorno al corpo di Erestor e lo baciò sulla fronte.

 

“No, mai, seron vell.”

 

***

 

Da quel punto l’Anduin presentava uno spettacolo da togliere il fiato, bello e terrificante allo stesso tempo, con la corrente violenta che lo faceva ribollire di schiuma.

Faramir osservò i pezzi di rami schiantarsi contro le rocce che fuoriuscivano dall’acqua; era il tramonto e i colori del cielo si riflettevano nelle acque cupe facendole sembrare cariche di sangue.

Quelle acque turbinanti e in perenne movimento erano lo specchio della sua anima tormentata.

 

Erano passati quasi due mesi da quando era stato ferito e, sebbene le ferite sul corpo fossero ormai completamente guarite, qualcosa, all’interno della sua anima, si ribellava a qualsiasi cura.

Aveva passato il primo periodo della sua convalescenza a fare domande e ad ottenere risposte, sempre le stesse, sempre stranamente troppo uguali fra di loro. Ad un certo punto aveva smesso di chiedere, ma dentro di sé sapeva che qualcosa ancora mancava, qualcosa che non lo faceva dormire di notte, che lo rendeva insofferente, che lo faceva odiare con troppa facilità; qualcosa che lo faceva svegliare all’improvviso, urlando, in preda ad incubi che non riusciva a ricordare. Solo un’immagine rimaneva impressa nella sua mente: c’era acqua.

Scacciò il brivido che sempre gli provocavano quei pensieri e si preparò a rientrare.

Quella sera, insieme agli altri, avrebbero incontrato la delegazione di Rohan.

 

“...ti stavo cercando...”

 

Si girò di scatto, colto di sorpresa dalla voce inattesa e sorrise debolmente.

 

“Èomer... mi hai fatto spaventare.”

 

“Scusami... non era mia intenzione, è solo che ero preoccupato.”

 

Faramir notò che Èomer non gli si era avvicinato e lo guardava indeciso. Allargò le braccia.

 

“Vieni qui.”

 

Vide il sollievo sul volto dell’altro mentre, senza parlare, si avvicinava a lui. Lasciò che Èomer gli appoggiasse la testa sulla spalla e lo baciò sulla fronte.

 

“Mi sei mancato.”

 

Èomer sorrise. E allora perché sei stato lontano tutto il giorno?  Ma tenne la domanda per sé, sapendo che avrebbe innescato un’altra inutile discussione.

 

“Anche tu...”

 

“Vieni, rientriamo. Non vorrai fare aspettare la tua delegazione.”

 

Èomer lo guardò e sorrise. Per quello che me ne importa, sei tu l’unico di cui mi interessa, perché non vuoi capirlo?

 

Tornarono lentamente verso il castello, senza parlare, ognuno perso nei propri pensieri.

 

Èomer era rimasto per lui. Aveva lasciato Rohan nelle mani capaci di Eowyn e aveva rimandato il proprio ritorno nella speranza di potere, un giorno, rientrare da Re accanto all’uomo che amava.

Era stato un periodo terribile, ma anche bellissimo: il ritorno alla normalità, per Faramir, era stato lento e faticoso, al dolore fisico si accompagnava l’angoscia di qualcosa che lo turbava profondamente, qualcosa che lui, Èomer, conosceva fin troppo bene, ma aveva il terrore di rivelare per paura che il fragile equilibrio che Faramir aveva faticosamente raggiunto andasse in mille pezzi.

Avevano lottato insieme, lo aveva accudito, curato, stretto fra le braccia quando si svegliava urlando in preda agli incubi, aveva risposto a tutte le sue domande, pazientemente, e, sempre con infinita pazienza aveva accettato i suoi sbalzi di umore, gli scatti di rabbia, i momenti di smarrimento.

 

Faramir era cambiato, o, almeno, una parte di lui era cambiata e di questo Èomer si sentiva responsabile. Tenergli nascosta la verità, su quello che aveva visto, su quello che l’Uruk-hai gli stava facendo prima che la freccia di Legolas lo uccidesse, lo faceva sentire in colpa. Si era trovato un’infinità di volte sul punto di dirgli tutto, soprattutto dopo una lite violenta: voleva gettargli addosso la verità per farlo soffrire come lui soffriva in quei momenti. Ma gli bastava guardare in quegli occhi stravolti per capire che le esplosioni di rabbia erano qualcosa che non poteva controllare. Alla fine, si ritrovavano esausti, increduli per quello che era successo, come se le parole terribili e i gesti violenti che si erano scambiati poco prima facessero parte di uno spettacolo di cui loro erano stati solo spettatori. In quei momenti, l’amore che provava per lui, aveva un’intensità quasi fisica, dolorosa e tremendamente sensuale allo stesso tempo. E allora si lasciava andare completamente, lasciava che Faramir lo prendesse, lo toccasse, facesse l’amore con un misto di rabbia e passione; aveva scoperto di desiderare quei momenti in cui il sesso era un terreno di lotta tanto quanto desiderava i momenti in cui facevano l’amore teneramente, in riva al fiume o nel grande letto che ormai condividevano. Aveva lasciato che fosse sempre Faramir a prenderlo, non aveva mai preteso il contrario per il terrore che un gesto del genere potesse all’improvviso risvegliare quella parte di memoria che sembrava, per grazia dei Valar, essersi cancellata per sempre.

 

Faramir si fermò all’improvviso, afferrò Èomer per le spalle e lo girò verso di sé; vide lo sguardo preoccupato e lontano e notò che aveva la fronte aggrottata.

 

“A cosa stai pensando?”

 

Che ho paura.

 

“Non so cosa dire questa sera, non so cosa si aspettano da me, non—“

 

“Io sono con te, qualsiasi decisione prenderai. Non ti lascio, Èomer.”

 

Per un attimo Èomer si chiese se quelle parole fossero frutto della sua immaginazione, della stanchezza forse, ma Faramir era lì di fronte a lui, lo stava guardando e, per una volta, i suoi occhi erano limpidi, senza traccia di angoscia.

 

“Che cosa vuoi dire?” Sentì le mani di Faramir stingersi intorno alle sue spalle e poi scivolare lungo la schiena, attirandolo più vicino.

 

“Che non ti lascio: se torni a Rohan, verrò con te. Ho riflettuto molto; forse ci sarà sempre un angolo della mia mente che mi farà agire come un pazzo egoista, ma tu sei la mia salvezza, fino a che siamo insieme, sento che potremo superare tutto.” E, forse, un giorno, ti fiderai abbastanza di me per dirmi cosa ancora mi tieni nascosto.

 

Si rese conto che intendeva ogni singola parola di quello che aveva detto e sperò che Èomer facesse lo stesso.

 

“Io... io voglio rimanere con te, non mi importa dove...” Èomer sentì la propria voce tremare per l’emozione ma non cercò di controllarla; aveva sognato quelle parole così a lungo...

 

“Torneremo a Rohan: la tua gente ha bisogno di te e tu di loro. Non sei felice qui, e nemmeno io. Torniamo a Rohan, ricominciamo da lì.”

 

Avrebbe voluto dire altro, avrebbe voluto dire che lo amava ma senza rendersene quasi conto si ritrovò a terra, con il corpo di Èomer premuto contro di lui.

 

“Torneremo a Rohan, Faramir, insieme, ma per il momento, credo che i delegati dovranno aspettare il loro Re un po’ più del previsto.”

 

Si spogliarono senza parlare, guardandosi negli occhi, si rotolarono nell’erba umida come due ragazzini, ridendo, sentendosi liberi da un peso per la prima volta dopo tanto tempo; Èomer lasciò che Faramir gli divorasse la bocca, lasciò che le sue labbra lo accarezzassero ovunque, lasciò che i propri gemiti risuonassero nel silenzio del bosco, e, quando sentì la punta della lingua toccarlo, bagnandolo lentamente, per prepararlo, lasciò che la propria mano scivolasse in mezzo alle cosce, accarezzandosi, offrendosi allo sguardo del suo compagno.

Fecero l’amore così, a pochi passi dal castello, incuranti del fatto che chiunque li avrebbe potuti vedere. Nel momento in cui Èomer arrivò al culmine, sentì Faramir venire dentro di lui e lo attirò a sé, in un bacio disperato. Sentì il sapore salato delle loro labbra e si chiese se fossero le sue lacrime o quelle di Faramir. Ma, in fondo, cosa importava?

 

***

 

Legolas uscì dall’acqua, strizzò i capelli con le mani e si avvolse in un telo morbido.

La conversazione con Erestor lo aveva in una certa misura tranquillizzato. Suo padre lo amava ancora, e questo, per lui, era la cosa più importante. Gli avrebbe scritto, sapeva già cosa scrivergli. Gli avrebbe chiesto perdono e il permesso di fargli visita.

Rimanere un po’ con Erestor e parlare con lui lo aveva riportato indietro nel tempo, quando, ancora piccolo, si rivolgeva a quello che una volta era il migliore amico di suo padre per chiedere un consiglio o per una semplice chiacchierata.

Legolas non aveva conosciuto sua madre, che era morta dandolo alla luce, ma aveva di lei dei racconti bellissimi e molto dolci, mutuati dalle parole di suo padre e di Erestor, che lo avevano allevato e gli avevano insegnato ad amare quella creatura coraggiosa che, per lui, aveva sacrificato la propria vita.

Era cresciuto con l’amore di due uomini, legati da un profonda amicizia, e non si era mai sentito diverso da chi aveva una famiglia cosiddetta “normale”. Quando Erestor era partito per Rivendell, per cercare di ricucire una frattura profonda fra Mirkwood e Imladris, Legolas aveva sofferto profondamente, ma aveva capito la necessità di quella scelta e quando, molti secoli dopo, si erano ricongiunti, gli era sembrato che una parte di sé tornasse finalmente al proprio posto.

Erestor aveva accettato senza condizioni la sua scelta di rimanere a Minas Tirith, accanto ad Aragorn. Suo padre no.

 

Si sedette di fronte allo specchio e lasciò che il telo scivolasse dal suo corpo raccogliendosi intorno ai fianchi. Studiò la propria immagine riflessa e notò le ombre scure sotto gli occhi e il viso scavato; appoggiò le mani sul volto e cercò di sorridere; una ruga profonda gli attraversò la fronte.

 

Improvvisamente sentì un soffio caldo sulla schiena nuda; alzò gi occhi e vide che Aragorn, fermo sulla porta della loro camera, lo stava guardando con un sorriso pieno di tenerezza.

 

“Da quanto tempo mi stai spiando?”

 

Aragorn sorrise e si avvicinò.

 

“Da troppo poco...”

 

Legolas si girò verso di lui dando le spalle allo specchio. Per un attimo Aragorn rimase inebriato dall’immagine di fronte a lui. Legolas lo guardava, con i suoi occhi azzurri sereni e fiduciosi, il telo bianco attorno ai fianchi, che lo copriva appena.

Si avvicinò e si inginocchiò di fronte a lui, lasciando che quell’immagine pura, perfetta e involontariamente sensuale, entrasse nella sua mente, scacciando tutti i pensieri negativi che lo avevano accompagnato fino a quel momento. I capelli colore del grano ricadevano in avanti bagnati incorniciando quel viso che tanto amava.

 

Senza parlare, accarezzò con il pollice le labbra socchiuse. Vide che gli occhi di Legolas erano fissi nei suoi e il colore era diventato blu cupo.

Aragorn sentì la disperazione montare dentro di lui; si chiese quante notti ancora sarebbero stati lontani, se tutto quello aveva un senso.

La mano di Legolas si appoggiò leggera sui suoi capelli.

 

“Lo so. Ma è così che deve essere.”

 

In silenzio, Aragorn sfilò l’asciugamano bagnato dai fianchi di Legolas e, delicatamente, gli allargò le gambe. Lasciò che le proprie dita sfiorassero appena l’interno delle cosce umide e, sempre senza parlare, posò la bocca sulla sua carne delicata, appena vicino all’inguine.

Chiuse gli occhi cercando, per un solo istante, di dimenticare tutto.

 

 

***

Elvish:

Minno = avanti

Pen-dithen = piccolo mio

Hannon le, mellon-nin = grazie, amico mio

Meleth-nîn = amore mio

Seron vell = caro amore