.|. The End .|.

Warning: lacrime e sesso. Molto di tutti e due. È un periodo che mi gira così...

Capitolo Otto

~

I corridoi del palazzo erano bui e freddi. Un vento gelido aveva iniziato a soffiare spazzando via le nubi e la pioggia, ma, da quel lato del castello, la luna rimaneva nascosta.

Aragorn si chiuse alle spalle la pesante porta di legno della camera nuziale; avrebbe voluto seppellirvi anche il tempo che vi aveva trascorso e quello che aveva dovuto fare, ma sapeva che non era possibile.
Si appoggiò pesantemente alla porta e respirò a fondo l’odore del mare portato dal vento, nel tentativo di cancellare quello di sudore e profumo e sesso senza passione che si sentiva appiccicato addosso.
Ancora una volta aveva assolto al suo dovere e pregò in silenzio i Valar che quella fosse la volta buona.
Non poteva andare avanti così, non per molto ancora; non aveva senso riempirsi di ascalesia* per eccitare i sensi e di Miruvor per non pensare...
In realtà non aveva senso nulla di quello che stava accadendo.

Scacciò quel pensiero desolante dalla mente e si diresse verso l’ala opposta del palazzo: come ogni volta, avrebbe cercato di dimenticare fra le braccia di Legolas. Fra poche ore sarebbe spuntato il sole e lui aveva bisogno di sentirselo contro la pelle per riuscire ad affrontare un nuovo giorno.

Si passò una mano nei capelli prima di entrare, e cercò di darsi un’aria tranquilla.
La visione che lo accolse entrando nella camera lo bloccò sulla soglia.
Legolas dormiva nel centro del loro grande letto, sdraiato su un fianco, con la schiena rivolta verso di lui.
La luna che entrava dalle finestre spalancate lo illuminava di una luce bianca che faceva sembrare la sua pelle color avorio quasi trasparente.
Non indossava nulla; i capelli ricadevano sul cuscino e, in parte, sul braccio piegato sotto il viso.
Per un attimo, ad Aragorn ricordò una delle statue di marmo che abitavano il centro della fontana del giardino reale, perfette e immobili, anime congelate di creature remote di cui ora esistevano solo le leggende tramandate.
Si avvicinò lentamente al letto, con la paura di vedere svanire l’incanto di quell’immagine di pura bellezza.
Sembrava così sereno, Legolas, nel sonno. Perfino la piccola ruga che da tempo gli solcava la fronte era sparita. Il suo viso era rilassato, immobile, riscaldato da un accenno di sorriso.

Senza pensarci, si ritrovò ad accarezzare un braccio, seguendone il profilo con un dito. Si rese conto di quanto lo desiderava. Le ore passate con Arwen non riuscivano a distruggere la voglia che, sempre, aveva di fare l’amore con lui.
Si piegò e baciò delicatamente una spalla, lasciando che la punta della lingua indugiasse per un breve istante sulla sua pelle; chiuse gli occhi assorbendone il sapore.
In silenzio, si sdraiò dietro di lui e lo circondò con un braccio, affondando il viso nei suoi capelli: avevano il profumo intenso del bosco.
Un piccolo movimento lo scosse dallo stato di torpore in cui stava lentamente scivolando.
Strinse ancora di più le braccia intorno al corpo addormentato cercando di assorbire un po’ del suo calore.
Cominciò a sfiorare lentamente la pelle del braccio con la punta della dita, su e giù, con un movimento leggero.

“I mela min, Legolas.” Solo un sussurro.

Di colpo lo sentì irrigidirsi fra le sue braccia e si chiese se fosse per l’aria fredda che entrava nella stanza. Ma gli Elfi silvani non soffrivano il freddo, non come gli Uomini almeno.

“Smettila di trattarmi come se fossi una bambola di vetro.”

La frase, pronunciata con voce leggermente strascicata ma secca, lo colpì come un pugno allo stomaco. La mano con cui gli stava accarezzando il braccio si fermò di colpo e, all’improvviso, sentì freddo in tutto il corpo.

Le finestre sono aperte...

Ci mise qualche istante per recuperare coerenza e quando si concentrò nuovamente su di lui, si accorse che Legolas aveva girato la testa nella sua direzione e lo stava guardando con gli occhi socchiusi. Non lo aveva mai visto così...

“Legolas, cosa....”

“Non mi hai sentito? Ti ho detto: SMETTILA DI TRATTARMI COME UNA MALEDETTA BAMBOLA DI VETRO!”

Nel pronunciare quella frase rabbiosa, Legolas si era alzato di scatto, e ora si trovava in ginocchio, di fianco a lui, con il corpo spinto in avanti come quello di un animale pronto all’attacco.
I capelli gli ricadevano in avanti, coprendogli in parte il volto, ma ad Aragorn non sfuggì l’espressione annebbiata e il vago odore di alcol.

Miruvor... Legolas non beveva quasi mai.

Si alzò a sedere e si trovò a fronteggiarlo. Una strana rabbia si stava lentamente impossessando di lui e, anche se sapeva perfettamente che non aveva alcun diritto di arrabbiarsi, non riusciva a fare a meno di sentirsi ferito da quell’improvviso scatto d’ira.
Lo fissò cercando di non lasciarsi vincere dalle emozioni.

“Hai bevuto....” Il tono era più accusatorio di quello che avrebbe voluto.

Legolas lo guardò per un istante, come se fosse impazzito, poi scoppiò a ridere, buttando indietro al testa. Poi, com’era arrivato, lo scoppio di risa sparì e tornò a fissarlo, con gli occhi resi cupi da qualcosa che Aragorn non riusciva a definire.

Rabbia.

“Mi chiedi se ho bevuto? Che diritti hai di chiederlo? Certo che ho bevuto! Miruvor. E vino, e birra dei Nani. Ah! E l’ascalesia, quella tua fantastica erba che usi per non deludere Arwen a letto. È un fantastico antidoto alla solitudine e alla disperazione. Lo sapevi questo?”

“Legolas! Ma cosa—“

Ma ormai Legolas non lo ascoltava più. Un fiume di parole, mutuate dalla rabbia e dalla frustrazione e rese più facili dall’alcol cercava la sua strada fuori dalla costrizione della gola e, questa volta, non le avrebbe fermate.

“Cosa mi succede? È questo che vuoi sapere, vero? Vuoi sapere perché all’improvviso il tuo silenzioso e condiscendente concubino si comporta come un amante tradito?”

Si fermò all’improvviso. Qualcosa nello sguardo ferito e incredulo di Aragorn gli diceva di smetterla con questa follia prima che fosse troppo tardi. Ma non poteva farlo. Non riusciva. Ormai era già troppo tardi...

“Perché è così che mi sento. Perché è quello che sono. Una meravigliosa scopata per la notte. Il tuo piccolo sporco segreto durante il resto del tempo.”

Aragorn lo guardò alzarsi e muoversi con passi nervosi intorno al letto. Non riusciva a credere a quelle parole che lo ferivano più di qualsiasi arma, di qualsiasi veleno, di qualsiasi cattiveria mai uscita dalla bocca di Arwen.
Legolas non era mai stato per lui un piccolo sporco segreto: non aveva mai nascosto a nessuno il suo amore incondizionato per l’Elfo e la sua scelta era stata fatta di comune accordo, ed era una scelta necessaria, per assolvere ad un compito ingrato ma imprescindibile.
Sentì gli occhi bruciare, non sapeva se per le lacrime o per la stanchezza. Guardò Legolas fermarsi all’improvviso, i pugni serrati, gli occhi febbricitanti e il petto che si alzava e abbassava velocemente. Poi, mentre ancora cercava di farsi una ragione di quello che stava succedendo, se lo trovò addosso, a cavalcioni su di lui, la bocca premuta con violenza contro la sua e le braccia che lo spingevano con forza contro i cuscini.
Si perse ancora una volta in quegli occhi colore del cielo e si chiese quale maledizione si stesse impossessando di loro.
Rimasero a lungo in silenzio, Legolas sopra di lui, con le mani conficcate nelle sue spalle per tenerlo immobile, fissandosi, come se si vedessero per la prima volta.

“Scopami Aragorn!”

“Ma cosa ti prende? Sei impazzito?”

Aragorn cerò di sollevarsi: voleva afferrarlo, scuoterlo, schiaffeggiarlo se era necessario; ma la morsa di Legolas era troppo forte. Lo fissò duramente.

“Hai capito benissimo. Voglio che mi scopi. Adesso.”

Prima che se ne rendesse conto, Aragorn si trovò a succhiare avidamente la lingua che Legolas gli spingeva in bocca, mentre i suoi vestiti venivano strappati. Sentì i denti graffiargli la pelle del collo, mordergli la carne, poi, una fitta di dolore improvvisa mentre la bocca di Legolas si chiudeva su un capezzolo, morsicandolo e succhiandolo.

“Legolas! Fermati!”

L’Elfo si fermò un istante, troppo abituato ad obbedire al suo re, con le labbra gonfie e bagnate, la pelle arrossata e i capelli scomposti sul viso. Aragorn sentì una fitta di desiderio, violento, attraversargli il corpo.
Se è questo che vuoi...

Senza parlare, lo afferrò per la nuca e lo trascinò ancora contro di sé, divorandogli le bocca.
Non si erano mai comportato così: facevano l’amore in modo travolgente e senza vergogna, ma questa volta c’era qualcosa di diverso, qualcosa che andava oltre il desiderio.

Si accorse appena dei pantaloni che venivano sfilati, troppo perso in un mare di sensazioni del tutto nuove. Sembrava che il suo corpo agisse di propria volontà sottraendosi alla ragione. Aveva il fuoco dentro, e voleva che Legolas lo toccasse ancora, lo prendesse in bocca, voleva prenderlo e scoparlo, e venire dentro di lui. Si morse un braccio con forza per soffocare i gemiti mentre Legolas, chino su di lui, sfiorava la punta del sesso con le labbra, bagnandole con le prime gocce del suo seme, spingendo la punta della lingua dentro la piccola fessura, muovendola leggermente, facendogli perdere la testa. Le sue mani lo stavano toccando come mai avevano fatto, stringendogli i testicoli fino a quasi fargli male, per poi lasciare la presa e tornare a massaggiarli delicatamente.
All’improvviso Legolas si fermò. Aragorn aprì gli occhi e lo guardò, incapace di parlare.
Legolas lo sovrastava, le ginocchia divaricate ai lati dei suoi fianchi, mentre, con una mano, cominciava ad accarezzarsi in mezzo alle gambe, sfiorandosi l’inguine, le cosce, accarezzandosi con il pollice un capezzolo fino a farlo diventare duro e teso. Chinò la testa di lato e lo guardò attraverso gli occhi socchiusi, uno strano sorriso sulle labbra.

“Mi vuoi, vero, Aragorn?” La voce era roca per l’eccitazione, bassa come di chi ha gridato o pianto per un tempo lunghissimo.
Aragorn rimase a guardarlo, completamente catturato in quell’immagine divina e terrificante allo stesso tempo. Quello non era il suo Legolas....

“S...sì...”

Lo voleva, disperatamente. Sentiva il sangue pulsare all’impazzata, gonfiandogli il sesso, facendolo diventare ancora più duro; se solo lo avesse toccato, se solo lo avesse sfiorato ancora una volta, sarebbe venuto senza nemmeno provare a trattenersi.
Spinse i fianchi verso l’alto e allungò una mano verso quella di Legolas ma una morsa di ferro lo bloccò a metà strada. Legolas si portò la sua mano al viso ve la tenne per un momento brevissimo e i suoi occhi si fecero improvvisamente freddi.

“Hai ancora il suo odore addosso.”

Senza aggiungere una parola, gli afferrò il sesso fra le mani e si impalò su di lui.
Aragorn rimase senza respiro mentre un urlo agghiacciante usciva dalla bocca di Legolas. In quel grido, il re sentì tutto il dolore, la rabbia e la disperazione che da troppo tempo laceravano il cuore dell’Elfo. Poi, senza più emettere un suono Legolas cominciò a muoversi su di lui, veloce, risucchiandolo e rilasciandolo.
Avrebbe voluto fermarlo, staccarlo da lui e prenderlo fra le braccia ma i movimenti frenetici, il ritmo forsennato, i muscoli che si stringevano intorno al suo sesso fino quasi a fargli male lo stavano portando troppo in fretta al culmine. Gli afferrò i fianchi con forza, cercando di guidare quei movimenti, di renderli meno violenti, sapeva che il giorno dopo avrebbe visto i segni sulla pelle candida di Legolas, ma non gli importava: vedeva il dolore stravolgere i lineamenti dell’Elfo mentre si muoveva su di lui, e avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per farlo cessare.

Legolas si sentiva lacerato, spaccato in due da quella penetrazione violenta, che aveva voluto, così, senza alcuna preparazione. Ma voleva fargliela pagare per quello che gli stava facendo, e voleva farla pagare a sé stesso per averlo accettato così troppo a lungo quella situazione.
Sentì le mani di Aragorn chiudersi spasmodicamente intorno ai sui fianchi mentre innalzava il bacino per spingersi dentro di lui un’ultima volta. Sentì il grido di Aragorn mentre veniva dentro di lui e lasciò che l’orgasmo lo trasportasse per un momento lontano dalla realtà.
Poi finì tutto e all’improvviso Legolas si sentì svuotato di tutto.
Crollò sul corpo esausto di Aragorn, scosso da un tremito che non riusciva a controllare e lasciò che le sue braccia forti lo stringessero mentre inutilmente, cercava di soffocare i singhiozzi.

***

Per essere uno che aveva sempre considerato il sonno una perdita di tempo, Erestor aveva spesso peccato un po’ troppo di indulgenza verso quel vizio che considerava così tipico degli Uomini.
Ma, da quando divideva il letto con Glorfindel, aveva scoperto che sensazione meravigliosa fosse addormentarsi rannicchiato contro il suo corpo caldo e svegliarsi nel cuore della notte, sentendo il suo respiro regolare accarezzagli in collo. Cercava di rimanere sveglio il più possibile, assorbendo ogni istante dolce e meraviglioso e sentiva una sensazione strana e piacevole, come uno sfarfallio, alla bocca dello stomaco. Si sentiva protetto e amato come mai gli era capitato in tutta la sua lunga esistenza.
Ma quella notte non riusciva a dormire.
Il temporale era cessato e il vento fischiava fra gli alberi e faceva gonfiare le pesanti tende della camera.
Si districò delicatamente dal groviglio di gambe, braccia e lenzuola e si fermò per un attimo a contemplare il suo bellissimo compagno. Sembrava così giovane con gli occhi chiusi e i capelli arruffati; ma quando era sveglio, quando i suoi profondi occhi azzurri erano aperti e vigili, allora tutta l’esistenza di Glorfindel, le sue vittorie, le sue sconfitte, erano, per Erestor, narrate come in un libro aperto. Sorrise e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte, accarezzando dolcemente quel volto che amava più della sua stessa vita.
Poi, si alzò piano, indossò una vestaglia leggera e si diresse verso la balconata che guardava sull’Anduin.
Il vento gelido lo investì all’improvviso, facendolo rabbrividire; si strinse nella vestaglia pensando a quante sciocche leggende esistevano sugli Elfi e sulla loro resistenza al freddo. La gente conosceva così poco di loro eppure pretendeva di sapere tutto.

Gli eventi di quella sera lo avevano profondamente scosso e, nonostante Glorfindel avesse tutte le ragioni nel dire che perdeva il senso della realtà quando si trattava di Legolas, dentro di sé, Erestor non riusciva a non pensare alla sensazione di sconfitta che aveva colto nell’atteggiamento stranamente remissivo del giovane Elfo.
Quello non era il Legolas che conosceva e che affrontava tutto con un coraggio che rasentava spesso l’incoscienza. Era spaventato, terrorizzato da una situazione che non aveva vie d’uscita. E la cosa peggiore era che lui, Erestor, questa volta non sapeva cosa fare.
E l’impotenza era, per lui, la cosa più frustrante delle sensazioni.
Sospirò pesantemente e chiuse gli occhi, rivolgendo una preghiera silenziosa ai Valar perché proteggessero colui che amava come un figlio.

Dalla sua posizione, Glorfindel poteva vedere la figura di Erestor stagliarsi contro il cielo argenteo, alta e solenne, perfetta nella sua inconsapevole sensualità. Si era accorto della sua assenza quasi subito, come succedeva sempre, ogni volta che i loro corpi si staccavano, ma aveva finto di dormire lasciando al suo compagno qualche attimo per sé. Sapeva bene cosa lo turbava ma sapeva anche che Erestor aveva ancora qualche difficoltà a condividere con lui i propri sentimenti su Legolas, forse per paura di sembrare esageratamente protettivo, cosa che, per altro, lui gli aveva a volte rimproverato.
Non era geloso di Legolas, ben inteso: si era affezionato anche lui al giovane Sinda in un modo che non avrebbe mai pensato possibile, ma dentro di sé sapeva che, un giorno, le loro strade si sarebbero separate e temeva il dolore che avrebbe provato Erestor allora.
Ma quella sera l’angoscia di Erestor era anche la sua; aveva riconosciuto nel pallore quasi mortale di Legolas, nei suoi occhi troppo assenti, nelle sue mani fredde i sintomi che, purtroppo, conosceva bene: quelli di chi si sta lentamente arrendendo alla Morte degli Elfi.

Riportò la sua attenzione alla figura solitaria di fronte a lui e rimase a contemplarla per un lungo istante, perdendosi in quelle ciglia lunghissime e nella pelle di alabastro.
Decise che aveva aspettato troppo, si alzò dal letto e uscì sul balcone, senza curare di coprirsi: amava il freddo e non temeva gli sguardi indiscreti di qualche ospite curioso che a quell’ora improbabile della notte si fosse trovato a guardare proprio nella sua direzione.
Senza parlare, si portò dietro Erestor e lo strinse fra le braccia.

“Qualcuno non riesce a dormire...”

Erestor sorrise e si sentì improvvisamente meglio, circondato dal calore del corpo di Glorfindel. Si accomodò meglio contro quel corpo possente e lo sentì subito rispondere al contatto.

“Niente di che, ‘Fin, mi dispiace di averti svegliato.” Non era vero, si rese conto che invece aveva voluto con tutte le sue forze che Glorfindel si svegliasse e venisse da lui, a confortarlo.

“Sai che non riesco a dormire quando non ci sei...”

“Davvero?? Chissà quante notti in bianco allora mentre sei di pattugliamento... o devo pensare che ci sia qualche giovane Elfo pronto a scaldarti il letto al posto mio?”

Amava stuzzicarlo in questo modo, era un gioco che facevano spesso e che aveva una sola, inevitabile conseguenza. E i solo i Valar sapevano quanto, in quel momento, avesse bisogno di quella conseguenza.

Delicatamente Glorfindel spostò la massa di capelli da una parte e con un dito fece scivolare la vestaglia di un poco, scoprendo appena una spalla. Sfiorò la pelle con un bacio leggero e sorrise fra sé quando lo sentì rabbrividire fra le braccia.

“Hai freddo? Vuoi rientrare?”

Erestor scosse leggermente il capo. Quella strana situazione gli stava dando rapidamente alla testa.
La mano di Glorfindel si appoggiò sul suo ventre e si mosse appena, accarezzandolo, seguendo la leggera incurvatura e sfiorando con piccoli movimenti del pollice la pelle morbida.
Erestor sentì le lacrime salire agli occhi per quel gesto così intimo che aveva un significato profondo, noto solo a loro.
Poi la mano risalì lentamente fino a che non incontrò la piccola protuberanza di un capezzolo. Iniziò a massaggiarlo quasi distrattamente.
Fin sentì subito il corpo di Erestor tendersi e la carne indurirsi e gonfiarsi sotto le sue dita.
Capì dal respiro sempre più pesante di Res e dal modo in cui, involontariamente, muoveva i fianchi contro di lui di cosa il suo amore aveva bisogno.
Morse leggermente la punta dell’orecchio, sapendo che non avrebbe fatto altro che amplificare l’eccitazione.

“Ti piace così, vero 'Res?” Appena un sussurro, ad accarezzargli la pelle del collo. Erestor sentì le ginocchia cedere e si chiese quanto avrebbe resistito.

“Sì.. così...”

Si accorse appena della vestaglia che gli scivolava di dosso e il vento freddo improvvisamente diventò una brezza piacevole sulla sua pelle accaldata.
Delicatamente Glorfindel gli guidò le braccia fino a che le sue mani non si posarono sul bordo in ferro lavorato del balcone lasciandolo esposto, in una posizione che avrebbe fatto vergognare il più audace degli Elfi di Imladris.
Poi, la lingua di Glorfindel cominciò il suo percorso lungo la schiena ed Erestor dimenticò ogni cosa, mordendosi le labbra per non gridare. Quando sentì la lingua cominciare la sua lenta tortura, bagnandolo, preparandolo, circondandolo lentamente, spingendosi dentro di lui e poi ritraendosi, mentre la sua mano lo accarezzava in mezzo alle cosce, risalendo fino al suo sesso, senza toccarlo, Erestor sentì che stava per perdere la ragione.

“Fin... adesso... ti prego...” Ogni parola usciva a fatica, interrotta da un gemito che non poteva controllare.

All’improvviso Glorfindel si ritrasse da lui facendolo sentire vuoto. Erestor si girò di scatto, come per reclamare ciò che era suo e dovette fare appello a tutto l’autocontrollo di cui disponeva per non venire subito.
Fin si era lasciato cadere sulle ginocchia, le cosce divaricate, una mano chiusa sul pene, eretto e duro come mithril, mentre con la punta delle dita spargeva le prime gocce di liquido sulla punta gonfia, preparandosi per lui. Vide il desiderio nei suoi occhi e gli sembrò di impazzire per l’amore che provava per quella creatura meravigliosa. Poi Glorfindel lo guardò fisso negli occhi.

“Come, Res?”

Senza parlare, Erestor gli si inginocchiò davanti, dandogli le spalle, i glutei perfetti rivelati senza vergogna, pronti per accoglierlo. Le mani di Glorfindel lo afferrarono per i fianchi e lo guidarono verso di sé fino a che Res non sentì la punta del bagnata della sua erezione premere contro di lui. Le parole gli uscirono in un sussurro, ma chiare e determinate.

“Forte, ‘Fin, più forte che puoi.”

Un movimento deciso e Glorfindel era dentro di lui, riempiendolo completamente e, per un attimo, Erestor credette di essere sul punto di perdere i sensi. Dolore, eccitazione e piacere in una miscela devastante.
Smise di preoccuparsi dell’universo circostante e la sua voce si perse nella notte cristallina mentre lo supplicava di prenderlo ancora più forte.

***

Quando i primi raggi di sole cominciarono a rischiarare il cielo, Erestor e Glorfindel erano ancora sulla balconata, stretti uno all’altro, con il respiro che cominciava appena a farsi regolare.

“Vieni ‘Res, entriamo.”

Glorfindel uscì da lui delicatamente e lo aiutò ad alzarsi. Senza parlare, tenendolo il più possibile stretto a sé, lo guidò nella camera. Crollarono sul letto esausti.
Glorfindel raccolse le coperte e le tirò sopra i loro corpi; poi allungò le braccia ed Erestor si rifugiò ancora una volta contro di lui. Lo strinse a sé, mentre non smetteva di baciargli il viso. Qualcosa gli diceva che, ora più che mai, Erestor aveva bisogno di lui.

***
Legolas si svegliò all’improvviso. Si trovò seduto sul letto, con il cuore che batteva all’impazzata e il corpo bagnato di sudore. Ma, nonostante questo, non riusciva a smettere di tremare per il freddo.
Si passò una mano all’interno delle cosce e vide le dita macchiate di sperma e sangue.
Si avvolse nelle coperte e, di colpo, riacquistò coscienza di quello che era successo. Si girò di scatto verso il corpo addormentato al suo fianco e provò un’altra fitta di dolore, questa volta più forte del solito, passargli il cuore da parte a parte.
Anche nel sonno il volto di Aragorn appariva esausto e tormentato, la sua testa si muoveva di continuo, come in preda ad un incubo. Gli appoggiò una mano sulla fronte e i movimenti cessarono.
Si sentì colpevole per quello che era successo.
Aragorn non ne aveva colpa. Non aveva scelta. Nessuno di loro aveva scelta; stavano solo seguendo un destino che era stato tracciato per loro molto tempo prima. Ma a che prezzo.
Un’altra fitta, violenta, gli tolse il respiro; si alzò barcollando dal letto, cercando di raggiungere la brocca d’acqua posata sul tavolo poco distante ma riuscì a fare pochi passi prima di crollare sulle ginocchia, incapace di reggersi.
La testa gli girava in preda ad una vertigine violenta e deglutì per ricacciare un conato di vomito; immagini confuse gli offuscavano la vista, come in un incubo terrificante. Voleva chiamare aiuto, ma le parole gli morirono in gola. Di fronte a lui, chiara come il giorno, vedeva l’immagine di suo padre sul letto di morte.

Ada....

Vide poi la propria immagine, triste e desolata, di fronte ad una tomba di re.
Provò a respirare a fondo, ma ad ogni respiro le fitte aumentavano.
Rimase immobile per un tempo che gli sembrò eterno, poi, faticosamente si risollevò e si trascinò a sedere sul panchetto di fronte allo specchio.
Rimase pietrificato di fronte alla propria immagine riflessa nello specchio.

Cosa sto diventando?

Poi, com’era venuto, il dolore se ne andò. Ma quell’immagine terrificante, spettrale, continuava a fissarlo impietosa. Allungò una mano verso la superficie fredda, sperando che il riflesso sparisse, come se si fosse trattato di un’illusione. Ma gli stessi occhi febbricitanti, lo stesso viso pallido, la stessa ruga sulla fronte rimanevano lì, impietosi e immobili di fronte a lui. E capì che non c’era più nulla da fare.

Si alzò lentamente, si vestì in silenzio, indossando il mantello più pesante che aveva; prese l’arco e le frecce e si diresse verso la porta. Poi, come soprappensiero, tornò allo scrittoio e cominciò a scrivere.
Poco tempo dopo era di nuovo in piedi e si diresse verso la porta.
Non si voltò indietro neppure un istante, perché sapeva benissimo che, se lo avesse fatto, la sua determinazione si sarebbe dissolta come neve al sole.

***
Alcune ore dopo, Aragorn lesse le poche righe sulla pergamena che aveva trovato sullo scrittoio, insieme al piccolo cerchietto in mithril che aveva regalato Legolas tanto tempo prima.

Estel,

quando leggerai questa lettera sarò lontano.
Ho preso una decisione, e l’ho fatto per tutti noi: per te, per il futuro del Regno e anche per me.
Il nostro tempo è passato, come in un sogno bellissimo e dolce, ma i Valar non ci sono stati favorevoli ed è arrivato il tempo che le nostre strade si dividano, per sempre.
Hai un compito da assolvere, un destino da seguire, e io, purtroppo, non ne faccio parte.
Non provare a cercarmi, non mi troveresti. E ti prego di rispettare questa mia scelta: il dolore di questo addio sarà sempre più sopportabile del sapere che non esiste un futuro per noi.
Cerca di ricordarti di me per quello che sono stato e non per quello che ero negli ultimi tempi: un ritratto sbiadito e spaventato di un principe, una volta guerriero coraggioso.
Non ti incolpo di nulla, di questo voglio che tu sia consapevole; sto solo cercando di recuperare quel poco di dignità che mi resta.

Sappi che ti ho amato e che ti amerò per sempre.

Addio.

Legolas.


Un grido straziante scosse il palazzo, gelando i cuori di tutti coloro che lo udirono.

Poco distante, Glorfindel rileggeva ancora una volta, incredulo, le parole su quel pezzo di carta che aveva trovato sotto la porta.

Erestor, Glorfindel, amici miei,
sto partendo. Me ne vado per sempre. Lo faccio per risparmiarmi dell’altro dolore che non riuscirei a sopportare. Vi prego, cercate di capirmi.
Glorfindel, prenditi cura di Erestor, ti prego, lui ha bisogno di te, adesso più che mai, e ricordargli che gli voglio bene, voglio bene ad e entrambi, siete stati la mia famiglia ma non posso più rimanere qui.
Perdonatemi, vi prego.

Legolas


Glorfindel alzò gli occhi dalla lettera e tornò a guardare il suo compagno che dormiva tranquillo, accoccolato nel grande letto.
Pregò di riuscire ad essere abbastanza forte anche per lui.

* = ascalesia: non esiste, l’ho inventata io;. diciamo che è una specie di Viagra vegetale...

TBC