.|. The End .|.

Capitolo Cinque

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Aragorn si fermò di fronte alla porta delle stanze private di sua moglie. Serrò i pugni e cerò di controllare il respiro. La rabbia non avrebbe risolto nulla, lui sarebbe uscito perdente, come al solito, da uno scontro verbale su una situazione che non aveva rimedio. Poco importava che Arwen si fosse legata a lui per l’eternità quell’unica notte disperata prima della partenza della Compagnia, quando Legolas non gli era ancora entrato nel sangue. Poco importava che Arwen gli avesse tenuto nascosto quel legame fino a quando lui, subito dopo la caduta di Mordor, non le aveva parlato di Legolas. Poco importava se in un’altra notte disperata, poco prima che gli eserciti superstiti si muovessero verso il Cancello Nero per l’ultima, battaglia, lui e Legolas avevano celebrato la loro Unione, con la certezza che non sarebbero sopravvissuti.

Nulla di tutto questo aveva più importanza perché apparteneva al passato, e il passato non si poteva cambiare.

L’unica cosa che contava era che lui, Estel, aveva in mano il destino di due vite; la scelta in favore di una avrebbe segnato la fine dell’altra attraverso una lenta e dolorosa agonia(1). E poco importava se dell’amore che aveva provato per Arwen ormai aveva solo un vago ricordo: anche se mai, mai avrebbe lasciato Legolas, non l’avrebbe condannata a morire. E poi, come più volte gli avevano ricordato Elrond, Galadriel, lo stesso Legolas, lui aveva il dovere di dare a Gondor la certezza di un nuovo re una volta che i suoi giorni fossero giunti al termine.

 

Bussò alla porta per annunciare la sua presenza ed entrò senza aspettare una risposta.

Arwen lo stava aspettando, seduta vicino ad una finestra, bella e immobile, come una delle statue di marmo che adornavano il mausoleo dei Re.

 

“Mi hai fatto chiamare?” Piegò leggermente la testa in un gesto di rispetto, dovuto più alla consuetudine che ad altro.

 

“Sì. Siediti, ti prego.”

 

Aragorn sentì un brivido al suono di quella voce suadente e così calma. Anche se avrebbe voluto rimanere in quella stanza il meno possibile si costrinse ad obbedirle. Niente inutili discussioni.

 

“Ti faccio così paura da costringerti a prendere posto così lontano?” Aragorn colse la leggera nota d’ironia nella voce e si chiese fino a quando sarebbe riuscito a controllarsi.

 

“Arwen... ti prego... ne abbiamo parlato così--” Un gesto spazientito della sua piccola mano candida gli troncò la frase in gola. “Sì, sì, lo so benissimo, stavo solo scherzando.” Il tono si era fatto seccato, quasi insofferente.

 

“La curatrice dice che è il tempo giusto. Passerai con me le prossime notti, e se i Valar vorranno, finalmente avrai il tuo erede.”

 

Aragorn rimase in silenzio per un istante. Sentì il sangue pulsare fortissimo nelle tempie e una goccia gelata di sudore corrergli lungo la schiena. Avrebbe voluto scappare, uscire da quella stanza, correre da Legolas, dimenticarsi per sempre di essere Re....

Non fece nulla di tutto questo. Abbassò le spalle stancamente e alzò gli occhi verso di lei, ancora una volta incapace di leggere cosa si nascondeva dietro quello sguardo perennemente placido.

Eppure c’è stato un tempo...

 

“Se la cosa ti sconvolge così tanto puoi sempre chiedere ai Valar di concedere al tuo piccolo Elfo il dono di una gravidanza.” Scoppiò in una risata allegra. Senza rendersene conto, Aragorn si trovò di fronte a lei, sovrastandola, con i pugni stretti per dominare la rabbia. La vide smettere di ridere all’improvviso e alzare il mento in un gesto di sfida.

 

“Oseresti colpire tua moglie?” Il tono era duro: non aveva paura di lui; si divertiva a provocarlo, voleva sfidare i suoi limiti. Era il suo modo di vendicarsi per averle preferito un Elfo Sindarin.

 

Il Re rimase a fissarla per un attimo, si accorse di avere il respiro affannato. Aveva perso anche questa volta. Si girò per andarsene; avrebbe voluto piangere, si sentiva sconfitto. Arrivò a metà strada e si fermò.

 

“Perché non mi lasci libero, Arwen? Perché dobbiamo continuare questo tormento?”

 

“Lo sai che non posso farlo. È un legame che dura per l’eternità.” Il tono era ritornato calmo, neutro.

 

Aragorn si girò di scatto e non gli importò del tono di supplica che accompagnò le sue parole. “Ma tu puoi scioglierlo, se vuoi! Tu puoi partire per Valinor, raggiungere tuo padre, tua madre e puoi liberare me da questo legame e lasciarmi libero di vivere la mia vita--”

 

“E lo farò infatti, come ti ho già detto, ma non senza mia figlia! Lo sai, mio padre lo ha visto: nasceranno due gemelli, il maschio sarà tuo, ma la femmina verrà con me a Valinor. Tu hai il DOVERE di dare un erede a Gondor, lo sai questo, conosci le conseguenze...”

 

Le conosceva le conseguenze,troppe volte gli erano state ricordate. Per un attimo pensò a quella figlia che non sarebbe mai stata sua ed ebbe pietà per lei. Ma questa volta lui non poteva fare nulla per cambiare un destino che sembrava già scritto in ogni minimo dettaglio.

 

Si ricompose e riprese il suo percorso verso la porta.

 

“Ci sarai?”

 

“Sì.” Senza voltarsi.

“Bene. Dirò di preparare la camera reale. Ah, la delegazione da Rohan è arrivata. Immagino che vorrai andare ad accoglierli...”

 

Aragorn chiuse gli occhi. Si era dimenticato dell’arrivo della delegazione e, soprattutto, si era dimenticato del ricevimento d’onore organizzato per quella sera. Pensò a Legolas, alla promessa che gli aveva fatto di passare la serata insieme. Ancora una volta sarebbe venuto meno alla sua parola; ma questo, forse, Legolas già lo sapeva.

 

***

Erestor alzò gli occhi dalla pergamena con cui stava scrivendo e con aria distratta si accarezzò la lunga treccia nera in cui raccoglieva i capelli quando lavorava.

Per quanto non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, nemmeno a Glorfindel, il lavoro di Consigliere del Re lo eccitava: era molto più stimolante che non scrivere discorsi e scegliere vini per le cene di Elrond.

Gondor era un regno che stava rinascendo lentamente e che usciva da un lungo e buio periodo di follia, odio e guerra. C’era molto da fare, molto da decidere, la politica era affare di tutti i giorni, delegazioni di paesi vicini e lontani arrivavano quotidianamente a portare la loro fedeltà e le loro lamentele.

Estel era un Sovrano straordinario, ma il peso delle responsabilità che gravavano su di lui era enorme ed Erestor, al pari di Glorfindel, aveva un ruolo di prima importanza nella gestione del nuovo regno; il Re gli aveva dato carta bianca su molte decisioni e lui non lo aveva mai deluso. Aveva imparato a rispettarlo come aveva rispettato Elrond. E poi, a differenza di Elrond, Estel non odiava Thranduil, anche se di motivi ne avrebbe avuti, e questo gli dava la possibilità di corrispondere regolarmente con il suo vecchio amico.

Non ultimo, la sua posizione di prestigio gli consentiva di tenere d’occhio e proteggere Legolas così come aveva fatto quando era ancora piccolo.

 

Un tocco leggero alla porta lo distolse dal corso dei suoi pensieri.

 

“Minno.” Imprecò a bassa voce, non si sarebbe mai abituato a rispondere nella lingua corrente. “Avanti.”

 

La porta si aprì e Legolas lo guardò aggrottando le sopracciglia.

 

“Sbaglio o ho sentito parlare Sindarin?”

 

Il volto di Erestor si illuminò di uno dei bellissimi, rari, sorrisi che regalava solo alle persone a lui care.

 

“Hai ragione. È una brutta abitudine... io, un Elfo Noldo, che parla Sindarin in un Regno dove tutti parlano la lingua corrente. È ridicolo, non trovi?” Risero entrambi per la totale mancanza di logica di quell’osservazione.

 

“Ti disturbo? Altrimenti torno più tardi.” Erestor si accorse della nota di nervosismo nella voce dell’altro e si affrettò a tranquillizzarlo. Strana coincidenza, anche lui era da qualche giorno che voleva parlare con Legolas.

 

“Nient’affatto, volevo giusto fare una pausa prima di prepararmi per la serata.” Legolas sapeva che “prepararsi” per Erestor non era una questione di abiti ma di essere pronto mentalmente a sostenere conversazione con tutti, ad essere gentile ed affabile, a tenere a freno la lingua anche di fronte alle battute più pesanti o ai discorsi più stupidi. Era l’unico aspetto del suo status che non amava particolarmente e che avrebbe lasciato volentieri a Glorfindel, ma faceva comunque parte del suo lavoro di Primo Consigliere e per nulla al mondo avrebbe deluso il Re.

 

Si sedette a terra di fronte al camino e fece segno a Legolas di seguirlo. Ancora una volta Legolas rimase stupito da quanto fosse diverso Erestor nella vita privata: era l’Erestor che lui preferiva e che conosceva da sempre. Accolse con gratitudine il bicchiere di Miruvor che l’altro gli aveva versato, lasciò che il liquido dolce e forte gli scendesse in gola e aspettò che facesse sentire i suoi effetti benefici. Rimase per un po’ a guardare le fiamme; sapeva che l’amico non avrebbe fatto domande e che avrebbe aspettato pazientemente che fosse lui a prendere la parola.

 

“Ho fatto un sogno. Terribile.” Continuò a fissare le fiamme per evitare di guardare l’altro. Il solo parlare di quel sogno gli fece salire lacrime agli occhi. Sentiva lo sguardo di Erestor su di lui, sapeva che era preoccupato anche se non lo dava a vedere.

 

“Me lo vuoi raccontare?”

 

Legolas chiuse gli occhi cercando di scacciare i ricordi troppo dolorosi che quelle parole gli avevano portato alla mente. Cercò di ricacciare indietro le lacrime, non voleva che Erestor lo vedesse così.

 

“Ho sognato mio padre, Erestor, e l’ho sentito. Si sta dissolvendo. Sta morendo.” L’ultima parola appena un sussurro.

 

Erestor sentì il proprio cuore mancare di un battito. Come era possibile? Come poteva....

 

“Cosa... vuol dire che l’hai sentito?” In realtà lo sapeva benissimo.

 

“Lo sento dentro di me, sento il suo dolore, Erestor, lo sento diventare ogni giorno più debole e sono io la causa di tutto questo, io che--”

 

“No! Non devi dirlo, non è vero Legolas, tuo padre è solo un vecchio Elfo cocciuto e orgoglioso e ha solo bisogno di tempo per accettare la tua scelta ma rimani sempre la cosa più importante che abbia.” Avrebbe voluto prenderlo fra le braccia come quando era piccolo ma si trattenne. Prese le mani fra le sue le sentì tremare. Legolas lo stava guardando con occhi spalancati, come se si aspettasse ancora qualcosa.

 

Quanto dolore vedo, pen-dithen. Stai soffocando la tua sofferenza in nome di un amore che non fa altro che alimentarla.

 

“Voglio farti leggere una cosa.”

 

Si chiese se quello che stava per fare fosse giusto o no. Per una volta non stava seguendo la ragione ma il cuore, ma, in fondo, lo aveva già fatto una volta...

Sì alzò e si diresse verso lo scrittoio. Da un piccolo cassetto estrasse un foglio di pergamena. Tornò a sedersi di fronte a Legolas i cui occhi non lo avevano lasciato un istante.

Sento che quello che sto per fare porterà ad un cambiamento. Prego i Valar che sia per la tua felicità.

Lo guardò mentre prendeva la pergamena e notò quanto le sue mani stavano tremando.

 

Legolas abbassò gli occhi e cominciò a leggere.

 

Era datata tre mesi prima.

 

Erestor,

amico mio, il tempo a Mirkwood sembra essersi fermato. Nulla più si muove. Giro per queste stanze vuote cercando di ricordare com’erano un tempo, cercando di immaginare il suono delle voci che ogni giorno le facevano vibrare di vita e di movimento. Sembra che perfino il sole abbia deciso di disertarci.

Mi chiedo perché parlo al plurale. Non c’è più nessuno qui, solo qualche fedele servitore e il fantasma di un Re. Avevi ragione: sono un pazzo orgoglioso. Ma non è stato l’orgoglio che mi ha spinto a rinnegare mio figlio, su questo ti posso dare la mia parola. L’orgoglio è stata una comoda maschera dietro cui nascondere l’unica vera motivazione che mi ha spinto a dire quelle parole così cattive: la paura. La paura di vederlo struggersi per conquistare un pezzettino di spazio nel cuore di un mortale, la paura di vederlo morire di dolore perché il suo cuore è stato spezzato. Avevo giurato a sua madre di proteggerlo, che sarei stato il suo custode, che mai l’avrei abbandonato ma non mi sono reso conto che, alla fine, quello che aveva paura di essere abbandonato ero io. Perché Legolas è tutta la mia vita, Erestor, lo è stato dal momento in cui me lo hanno messo in braccio.

Sono stati la mia rabbia e il mio dolore a farmi parlare così, ma in fondo ho detto la verità: il nostro legame è talmente forte che riesco a sentire la sua infelicità.

Ha fatto la sua scelta, ha scelto contro la mia volontà e di questo non posso perdonarlo. Ma, credimi, amico mio, il mio amore per lui non è meno forte e vorrei poter fare qualsiasi cosa per potergli risparmiare quel dolore che lo sta consumando lentamente. Ringrazio i Valar ogni giorno che tu sia al suo fianco. Sarai sicuramente una guida migliore di quella che sono stata io.

 

Erestor guardò il silenzioso sussultare delle spalle dell’altro e capì che era arrivato in fondo alla lettera quando lo vide cercare di asciugare disperatamente la macchia di inchiostro che era diventata la firma di suo padre. Allora, senza più pensarci, tese le braccia e, a distanza di quasi tremila anni gli offrì ancora il suo conforto.

 

“Vieni, Legolas.” Legolas scivolò lentamente verso di lui e appoggiò la testa sulla spalla dell’amico.

Erestor lo sentì tremare, avvinghiarsi al suo braccio e combattere ferocemente per soffocare i sussulti del pianto. Gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla nuca. Lo sentì rilassarsi e, finalmente, lasciare libere le lacrime. Lo tenne stretto mentre i singhiozzi gli squassavano il petto. Lo sentì respirare affannosamente e cominciò a parlargli dolcemente, come aveva sempre fatto. Lo sentì abbandonarsi esausto contro di sé e lo cullò fino a quando i sussulti si ridussero ad un tremito leggero. Lo sentì chiamare suo padre, “Ada...” e gli posò un palmo sulla guancia bagnata. “È tutto passato, ora, tutto passato.”

 

Rimasero in silenzio a lungo, Legolas rannicchiato contro Erestor, con le fiamme del camino che facevano strani giochi di luce attraverso le ultime lacrime.

 

“Vorrei vederlo, Erestor, mi manca così tanto.”

 

“Lo so, il vostro è stato sempre un legame speciale. Perché non gli scrivi?”

 

“Perché? Non mi risponderebbe: lo conosci anche tu.”

 

Erestor si staccò da Legolas, lo girò verso di sé e gli prese il volto fra le mani; sfiorò una guancia con il pollice asciugandola delle ultime lacrime.

 

“Ascoltami Legolas, non devi lasciare nulla di intentato. Tu hai ancora bisogno di lui e lui di te, e se non è lui a fare il primo passo devi essere tu.”

 

Legolas fissò il volto dell’amico, gli occhi di Erestor erano profondi e determinati: sapeva che non si sarebbe arreso facilmente e lui aveva disperatamente bisogno, per una volta, di qualcuno che gli dicesse cosa fare e come farlo.

 

“Mi aiuterai a scrivergli una lettera?”

 

Erestor sorrise sentendosi sollevato per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione.

 

“Certo, ma sono sicuro che non ne avrai bisogno.”

 

Senza parlare, Legolas si accoccolò ancora contro il corpo dell’altro e cercando di assorbirne un po’ della forza interiore.

 

“Se avessi saputo che sarebbe finita così... che io sarei finito così, non avrei mai celebrato l’Unione, lo avrei lasciato libero--”

 

“Ma tu non potevi saperlo! E nemmeno Estel. Arwen ha deciso per entrambi, anzi, ha deciso per tutti e tre.”

 

Non cercò di nascondere il veleno nelle sue parole. Era stato il primo ad accorgersi di quanto Arwen, fin da piccola, fosse brava a manipolare gli altri, soprattutto suo padre. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con Elrond, ed era certo che non sarebbe comunque servito: Elrond adorava quella sua figlia, ritratto spietato della sua amata Celebrian e non c’è nulla di peggio di un genitore cieco alla vera natura dei propri figli.

 

Quando da Mirkwood si era spostato ad Imladris, nel vano tentativo di ricucire la frattura fra i due Regni, era rimasto subito incantato dai gemelli di Elrond, Elladan ed Elrohir, identici nell’aspetto ma opposti di carattere: era stato amore reciproco e, dietro insistenza di Elrond, aveva accettato di fare da tutore ai due giovani che tanto gli ricordavano Legolas.

Ma l’incontro con Arwen era stato di tutt’altro genere: nel momento in cui i loro sguardi si erano incontrati, si era scatenata una battaglia silenziosa di volontà. Arwen aveva visto in lui una potenziale minaccia. I loro rapporti si erano limitati al minimo ma Erestor aveva sempre tenuto i sensi all’erta. La loro ostilità era perfettamente celata dietro una maschera di cortese convenienza, maschera che si era incrinata dopo il matrimonio fra Arwen ed Estel fino ad rompersi del tutto una sera di non molto tempo prima, in cui Arwen gli aveva sputato addosso tutto il veleno accumulato negli anni. Erestor aveva gioito interiormente: dietro la facciata di imperturbabilità qualcosa si stava muovendo, e lui era determinato a sfruttare questo nervosismo crescente per neutralizzarla definitivamente.

Un passo falso, mia cara, ti basta solo un passo falso...

 

Il cigolio della porta lo fece girare di scatto.

 

“Ma tu guarda, non posso lasciarti solo un istante e subito mi tradisci con un altro.”

 

Erestor sorrise teneramente al suo compagno, bastava la sola presenza di Glorfindel per fargli sentire che tutto poteva essere risolto.

Glorfindel si chinò e lo baciò sulla fronte. Spostò lo sguardo sulla figura addormentata fra le braccia di Erestor e aggrottò la fronte.

 

“Gli hai mostrato la lettera?” lo chiese in un bisbiglio, per paura di svegliare Legolas.

 

“No, non l’ultima, non ho avuto il coraggio. Sono molto preoccupato, ‘Fin: dice di sentire il dolore di Thranduil, sa che sta male... L’ho convito a rimettersi in contatto con lui ma non so quanto servirà. Spero non sia troppo tardi...”

 

Glorfindel vide l’angoscia negli occhi colore della notte di Erestor: sapeva quanto era affezionato a Legolas e a suo padre, e il loro legame faceva sì che la sofferenza di Erestor fosse anche la sua. Si sedette dietro di lui e lo attirò contro di sé, abbracciandolo. Appoggiò il mento sulla sua spalla e contemplò il bel viso di Legolas: tracce delle lacrime erano ancora visibili sulle guance e una ciocca dei lunghi capelli gli era ricaduta sulla fronte; allungò una mano e spostò delicatamente la ciocca ribelle. Si rese conto che era da tanto tempo che non vedeva Legolas intrecciare i capelli come un guerriero.

 

“Avresti voluto che fosse tuo figlio, vero?”

 

“Avrei voluto che fosse nostro figlio.” Erestor girò leggermente in capo ed appoggiò la fronte sulla guancia di Glorfindel assaporando quel momento di intima tranquillità, chiedendosi cosa sarebbe successo dopo.

 

Rimasero in silenzio ad aspettare che Legolas si risvegliasse, le parole dell’ultima lettera di Thranduil ben presenti nella loro mente

 

...non so quanto mi resta ancora. I curatori dicono che salpassi adesso per Valinor potrei ancora salvarmi. Ma non posso, che cosa accadrebbe se mio figlio avesse ancora bisogno di me?

 

***

 

(1) = citazione scopiazzata da Lady Oscar e totalmente dedicata a Ninde... e lei sa perché....