.|. The End .|.

Capitolo Tre

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È passato un mese.

 

Aragorn entrò nella sua stanza e chiuse la porta alle spalle. Rimase un attimo in silenzio guardando la figura addormentata nel letto.

Che creatura strana e misteriosa.

Un guerriero coraggioso e spietato sul campo di battaglia, il suo amante, il suo amore dallo sguardo perennemente triste.

Aragorn aveva capito da tempo cosa tormentava l’anima di Legolas: era la paura legata al loro destino, un destino e che avrebbe portato lui, Aragorn, alla morte e condannato Legolas alla vita immortale degli Elfi.

L’immortalità non è un dono, Aragorn, è una condanna...

A meno che....

Scacciò quest’ultimo pensiero, come aveva fatto tante altre volte quando era Legolas ad offriglielo come unica soluzione.

Nelle lunghe notti durante la guerra dell’Anello, quando giacevano per pochi istanti l’uno accanto all’altro, sfiniti dal non dormire, dalla paura, dalla fatica delle battaglie, l’unico conforto era la vicinanza di Legolas, e anche solo sfiorargli una mano o accarezzargli per un attimo i capelli riusciva a confortarlo.

Ma Legolas no. Legolas lo guardava con gli occhi pieni di disperazione per quel destino maledetto che lo terrorizzava più di ogni altra cosa.

 

“Vorrei morire in battaglia, Aragorn, vorrei che una freccia avvelenata di un Uruk-hai mi colpisse nel cuore, così non dovrei provare il dolore di sopravviverti.”

Aragorn lo interrompeva, spaventato da quelle parole e dalla luce che vedeva nei suoi occhi.

“No, non dirlo Legolas, non voglio sentirlo, abbiamo ancora tanto tempo. Non puoi lasciarmi...”

E si odiava perché sapeva che le sue parole erano dettate dall’egoismo e dalla paura di perdere quella creatura meravigliosa che era il centro della sua esistenza. Allora lo prendeva fra le braccia, incurante di chiunque fosse loro vicino, e lo stringeva e sentiva tremare leggermente. Non aveva mai saputo se stesse piangendo o no.

Vedeva Legolas combattere ogni battaglia come se fosse stata la sua ultima, andare incontro al nemico con una determinazione che andava al di là del coraggio e, quando alla fine di una battaglia i loro occhi si incrociavano, il sollievo di vederlo ancora vivo veniva subito mitigato dall’ombra di tristezza che traspariva dal volto dell’Elfo.

 

Poi la guerra contro Mordor era finita, e loro erano sopravvissuti. Legolas non aveva più accennato al suo desiderio di morte e lui ed Aragorn avevano iniziato a vivere i loro giorni cercando di non pensare al futuro.

Ma nel futuro c’è lei, Aragorn...

Aragorn sapeva che non si era rassegnato, che in qualche angolo del suo cuore la consapevolezza della sua immortalità era ancora viva, ma almeno ora avevano del tempo per loro, avevano una casa, un luogo a cui appartenere e potevano stare insieme e fare l’amore e parlare e guardarsi.

Lei non sarà mai te.

Questo tempo speso insieme, Aragorn se ne rendeva conto, valeva per il suo compagno più di qualsiasi cosa. In fondo, Legolas aveva conosciuto l’amore per la prima volta con lui e ne era rimasto travolto: aveva scoperto una parte di sé che era rimasta sepolta per un tempo che per gli umani era inconcepibile e, dopo un’iniziale esitazione nell’accettare dei sentimenti di cui era inconsapevole, li aveva fatti suoi e aveva iniziato a viverli senza limitazioni.

Lei non farà mai l’amore come me.

Nei lunghi periodi in cui anche solo parlarsi diventava difficile, Aragorn si perdeva nella memoria della loro reciproca scoperta. Ricordava perfettamente le fattezze del volto di Legolas ammorbidirsi e trasformasi sotto le sue dita, la prima volta che lo aveva accarezzato, lo stupore nei suoi occhi quando lo aveva baciato e la tenerezza infinita che aveva provato perché, di fronte a lui, in quel momento non c’era null’altro che un ragazzo confuso. 

Lei fa parte di un legame del passato, un legame che non posso distruggere ma che non sarà mai più forte del nostro.

La prima volta che lo aveva toccato, portandolo all’orgasmo, aveva dovuto premergli la mano con forza sulla bocca per evitare che le sue grida richiamassero gli altri e quando lo aveva rilasciato, sdraiandolo al suolo, aveva avuto paura che quel gesto lo avesse spaventato. E invece Legolas lo aveva guardato, con gli occhi sgranati, la bocca socchiusa mentre cercava ancora di controllare il respiro aveva allungato la mano verso il suo volto e lo aveva accarezzato.

Lei ti darà dei figli, Aragorn, lei sarà la tua regina e io...

“É... questo l’amore, Aragorn, vero?”

“Sì, è anche questo”.

Lei sarà la mia regina, la madre del mio erede ma non sarà mai il mio amore. Perché quello ormai è solo per te.

Da quel momento Legolas lo aveva cercato ogni momento in cui le circostanze lo rendevano possibile e si era lasciato guidare da Aragorn in quel mondo nuovo fatto di sensazioni a lui sconosciute e aveva imparato, con il suo corpo, a ricambiare quello che l’uomo gli offriva.

 

Un movimento catturò l’attenzione del re riportandolo nella realtà; si accorse che Legolas lo stava guardando, con un sorriso leggero sulle labbra. Da quanto tempo si era accorto della sua presenza?

 

“Ti ho svegliato? Mi dispiace.” Aragorn si sedette sul bordo del letto e accarezzò i capelli dell’Elfo

“Ti stavo aspettando.” Ancora quel sorriso sulle labbra.

“Ancora brutti sogni stanotte?”

 

“Solo uno, piccolo.” Da come si erano improvvisamente contratti i lineamenti del volto di Legolas, Aragorn capì che non doveva essere stato molto piccolo.

 

“Me lo vuoi raccontare?” Chiese con cautela. Sapeva che non avrebbe dovuto insistere; quei sogni terrorizzavano l’Elfo e, a volte, anche solo il ricordo lo faceva stare male.

Senza rispondere Legolas si sollevò a sedere a allungò le braccia verso il compagno, lasciò che Aragorn lo prendesse fra le braccia e gli accarezzasse dolcemente i capelli. Sorrise pensando per un istante alle facce che avrebbero fatto le persone che erano abituate a vederli nelle loro vesti di re e di guerriero, persone che li rispettavano per il loro coraggio. Si accoccolò ancora di più contro il corpo di Aragorn e chiuse gli occhi.

In quei momenti si sentiva infinitamente felice e infinitamente triste.

 

I sogni erano iniziati appena la battaglia per l’anello era giunta al termine. Erano sogni di morte, di violenza. Sognava soprattutto il buio di Moria, il fuoco del Balrog, Gandalf che precipitava negli abissi, i corpi ammucchiati e mutilati a Helms Deep o sui campi di Pelennor, il volto stupito di Haldir mentre moriva.

Erano sogni vividi, reali e spaventosi, spesso ancora più spaventosi di quella che era stata la realtà, che lo facevano svegliare gridando e lo lasciavano stremato per lungo tempo. Sembrava che quei sogni gli risucchiassero la forza e il coraggio, lasciandolo ogni giorno più debole.

Erano la forza e l’amore di Aragorn che lo aiutavano a superare quelle notti terribili, Aragorn che lo stringeva e lo accarezzava e che faceva l’amore con lui fino a che, esausto, non si addormentava nuovamente, fra le sue braccia, in un sonno, questa volta, senza sogni.

Ma quella notte era stato diverso, non era stato uno dei soliti incubi.

“Ho sognato mio padre.”

“Tuo padre?”

Aragorn non riuscì a nascondere la sorpresa. Si ritrasse per un attimo per osservare Legolas: era da tanto tempo che non nominava più suo padre, Re Thranduil di Mirkwood.

Lo vide girare la testa e appoggiarla sulle braccia che aveva stretto intorno alle ginocchia.