.|. Terra Promessa .|.

by Aranel

Quanti sogni sul mondo degli Uomini, quante letture, quante fantasie. Una partenza, un viaggio alla scoperta di un mondo sconosciuto. Un elfo e un uomo che s'incontrano. L'inizio di tutto. L'inizio del sogno nella realtà.

Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece

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Ah, la voglia d’Uomo. La magnifica e insaziabile voglia d’uomo che nelle mie notti di solitudine mi pervadeva tutto.

Quella voglia violenta, incalzante, bruciante, sconosciuta. Quella voglia proibita che da sempre mi veniva preclusa.

La separazione delle razze.

Ecco cosa c’imponevano.

Noi, gli esseri superiori.

Ecco cosa ci insegnavano.

Molti di noi sapevano a malapena che esistessero esseri di altre razze, altri mondi. Io ne ero venuto a conoscenza da solo, studiando, nascondendomi durante le notti d’inverno nella grande biblioteca del mio palazzo e divorando i libri proibiti. Ormai li conoscevo tutti a memoria. Ormai sapevo benissimo dove venivano tenuti nascosti. Ogni singolo centimetro, ogni singolo spazio tra un libro e l’altro, ogni colore di copertina. Tutto. Sapevo tutto.

Ma ben presto… anche i libri non mi bastarono più.

Crescevo e il mio desiderio di scoprire il mondo si faceva pulsante tanto quanto la lussuria nel mio cuore.

Perché a dispetto di quanti dicono, noi Elfi siamo esseri molto lussuriosi.

Splendidi ragazzi passavano dinanzi ai miei occhi. Ero il figlio del Re, mi bastava alzare un dito, puntarlo sul prescelto e quel giovane sarebbe stato mio.

Eppure non l’avevo mai fatto. Volevo preservarmi per qualcosa di più grande. Per qualcosa di pericoloso.

“Gli Uomini, Legolas? Stanne alla larga il più possibile! Sono delle creature rudi e vili, in loro scorre il sangue di Isildur, il più grande fra i traditori. Loro… potrebbero annientare la nostra razza!”

Detestavo mio padre quando mi parlava in quel modo.

Detestavo ogni singolo suono che usciva dalla sua bocca. Conoscevo molto degli Uomini, conoscevo la storia di Isildur, il traditore che dette inizio alla stirpe del Male, conoscevo i loro vizi, ma sapevo anche delle loro virtù. Ed erano proprio le virtù, le incommensurabili virtù, ciò che era scritto nei libri proibiti.

Forse i nostri saggi, elfi antichi come Elrond, ci avevano nascosto tutto questo proprio perché sapevano quanto fosse alto il rischio, quanto facile, una volta venuti a conoscenza del mondo degli Umani, sarebbe stato innamorarsene.

“Sei troppo curioso, figlio mio…”

Lo ero. Lo ero a tal punto, tanto da decidere un giorno di abbandonare la mia casa e avventurarmi verso quelle lande ignote in cui, a detta di tutti, risiedeva il puro terrore.

Lasciai il mio palazzo senza alcun rimpianto. Iniziai a vagare per giorni e notti attraverso boschi, praterie e pianure. Il paesaggio era splendido. Non avevo ancora incontrato le brutture di cui mi parlavano mio padre e i miei insegnanti.

Avevo con me il mio arco e la mia faretra. Mi sentivo al sicuro.

Dopo un periodo interminabile di cammino, una gran voglia di desistere e di ritornare a casa si fece pungente dentro di me. In fondo, avevo visto cose che già conoscevo alla perfezione e non avevo trovato ciò che stavo cercando. Cosa cercassi, probabilmente, neppure io lo sapevo.

Accadde una notte, la stessa in cui avevo pianificato il mio ritorno a casa che, dopo essermi avvicinato ad un fiume per bagnarmi, intravidi una sagoma strisciare dietro un albero.

Mi voltai di scatto, afferrando una freccia e puntandola in direzione della figura misteriosa, ma essa era già scomparsa. Mi guardai intorno con circospezione, ma i miei occhi non riuscirono a distinguere nulla, eppure la sensazione di pericolo non voleva abbandonarmi.

Dovevo stare attento, molto attento. Probabilmente non me ne ero accorto, ma mi ero spinto più in là di quel che pensavo e senza saperlo avevo oltrepassato il confine che separa la terra degli Elfi da quella degli Uomini.

D’un tratto intravidi un chiaro bagliore al di là di alcuni cespugli. Ne fui terribilmente incuriosito e nuovamente, non pensai alle conseguenze.

Cedere al fascino di quella luce fu il mio unico, fatale errore.

Oltrepassai i cespugli e mi ritrovai in una piccola radura circondata dagli alberi. Scoprii che quel bagliore non era altro che un fuoco acceso sulla legna, un’usanza che noi Elfi certamente non abbiamo. Non sentiamo il freddo e di conseguenza non abbiamo bisogno di riscaldarci, né ci serve luce per vedere.

Ma fu la presenza di un’altra persona a farmi bloccare. Immobile. Raggelato. Incapace di qualsiasi gesto.

I miei passi silenziosi non dovevano averlo disturbato. Probabilmente non si era neppure accorto che io fossi lì, ma fu la consapevolezza di trovarmi per la prima volta al cospetto di un Uomo a spaventarmi ed eccitarmi al tempo stesso.

Ormai ero fuori dal mio palazzo. Ero fuori da ogni libro, da ogni descrizione narrata.

Eravamo io e lui, nella realtà.

Lo osservai. Aveva lunghi capelli neri sparsi sulle spalle, lasciati selvaggi e non accuratamente sistemati come i nostri. Era ricoperto soltanto da una casacca nera e siccome non faceva troppo freddo, aveva le braccia nude. M’incantai dinanzi ai suoi muscoli torniti e meravigliosamente disegnati. Aveva le mani grandi e forti che stava riscaldando sul fuoco.

Udii i suoi sospiri, sospiri probabilmente frutto di stanchezza o di tremori.

La stanchezza. Il sonno. L’avevo sempre considerati una splendida magia. Quando il corpo si rilassava e scivolava in quell’oblio indisturbato, cullato dai sogni. Noi Elfi non avevamo bisogno di dormire, anche questa cosa ci era preclusa.

Non eravamo mai stanchi. Non sentivamo mai il freddo. Non godevamo del torpore del caldo. Non ci gustavamo il cibo dopo aver provato l’istinto della fame.

Avrei voluto strapparmi quella perfezione di dosso.

Mi mossi appena verso di lui e inavvertitamente con un piede spezzai un ramoscello.

Tremai. Ma lui non si mosse.

Avanzai ancora, convinto che non mi avesse sentito.

Questa volta furono le sue parole a bloccarmi.

“So di non essere solo… perché non ti mostri?”

Si voltò lentamente verso di me e per la prima volta incontrai i suoi occhi azzurri, quei due zaffiri profondi e di una bellezza incomparabile.

Che gli Uomini potessero essere così belli non c’era scritto neppure nei libri.

“Elfi…” sorrise

Continuai a guardarlo paralizzato.

“Capisci la mia lingua? Altrimenti potrò utilizzare la vostra… mellon nin…”

Parlava la mia lingua.

Quale sortilegio era questo?
La mia ricerca non mi aveva condotto al cospetto di un bruto, di una bestia che non conosce gesti e parole.

Per la prima volta nella mia vita stavo guardando qualcosa di vero.

Mi avvicinai a lui e senza smettere di guardarlo m’inginocchiai al suo fianco.

Lui continuava a sorridermi.

Mio padre mi aveva sempre messo in guardia dagli uomini che sorridono troppo. Diceva sempre ‘il sorriso è letale e più tagliente di una menzogna’.

Non potevo credere che in quegli occhi ci fosse menzogna.

“Finalmente un volto amico per un uomo che da troppo tempo viaggia da solo…” proseguì.

Inclinai la testa da un lato per studiarlo meglio.

Lui seguì ogni mio movimento. Si soffermò per un istante sulle mie labbra. Ma solo per un istante.

“Capisci quello che dico?”

“Si…”

“La tua voce è bellissima!”

Vidi un’espressione di stupore comparire sui suoi occhi, come se d’improvviso avesse udito la più dolce delle melodie.

“Ho conosciuto molti Elfi, ma non ho udito nessuno di essi parlare e la maggior parte di loro…” rise “mi sono stati ostili!”

Abbassai la testa.

“Lo so, mi dispiace…”

Mi rialzò il volto con due dita, guardandomi profondamente.

“Tu sei l’unico che…”

Le parole s’interruppero, sospese improvvisamente da un tempo che si era voluto fermare.

Per un istante mi chiesi se ciò che stavo vivendo fosse davvero realtà.

Le nostre bocche erano vicine, dolorosamente vicine, potevo sentire il suo respiro sulle mie labbra, il prurito della sua barba sul mento… era quanto di più bello avessi mai provato.

Chiesi silenziosamente un bacio, anche se… prima di quel momento non avevo mai baciato nessuno.

Sentii le sue dita scorrere dietro la mia nuca, intrecciarsi ai miei capelli, lasciai che la mia testa si muovesse in avanti, non chiusi gli occhi, e come se fosse la cosa più naturale del mondo, sentii le sue labbra posarsi sulle mie.

Quel bacio fu lento e dolce, ma il calore che emanava era troppo per me. Faceva quasi male. Forse aveva ragione mio padre quando diceva che le nostre razze non avrebbero mai potuto incontrarsi, perché troppo diverse, quando diceva che gli Uomini erano esseri pericolosi, ma io… in quel dolce pericolo avevo una voglia infinita di perdermi.

Istintivamente anche le mie mani si mossero su di lui, e memore dell’abbraccio di mia madre, gli cinsi il collo, rendendo quel contatto ancora più intenso.

Sentii un profondo sospiro uscire tra le nostre labbra unite e sentii la sua lingua farsi largo in me, cercando la mia, inizialmente timida, lambendomi, costringendomi con le sue carezze bagnate ad aprire la bocca per lui. Così feci e quella prima violazione del mio corpo ancora intatto, mi eccitò notevolmente.

Non volevo più staccarmi. Credevo che la paura di quel contatto, la follia dell’abbandono tra le braccia di uno sconosciuto, credevo che tutto questo mi avrebbe spinto a fuggire lontano, a capire che stavo facendo qualcosa di proibito e peccaminoso. Invece, fin dal primo brivido, il mio corpo aveva iniziato a chiedere di più.

Improvvisamente le sue labbra scesero a baciarmi il collo, a marchiare con piccoli morsi la mia pelle candida. Sentii le sue mani scendere sui miei fianchi e sollevarmi affinché mi sedessi a cavalcioni su di lui.

Così feci, e anche questo fu un tragico errore. Senza alcun avvertimento, senza alcuna preparazione, sentii improvvisamente tra le mie cosce il suo vigore, il suo sesso duro ed eccitato per me, quel calore devastante. E scoprii che anche il mio aveva risposto con la medesima intensità a quel richiamo.

Mi sentii sciogliere nel suo abbraccio, mi aprii inconsapevolmente sotto quelle spinte ancora celate dalla stoffa.

Non sapevo nulla dell’amore, ma riuscivo ad assecondare il mio amante come se fossi esperto già da molti anni.

La passione si fece ancora più acuta. Le sue mani avevano iniziato a muoversi voracemente sul mio corpo. Inutili erano stati i miei tentativi di allontanarlo quando le sue dita cercavano l’accesso alla mia pelle nuda sotto la tunica. Inutili perché anch’io lo desideravo.

Mi liberò dei miei abiti. Mi ritrovai improvvisamente nudo, stretto ad un uomo che non conoscevo, al più sconosciuto degli sconosciuti, ad un Mortale, razza perversa, secondo i miei pari.

E di colpo mi resi conto che il momento tanto atteso era giunto. Avevo conservato la mia verginità a lungo. Avevo rifiutato numerosi pretendenti, e fu allora che capii che l’avevo fatto per quest’uomo trovato nelle lande, e che forse tutto questo era stato scritto dal Destino.

Con una mossa decisa mi stese a terra. Il terreno mi graffiò la schiena e fu una sensazione bruciante che non avevo mai provato prima.

Il mio amante scivolò rapidamente sul mio corpo con la bocca, cercando ogni punto di piacere con la lingua, leccandomi avidamente, succhiandomi tutto… la pelle, i capezzoli, il ventre, il…

Gridai.

Tremai ed ebbi paura quando la sua bocca mi avvolse fin nel profondo.

Era una sensazione dolorosa e bellissima al tempo stesso, completamente priva di controllo, impura, imperfetta, meravigliosa.

Sussultai e mi spinsi nella sua bocca come un’avida puttana vogliosa di sesso. Non provai alcuna vergogna per questo.

Mi dimenai contro il terreno quando sentii che quel calore aumentava ed era faticoso sopportarlo. Sentivo il mio cuore esplodere, commosso, folle, eccitato, mentre guardavo quella testa scura muoversi su di me, quell’uomo, al quale non avevo donato niente e che non mi aveva chiesto niente, regalarmi così tanto piacere.

Forse aveva compreso che ero alla mia prima volta.

Non ebbi il tempo di pensarlo.

Un vortice violento di puro piacere sconvolse il mio corpo, corse rapido verso il basso, mi fece tremare come se venissi scosso dagli spasmi e trovò il suo guado nelle labbra del mio amante che, anche in quel momento, non mi abbandonarono.

I miei gemiti si erano dispersi nell’aria e senza saperlo avevano terribilmente eccitato il mio compagno. Ero ancora in pieno delirio quando incontrai nuovamente i suoi occhi. Avevano una luce completamente diversa, una luce strana, indefinibile, ma non feci in tempo a darmi una spiegazione che improvvisamente, il mio corpo ancora intorpidito dal piacere, fu lacerato in due.

Spalancai gli occhi, mi tesi come avrei teso il mio arco, ma questo non bastò a placare quel dolore. Quando sentii il suo sesso violarmi impunemente, capii che non sarei più potuto tornare indietro.

E probabilmente neppure lo volevo.

Avevo immaginato che un atto del genere venisse consumato in quel modo, ma quell’amplesso andava oltre la mia vivida immaginazione.

Un Elfo mi avrebbe amato con molta più pacatezza, avremmo iniziato insieme giochi perversi senza fretta, e un giorno sarei divenuto suo. Ma non era questo ciò che volevo. Per una volta volli immaginare che non ci fosse l’eternità dinanzi a me, che tutto doveva essere consumato subito, in fretta, come se il tempo ci inseguisse.

Come due amanti clandestini, due ladri in fuga dalla legge ci rotolammo sull’erba. Il dolore era forte ma non cessai di accogliere quell’amante di cui neppure conoscevo il nome. Lui si spingeva senza fermarsi dentro di me. Io mi ero aggrappato al suo corpo come se temessi di vederlo scomparire da un momento all’altro… le cosce intrecciate alla sua schiena, un braccio attorno al suo collo, mentre con l’altro cercavo di tenermi un poco sollevato per poterlo sentire meglio.

Le sue mani erano strette come una morsa d’acciaio sulle mie natiche. Dovevo essere leggero perché riusciva a tenermi sollevato e a spingere il mio corpo dentro di lui, ad indirizzarlo, a manovrarlo a suo piacimento.

Aveva un bisogno di carne, tanto quanto io avevo bisogno d’impurità.

Era bello sentirlo gemere, leccare gocce del suo sudore… un sapore sconosciuto… soffocare le sue parole con i miei baci, farlo godere e godere ancora.

Improvvisamente, quando si rese conto che i miei muscoli si erano abituati alla sua veemenza, iniziò a spingere più forte, più forte e più forte ancora.

Dovetti gridare, non riuscii a trattenermi. Sorrise alle mie grida. Era proprio ciò che voleva sentire. Finché, ad un certo punto fece quella cosa devastante per un Elfo, quella cosa che mi fece perdere del tutto la ragione. Prese la punta del mio orecchio tra le labbra ed iniziò a succhiarla forte, seguendo il ritmo delle sue stesse spinte.

Persi quasi i sensi, mentre il mio corpo veniva nuovamente travolto da quell’onda di piacere, ancora più forte di quella precedente.

Lui venne dentro di me, medicando con il suo nettare la mia verginità ferita, ed io venni tra i nostri due corpi. C’inondammo a vicenda, e a vicenda, stremati, crollammo a terra, l’uno sull’altro.

Il mattino dopo mi risvegliai sull’erba, completamente nudo, ripiegato su me stesso.

La prima cosa che feci fu guardarmi intorno per accertarmi se lui fosse ancora lì.

Non mi aveva abbandonato.

Stava sellando il suo cavallo. Osservai ancora una volta i suoi gesti, le carezze che donava all’animale, la dolcezza con cui gli parlava. E nuovamente compresi che il mio tempo a Bosco Atro era terminato.

Mi rimisi in piedi, e senza curarmi che non avevo alcun vestito addosso, lo raggiunsi, cingendogli la vita con le braccia. Sembrava se lo aspettasse. Sembrava che conoscesse così bene i comportamenti degli Elfi.

Mi accarezzò le braccia nude, poi si voltò verso di me e mi carezzò il viso.

“Sono stato per troppo tempo solo, avevo bisogno di un po’ di… calore.”

Senza sapere cosa rispondere avvicinai le labbra alle sue. Ci baciammo, contro il suo cavallo.

Ah, per i Valar, quanto avrei voluto che mi prendesse sull’animale.

“Devo andare adesso…” disse dopo poco.

“Dove?”

“Tornare a casa, a Gondor!”

“Gondor?” esclamai, spalancando gli occhi. Troppe volte avevo udito quel nome, troppe volte l’avevo inteso come un posto brutto e sporco, la casa di Isildur, dalle cui mura dovevano uscire uomini simili ad orchi.

“Tu non… puoi essere di Gondor…” mormorai.

L’Uomo sorrise.

“Perché? Perché là vi ha abitato il mio antenato?”

Mi staccai di colpo da lui.

“Tu sei…?”

“Si, sono Aragorn figlio di Arathorn ed erede di Isildur!” concluse, montando a cavallo.

“Non… non è possibile…”

Continuò a sorridere e mi tese una mano.

“I tuoi occhi sono ancora velati, se non credi alle mie parole, perché non vieni a vedere tu stesso…” mi guardò con una dolcezza profonda “Ti prego vieni con me!”

Non seppi come, né perché, ma dopo aver ripreso la mia tunica, afferrai la sua mano, afferrai quella mano che la notte precedente mi aveva donato amore e piacere, cancellando tutti i dubbi sul conto degli Uomini dalla mia mente.

Montai a cavallo con lui e strinsi forte quel solido torace, percependo la sensazione che quell’uomo e quel momento mi erano appartenuti da sempre.

Salutai quell’ultimo frammento di bosco, dissi addio a mio padre e alla mia razza, dissi addio a tutte le bugie.

Divenni uomo e scelsi la mia vita.

La morte anziché l’eternità. L’amore anziché l’attesa di qualcosa di grande.

Quel qualcosa di grande l’avevo già trovato.

 

Così raggiungemmo Gondor, la terra promessa. E fu là che ebbe inizio la nostra storia, la prima storia d’amore tra un Elfo e un Uomo, la storia di Legolas e di Aragorn.

 

FINE