.|. La Strada della Felicità .|.

by Edhelin

A volte basta una parola non detta o una domanda senza risposta ad impedire alle persone di imboccare la strada giusta per essere felici. Così Orlando lascia Wellington alla fine delle riprese della trilogia senza dire a Viggo cosa gli impedisce di rimanere. Basterà che l’uomo lo raggiunga a Londra per permettere ad entrambi di ritrovare la strada della felicità oppure sarà il deserto senza strade dell’Africa a ricondurli insieme a casa?

Drammatico/Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece

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Grazie Leia per il tuo disegno… probabilmente senza di esso non avrei mai scritto una fic su Viggo e Orlando visto che mi cimento di più nelle storie che riguardano Ara e Lego.

Spero che ti piaccia perché ci tengo al tuo parere ed è stata scritta per te. Non so che altro dire se non grazie!!!

Edhelin

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Londra 4 giorni dopo la fine delle riprese de Il Ritorno Del Re 

 

Lo amo… veramente… ma ho sbagliato tutto.

Se fosse possibile tornare indietro, lo farei… gli direi che mi rimangio tutto quello che gli ho detto l’ultima volta che ci siamo visti… una volta ho letto da qualche parte che la vita è come un sentiero, un cammino che spesso si biforca e ci tocca scegliere per quale strada proseguire…

Vorrei poter dire che ho fatto sempre le scelte giuste, che le strade che ho imboccato mi hanno portato esattamente dove volevo arrivare…

Fino a ieri è stato così.

Oggi no.

Oggi vorrei poter tornare indietro e cambiare strada perché quella che ho intrapreso mi ha portato lontano da te e, seppure l’ho voluto io, ora sento che mi sono perso e che non ho più un cammino da seguire…

Avrei voluto che le cose fossero andate in un modo diverso…..

Aeroporto di Wellington 2 giorni

 dopo la fine delle riprese

“Avrei voluto che le cose fossero andate in un modo diverso….” Ho detto.

“Diverso… come?” Mi hai chiesto e non ci siamo detti più niente.

Sono uscito dalla camera d’albergo dove avevamo passato gli ultimi due giorni e sono andato per la mia strada. Non mi sono voltato indietro e mi sono sentito fiero per come avevo affrontato la cosa. Niente incertezze. Nessun tentennamento. Solo poche parole asettiche pronunciate senza alcuna emozione nella voce. Conoscendoti, quanto male devono averti fatto. Conoscendoti quanto ti deve aver ferito la mia ostentata indifferenza quando mi hai chiesto “Diverso come?”

E io che ne so? Cosa posso saperne? Ho solo ventisei anni e tutte le cose veramente importanti nella vita me le hai insegnate tu e tu non mi hai mai detto che le cose potevano anche andare in un modo “diverso”.

L’ho dovuto scoprire da solo quando, rientrando ieri notte, ti ho trovato tra le sue braccia. Sembravi sereno, rilassato come non lo eri da tempo con me. Chiacchieravate del più e del meno fumando una sigaretta e bevendo una birra in due. Capisco che state parlando di me, di me che ti amo, questo non lo sai, di me che mi farei fare qualsiasi cosa da te e questo lo sai. Lo sa anche lui e ride. Ti chiede come ti comporterai con me, soprattutto ora che le riprese sono finite, che da due giorni stiamo chiusi in questo piccolo albergo sperduto tra le montagne della Nuova Zelanda come fossimo in un ritiro attendendo che Peter ci dia il congedo definitivo.

Tu esiti, per un istante forse, e tiri con la sigaretta. L’aria si riempie di fumo e tu non rispondi ancora. Sorridi e con la mano lo spingi un po’ lontano da te. Lui cade dal letto sul quale eravate seduti e si mette a ridere e tu ridi insieme a lui… di me che me ne sto dietro una porta a pensare che credevo che le cose tra noi stessero in un modo diverso.

Diverso sì, perché la nostra amicizia era speciale… quante volte siamo rimasti soli io e te a guardare sorgere il sole tra le location di quello che non era più un film ma la storia del nostro incontro e della nostra scoperta reciproca?

Così ho deciso. Questa mattina ho raccolto poche cose in un borsone e ho salutato tutti. Al diavolo Peter e la sua idea di stare insieme per qualche giorno! Da te sono passato per ultimo. Ho preso congedo nel modo più freddo e scostante che ho saputo trovare… usando parole di circostanza. Impersonali, senza significato. Devono averti ferito, devono sì perché le ho usate apposta. Devono sì…

Ti hanno ferito lo so. Ho visto il tuo viso tirare mentre parlavo e so che hai sofferto. Lo so per certo. Non volevo, mi dispiace, non lo meritavi ma non avevo altra scelta. Di tutte le bugie che ti ho raccontato questa mattina andando via da te, una aveva un fondo di verità… avrei voluto che le cose fossero andate in un modo diverso…

Wellington 2 giorni

dopo la fine delle riprese

Il telefono squillò parecchie volte prima che Viggo riuscisse a raggiungerlo.

Era rimasto sotto la doccia per un’ora. L’acqua tiepida che gli scivolava addosso gli affogava i sensi dandogli l’impressione che ogni cosa fosse precipitata in un silenzio irreale. Il battito del suo cuore, però, lo sentiva. Forte ed irregolare. Si sentì mancare il respiro e chiuse il rubinetto. Scosse il capo bagnato e il suono del cellulare gli giunse dall’altra stanza.

“Pronto?”

“Finalmente Viggo… che fine hai fatto? E’ tutto il pomeriggio che provo a chiamarti….”

Viggo si lasciò andare sul divano.

“Scusa Sean ero sotto la doccia”

“Da questa mattina?” rispose ridendo l’altro.

“…”

“Lascia perdere, scherzavo… volevo solo chiederti se sai la novità!”

Viggo capì immediatamente a cosa alludeva l’amico ma lo lasciò continuare.

“Il tuo amichetto Vig… se n’è andato. Partito, volato via… a quest’ora sarà in Inghilterra dalla mammina!”

“Sean, Sean… frena! So tutto. E’ passato a salutarmi….”

L’altro attese un secondo prima di riprendere.

“Oh… ti ha salutato? Allora mi sono sbagliato…”

“In che senso?” chiese l’americano passandosi l’asciugamano intorno al collo e facendosi serio.

“E’ che sembrava alterato quando è venuto a salutare gli ‘hobbit’, aveva un aspetto… sembrava aver appena avuto una discussione con qualcuno… credevo che avesse litigato con te!”

“Con me?” chiese Vig ripensando alle parole incomprensibili con le quali Orlando gli aveva detto che stava partendo, che era dispiaciuto per come erano andate le cose tra loro…

“Sì… ricordi? Ne abbiamo parlato ieri notte… si è appiccicato a te dall’inizio delle riprese, ha un debole per te, pensavo ne aveste parlato!”

“No Sean non ne abbiamo parlato…”

 

Forse è questo il punto… non ne abbiamo parlato Orlando.

Eppure io te l’ho chiesto… “diverso come?”.

Non mi hai detto più nulla… e ora sono qui a pensare che forse avrei dovuto fermarti, che probabilmente c’è stato un silenzio di troppo tra noi. E pensare che hai passato ore ad ascoltarmi dire centinaia di cose stupide… cose che non avevano alcuna importanza… cose che ne avrebbero avuta se ti avessi detto quella che contava davvero… mi sono innamorato di te…

Ti ho scritto decine di poesie negli ultimi mesi ossessionato dall’idea che avevo di te, disegnato centinaia di schizzi, scattato un mare di fotografie…

Le foto sono tutte appese a quella parete del mio camerino… se ora le guardo mi sento stupido. In ognuna hai un’espressione diversa, ho catturato qualcosa che facevi ma, mentre ero intento a farlo, mi perdevo ciò che provavi, smarrivo irrimediabilmente l’attimo in cui potevo guardarti negli occhi e capire i tuoi pensieri. L’obiettivo senza anima si è preso ogni cosa, sprecando tutto…

Che cosa volevi dirmi? Perché sei andato via in questo modo? Non è da te… non sono da te neppure le parole che mi hai rivolto… senza emozione… Che ti è successo? Dovrei trovare il modo di contattarti, spiegarci o almeno sapere se hai un problema. Un problema con me o tutto tuo non ha importanza… tengo a te… questo lo sai… vero?

…Vero?

 

Viggo mise giù. Si alzò dal divano e andò alla scrivania. Prese un quadernetto e lo sfogliò fino a che non trovò ciò che cercava. Si scrisse il numero sul palmo della mano e tornò a sedersi sul divano. Digitò le cifre e attese il segnale.

“…messaggio gratuito… il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile…”

“Cazzo! Dovevo provare prima…” si disse l’americano maledicendo il suo carattere cervellotico e orgoglioso. Si alzò di nuovo e prese a camminare su e giù per la stanza. S’infilò un paio di jeans e cercò una maglietta nell’armadio. Ce ne fosse stata una piegata sarebbe stata un’operazione semplice, ma che si può pretendere da uno che tiene i suoi scritti nel frigorifero? Infilò una mano sotto due canotte nere sperando che oltre quella montagna di roba da lavare ci fosse ancora qualcosa di pulito, ma ciò che tirò fuori lo spiazzò.

Se n’era dimenticato… non ricordava più d’averla lì.

Come diavolo aveva fatto a scordarlo? Aveva ancora il suo odore…. Chiuse gli occhi e gli parve di sentire la sua voce…

 

… “ma come accipicchia si apre questo coso?”

Viggo sorrise. Erano quasi alla fine delle riprese e Orlando ancora non aveva imparato come sfilare la tunica verde che Legolas portava con tanta grazia nel film. Gli si avvicinò mentre l’altro si divincolava tra i lacci dell’abito impigliati tra quelli che tenevano legati alle sue spalle sinuose la faretra e i pugnali dell’elfo.

“Aspetta… ti do una mano…”

Viggo gli fu innanzi in pochi passi e prese a sciogliere i lacci della tunica.

“Ehi! Un momento chi ti ha chiesto aiuto ramingo?” gli urlò Orlando facendo un passo indietro e mettendo tra i loro visi un dito che faceva cenno di no.

“Siamo quasi alla fine delle riprese” proseguì “devo avere ragione di questo maledetto vestito! Mi aspettano una serie di film in costume quando avremo terminato le riprese qui e allora cosa farò? Ti telefonerò dopo ogni scena chiedendoti di venire a spogliarmi? Già me lo immagino… “Pronto Vig? Sono prigioniero della mia camicia da pirata cosa faccio? Oppure… Vig aiuto sto annegando nella vasca da bagno perché l’armatura di Paride non viene via!”

Il viso serio ed arrabbiato di Orlando si distese in uno dei suoi allegri sorrisi e Vig scoppiò a ridere.

“So che sei una creatura immortale e che pertanto hai l’eternità per liberarti di quegli affari, ma vorrei ricordarti che questa sera Elija ha organizzato una cena da lui e ha minacciato la visione di uno dei film di Sean se arriviamo in ritardo!” Vig gli fece un occhiolino e attese la reazione di Orlando che non tardò. Il ragazzo spalancò le braccia e rimase fermo.

“Avanti ramingo! Spogliami! Qualsiasi cosa piuttosto che la visione commentata dal regista stesso di un film di Astin!”

Viggo rise ma al suono di quelle parole deglutì a fatica. Le sue mani raggiunsero nuovamente i lacci della tunica e le sue dita si mossero agilmente a scioglierli. La faretra e i pugnali finirono in terra ma né Orlando né Viggo se ne preoccuparono. La tunica si aprì in pochi istanti e Viggo rimase ad osservare il bordo dei sui pantaloni che se ne stava adagiato basso sui suoi fianchi lasciando scoperto l’ombelico e mezzo ventre. L’americano passò il dorso delle dita sul petto di Orlando trasformando quel gesto in una carezza e questi rimase fermo come in una delle istantanee che Viggo teneva gelosamente in un quaderno. Scosse il capo e cercò quella lucidità che il corpo di Orlando gli aveva portato via. Cosa stava facendo? E soprattutto perché Orlando non lo stava fermando? Perché il ragazzo non gli aveva già urlato qualche improperio mandandolo a quel paese? Sollevò gli occhi e si bloccò. Orlando lo stava fissando con gli occhi blu di Legolas. Non una parola, né un gesto.

“Orli… io… ecco fatto…” riprese Vig voltandosi e portandosi una mano al viso per ricacciare indietro i lunghi capelli di Aragorn. Per la prima volta realizzò tutto il desiderio che provava per Orlando. Da quanto tempo lo voleva? Da quanto aveva perso la testa per quel ragazzo con l’aria dell’angelo dannato? E da quanto tempo si era dannato l’anima per lui? Viggo non lo sapeva più.

“Vig… Vig… aspetta…” lo incalzò il giovane.

L’americano smise di camminare verso la porta, ma non si voltò.

“Posso telefonarti quando saremo lontani? Quando lasceremo la Nuova Zelanda? Voglio dire… credi che troverai il tempo ogni tanto di venire a salvarmi quando i miei costumi di scena tenteranno di uccidermi per soffocamento?”

Viggo si sentì scoppiare il cuore. Orlando scherzava e faceva lo spavaldo con tutti… eppure lui riusciva sempre a rintracciare una vena di malinconia in quella voce apparentemente sempre allegra.

“Ho sempre avuto tempo per te…” disse tornando verso di lui. Orlando sorrise e Vig pensò che non gli era mai sembrato così bello “…vieni qui, fatti abbracciare elfo combina guai!” concluse l’uomo stringendolo.

“Io non combino guai!”

“Sì invece!”

“No invece!”

“Inutile negare l’evidenza!” riprese Viggo ridendo. Orlando si divincolò dall’abbraccio ma il movimento brusco fece strappare la tunica verde che il ragazzo non si era ancora sfilata.

“Ma porc!!” gridò.

“Visto? Sei un combina guai!”

“Ma sei stato tu!” piagnucolò Orlando.

“Finisci di cambiarti ci penseremo dopo”

“Peter mi ammazzerà… sai quanto tiene ai costumi di scena!”

“Tranquillo ci penso io… dammela la farò sparire…….”

 

Quanto tempo era passato da allora? Viggo non lo se lo ricordava più. Ora quell’episodio gli sembrava lontanissimo. Così lontano da sembrare un sogno. Qualcosa che non era realmente accaduta. Ripose la tunica di Legolas nell’armadio e decise di uscire… le pareti della stanza sembravano comprimersi su di lui e, per la seconda volta in un giorno, si sentì mancare il respiro.

Londra 5 giorni dopo

la fine delle riprese

Quando aprì gli occhi era mattino fatto. Sua madre gli aveva lasciato la colazione sul tavolo della cucina ed era uscita. Probabilmente almeno tre ore prima a giudicare dal caffè tutt’altro che fumante nella tazzina. Orlando si stropicciò gli occhi e sbadigliò. Prese una fetta di pane imburrato da un piatto e si lasciò cadere sul divano. Accese la tv.

“Ultime notizie dal mondo…”

“Perfetto! Proprio quello che ci vuole appena svegli!” mugugnò mentre masticava. Si passò una mano tra i riccioli scuri e spense la televisione. Si tirò le ginocchia al petto e ripensò alle parole che sua madre gli aveva detto la sera prima quando lo aveva scoperto a piangere nel suo letto…

“Orlando cos’hai…”

“Niente mamma…”

“Lo sai che non puoi mentirmi, dimmi piuttosto che non vuoi parlarne!”

“Non voglio parlarne…”

Sua madre lo guardò dritto negli occhi. Uno sguardo capace di terrorizzarlo e confortarlo allo stesso tempo.

“Va bene tesoro.”

“Mamma…”

“Sì?”

“Dimmi qualcosa…”

Sua madre lo raggiunse sul letto e sedette al suo fianco.

“Qualunque cosa ti sia capitata, ho fiducia che ne verrai fuori. Piangi pure se ti serve, ma non chiuderti qui dentro! Qualunque problema tu abbia, affrontalo! Io non mi aspetto che tu sia forte ad ogni costo, però so che mio figlio non è un vigliacco! Siamo intesi?”

“Sì…”

 

Gli aveva detto di sì ma non ci credeva. In realtà si sentiva proprio un vigliacco! Un po’ per essersene andato così da Wellington, un po’ per non avere avuto il coraggio di spiegare perché lo aveva fatto.

“Perché l’ho fatto?” Si chiese a voce alta. Ormai gli capitava spesso di parlare a se stesso in questo modo, soprattutto quando doveva rimproverarsi. “Sono stato uno stupido! Perché sono partito? Perché dannazione?” quasi gridò mentre si stringeva tra le mani la t-shirt grigia con la quale dormiva “Sono stato infantile e stramaledettamente idiota! E tutto perché ho visto Viggo e Sean insieme…” il suo viso si rabbuiò “…insieme… che ridevano… di me…”

Fece scivolare il capo tra le ginocchia e chiuse gli occhi. Era sempre stato sincero con tutti in Nuova Zelanda… con tutti. E tutti si erano accorti di quanto si fosse affezionato a Viggo, talmente tanto da indurre alcuni a sospettare che provasse per lui un attrazione tanto professionale che fisica. Viggo non ci aveva mai fatto caso. Certo… qualche volta si erano abbracciati o si erano rotolati in terra scherzando durante le pause tra le riprese… niente che potesse suscitare clamore… niente che potesse infastidire Viggo o chiunque altro.

“Dannazione!” gridò per poi tornare calmo “Ho perso la testa! Ci ho creduto… per qualche momento io ho creduto che lui avesse capito i miei sentimenti… invece… vaffanculo! Che idiota! Che bravo attore sono stato! Incapace di nascondere le mie emozioni!Era normale che tutti mi prendessero in giro… ma perché anche lui? Lui che sembrava così comprensivo… sembrava che mi volesse bene… in qualche… modo. Ora tutti si staranno domandando che diavolo di fine ho fatto…”. Orlando rialzò la testa e poggiò lo sguardo sul suo cellulare che se ne stava spento sul tavolo. Pensò che probabilmente qualcuno lo aveva cercato, sperò per un istante che Viggo lo avesse cercato, poi sospirò. “E anche se fosse? Che cosa avrei io da dire agli altri? Da dire a lui?”. Si alzò e raggiunse il telefono. Prese a camminare avanti ed indietro per la stanza giocherellando con l’apparecchio e alla fine si fermò di bloccò e lo accese. La musichetta d’avvio riempì la stanza con un motivetto allegro e sullo schermo apparve il logo della Compagnia. Orlando non sorrise come faceva di solito quando lo vedeva. Aspettò per qualche minuto lì impalato a fissare il display poi, con un gesto di stizza, lo lanciò sul divano e si sentì, per la prima volta dopo tre anni, infinitamente solo.

Wellington 4 giorni dopo

 la fine delle riprese

Non aveva più provato a telefonargli. Il rito dei saluti tra i membri del cast si era consumato lentamente e aveva sortito l’effetto di immalinconire tutti. Peter aveva pronunciato parole commoventi su come tutto il successo della trilogia fosse nato dalla capacità di ognuno di loro di volere bene agli altri lasciando fuori dal set l’egoistico desiderio di voler primeggiare a tutti i costi. Alla fine c’era chi aveva pianto e chi non aveva voluto partire per godere ancora un po’ di quel clima magico nel quale avevano imparato a vivere. Viggo non aveva pianto invece. Sentiva nel suo cuore una profonda tristezza per quel capolinea che si apprestava a raggiungere, ma sentiva che non era ancora finita. Poteva dire addio a Ian, Elija, Liv, ma finché non avrebbe detto addio ad Orlando non sarebbe veramente finita. Il problema era che Orlando gli aveva già detto addio e lui non aveva capito perché. “Che bisogno c’era di dire addio Orlando? Non eri tu quello che mi ha chiesto di sentirci dopo la fine delle riprese?” Senza rendersene conto, mentre pensava queste cose, Viggo aveva preparato un piccolo bagaglio. Si accorse di aver deciso di partire quando nella sua testa sentì il suono della cerniera del borsone che scorreva per chiudersi. “Voglio andarmene… cambiare aria…” disse all’improvviso muovendosi freneticamente per cercare le chiavi della macchina “cambiare aria!”. Quando aprì la porta Sean era davanti a lui.

“Non hai bussato?” chiese Viggo tenendo in una mano il borsone e nell’altra la chiave.

“Non me ne hai dato il tempo. Te ne stai andando?”

Viggo si passò la mano che stringeva la chiave nei capelli che aveva deciso di non tagliare ancora e rispose. “Sì”. Appena  un sussurro.

“Capisco… Los Angeles o New York?” chiese Bean.

“Perchè?”

“Così…”

“Non lo so ancora… New York forse…”

“Io parto domani. Vado a Los Angeles per firmare un contratto”

Viggo sorrise. “In bocca al lupo…”

“Dovresti dire al cavallo! Sarò Ulisse nel film di Petersen…”

“Troy?” chiese Viggo poggiando la borsa.

“Proprio quello…”

Viggo pensò che gli avrebbe fatto comodo avere una parte in quel film che detestava. Sì che detestava. Un po’ perché aveva letto il copione e non gli era affatto piaciuto, un po’ perché in quel copione Orlando vestiva i panni di un Paride vigliacco e lascivo.

“Sarà un successo internazionale…” disse senza convinzione ma sapendo che il film avrebbe davvero suscitato clamore.

“Anche tu hai un nuovo progetto se non sbaglio…” riprese Sean che sembrava non voler lasciare cadere la conversazione.

“Sì ma per qualche giorno penso di staccare la spina. Magari New York non è il posto adatto per farlo ma ho voglia di vedere come vanno le cose alla mia casa editrice…”

Sean si spostò dalla soglia della porta per farlo passare quando a bruciapelo glielo chiese.

“Lo hai più sentito?”

“Chi?” rispose Viggo chiudendo la porta della sua stanza.

“Orlando…”

Viggo sospirò. “No… perché?”

“Perché ho sempre provato a farti confessare se l’idea che qual ragazzino fosse attratto da te ti piacesse e tu non mi hai mai risposto”

“A quale scopo?” disse questa volta Viggo con voce ferma guardandolo negli occhi.

“Allo scopo di sapere come avresti reagito se avessi saputo che un tuo collega sul set… un uomo… avesse provato per te una sorta di… attrazione fisica” Sean parlò senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Viggo. Questi sospirò e poggiò il borsone in terra.

“Sean ne abbiamo già parlato. Non mi piace che lo prendi in giro in questo modo. Non ne voglio più parlare…”

Improvvisamente Sean lo prese per le braccia e lo spinse contro la parete senza lasciargli finire la frase e gli sibilò all’orecchio quasi rabbiosamente.

“Smettila di difenderlo continuamente! Non sto parlando di lui… sto parlando di me! Ho dovuto usare lui per tutto questo tempo… usare la sua innocente adorazione per te per spingerti a comprendere come mi sentivo, ma ora non posso lasciarti andare senza sapere… senza sapere se c’è una sola possibilità che tu…”

“Sean!” quasi gridò Viggo spingendo a sua volta Sean contro l’altra parete del corridoio “Non dire un’altra parola ti prego! Io non posso lasciarti parlare… siamo amici e non voglio ferirti!”.

“Capisco…” riprese l’altro “è che mi sembrava, mentre parlavamo di Orlando, che quasi ti piacesse l’idea… mi sono sbagliato”

“Non ti sei sbagliato” fece Viggo raccogliendo il borsone.

“Come?”

“Non ti sei sbagliato ho detto. Non completamente. Per questo detesto che lo prendiate in giro, per il fatto che quello attratto da un altro uomo sono io… E’ a me che piace Orlando Sean. Lui… lui invece se n’è andato… per un po’ ho sperato di poter conservare almeno la sua amicizia, ma ora non più. Deve essersi stufato di tutta questa situazione…”

Sean respirò profondamente sperando di riprendersi dal duro colpo che aveva subito. Un conto era sapere che Vig non avrebbe mai accettato una relazione con un uomo, un altro era sentirsi dire con quella voce spezzata dalla rabbia e dalla rassegnazione che lui poteva amare un uomo, ma non lui. Si lasciò andare contro la parete. Viggo gli portò una mano tra la nuca e la base del collo e strinse appena fino a che le loro fronti si sfiorarono. Era esattamente la riproposizione del saluto con il quale Aragorn prendeva congedo da Boromir. Un gesto affettuoso e sentito di quelli che rendevano Viggo simile al personaggio che interpretava oppure che rendevano il re di Gondor simile a Viggo Mortensen. In quell’istante Sean odiò Orlando, ma provò una profonda tristezza nel vedere lo sguardo vuoto dell’uomo che amava. Così parlò.

“Vig… lui è perso per te… Non riesco ad immaginare Orlando stufo di te. Negli ultimi mesi non ti ha mai staccato gli occhi di dosso, era la tua ombra. Forse… dovresti parlargli…”

Viggo sorrise e ancora una volta a Sean parve di vedere Aragorn. Un Aragorn malinconico e vittima degli avvenimenti.

“Grazie amico mio… se potrò gli parlerò. A presto. Non perdiamoci di vista d’accordo?”

“D’accordo, ma ti prego… dimentica ciò che ti ho detto oggi.”

Viggo scosse la testa. “No. Porterò con me ciò che mi hai detto. Tu porta con te queste mie parole invece… Le cose spesso non vanno come vogliamo, ma la vita è così. E’ come fatta da mille strade. Alcune sono assolate, altre buie e incerte. Di nessuna possiamo vedere la fine, ma il segreto è non guardarsi mai indietro quando ne prendiamo una. Il rimpianto è quanto di più crudele sappiamo adoperare per farci del male.”

Viggo si staccò da Sean e questi lo vide voltare l’angolo che conduceva alle scale. Per un attimo pensò di strappare il suo biglietto per Los Angeles e di seguirlo a New York. Almeno avrebbe dato ascolto alle sue parole e non avrebbe avuto il rammarico di averlo lasciato andare... poi però comprese che Viggo gli aveva soltanto voluto dire che non doveva vergognarsi di ciò che aveva appena confessato. Tornò nella sua stanza e preparò il bagaglio per tornare a casa.

Londra 5 giorni dopo

la fine delle riprese

Alla fine il telefono aveva squillato. Liv. Voleva sapere come stava e se c’era stato qualche motivo particolare alla base della sua la sua ‘partenza improvvisa’, come l’aveva chiamata lei. Orlando era stato evasivo e si era detestato per questo. Liv gli era stata amica sin dall’inizio. Era stata anche l’unica con la quale era riuscito ad ammettere che Viggo gli piaceva… Lei non aveva capito naturalmente o aveva finto, in modo discreto, di non averlo fatto. Alla fine si erano salutati e lui si era scusato per quella telefonata così breve e fredda.

“Non preoccuparti Orli… ci risentiamo quando stai meglio… non credere che io non abbia compreso che stai attraversando un momento no. Capita a tutti… l’importante è non allontanare le persone che si amano… e che ti amano…” aveva concluso lei in modo affettuoso. Sua madre tornò verso l’ora di cena e cominciò a preparare qualcosa da mangiare. Ogni tanto lo osservava con la coda dell’occhio per cercare di capire cosa turbasse il figlio. Alla fine, stanca di vederlo vegetare sul divano lo costrinse ad uscire per fare due passi.

“Coraggio Orlando non ti fara’ male prendere un po’ d’aria e poi io ho dimenticato di comperare la frutta. Muoviti oppure il negozio chiuderà!” gli aveva quasi urlato col tono bonario che le mamme adoperano per convincere i figli a fare qualcosa che non desiderano. Orlando s’infilò controvoglia un paio di jeans e una maglietta rossa ed uscì. Quando fu per strada si rese conto che non aveva neppure un soldo in tasca. Per un momento pensò di tornare indietro ma comprese che la madre non si sarebbe di certo arrabbiata se avesse fatto ritorno senza frutta ma con un’espressione un po’ più serena sul viso. Così camminò cercando di allontanare ogni pensiero dalla testa. Ci riuscì fermandosi ad osservare la gente comune che passeggiava… di ognuno cercava di immaginare la vita… le mamme con i passeggini, gli innamorati che si tenevano per mano, l’anziano signore che leggeva il giornale seduto alla panchina poco più avanti, l’uomo con la giacca di pelle che chiedeva un’informazione…

Un lampo squarciò l’aria e qualche goccia di pioggia cominciò a cadere tra le urla della gente che si affrettava a trovare riparo da quello che sarebbe divenuto tra poco un bel temporale. Solo due persone rimanevano immobile lungo la via mentre la pioggia pian piano ne segnava i lineamenti. Uno era Orlando, l’altro era l’uomo con la giacca di pelle nera che a grandi passi gli si avvicinò e gli si fermò innanzi.

“Mi avevano detto che a Londra piove sempre ma in genere non do credito ai luoghi comuni… ciao Orlando…”

“Vig… Viggo?”

Orlando era impietrito. Solo pensare a Viggo gli provocava una fitta dolorosissima in petto, ma vederselo apparire davanti in quel modo era decisamente troppo. Rimase fermo senza parlare.

“Avevo bisogno di parlarti… sapere perché sei andato via così da Wellington… capire se è stata colpa mia… cioè se io… ho fatto qualcosa che ha incrinato la nostra amicizia… perché un amico non se ne va in quel modo, come hai fatto tu… con quelle parole, senza una ragione.”

Orlando trovò, senza sapere né dove né come, la forza per reagire e rispondere.

“Tu… tu non hai… fatto niente… avevo bisogno di tornare a casa e così sono partito. Ecco tutto.”

“Tutto?” Chiese di nuovo l’americano i cui occhi sembravano voler lacerare gli occhi stessi di Orlando per leggere direttamente nella sua testa. Poi, così come era comparso, quello sguardo sparì e Viggo si passò le labbra bagnate con la punta della lingua prima di parlare ancora. “Va bene… se questo è quanto puoi dirmi, se è questo tutto ciò che puoi darmi, allora sono venuto a Londra inutilmente. Me ne torno a casa. Almeno ora so che non ti è successo nulla e che stai bene…” Concluse l’uomo cercando si scrollarsi un po’ di pioggia di dosso. Orlando rimase lì ritto e fermo nella sua t-shirt rossa per un istante lunghissimo. Poi, come se quanto aveva detto Viggo fosse stata una bomba esplosa improvvisamente direttamente dentro il suo cervello, lo rincorse e lo raggiunse bloccandolo per un braccio.

“Che sto bene? E magari ti fa piacere vedere con quei tuoi occhi gelidi ed indagatori che sto bene? Ti sembra che io stia bene razza di brutto bastardo idiota? E che significa ‘se questo è tutto quello che sai darmi’? Avanti! Sei tu quello che scrive poesie, che usa le parole giuste al momento giusto! Spiegati… avanti… spiega quello che volevi dire! Avanti!” gridò e mentre gridava Orlando si rese conto di singhiozzare. Capì che piangeva invece, e a sufficienza per sembrare ridicolo, quando Viggo gli portò una mano al viso.

“Orlando…”

“E non mi toccare… avanti parla…”

“Orlando…”

“Ti sembra che io stia bene? Che cosa vuoi da me?” tuonò ancora il ragazzo mentre una vecchia signora che abitava nell’appartamento sopra di loro socchiuse la finestra per capire cosa stesse accadendo.

“Orlando… scusa… non volevo farti piangere…”

A quelle parole Orlando fu come quietato. Si passò il dorso di una mano sugli occhi e lanciò uno sguardo alla donna che osservava la scena preoccupata. “Va tutto bene signora Waters…” le disse Orlando che la conosceva. La finestra si richiuse e questi riprese “Ho esagerato. E’ che ultimamente sono nervoso. Nervoso e sottopressione. Tra due settimane devo presentarmi sul set di Troy e non ho ancora imparato un solo rigo del copione…”

“Andrà tutto bene. Ce la farai come tuo solito.”

Il viso di Orlando per un attimo si rilassò in un’espressione che sembrava sorridente. Viggo sollevò una mano e gli accomodò uno dei riccioli che la pioggia aveva reso pesanti ma ben delineati, dietro l’orecchio. Nel farlo il ragazzo sentì le dita dell’uomo sfiorargli il collo e tremò.

“Non andrà bene…” gli disse allora “sarò solo. Di nuovo…” Orlando lo disse ingenuamente, ma si pentì d’averlo fatto perché aveva di nuovo mostrato a Viggo tutta la sua infinita debolezza. Viggo sospirò. “E’ questo che credi? Avevo un biglietto per New York e ho dovuto corrompere cinque dipendenti dell’aeroporto di Wellington perché mi lasciassero prendere il volo per Londra… Orli sono tuo amico, credevo lo sapessi! E anche gli altri erano in pena per te! Non sei solo… e poi… poi sul set ci sarà anche Sean…”

Gli occhi di Orlando fiammeggiarono. “Sean? Bell’amico che è Sean… begli amici che siete… tutti e due… pronti a ridere di me non appena volto le spalle!”

“Orlando… ma cosa dici?” fece Viggo palesemente a disagio.

“Lo so! Cosa credi? L’ho sempre saputo che rideva di me, del mio affetto per te, della stima che provo per ogni singola briciola del tuo talento! Ma da te… da te non mi aspettavo un simile trattamento! Potevi semplicemente allontanarmi e la facevamo finita! Non sarebbe stato più corretto se non più giusto?”

Viggo chiuse gli occhi per aprirli subito dopo con un’espressione decisa.

“Ascoltami Orlando… non ho mai riso di te. Non ho mai inteso ferire la tua straordinaria sensibilità. Se l’ho fatto dovrò conviverci ogni giorno finché non mi concederai il tuo perdono…”

“Cazzate!” esplose il ragazzo “A te non serve il mio perdono! Tu sei quello che basta a se stesso, che non ha bisogno degli altri per stare bene! Io invece avevo bisogno di te, anche si un tuo solo cenno di approvazione per stare bene e ho dovuto assistere al pietoso spettacolo di voi due nella tua stanza, sopra il tuo letto, che vi divertivate a scommettere che ne sarebbe stato di me quando ti saresti stancato di avermi intorno! Io sarò anche stato uno stupido, ma tu sei stato un ipocrita figlio di puttana che diceva di stare bene con me!”

La reazione rabbiosa di Orlando scosse Viggo violentemente e l’uomo perse la calma. Afferrò Orlando per entrambe le braccia e lo scosse. “Io stavo bene con te! Lo sono stato fino a quando non te ne si andato in quel modo! E guarda come basto a me stesso se mi sono sorbito l’intercontinentale fino a qui per farmi trattare in questo modo da te! Maledizione Orlando! Tu urli che ti ho ferito, ma è veramente possibile che tu non riesca a vedere quanto male mi hai fatto negli ultimi mesi in Nuova Zelanda soltanto standomi vicino? Soltanto guardandomi con quei tuoi occhi tanto curiosi quanto intensi? Soltanto addormentandoti sulle mie ginocchia durante i viaggi tra le location in quello scomodissimo camper?”

Orlando spostò un po’ di lato il capo guardandolo in modo perplesso quando sentì la stretta alle braccia farsi più intensa. Cercò di trovare poche parole che potessero avere un senso e non ne trovo neppure una.

“Vig… ma… cosa stai dicendo?”

“Sto dicendo che ti voglio bene e che non hai capito niente. Niente di quello che stava succedendo in Nuova Zelanda! Niente di quello che è successo quella notte quando hai visto me e Sean. Tu…” disse poi abbassando il tono della voce “… non hai capito.”

A quelle parole Orlando riprese coraggio. “No, Viggo non ho capito, non capisco neppure ora. La verità è che non mi hai mai lasciato capire niente di te. Da quando ti ho conosciuto io” continuò esitando “ti ho permesso di scoprire tutto quanto c’era da sapere su di me. Le cose davvero importanti voglio dire. E ti permesso di entrare nel mio cuore. Ma tu? Tu mi hai lasciato sempre dietro l’obiettivo di quella maledettissima macchina fotografica oppure delle tele che dipingevi. Ma perché? Come puoi dirmi adesso che non ho capito? Cosa c’era da capire?”

Viggo lo tirò un po’ più vicino a sé e lo fissò con un’intensità tale che Orlando dovette voltare la testa di lato. “Guardami Orli! Guardami negli occhi e dimmi quello che non hai detto quando sei partito. Come volevi che andassero le cose tra noi? In che modo? Quale modo diverso? Ho passato gli ultimi giorni a domandarmi cosa c’era dietro quelle tue parole.”

Orlando desiderava con tutto il cuore rivelare finalmente ciò che si portava dentro da mesi ma, la paura di venire respinto, rifiutato, di perdere ciò che restava del suo orgoglio, prese il sopravvento e si divincolo’. “Lasciami! Diverso! Diverso e basta! Che vuoi che ti dica? Sei tu che sei venuto a cercarmi, perciò dimmi quello che devi dire e vattene!”

Viggo lasciò la presa, afferrò il suo bagaglio e si voltò. “Ho fatto un sogno. Pensavo che, come in Nuova Zelanda, ti saresti fermato a sentirmelo raccontare, ma non siamo più in Nuova Zelanda. Io non sono più il re di Gondor e tu non sei più Legolas, il suo fidato compagno. Scusa, è colpa mia. Sono un idiota, come hai detto tu. I sogni, prima o poi, finiscono ecco tutto. Spero di rivederti a qualche premiere.”

“Questa è la vita reale! Non è fatta di sogni! Non puoi vivere di sogni e noi siamo Orlando e Viggo!” gridò Orlando in modo quasi isterico mentre lo vide andar via senza aggiungere altro.

 Egitto due settimane dopo

 la discussione, venerdì.

“Stop!”

Il regista urlò la fine delle riprese per quel giorno e Viggo si abbandonò sulla sabbia.

“Viggo sei stato bravissimo con quel cavallo. Una scena perfetta… straordinario!” esclamò un’assistente di scena mentre gli porgeva un po’ d’acqua “Nella tenda che abbiamo allestito per te, c’è tutto quello che ti occorre per un bel bagno. Fammi sapere se hai bisogno di qualcos’altro” aggiunse la ragazza mentre Viggo gli sorrideva allontanandosi. “Ah dimenticavo! E’ arrivato un fax per te. Te l’ho messo sulla scrivania!” Viggo sventolò il cappello come ringraziamento ed entrò nella tenda. Veramente era stata allestita con tutti i confort degni del protagonista di Hidalgo. Viggo si sfilò i costumi di scena e si infilò nella vasca da bagno. Si rilassò un momento e si versò un po’ di bagnoschiuma tra le mani. Un delicato profumo di sandalo si diffuse nell’aria. L’uomo sorrise e si massaggiò le spalle. Si immerse poi completamente in acqua e quando vi riemerse soffermò l’attenzione sui fogli che erano poggiati sul tavolino poco vicino. Allungò una mano e prese a leggere il fax che gli era stato recapitato fin nel deserto, uno dei posti più affascinanti che Viggo avesse mai visto da quando era tornato dalla Nuova Zelanda ma, lui pensava, la Terra di Mezzo non poteva contare!

“Egregio sign.Mortensen,

il mio nome è Andy Wallace e lei non mi conosce. Sono un medico che lavora al servizio di un’organizzazione non governativa sotto l’egida dell’O.N.U. So che più di una volta si è fatto portavoce in pubblico di quelle che sono le varie istanze delle Nazioni Unite. Sono venuto a sapere che sta girando un film negli Emirati Arabi. Ebbene non molto lontano da dove si trova lei ora, io ho allestito un campo di pronto soccorso ed accoglienza per i bambini vittime degli incidenti causati dalle mine antiuomo. Sarebbe bellissimo se lei potesse trovare il modo di passare un giorno qui al campo con i bambini. Non le sto chiedendo soldi, che non le nascondo sarebbero utili. Solo una presenza per fare felici dei bambini che non sanno chi sia Aragorn! In allegato le mando le foto di alcuni di loro. Grazie sin d’ora. Andy Wallace”.

Viggo voltò il foglio e deglutì a fatica. C’erano quattro fotografie in bianco e nero e Viggo rimase a guardarle fino a che non sentì le lacrime agli occhi. Si alzò dalla vasca e si avvolse in un telo bianco. Uscì dalla tenda e scoprì che si era fatta notte. Guardò il cielo e sentì il bisogno di richiamare alla mente l’immagine di Orlando. Il suo viso perfetto, quella sua bellezza in grado di fare male. Male quanto guardare le immagini di quei bambini sorridenti eppure segnati dall’orrore delle mine. Eppure rievocare l’immagine di Orlando gli fece decidere di partire il giorno dopo per il villaggio di Wallace.

Spagna due settimane dopo

 la discussione, venerdì.

Non stava andando tanto male. Il regista era molto esigente, ma aveva creato un buon rapporto con tutti i colleghi. Solo con uno si sentiva terribilmente a disagio e non doveva essere così, soprattutto perché era quello che conosceva meglio di tutti.

“Orlando!”

“Quando pensi del diavolo….” disse sottovoce Orlando “Ehi Sean!”

“Orlando, devo proprio dirtelo! Oggi sei stato eccezionale!”

“Sono solo fuggito come un codardo! Niente di speciale…. Lo faccio spesso negli ultimi tempi!”

“Ma che dici?”

“Niente Sean. Ti ringrazio. Ora devo andare. Porto Diana a cena stasera! Vedrai i giornali domani!”

Sean scosse la testa e sorrise mentre si portava le mani sui fianchi. “Non farlo Orlando…”

“Fare cosa?”

“Continuare a fuggire… la scena e’ finita poco fa con la morte di Menelao ricordi?”

“Non capisco…” rispose indifferente Orlando superandolo.

“Aspetta… ti ho osservato bene da quando siamo arrivati. Mettiamo da parte il fatto che ce l’hai con me e questo lo capisco perché non ci siamo mai piaciuti… La cosa è palese e reciproca. Tuttavia c’è qualcos’altro… tu non stai bene”.

“Sto benissimo invece e starò ancora meglio se mi lasci in pace Sean. L’hai detto tu. Non siamo fatti l’uno per l’altro!” ribadì Orlando con ironia.

“Ti ho visto!”

“Come?”

“Ti ho visto nel camper del trucco. Hai preso qualcosa stamattina. Probabilmente le prendi tutti i giorni. Pillole…”

“Sean stanne fuori… se hai intenzione di parlarne a qualcuno io…” disse il ragazzo in tono minaccioso piantandosi di fronte all’uomo.

Sean alzò le mani. “Sta calmo. Non voglio parlarne con nessuno. Tu però dovresti ammettere come stanno le cose…”

“E sentiamo! Come stanno le cose? Cosa vorresti saperne tu che sei buono solo a prendermi in giro?”

“Ho smesso di prenderti in giro da tempo Orlando credimi! Anzi io sono l’unico che può capirti…”

“Falla finita con la paternale Sean”

“Sono innamorato di Viggo!”

Le parole di Sean colpirono Orlando dritto al cuore e il ragazzo lasciò cadere il bicchiere d’acqua che si era versato. “Come hai detto?”

“Lo amo. Come lo ami tu e non negare Orlando. Non con me. Non con me che ho avuto il coraggio di dirglielo. Non con me che ho avuto il coraggio di confessarlo persino a te!” concluse Sean abbassando gli occhi. Orlando continuava a fissarlo senza avere il coraggio di proferire parola. Poi per togliere l’uomo da quel imbarazzo parlò, a sua volta a testa bassa.

“E’ vero… sono innamorato di Viggo… ora siamo pari… puoi rialzare la testa Sean. Ora capisco molte cose… capisco perché cercavi di tenermi lontano da lui e soprattutto capisco perché quella notte ridevate di me! Ora capisco veramente… solo non so perché Viggo non me lo ha detto quando è venuto a Londra…”

Sean comprese da quelle parole che Viggo aveva fatto un estremo tentativo di parlare ad Orlando dei suoi sentimenti. Evidentemente non c’era riuscito. Orlando, alle volte, sapeva essere disarmante. Nel bene come nel male.

“Viggo non ricambia i miei sentimenti. Me lo ha detto. E tu avresti dovuto cercare di ascoltarlo quando è venuto a cercarti. Aveva delle cose da dirti che ti avrebbe di certo fatto piacere ascoltare.”

Orlando si senti mancare. Di cosa stava parlando Sean? Cosa sapeva che lui non aveva capito? Si passò entrambe le mani nei capelli e poi guardò di nuovo l’uomo con un’espressione sconfortata sul viso tale che persino Sean si intenerì.

“Non chiedermi nulla. Non potrei rispondere. Sappi che Viggo si trova in Africa per girare Hidalgo. Se parti subito sarai di ritorno in tempo per le riprese a Creta.”

“No… io non posso… io… non ce la posso fare…”

“Le cose spesso non vanno come vogliamo, ma la vita è così. E’ come fatta da mille strade. Alcune sono assolate, altre buie e incerte. Di nessuna possiamo vedere la fine, ma il segreto è non guardarsi mai indietro quando ne prendiamo una. Il rimpianto è quanto di più crudele sappiamo adoperare per farci del male…” disse Sean fissando Orlando e portandogli le mani sulle spalle “Non sono parole mie… me le ha dette Viggo quando ha lasciato Wellington. Le ho prese come una sorta di regalo d’addio. Ora te le ripeto io e aggiungo: non perdere l’ultima occasione che hai di essere felice. Il lavoro, il successo, i soldi, non ti daranno niente di paragonabile soltanto al calore dell’abbraccio di una persona che ami… e che ti ama.”

Orlando lo fece d’istinto. Le parole di Sean sembravano uscite dalla bocca stessa di Viggo e il ragazzo non potette trattenersi dall’abbracciare l’amico ritrovato. “Grazie Sean, con tutto il cuore. Ti ho giudicato male… scusami”

Sean si scostò un po’ da lui e si risistemò l’armatura di Ulisse. “Dispensare consigli è il mio compito. Gli dei elargiscono i loro doni a tutti i mortali. A te hanno dato la bellezza, a me l’intelligenza! Viggo deve essere un superficiale!” disse ridendo. Stavolta Orlando rise con lui e sentì di aver veramente fatto scelte pessime nell’ultimo mese.

“Volerò sul set di Hidalgo sperando che non sia ancora rinsavito!” concluse il ragazzo felice come non riusciva ad esserlo ormai da tempo. A volte per essere felici, veramente felici, basta la speranza di poterlo essere fra qualche tempo. E’ come se la felicità non appartenga al nostro tempo, ma ad uno dove noi siamo le persone che vorremmo essere per sempre.

Egitto due settimane dopo

 la discussione, sabato.

La jeep affrontava le onde di sabbia senza incertezze. La notte nel deserto era uno spettacolo di indicibile bellezza. Viggo pensò che avrebbe scattato un sacco di fotografie il giorno dopo. Se non fosse stato di basilare importanza giungere al campo entro il farsi del giorno, avrebbe chiesto di fermarsi per guardare le stelle proiettarsi gigantesche su quel mare dorato. Il rumore del motore rovinava il naturale silenzio del Sahara. Viggo chiuse gli occhi e si lasciò andare a quelle che erano le sue riflessioni negli ultimi tempi. Riempiva intere pagine del suo diario di punti interrogativi a cui era troppo doloroso cercare risposte.

……

“Ci penso ancora. Non soltanto a lui. Non sarebbe comunque possibile dimenticarlo così in fretta. Non so neanche ‘se’ sia possibile. Ripensavo di nuovo alle parole che ci siamo detti quasi con rabbia. Non si può vivere nei sogni. Possibile che non possa crescere e diventare un uomo adulto sano di mente capace di comprendere che, ad un certo punto, bisogna vivere senza cercare alibi di ogni sorta? Orlando era il mio alibi, lui la mia certezza che i desideri, ad un certo punto nella vita, si avverano. Poi all’improvviso il risveglio. Brusco. Avrei potuto dirgli come stavano le cose… forse avrei dovuto comunque dirgli che lo amo… anche a costo di perdere tutto. Ma che dico? Cosa avrei dovuto perdere? Sono stato bravo a fare la morale a Sean e, a conti fatti, non ho seguito i miei stessi consigli… dovrei smettere di pensarci, di rimuginare ancora e concentrarmi su questa cosa… Eppure come si può solo sperare di aiutare gli altri se non si è in grado di aiutare se stessi? Alla fine quei bambini mi saranno di conforto più di quanto io lo sarò per loro. Ne sono certo. Sì questa cosa è importante. Devo concentrarmi su quei bambini ora…”

……

Viggo non si addormentò. Versò l’alba vide rilucere all’orizzonte il metallo di alcune jeep ferme nei pressi di quella che sembrava una infinita tendopoli.

Egitto, set di Hidalgo, sabato.

Orlando non vedeva l’ora di scrollarsi di dosso tutta la sabbia che si era infilata dappertutto sotto i suoi abiti. Aveva indossato un completo di lino bianco, un berretto e gli occhiali da sole. Ma sentiva lo stesso un caldo tremendo. Credeva che il Fosso di Helm sarebbe stato il peggior set che avrebbe visitato in vita sua, ma vedere quella distesa infinita di sabbia bollente lo fece quasi ricredere. Quasi.

“Accipicchia Viggo, solo tu potevi scegliere di girare un film simile! Almeno adesso vieni fuori velocemente!” pensò il ragazzo mentre si avvicinava ad alcuni tecnici per chiedere dell’amico. Gli ci volle un attimo per apprendere come stavano le cose. “Che significa che il sign.Mortensen in questo momento non si trova qui?”

“Esattamente quello che ho detto! Bene inglese bravo! Tu capito!” gli rispose un indigeno sulla quarantina.

“Va bene! Io capito che non è qui” faceva Orlando accompagnando le parole con dei gesti alquanto buffi “Ma dov’è?”

“Villaggio del dott. Wallace!” gridò l’uomo che pensava forse che alzando la voce il ragazzo inglese avrebbe capito più in fretta.

“E chi diavolo è questo Wallace? Dove si trova il suo villaggio? Io devo vedere assolutamente il sign.Mortensen!”

“Poco lontano da qui, ma tu non puoi andare, no ragazzo. Ci vuole macchina”

“Io ho macchina! Dimmi la strada”

L’uomo rise.“Non ci sono strade nel deserto! Ci vuole guida”

“Ne troverò una!” proseguì Orlando che si stava spazientendo.

L’uomo scosse la testa. “Tu non puoi andare. Tu inglese. Gli inglesi non possono attraversare deserto. Gli indigeni non amano inglesi!”

“Ma non siamo più nell’epoca del colonialismo!!! Per favore io devo vedere quell’uomo… per favore” riprese Orlando attaccandosi alle braccia dell’uomo.

“Ok..ok… in fondo tu non uomo inglese! Tu bambino capriccioso! Io guida. Mio nome è Sharif. Tu bocca chiusa tutto il viaggio ok?”

“Ok! Muto come un pesce!”

“Pesce? Pesce? Nel deserto? Tu matto!”

“Già matto” pensò Orlando “matto per avventurarmi nel deserto con te, ma anche innamorato ed io devo vedere Viggo!”

Egitto, tendopoli di Wallace, domenica.

“Non posso dire che non sapevo che queste cose esistessero, ma devo ammettere a me stesso che toccate con mano sono impossibili da accettare. Bambini che dovrebbero impegnarsi solo a giocare, costretti a vivere nella paura di essere strappati alle loro famiglie per essere arruolati da miliziani senza scrupoli oppure di finire su una mina. Come Jona che ha perso una gamba mentre correva dietro alla sua sorellina che invece è morta. Questo ragazzino si è affezionato a me in modo incredibile nonostante sia qui da un solo giorno. Pensò che resterò ancora. Ho suonato la chitarra per loro e ridevano. Era da tanto che non facevo sorridere qualcuno. L’ultima volta che ci ho provato… ho fatto piangere Orlando…”

Mentre pensava queste cose, Viggo si voltò verso Jona che giaceva addormentato vicino a lui e si sforzò di sorridere. In quell’istante il bambino aprì gli occhi. “Rumore” disse indicando una macchina che stava parcheggiando vicino alla tenda del dott.Wallace. Viggo si alzò e vide scendere un indigeno e un ragazzo vestito di bianco che faceva un po’ fatica a camminare sulla sabbia. Pensò che dovesse essere il nuovo infermiere che Wallace aspettava e si rimise seduto vicino a Jona. Qualche tempo dopo fu mandato a chiamare dal medico che lo aspettava vicino alla sua tenda.

“Viggo c’è una persona per te. Viene dal set…”

Viggo si innervosì. Pensò che quegli stupidi, contrari alla sua decisione di restare ancora qualche giorno al campo, avessero mandato qualcuno a prenderlo. Entro nella tenda con fare deciso. “Ho mandato già a dire che resterò qui per qualche altro giorno. Mi sembra di non avervi fatto perdere tempo finora!” disse mentre si tirava su le maniche della sahariana beige quasi trasparente che portava.

“Io ne ho perso tanto invece!” disse il ragazzo voltandosi e togliendosi gli occhiali da sole. A Viggo morì il fiato in gola.

“Orlando! Ma che ci fai qui?”

“Volevo vedere il Sahara. Per questo ho affrontato un viaggio in aereo, ho pagato una guida stramba che mi chiama ‘attore bambino’, ho attraversato il deserto rischiando di venire catturato dagli indigeni che odiano gli inglesi!”

Viggo si ricordò delle parole che aveva detto Wallace sui miliziani indigeni e corse verso Orlando prendendolo per le braccia. “Tu lo dici ridendo! Ma non immagini che rischio hai corso! Anche adesso. Se venissero qui… ti ucciderebbero… e non sto scherzando. All’alba ce ne andiamo!”

“Non dire idiozie! Hai appena detto che volevi restare qui e qui resteremo e poi sono troppo stanco per affrontare un altro viaggio nel deserto… non l’avrei mai fatto se non avessi avuto da dirti una cosa importante…”

“Va bene, ve bene, ma vieni nella mia tenda. Ti rinfrescherai un po’ e poi parleremo.”

“Si fa sempre come dici tu vero?”

“Sì” annuì Viggo “Almeno per quest’ultima volta. Devi toglierti quegli abiti ‘inglesi’”

Orlando lo seguì nella tenda bianca preparata per l’americano dal dott.Wallace. Viggo, in pochi istanti, gli preparò un bagno e degli abiti leggeri e freschi.

“Ecco fatto. Lavati e cambiati. Dopo parleremo.”

“Parliamo adesso. Posso fare il bagno davanti a te… non mi vergogno… siamo entrambi uomini no?” disse Orlando recitando. L’idea di spogliarsi davanti a Viggo lo faceva andare in fiamme, ma la partita era iniziata e doveva scoprire tutte le proprie carte per vedere quelle dell’altro. Come se Viggo avesse capito, decise di accettare il gioco. “Va bene.” L’uomo si sedette su uno sgabello proprio di fonte alla vasca da bagno con i gomiti sulle ginocchia, in attesa. Orlando prese a spogliarsi. Non che avesse molto addosso. La tunica di lino bianca lasciava vedere che Orlando non portava niente sotto. Se la sfilò rimanendo a dorso nudo. Sciolse poi il nodo dei pantaloni che caddero in terra. Viggo allungò una mano per raccoglierli. Quando rialzò lo sguardo, Orlando era nudo e con un passo entro nella vasca da bagno.

Nonostante la gola secca Viggo lo invitò a parlare.

“Sono venuto a dirti quello che ho tenuto per me a Londra. Sono venuto a dirti in quale modo ‘diverso’ avrei voluto le cose fossero andate tra di noi.” Orlando parlava con calma e con una lentezza inversamente proporzionale al battito del cuore di Viggo che stava immobile ad ascoltare. “Mi laveresti la schiena? Non ci arrivo…”

Viggo sorrise e si avvicinò. “Non ti sembra di chiedere troppo nel deserto? Addirittura un uomo che ti lavi la schiena!”.

Orlando doveva farlo. Se la provocazione visiva non era bastata, allora doveva provare con il contatto. “Sono un colonialista inglese… che vuoi farci?”

A quelle parole le mani di Viggo lo afferrarono per le spalle e lo tirarono verso di lui. “Non dire più certe cose. Tu non capisci quale pericolo stai correndo solo stando qui!”.

“E tu non capisci che pur di vederti ero pronto a correre qualunque pericolo!”

“Addirittura rischiare la vita? Bastava che tu mi telefonassi!”

“E tu mi avresti risposto dopo quanto è successo a Londra?”

“Certo che ti avrei risposto Orlando! Invece ora devo addirittura temere per la tua vita!”

“E te ne importa perché sei mio amico, giusto?”

“Me ne importa perché se ti accadesse qualcosa di male, non potrei sopportarlo. Ne morirei… credo… credo che non si possa sopravvivere alla persona che si ama…” concluse Viggo che si sentì come se, all’improvviso il suo cuore si fosse fatto di piume. Non più carne che pulsa dolorosamente, ma piume.

“E credi… che si possa rischiare la propria vita per la persona che sia ama?”

Orlando lo strinse di più al petto interrompendo il contatto visivo. Guardarlo negli occhi ora era troppo. “E tu… mi ami?” gli chiese sottovoce, con un tono di una tale dolcezza che Orlando ne fu schiantato. “Sì… ti amo… da sempre credo… dall’inizio voglio dire… magari non sempre alla stessa maniera…”

Viggo continuò a stringerlo tenendogli ferma la testa contro il suo torace ed inzuppandosi dell’acqua che bagnava Orlando. “E in che maniera mi ami ora?”

Orlando allora si divincolò e portandogli le braccia al collo mise i suoi occhi in quelli dell’uomo. “Ti amo come in uno di quei sogni che facevi quando eravamo in Nuova Zelanda. Come in uno di quei sogni in cui posavo le mie labbra sulle tue, facevamo l’amore e poi mi addormentavo sulle tue ginocchia.”

Viggo sorrise come non faceva da tempo e posò le sue labbra su quelle del ragazzo che lentamente le aprì per lasciare che quella unione fosse completa, intima. Viggo fece passare un telo bianco intorno al corpo di Orlando e gli asciugò il corpo senza smettere di posare piccoli baci sul suo collo e tra i suoi capelli. Poi lo fece adagiare sul giaciglio su cui si era coricato solo la sera prima e lasciò che Orlando si mettesse comodo. “Ti amo” disse ancora e ancora, incredulo per il fatto di stringere tra le braccia il sogno che aveva fatto la notte  precedente. Venuta dal nulla si era creata una confidenza tra loro che rasentava quella esistente tra Aragorn e Legolas, una confidenza che finora, nonostante la loro amicizia, non c’era mai stata. La cosa più bella, quella che li sconvolgeva entrambi poi era che si era prodotta in modo naturale, per il solo fatto di essersi detti ‘ti amo’. Fu Orlando a rompere per primo il silenzio allentato solo dal suono delle labbra sui loro corpi.

“Viggo… mi dispiace di essermi comportato in quel modo a Londra. Ero accecato dal mio dolore nato dal fatto di averti visto insieme a Sean la notte prima che prendessi la decisione di partire. Dopo, anche se tu hai tentato di parlarmi, non ho voluto ascoltare. Ho rischiato di perderti… e perdendo te, stavo per perdere anche me stesso…”

“Che vuoi dire?” chiese Viggo stringendolo più forte?”

“Niente, niente… ho commesso delle sciocchezze… ero giù, c’erano le riprese e ho ingoiato qualche tranquillante… volevo dirtelo perché non voglio più che cose non dette possano allontanarci.”

“Orli, niente ci allontanerà più ora che so che mi vuoi al tuo fianco. E qualunque difficoltà da oggi dovrai affrontare, ti aiuterò io a venirne fuori… avere cura di te è tutto ciò che voglio.”

Il ragazzo prima sprofondò in quelle braccia grandi e sicure, poi rialzò la testa e guardò Viggo maliziosamente. “Tutto ciò che vuoi? Sei sicuro di non volere niente altro? Non capita tutte le notti di avere il divino Paride nel proprio letto!” disse ridendo e allontanandosi dall’uomo con uno scatto felino.

“Vieni qui!” disse Viggo sottovoce. In Orlando però si era accesa la passione e non gli bastava più rimanere abbracciato all’uomo che era l’oggetto dei suoi desideri da mesi ormai. Rimase fermo inginocchiato sul giaciglio come un gatto avvolto solo nel lenzuolo candido che Viggo gli aveva allacciato alla vita. I riccioli scuri si muovevano appena per via del respiro sempre più intenso. Viggo allora si sfilò la sahariana e gli si parò innanzi. Portò le mani ai suoi fianchi e avvicinò il bacino di Orlando al proprio viso.

“Ora ti farò vedere quello che voglio. Bisogna scoprire se il divino Paride sarà all’altezza della propria fama!” disse circondando l’ombelico scoperto di Orlando con baci leggeri. La barba, appena incolta, di Viggo eccitò subito Orlando che gettò la testa all’indietro lasciando che l’uomo gli portasse via il telo che lo copriva. Orlando mise le proprie mani sulle spalle di Viggo che prese a baciargli il bacino e a toccargli l’interno delle cosce. Nel gioco delle carezze e dei baci lascivi scivolarono entrambi sulla sabbia che si appiccicò immediatamente ai loro corpi madidi. Orlando, finito addosso a Viggo, si mise a cavalcioni su di lui.

“Ti amo perciò smettiamola di giocare e facciamo sul serio capito?” disse il ragazzo facendo scivolare la propria lingua lungo il collo dell’americano che tirò indietro la testa che sentiva esplodere. Quando Orlando ritenne di averlo torturato a sufficienza scese a sbottonargli i pantaloni e chiuse il pugno su di lui. Viggo gemette e riaprì gli occhi. Con una mano afferrò i capelli di Orlando e con l’altra i glutei del ragazzo per ribaltare le posizioni.

“Ti amo Orlando e voglio fare l’amore con te” disse ansimando e scendendo a baciare la virilità eccitata del ragazzo che inarcò la schiena fino a che Viggo non la circondò con la sua bocca. All’inizio fu Viggo a spingere in sé Orlando che aveva completamente perso il controllo, ma qualche spinta più tardi fu il ragazzo a muoversi con più intensità. Viggo lo lasciò fare godendo a sua volta nel vedere quello che era stato in grado di provocare nell’altro ma, quando intuì che era giunto al limite, lo lasciò andare e soffocò le sue proteste con un bacio profondo.

“Ascolta, fermo… sta fermo…” disse stringendogli i polsi dietro la schiena per impedirgli di toccarsi “fermo… lasciati guardare… aspetta… vorresti… Orlando vuoi farlo?”

Il ragazzo era tutto un fremito. Si morse il labbro inferiore e annuì incapace di parlare in mezzo ai gemiti e alla sabbia che aveva dappertutto. Viggo lo fece sedere a gambe divaricate su di lui e riprese a toccarlo mentre Orlando gli graffiava tutta la schiena con le unghie.

“Fallo Vig!” quasi gridò all’improvviso “Fallo adesso!”

Incapace di trattenersi oltre, Viggo affondò dentro di lui completamente per poi sollevare il corpo dolorante di Orlando quel tanto che bastava perché il ragazzo riprendesse a respirare.

“Va tutto bene Vig… lo desideravo da tanto… sentirmi così… tuo…”

“Sì Orli… mio. Ora sei mio… mio… amore mio…” prese a dire Viggo allo stesso ritmo con cui si muoveva nel corpo di Orlando e con cui Orlando si muoveva nella sua mano. Fu un unione infinita e pure brevissima per quanto desiderio avevano in corpo i due amanti. La fine però giunse dolcissima e Orlando si lasciò cadere sul petto dell’uomo che amava. Viggo lo strinse come se dovesse sparire da un momento all’altro. “Ti amo Orli, tu sei la ragione per cui voglio essere un uomo migliore di quello che finora ti ha fatto soffrire. Ora che ho trovato questa ragione per vivere, per cominciare una nuova vita, voglio mostrarti un lato di me che non conosci, la persona che sta oltre l’obiettivo di quella macchina fotografica che odi tanto e che non ci separerà più amore mio!”

Orlando si sollevò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi poi parlò piano. “Io voglio soffrire se questa sofferenza è data dal mio amore per te. Mentre cercavo di soffocarlo ho visto come poteva essere vuota la mia vita… Qualunque cosa porti questo amore io la voglio. Voglio te… però, per favore Vig, la prossima volta fatti trovare in un set più facile da raggiungere!”

Viggo rise. Risero insieme e sembrò loro che il sole che stava per sorgere fosse il primo di un mondo dove la felicità appartiene a persone che sono diventate quello che vogliono essere.

Egitto, tendopoli di Wallace, lunedì.

Orlando era ancora tra le braccia di Viggo quando aprì gli occhi. Gli parve di vedere un bambino che li spiava dalla fessura che dava all’esterno della tenda. Si sollevò e indossò un paio di pantaloncini e una maglietta che Viggo aveva preparato per lui.

“E tu chi sei? Capisci la mia lingua?”

Il ragazzino annuì. Orlando vide allora che aveva una gamba amputata all’altezza del ginocchio e gli si strinse il cuore. “Vieni dentro. Vig dorme ma ho una cosa per te…” disse raggiungendo il suo bagaglio e prendendo una radiolina che si era portato dietro. “Tieni… è tua!”

Jona la prese con mani incerte ma fu subito colpito dai suoni che emetteva. Si mise a ridere e la sua risata gioiosa svegliò Viggo.

“Vedo che hai fatto amicizia con Jona. Buongiorno amore…”

A quelle parole Orlando gli tornò vicino e posò un piccolo bacio sulle sue labbra. Jona li guardò e sorrise quando l’atmosfera serena che stavano vivendo fu squarciata da un colpo di arma da fuoco. Jona urlò e corse tra le braccia di Viggo.

“Orlando resta qui con Jona. Non uscire dalla tenda per nessuna ragione al mondo. Capito?” disse mentre si rivestiva e usciva dalla tenda.

“Vig aspetta! Che succede?”

“Devono essere i miliziani. Non uscire dalla tenda ho detto!”

Quello che accadde dopo rimase confuso per molti giorni nella testa di Viggo. I miliziani erano giunti al campo per saccheggiare le provviste. Vollero setacciare l’intera tendopoli. A nulla valsero le proteste del dott.Wallace. Viggo cercò di nascondere Orlando e Jona in una specie di infermeria, ma i miliziani li sorpresero nel tentativo di fuggire. Compresero dall’accento di Orlando che era inglese e tentarono di strapparlo dalle braccia di Viggo che colpirono alla testa per piegarne la resistenza. I miliziani trascinarono Orlando con loro forse con l’intenzione di chiedere un riscatto all’ambasciata inglese al Cairo, ma uno di loro finì con un piede su una mina e ci fu una terribile esplosione. Il dott.Wallace tentò di trattenere Viggo dal correre in soccorso dei feriti che erano ancora sul campo minato. Jona stesso tentò, ma Viggo aveva ancora in testa, chiare e vivide le parole di Orlando “E credi… che si possa rischiare la propria vita per la persona che sia ama?” Corse verso il luogo dell’esplosione e lo vide. Si inginocchiò al suo fianco con gli occhi pieni di lacrime. Provò a sollevargli il busto e la testa ferita.

“Orli… amore… rispondimi ti prego… Orlando…” gridò in mezzo alle lacrime “ti prego… ti prego… amore… amore mio…” Fu allora che sentì la mano di Wallace sulla spalla. “E’ vivo. Respira a malapena. Portiamolo in infermeria…” Le ore che seguirono furono terribili per Viggo. Comprese cosa significa dover vivere in Africa. Dover morire in Africa. Sapere che c’è qualcosa che può salvare una vita, ma che quel qualcosa, a te non è concesso. Viggo pianse. Non solo per Orlando, per la sua paura di perderlo, ma anche per tutte le persone che quel giorno erano morte. Solo dopo molte ore il dott.Wallace uscì dalla tenda dove aveva portato Orlando dicendo che il ragazzo se la sarebbe cavata.

Orlando si svegliò la notte seguente e scoprì che Viggo era rimasto sempre al suo fianco e non aveva mai smesso di tenergli la mano.

“Orli… ce l’hai fatta… come tuo solito visto?” disse Viggo senza nascondere la sua commozione.

Orlando gli sorrise confuso. “Vig… ma che diavolo è successo? Ero venuto a cercarti per parlarti… per scusarmi di come erano andate le cose a Londra… che… che mi è successo?”

“I miliziano Orlando… volevano portarti via… non ricordi?”

Il ragazzo scosse il capo ancora più confuso. “Non ricordo niente… l’ultima cosa che ho in mente è il mio arrivo qui… poi… è buio completo…”

Viggo fu come colpito da un pugno nello stomaco. “Non ricordi assolutamente nulla?”

“No più niente Vig però sono contento che… abbiamo fatto pace… perché dobbiamo aver fatto pace se hai passato tutta la notte al mio capezzale…” disse Orlando guardando Viggo con due occhioni impauriti. Viggo trattenne il fiato poi sospirò e chiuse gli occhi.

“Sì… amico mio… abbiamo fatto pace…” Avrebbe tenuto la notte passata nel suo cuore. Non poteva spiegare ad Orlando che si erano amati e che, per un solo momento, erano stati davvero felici. “Riposa adesso… dormi.”

“Vig…”

“Sì?”

“Voglio tornare a casa…” Viggo gli sorrise.

“Va bene.”

“Mi ci accompagnerai? Verrai con me?”chiese tentennando.

“Sì.”

“Sì?”

“Sì.” Viggo uscì dalla tenda e Orlando si addormentò sereno.

Londra tre settimane dopo l’incidente

Orlando se ne stava seduto sul proprio balcone a guardare le persone che passeggiavano di sotto. Londra era sempre la stessa. Le mamme con i passeggini, i fidanzatini, il solito signore in là con gli anni che leggeva il giornale. Poggiò il mento sulle mani e i riccioli scuri gli caddero sugli occhi. Ora sembrava che la gente camminasse in una foresta bruna. Sorrise e si accorse che due occhi blu ed intensi lo stavano fissando da dietro.

“Vig mi porti un bicchiere d’acqua?”

Dopo un attimo il bicchiere era sul tavolo. “Non credi che sia ora di finirla? Ormai sei guarito!”

Orlando sorrise e fece una linguaccia per poi tornare nella posizione iniziale.

“Vig… grazie per essere rimasto al mio fianco tutto questo tempo” disse sottovoce. Viggo gli si avvicinò. “Ci sarò sempre per te…”

“Sai, Vig… spesso ci ho pensato… ho pensato a come sarebbe stato se, fra di noi, le cose fossero andate in un modo diverso….”

Viggo sussultò. “Diverso… come?”

“Non lo so. Diverso… non so nemmeno se migliore o peggiore di come stiamo adesso però, quando mi guardo indietro vedo così tante strade lasciate vuote. Strade delle quali non riesco a vedere la fine, ma sempre assolate. E rassicuranti…”

Viggo sentì le lacrime pungergli gli occhi e stavolta non per la tristezza di ciò che aveva così velocemente guadagnato e perso, ma per la consapevolezza terribile e meravigliosa che i sogni, nella vita, prima o poi si avverano.