.|. Il Destino nello Specchio .|.

Capitolo VII

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Iniziò a correre. Veloce, sempre più veloce. Disperato.
La pioggia gli batteva sul volto e scivolava via dietro le sue spalle, gocce appuntite come aghi graffiavano quelle guance levigate.
Già… la pioggia. Pioggia. Forse. Oppure lacrime. Le lacrime si confondevano con l’acqua.
Assenza di consistenza del corpo in quella folle corsa.
Non sentiva la materia. Non sentiva nulla.
Solo i sentimenti lo guidavano. Soltanto quelli. Soltanto essi poteva percepire.
Erano i suoi sentimenti che stavano correndo.
Era disperazione. Sfida. Lotta.
Aveva dichiarato guerra al Tempo. Ma sapeva di vincere.
Nulla gliel’avrebbe impedito!
Il cuore pulsava nel petto. Pulsava. Pulsava. Pulsava. Rimbombava nelle tempie. Invadeva tutto.
Stava correndo nel suo cuore.
Oppure era il suo cuore che correva?
Ce l’avrebbe fatta. Ad occhi aperti. Oppure cieco.
Con tutto se stesso, oppure annullando se stesso.
Correva, a grandi falcate, divorava la terra, bruciava i prati, spezzava il vento.
Nulla resisteva al suo incedere vorace.
Paesaggio multicolore che scivolava via… lungo i fianchi… verde… giallo…marrone… terra bruciata…azzurro riflesso… rosso - preludio - alla notte, ma lui, lui vedeva soltanto bianco, grigio sfumato… Nulla di più!
Non un inizio. Non una fine. Non una strada.
Stava avanzando e non si era mosso di un millimetro.

Correva. Instancabile. Avrebbe vinto.

Divorato dai colori, cavalcava istanti inesistenti, sapeva che infine sarebbe approdato, anche se non vi era meta.
Conosceva la sua meta.

Correva. Instancabile. Avrebbe vinto.

Lui, il sentimento, lui, l’emozione mai rassegnata, lui, il cuore ribelle all’evidenza.
Il sentimento correva, l’emozione correva, il cuore correva.
Tutto era diventato sentimento, emozione, cuore.
Rasente l’esplosione.
Gridò. Un grido violento, disperato. Rimbombò nella radura vuota. Un grido muto. Silenzioso. Senza voce.
La radura non finiva mai. La radura non era mai cominciata. La radura non esisteva.

Correva. Instancabile. Avrebbe vinto.

La radura scomparve.
Crollò a terra.
Non si era mosso.
Tutto tacque.
Gridò.
Un bosco.
Alberi in fila, dritti come soldati. Il buio… dietro.
Alberi piatti, senza prospettiva.
Sgranò gli occhi. E gli occhi invasero tutto. Divenne sguardo. Entrò nel suo stesso sguardo. Invase tutto.
Alberi come mura. L’entrata di un bosco. Nulla dietro.
Una eco. Violenta. Sensuale.
L’attirava.
Non doveva cedere. Voleva cedere.
Non poteva. Si mosse. Ricadde. Gridò.
Silenzio.
Risa nell’aria. Una fanciulla. Dolce melodia la sua voce. Si perdeva nella cupola del cielo. Rimbombava. Nella sua mente. Ritmicamente. Nella sua testa. Ritmicamente. Nelle sue tempie. Ritmicamente.
Serrò le orecchie con le mani. Non doveva scendere in lui. Non quella voce, non quella melodia.
Non ancora.
Si alzò, riprese a correre verso il bosco… correre… correre… allontanarsi velocemente… con le mani alle orecchie e lei, creatura sconosciuta, umiliata nel suo canto, ritornava ovunque… davanti, dietro, sotto di lui, lo stava schiacciando, si dileguava, compariva ancora… bellissima, luminosa, crudele.
Non la voleva… oh no… non la voleva.
Bastava non ascoltare la sua voce, sarebbe infine scomparsa.
Raggiunse il bosco.
Le chiome degli alberi scomparvero e si trasformarono in volti.
Si mescolavano, si sostituivano, si sovrapponevano, tornavano ad essere chiome.
Parlavano.
Non poté fare a meno di guardare il movimento delle loro labbra: “usala”… “usala”… “usala”… “il veleno ha vinto”… “non conosco i suoi effetti”… “ho bisogno di credere”… “usala”… “guarirà”… “ho bisogno di credere”… “usala”… “si salverà”… “usala”… “il veleno ha vinto”… “ha vinto”… “ha vinto”…
Si dimenò. Chiuse gli occhi… non poteva tenerli chiusi… Gli alberi lo costrinsero a guardare.
Scorse un’ombra. Sgusciò via dagli alberi. Divenne sagoma. Divenne forma.
“Sei tu…!”
Fece per muoversi, non un passo, crollò a terra e la terra lo trascinò via con sé… all’indietro.
Lui lo guardava e attendeva...
Cercò di tendere una mano, ma non poteva… non poteva staccarle dalle orecchie… la voce… era lì… incalzava… lei, sensuale e vicina… le chiome parlavano, gridavano e lui si allontanava senza sentire, si allontanava… si allontanava… si allontanava…
Gridò. Non poté.
La bocca era serrata.
“Il veleno… il veleno… credere… usala… veleno… credere… usala…usala…usala…”
Tutto divenne turbinio. Tutto divenne voragine.

Correva. Instancabile. Avrebbe vinto.

Le chiome gemettero, egli scosse la testa, l’aria gli afferrò le braccia e gliele allontanò con violenza dalle orecchie… gridò… e la voce entrò dentro di lui.
Tremò. Sussultò. Rabbrividì.

Cadeva. Rassegnato. Giungeva la fine.

Lui scomparve. Il volto scomparve. Lei scomparve. Le chiome scomparirono. La melodia cessò.
L’ampolla si ruppe.
L’acqua scivolò sull’erba.

Tutto era finito. Aveva perso. La morte.

“Legolas… Legolas…” la morte… “Legolas…” la morte “Legolas…” una luce, era l’addio… una luce… “Legolas…” una voce… ultimo sospiro… “Le..golas…” correva… instancabile… avrebbe vinto… “Legolas…” aprì gli occhi “…avrebbe vinto…” solo allora vide quelli chiari del compagno su di sé.
La luce…

“A..Aragorn…?”
Lo sguardo non era ancora nitido. Per alcuni istanti Legolas non si rese ancora conto di dove si trovasse. Le immagini di poche ore prima, la disperazione, la paura, non avevano cessato di tempestargli la mente.
Richiuse nuovamente gli occhi… si sentiva debole, terribilmente debole…
“Il veleno ha vinto… il veleno ha vinto… correvo… non ti ho raggiunto… non potrò… salvarti… usala… il veleno ha…”
“Legolas, Legolas ti prego svegliati… rispondimi…” lo scosse un poco il Ramingo “…ti prego guardami… avanti, alza il volto… si, così…” sorrise “…sono io, sono io… Aragorn…!”
Nel sentire quelle parole l’Elfo smise di balbettare frasi senza senso e lentamente riaprì gli occhi per vedere se ciò che guardava corrispondesse davvero a realtà.
Scrutò il compagno come se lo avesse visto per la prima volta.
“Sono io…” ripeté l’Uomo.
Legolas, senza dire ancora nulla, sollevò una mano e la appoggiò sulla sua guancia, carezzandogliela dolcemente.
Non può essere…” pensò tra sé e sé.
Ma il contatto con la barba ruvida di Aragorn, con la pelle calda del suo viso lo riportarono lentamente alla realtà.
Sorrise. Sussultò. Sorrise ancora. Si morse le labbra. Aveva voglia di piangere.
“A..Aragorn…” mormorò con voce rotta “Aragorn!” esclamò e con uno scatto improvviso si gettò tra le sue braccia “Sei tu… tu… sei… sei vivo…”
L’Uomo, dopo un piccolo istante d’imbarazzo non poté fare a meno che stringere Legolas a sé.
Gli carezzò dolcemente la nuca, sfiorando con le labbra quei capelli d’oro.
“Si… sono vivo…” sussurrò trattenendo con forza l’Elfo nel suo abbraccio, come per ridonargli quel calore che doveva aver perso durante la notte.
Il suo corpo era scosso dai singhiozzi, tutto il dolore, la paura e gli incubi si trasformarono in lacrime. Aragorn non gliele asciugò… lasciò che scorressero via libere sul suo petto e in silenzio ascoltò quel pianto che riusciva a dire molto di più di tante parole.
“Estel…” gemette Legolas aggrappandosi a lui.
L’Uomo sentì la guancia del compagno appoggiarsi su di sé, e le sue labbra che in un modo o nell’altro parevano cercare il suo cuore per piangere su di esso.
Sentì la sua testa muoversi contro il suo petto, come se volesse accertarsi che ciò che stava vivendo non fosse un sogno.
“Credevo… credevo di averti perso…”
Aragorn gli rialzò dolcemente il volto con le dita.
Sorrise.
“Credevo… che non ce l’avrei mai fatta a vincere contro quel veleno…”
“Legolas…” mormorò l’Uomo, quasi incredulo nel vederlo in quel modo.
Quegli splendidi occhi azzurri erano segnati dal dolore e da una paura che ancora non l’aveva abbandonato, ma al tempo stesso risplendevano di una nuova speranza e di una luce profonda e sconosciuta.
Quello sguardo non apparteneva a un guerriero impavido e indecifrabile, a volte quasi gelido, e neppure all’amico che ormai conosceva bene.
No, non era eroismo quello che Legolas in quegli istanti gli stava raccontando con gli occhi.
Quella bellezza fragile e disarmante lo imbarazzò e Aragorn dovette abbassare la testa per non continuare a guardarlo.
Istintivamente gli carezzò il volto con le dita, gli asciugò finalmente le lacrime.
“Basta piangere ora… basta…” gli sussurrò attirandolo nuovamente a sé.
Legolas si accoccolò sul suo petto, come un bambino desideroso di protezione.
Desiderava sentire il calore della sua pelle, tornata nuovamente a bruciare, il ritmo del suo cuore tornato a battere gioioso, desiderava imprimere nella memoria gli occhi del compagno sui suoi, quello sguardo pieno di dolcezza.
Desiderava sentire la Vita, desiderava sentirla in lui.
I capelli biondi ricaddero sparsi sul petto dell’Uomo, l’Elfo gli cinse la vita in un abbraccio e Aragorn senza pensare fece lo stesso con lui.
Ma d’un tratto una fitta di dolore gli attraversò velocemente una spalla e la schiena.
“Ahi!” gemette.
Legolas saltò su immediatamente.
“Oh perdonami!” esclamò, guardando il punto dolente.
Aragorn voltò la testa e con la coda dell’occhio scorse il lembo di tunica che bendava la spalla.
Aggrottò la fronte come per cercare di ricordare cosa fosse accaduto e quando si fosse procurato quella ferita.
Poi rialzò lo sguardo sull’Elfo.
“È per questo che hai temuto…?” mormorò l’Uomo sfiorandola con le dita.
“Non… non ricordi nulla di quello che è accaduto, vero?”
Non ricordava infatti. Le immagini gli si accavallavano confuse nella mente, sprazzi e frammenti di qualcosa, ma non vi era nulla di nitido.
“Ti hanno colpito…” proseguì Legolas “…un gruppo di orchetti, nell’oscurità del bosco. Non riuscivamo più a sentirci, né tanto meno a vederci… io ti chiamavo per fermarti, ma tu hai preferito proseguire…”
A quelle parole il Ramingo spalancò gli occhi; non rammentava bene cosa fosse accaduto, ma una profonda inquietudine gli fece capire che avevano corso un grave pericolo.
“Oh Legolas, perdonami! Ho messo a repentaglio la tua vita e la mia e solo per la mia testardaggine!” lo strinse forte a sé “Se solo ti fosse accaduto qualcosa, io…”
“Tu cosa, Estel?” l’interruppe l’Elfo, guardandolo negli occhi.
Aragorn abbassò la testa, come se avesse detto già troppo.
“Ma non è accaduto…” riprese Legolas “…non a me, almeno… Ti ho ritrovato poco più avanti, a terra, non vedevo più nulla, potevo soltanto sentire… e purtroppo ho sentito il tuo sangue, il tuo corpo freddo e bagnato dalla pioggia… Ho dovuto agire nel buio, dovevo far presto…”
“Il buio…” soggiunse l’Uomo, facendosi pensieroso “…soltanto questo, soltanto il buio ricordo, un buio gelido e fatale che mi ha penetrato le carni, tagliente come una lama…”
“È… era di questo buio che ho avuto terrore…” gli prese il volto tra le mani “Credevo che… non avresti mai più potuto vedere la luce, credevo che… non avrei mai più rivisto la luce…”
Aragorn sorrise, il cuore prese a battergli con forza… non sapeva cosa intendesse Legolas con quelle parole, ma sentì un forte calore percorrerlo, come se d’improvviso la vita fosse rinata dentro di lui.
Strinse forte a sé il suo Elfo, lo sentì intimamente vicino in quell’istante, e Legolas si lasciò andare tra le sue braccia che erano nuovamente tornate ad essere forti, calde e vigorose.
“Sei stato tu… questa benda è un pezzo della tua…”
“Tunica, si… era l’unica cosa che avevo per poterti curare, ho cavalcato più veloce che potevo e fortunatamente ho trovato questa grotta, anche se…”
“Tu mi hai salvato la vita, Legolas!” l’interruppe Aragorn, rialzandogli il volto.
“No, Galadriel ti ha salvato, la sua acqua…”
“La tua speranza!” soggiunse l’Uomo, guardandolo profondamente.
“Io non…”
“Tu non hai mai smesso di sperare… in quegli istanti ho sentito la morte, faceva così buio e freddo, eppure riuscivo ancora a vedere un barlume di luce in mezzo a tutta quell’oscurità…” sorrise “Ed ora comprendo cosa fosse quella luce…” disse carezzandogli dolcemente le guance “È stato quel calore a tenermi in vita… è lo stesso che sento ora…”
Legolas accennò un sorriso, ma i suoi occhi si velarono ancora una volta di tristezza.
“Credevo di non farcela… credevo che saresti… morto tra le mie braccia…”
“Mellon nin…” sospirò Aragorn, abbracciandolo ancora.
Perché Legolas era capace di fargli tremare il cuore in quel modo? Guardò il suo volto e vi lesse tutta la malinconia, tutta la paura e tutti i sentimenti che stava provando in quel momento.
Era dolce, tenero, ora appariva indifeso, quella lotta estenuante l’aveva stremato.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, fargli sentire tutta la sua gratitudine, ma preferì godere di quegli istanti in silenzio.
Le loro emozioni invisibili parlavano da sole.
Continuò a carezzargli la testa, cercando di allontanare da entrambi quei tristi pensieri.
Era stato davvero un miracolo che si fosse salvato.
“Non devi più temere,ora…” gli sussurrò dolcemente “…se non è accaduto nulla di male, è forse perché il Destino non l’ha permesso.
“Il Destino?” sobbalzò Legolas, come se fosse stato scosso da quella parola.
“Si… e a quanto pare sembra proprio che tu dovrai continuare a sopportarmi ancora per un bel po’ di tempo!”
“E che sia infinito questo tempo!” rispose Legolas d’istinto.
Aragorn abbassò un istante gli occhi.
“Non ti vuoi… liberare di me, dunque…?” disse cercando di ironizzare ancora un po’.
L’Elfo non resistette più e lo abbracciò con forza.
Aveva bisogno del suo calore più di qualsiasi altra cosa.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, non riuscirei a …” ma s’interruppe di colpo.
“Non riusciresti a…?”
“Non riuscirei a… trarti in salvo una seconda volta…” sorrise “Sei pesante!”
Aragorn lo guardò stupito. Poi scosse la testa e rise.
“È stata un’impresa sollevarti da terra!”
“Ah! È così? Ti burli di me, ora?” esclamò il Ramingo, fingendosi risentito.
“No… è la verità… io sono un Elfo, non ho certo la forza di un Uomo per…”
“Tu ce l’hai questa forza…” l’interruppe Aragorn, sussurrandogli sulle labbra “…più di quanto tu non creda…” gli appoggiò una mano sul petto “Qui brucia un fuoco che gli Uomini possono solo sperare di possedere un giorno…”
“Anche in te brucia questo fuoco, Estel!”
“Ora si, perché sei stato tu a donarmelo!”
Legolas abbassò gli occhi.
Non era stato facile sperare fino all’ultimo, ma qualcosa dentro di sé gli aveva dato la forza per farlo. Il suo coraggio sarebbe stato nullo senza i suoi sentimenti, senza ciò… che provava per Aragorn.
“Hai ragione…” riprese a dire, fissandolo intensamente “Non esiterei a salvarti ancora se si dovesse presentare un altro pericolo… ti proteggerei con la mia stessa vita!”
L’Uomo continuava a passare le dita tra i capelli del compagno, ascoltò in silenzio quelle parole, non avrebbe saputo cosa rispondere tanta era la tempesta che aveva iniziato a riversarsi dentro di lui.
“Il Destino ha avuto ragione sul male ancora una volta…” si limitò a dire, fissando un punto indistinto nella grotta.
Legolas si riaccoccolò su di lui, facendosi pensoso.
Troppe erano le emozioni e troppi erano i pensieri. Scelse il silenzio.
“Il Destino…” disse tra sé e sé “Già… il Destino…”