.|. Il Destino nello Specchio .|.

Capitolo VI

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La pioggia non cessava di cadere.

La terra continuava ad accoglierla, rassegnata.

Era una pioggerellina leggera, fina, di quelle che rinfrescano e stuzzicano la pelle.

 

Il sole splendeva a Lorien.

Non aveva mai smesso di farlo. Dai primi istanti del mattino.

Soltanto quando i due amici avevano oltrepassato i suoi confini, le nubi avevano iniziato a stagliarsi nel cielo.

Prima chiare e diradate, poi si erano ammassate, oscurandosi, divenendo minacciose e gonfie, simili ad un manto di cotone sporco.

Legolas si voltò verso il Bosco D’Oro e per un istante il suo viso si velò di tristezza.

Provava già nostalgia per quei raggi di sole, per la luce azzurra e dorata carica di magia. Non l’avrebbe ritrovata in nessun altro luogo.

Dopodiché, ritornò a guardare dinanzi a sé. Vide le ampie spalle del Ramingo muoversi ritmicamente, mentre cavalcava senza fretta, i neri capelli al vento, il mantello dispiegato che volava libero nell’aria.

Aragorn appariva tranquillo. Era silenzioso e concentrato sulla strada.

Legolas sorrise. Era bello vederlo davanti, in un certo senso quella figura imponente lo rassicurava, e anche se l’Uomo non conosceva bene quei luoghi quanto lui, sembrava quasi volesse guidarlo.

Ma l’Elfo glielo lasciò fare.

Gli piaceva affidarsi all’intuito e all’istinto del Ramingo. Non falliva mai!

Aragorn era immerso nei suoi pensieri. Il mondo gli sembrava distante e assente, scomparso attorno a lui.

Benché Legolas non potesse vederlo in faccia, riuscì comunque a percepire il suo sguardo e i sentimenti di quel momento.

Immaginò i suoi occhi velarsi di malinconia…

Bellissimi…” pensò fra sé e sé, non prestando troppa attenzione al brivido che lo aveva percorso, formulando quel pensiero.

Lo vide avanzare seguendo il suo istinto, ma lasciò completo potere al suo cavallo.

Sembrava non vedere nulla… sembrava guardare altrove…

Forse…” pensò Legolas “…questo posto ti sta parlando al cuore… ci sei già passato una volta, Estel? Forse non lo ricordi, oppure i tuoi occhi vagano per queste lande alla ricerca di una riposta…?

Percepì l’intensità di quello sguardo.

Un fremito di tenerezza lo percorse tutto.

Vorrei sapere ancora tante cose su di te… i giorni a Lorien non sono bastati per conoscerci… Troppe le battaglie… e noi due…? La nostra complicità…? I nostri sentimenti…? La nostra amicizia..? Quanto sappiamo l’uno dell’altro, eh Aragorn?

Legolas sorrise e ancora una volta i suoi pensieri si persero nei ricordi dei giorni passati. Sempre più spesso gli ritornavano alla mente… e la dolcezza di tanti istanti lo invadeva.

“Quante notti mi hai allietato con le tue storie… hai affascinato talmente tanto la mia fantasia che sarei rimasto per ore ad ascoltarti…” sospirò “Ed io ti allietavo con canzoni nella mia lingua… il tuo volto… adoravo vederlo dipingersi di stupore… dolcissimo… bellissimo… Estel… tu non sei soltanto un guerriero… il tuo animo è capace della poesia più intensa…” chiuse per un istante gli occhi “Vorrei ancora trovare il tempo per farmi raccontare di paesi lontani e mai visti, di magie, di segni segreti ed arcani messaggi, di lotte e battaglie, del tuo cuore, della gioia e della sofferenza che porta…”

 

Non solo Legolas era affascinato dal mondo del Ramingo, ma anche Aragorn amava perdersi nell’atmosfera di quelle notti. Quando l’Elfo cantava, l’Uomo non distoglieva mai gli occhi dal suo volto e molto spesso, quando le palpebre di Legolas si chiudevano lentamente per sentire di più la melodia della sua stessa voce, il suo sguardo cadeva su quelle labbra delicate che si muovevano per emettere quei dolcissimi suoni.

“Credo che sia una caratteristica di voi Elfi, saper trasmettere la luce in qualsiasi cosa che fate o dite…” gli ripeteva spesso l’Uomo “È così bello sentirti…”

“Cos’è che è bello, Estel…?” l’interrompeva l’Elfo, riaprendo gli occhi.

“Tu, sei bello Legolas…” rispondeva Aragorn, dopo un profondo sospiro “In… in questi momenti…”

L’Elfo arrossiva e chinava la testa. Non sapeva perché in quegli istanti gli faceva sempre la stessa domanda, forse perché adorava sentir pronunciare dalla bocca di Aragorn quelle parole… parole rivolte a lui.

Poi sopraggiungeva il sonno e l’Uomo si addormentava accanto alle sue gambe, cullato ancora per lungo da quella melodia.

Infatti Legolas non smetteva di cantare… teneva gli occhi fissi su quelli chiusi del Ramingo e lasciava che quella musica gli raggiungesse l’anima… nell’istante in cui egli era più indifeso.

“Ruberò ogni tua paura… ruberò ogni tua fatica… allontanerò da te ogni barriera, affinché riesca, anche se solo per un istante, a farti tremare il cuore…”

Concludeva con queste parole, ogni notte, il suo canto, convinto che l’Uomo non lo sentisse.

Ma Aragorn, in silenzio, sorrideva…

 

Legolas rimase ancora per un po’ a ricordare. Erano così piacevoli quei pensieri…

Nonostante stesse cavalcando e nonostante la pioggia, gli sembrò quasi di sentire quel torpore scendere su di lui, il torpore di quelle sere, quando ambedue, godendosi quella quiete con un’occhiata d’intesa, decidevano di passare qualche ora insieme.

Si sedevano dinanzi al fuoco, uno davanti all’altro… soltanto la fiamma riusciva a dividerli… così iniziavano a donarsi i più intimi pensieri.

L’uno cantava, l’altro narrava…

“Legolas! Non riesco a vedere quasi più nulla!”

L’Elfo sobbalzò sulla sella.

La voce di Aragorn l’aveva improvvisamente ridestato.

Era talmente immerso nei suoi pensieri, che non si era neppure accorto della pioggia che aveva preso a  cadere con più forza e a quanto sembrava, non intendeva smettere.

Non vi erano tuoni e lampi.

Soltanto il silenzio. Il rumore della pioggia che scrosciava. E il buio.

Il buio?!

Legolas alzò di scatto il volto e sgranò i grandi occhi blu.

Non riusciva a vedere bene.

Non riusciva a vedere affatto!

Tra le ombre il suo sguardo acuto aveva ben poco potere.

Il bosco in cui si erano inoltrati era fittissimo: i tronchi erano vicini l’uno all’altro e le chiome degli alberi li ricoprivano come un grande tetto oscuro.

Non riuscì a distinguere se fosse già calata del tutto la sera.

Là dentro era comunque notte.

Si voltò indietro per vedere se ancora potesse scorgere un po’ di luce o i confini di Lorien, ma tutto era avvolto nell’oscurità.

Erano circondati dalla foresta. E questa pareva scrutarli con occhi vigili.

La pioggia si fece ancora più fitta, a malapena l’Elfo riuscì a scorgere la sagoma di Aragorn dinanzi a sé

Lo vide avanzare lentamente, arrancando.

Se la pioggia impediva così tanto il cammino a Legolas, figuriamoci quanto potesse rallentarlo all’Uomo.

L’Elfo tentò di chiamarlo, ma non una parola uscì dalla sua bocca.

Iniziò a temere.

La sua ombra nera si confondeva tra ombre nere, il rumore degli zoccoli del cavallo era attutito dal fruscio sempre più violento della pioggia.

I rami più bassi degli alberi si sbattevano contro il loro volto, sembravano schiaffeggiarli, quasi che la foresta avesse deciso di impedirgli di proseguire.

“Aragorn…” mormorò.

“Aragorn!” chiamò più forte.

“Sono qui!” rispose l’Uomo poco più avanti.

Gli zoccoli dei cavalli affondavano pesantemente nel fango.

“Aragorn, non possiamo più continuare! Dobbiamo fermarci!” gridò Legolas.

“Avanziamo ancora qualche miglio! Finché gli alberi ci costeggiano significa che siamo ancora sulla strada maestra!”

“È meglio fermarci! Non sappiamo se questa è la strada maestra, questo bosco è troppo intricato!”

“La pioggia smetterà prima o poi…cerchiamo di guadagnare tempo!” insistette l’Uomo.

Legolas sospirò innervosito. Quella situazione non gli piaceva affatto.

“Non stiamo vedendo quasi più nulla! A cosa serve avanzare? …ESTEL!”

“Non ti preoccupare! Io seguo il sentiero, stammi dietro!”

La voce del Ramingo si era fatta più lontana.

A Legolas giunse poco più che un sussurro.

“Potremmo perderci!” gridò un’ultima volta l’Elfo, ma sentiva che la sua voce si perdeva nell’aria.

La pioggia continuava a picchiare forte.

Legolas era abituato a quel genere di clima, l’acqua non lo disturbava più di tanto, ma si stava chiedendo come Aragorn potesse avanzare.

Ormai non lo vedeva più, non sentiva nemmeno il rumore degli zoccoli.

Si guardò intorno, ma vide soltanto ombre.

“Aragorn!” gridò…

“ARAGORN!” gridò ancora.

Non ottenne risposta. Tutto taceva. Oppure era il rumore della pioggia così forte che gli impediva di sentire qualsiasi altro rumore.

“Maledizione! Ci stiamo perdendo!”

“Legolas!” gridò il Ramingo, ma anche egli non ottenne risposta.

Non sapeva se fermarsi, cambiare strada o proseguire. Alla fine decise di avanzare ancora un po’. La strada l’avrebbe comunque condotto da qualche parte.

“Questa pioggia smetterà prima o poi…” mormorò, chiudendo le palpebre.

Ma evidentemente la pioggia si stava burlando di lui.

Prese a scrosciare ancor più violentemente. Ambedue furono inghiottiti dal rumore, rumore d’acqua assordante.

È pericoloso, è molto pericoloso…” si disse Legolas, ma cercò di non pensare al peggio.

Ormai erano completamente fradici.

I vestiti inzuppati rallentavano i loro movimenti. I cavalli, immersi con le zampe nel fango che si rimescolava melmoso, erano sfiniti.

Aragorn respirava a fatica, non riusciva più neppure a servirsi del suo intuito.

Legolas cercava di seguire le sue tracce, ma inutilmente… ormai non lo vedeva più.

“Aragorn…” mormorò.

Ma l’acqua si posò sulle sue labbra e lo costrinse a tenerle chiuse.

I due compagni erano lontani l’uno dall’altro, come racchiusi in una sfera insonorizzata.

Non potevano sentirsi.

Trascorsero lunghi attimi…

Quell’oscurità non intendeva dipanarsi, l’aria era sempre più rarefatta, minacciosa…

Legolas iniziò ad essere inquieto.

Non riusciva più a vedere il compagno, non sapeva in quale direzione stessero andando; conoscere il posto lo rassicurava, ma in quella situazione sarebbe stato davvero difficile trovare un luogo dove ripararsi.

Se solo si fossero fermati prima!

“Dannazione Aragorn, perché sei così testardo!”

Un sibilo trafisse l’aria, proprio vicino al suo orecchio.

Legolas sobbalzò spaventato.

Ma non ebbe il tempo di pensare, perché ve ne fu un altro e un altro ancora... vicinissimi, taglienti...

Comprese subito di cosa si trattasse, ma era completamente spiazzato, l’acqua gli impediva di tenere bene aperti gli occhi, e in ogni caso non avrebbe potuto vedere nulla, data la fitta oscurità.

Un altro sibilo, più vicino degli altri... quasi a sfiorargli il volto.

“Yirch!” gridò.

E a quel grido rispose una pioggia di frecce che iniziarono a spezzare l’aria instancabili.

L’Elfo tremò.

Non sapeva proprio cosa fare. Iniziare a correre più veloce che poteva o buttarsi a terra e cercare riparo da qualche parte.

Una freccia avrebbe potuto colpirlo in qualsiasi momento.

Ancora un sibilo tagliò l’aria.

Legolas lo percepì benissimo. L’orchetto doveva essere proprio dietro di lui.

Estrasse una freccia dalla faretra, si voltò di scatto, tese il suo arco e colpì nell’ombra.

Ci fu un rantolo orribile e strozzato, dopodiché... silenzio. L’orchetto era crollato a terra.

L’Elfo continuava a non vedere nulla attorno a sé, in quegli istanti poteva fidarsi soltanto delle sue percezioni, doveva attaccare e difendersi allo stesso tempo.

Le frecce non cessavano di essere scoccate.

D’improvviso gliene passò un’altra accanto.

Parve perdersi nell’aria.

Silenzio... un grido... un tonfo...

Un grido... voce umana!

“Aragorn!”

Nessuno rispose.

Legolas si guardò intorno spasmodicamente.

Vi erano soltanto loro due in quel bosco, probabilmente circondati da una banda di orchetti, ma quella voce non poteva essere di nessun altro se non...

Aguzzò il suo sguardo, ma vide solo ombre, spronò il suo cavallo prima da un lato, poi da un altro, ma non si mosse, non sapeva quale direzione prendere.

D’improvviso un fruscio a poca distanza da lui attirò la sua attenzione.

La pioggia aveva rallentato la sua caduta, ora era più facile distinguere i rumori.

Poteva essere un orchetto, ma in quell’istante non pensò.

Decise di fidarsi ancora una volta del suo intuito.

Saltò giù da cavallo, intimò all’animale di essere silenzioso e velocemente si avviò in quella direzione.

Si avvalse dei suoi passi impercettibili.

Gli orchetti non avrebbero potuto sentirlo. E se ne avesse trovato qualcuno sulla sua strada l’avrebbe colpito. Con la mano sinistra teneva stretto nel pugno l’arco, mentre tra le dita di quella destra reggeva una freccia.

“Dove sei... dove sei... dammi un segno, Estel...” sussurrò, camminando guardingo.

Legolas non sapeva dove stesse andando.

Ascoltò il fruscio nell’aria, il rimescolarsi del fango... poteva anche essere una trappola... stava correndo un grande pericolo... poteva essere un agguato.

Ma non gli importava.

D’un tratto si ritrovò in una minuscola radura, totalmente allo scoperto.

L’inquietudine aumentò e il cuore gli prese a battere con forza, si guardò intorno, ma non distinse nulla... tutto taceva.

Fece per allontanarsi costernato, quando un gemito strozzato attirò la sua attenzione.

“A..Aragorn, sei tu...?” sussurrò, muovendosi in direzione della voce.

Non ottenne risposta. Si avvicinò un po’ di più e fu allora che gli sembrò di scorgere, accasciata a terra, una sagoma nera.

“Oh Valar!”

Lo riconobbe all’istante.

S’inginocchiò accanto a lui. Il volto dell’Uomo era riverso contro il terreno.

Lo fece voltare... era pesante girarlo, il corpo appariva inerte.

“Aragorn, sono io... sono Legolas...” gli sussurrò ad un orecchio.

Ma l’Uomo non rispose.

L’Elfo non riuscì a vedere se i suoi occhi fossero aperti o chiusi. Gli poggiò due dita sul collo, respirò profondamente... sollievo... era ancora vivo!

Lo sollevò un poco, trattenendolo tra le sue braccia.

“Riesci a sentirmi...? Estel, sono io... sono io...”

Si sedette accanto a lui, prendendogli il volto fra le mani, gli fece poggiare la testa sul suo grembo e fu allora che si accorse che le sue guance erano ricoperte di fango.

Cercò di ripulirlo per quanto poteva. Gli passò le dita sulla fronte, sugli occhi, sulle labbra.

Sentì un flebile sospirò uscire dalla sua bocca.

“Si... respira... bravo... così...”

Ma non fece in tempo a terminare quella frase, che il soffio caldo del suo fiato venne lentamente meno. Gli appoggiò una mano sul petto e si accorse che il suo cuore stava rallentando sempre di più i battiti.

“N..no, no! Aragorn, ti prego... non ora... non rassegnarti ora...” gemette terrorizzato.

Lo prese per le spalle e lo scosse un poco, ma anche questo sembrava non servire a nulla per rianimarlo, ma nel toccarlo le sue mani sfiorarono qualcosa conficcato in un braccio.

“Una freccia! Maledizione, non me ne ero accorto!”

A tentoni sfiorò il profilo di legno dell’arma, poggiò le dita sulla pelle del Ramingo, scoprì che era gonfia, molto gonfia.

A quel contatto Aragorn sussultò, gemendo dal dolore.

“Ci sono qui io, Estel... ci sono... oh Valar, stai tremando...”

Legolas sentì il corpo del compagno aumentare velocemente i sussulti, in pochi attimi fu scosso da violente contrazioni. L’Uomo gettò indietro la testa, balbettando parole senza senso. Gemette. Si divincolò. Sussultava, quasi stesse soffocando.

Legolas lo strinse forte a sé, appoggiandosi contro di lui, per donargli quel calore che rapidamente lo stava abbandonando.

Il corpo di Aragorn si fece progressivamente sempre più freddo, la pioggia e l’oscurità non erano certo d’aiuto.

L’Elfo sentì di perdere il controllo della situazione, non sapeva che altro fare se non sfregare velocemente le sue mani e il suo corpo contro quello del compagno.

“Ti prego resisti, ti scongiuro... n..non lasciarmi...!” balbettò, iniziando a tremare anche lui.

Gli spasmi non sembravano aver intenzione di cessare, la pioggia continuava a picchiettare forte sulla testa bionda di Legolas, si trovavano al centro di una radura deserta, senza una direzione, senza una luce guida.

La situazione era disperata.

Non c’era tempo, non c’era tempo da perdere!
Legolas lo sapeva, ma non riusciva a muoversi, non riusciva a trovare una soluzione.

“Mo..morgul...” gemette d’un tratto Aragorn.

“Morgul?” sobbalzò l’Elfo terrorizzato.

L’Uomo fu scosso da spasmi ancora più violenti. Non avrebbe resistito ancora a lungo.

Il suo respiro si fece affannoso, i suoi sospiri divennero rantoli strozzati, come se due mani crudeli gli premessero sulla gola, fu stordito da continue contrazioni dolorose.

Spinse indietro Legolas e iniziò a contorcersi sul terreno, il calore dell’Elfo non poteva più bastare per calmarlo... il veleno aveva iniziato a fare il suo effetto.

Legolas non attese ancora, si inginocchiò di nuovo accanto a lui, l’attirò a sé e gli afferrò il braccio in cui era conficcata la freccia.

“Ti farò un po’ male, ora... ma devo...” gli sussurrò all’orecchio “Ti prego, cerca di resistere...”

Estrasse uno dei suoi pugnali e con la punta della lama incise una piccola parte di pelle.

Aragorn si dimenò, e in quell’istante l’Elfo, con tutta la forza di cui disponeva estrasse con un solo colpo netto la freccia dalla carne.

L’Uomo lanciò un grido straziato e ricadde a terra privo di sensi.

“Mi dispiace... mi dispiace, amico mio...” mormorò Legolas, stringendo subito a sé il compagno.

Gli baciò velocemente la fronte, bagnata di pioggia e di sudore, quindi prese la freccia tra le mani.

Odorò la punta di ferro e l’allontanò subito dal naso, disgustato.

“Si, é avvelenata!” disse.

Questa consapevolezza non lo aiutò di certo.

La situazione era ancora più precaria di prima, il veleno era già entrato in circolo nel corpo di Aragorn da parecchio.

Salvarlo sarebbe stata una lotta disperata contro il tempo.

Legolas tastò il braccio del Ramingo e sentì un liquido caldo colare sulla sua pelle.

Il sangue colava e si confondeva con l’acqua.

L’Elfo non riusciva a vedere ancora nulla. Doveva agire nel buio. Doveva far presto.

Si strappò un lembo della sua casacca bianca e l’avvolse stretto intorno al braccio del compagno per tamponare, come meglio poteva, la ferita.

Abbracciò forte l’Uomo, come se quell’abbraccio potesse salvarlo da quel male che lo stava invadendo.

“Cosa posso fare...? Cosa posso fare, ora...?” balbettò, chiudendo gli occhi.

Non doveva scoraggiarsi, non in quel momento.

Lo strinse ancor di più a sé e in quell’istante un pensiero gli attraversò la mente... un’immagine... una situazione già vissuta... Frodo!
Anch’egli era stato una volta colpito con quel genere di arma, durante l’attacco dei Cavalieri Neri. Il veleno lo stava trasformando velocemente in uno di loro, in un fantasma errante tra le ombre.

Tremò. Carezzò il volto quasi esanime dell’Uomo e una lacrima scivolò sulle sue labbra.

“No, Estel, non tu...” i respiri di Aragorn si fecero ancora più lenti “Non tu! Non diventerai come loro! L’esilio ti ha salvato... ora tocca a me farlo!”

Alzò il volto per guardarsi intorno, ma la radura era ancora immersa nell’ombra.

Non intravedeva direzioni, si sentiva circondato, braccato, con una minaccia sinistra presente in ogni lato.

“Dove... dove andare...” gemette con sgomento “Oh no... Ara... non... oh Valar, datemi la forza... aiutatemi!”

D’un tratto un’immagine gli attraversò la mente.

“Ador…!” esclamò.

Il suo cavallo!

Non doveva essere lontano. Prima di proseguire a piedi, l’aveva lasciato a poca distanza di lì.

Si voltò nella direzione da cui era venuto e fischiò.

Fischiò forte.

Quel fischio avrebbe potuto attirare chiunque, il rischio che i nemici l’avessero potuto sentire era altissimo.

Ma la vita di Aragorn era la cosa più importante!

Legolas tese le orecchie in ascolto, ma poté udire soltanto il rumore della pioggia.

Fischiò ancora... più forte.

Silenzio.

Aragorn pareva morto, immobile tra le sue braccia.

Legolas abbassò il volto costernato e poggiò la testa contro quella dell’Uomo.

“È finita allora...?” gemette singhiozzando “Non può essere finita così... non... può... melam...”

In quell’istante uno scalpitio di zoccoli echeggiò nella radura, facendosi sempre più vicino ai due.

“Ador!” esclamò l’Elfo rialzando di colpo il volto “Vieni qui, vieni qui, mellon nin!”

L’animale riconobbe la voce del suo cavaliere, rallentò la corsa e si avvicinò sbuffando e conficcando le zampe giù nel fango.

Legolas adagiò per un istante il compagno a terra e si alzò, andando a carezzare la criniera del cavallo.

“Amico mio, ora mi dovrai aiutare...” gli sussurrò dolcemente.

Quindi si riabbassò verso il Ramingo e lo prese tra le braccia, sfiorandogli ancora una volta la fronte con le labbra “Resisti, Estel... ora ti porterò al sicuro...”

Lo sollevò a fatica, adagiandolo sopra l’animale.

Si assicurò che nonostante tutto respirasse ancora, poi montò lui stesso, voltandosi a guardarsi intorno.

L’oscurità era ancora opprimente.

Si chiese dove fossero finiti gli orchetti. Forse li avevano uccisi tutti, o forse si erano dati alla fuga.

Spronò il cavallo verso una direzione qualsiasi, non sapeva dove dirigersi.

Si chinò verso l’animale e gli sussurrò ancora una volta all’orecchio:

“Ho bisogno di te, so che puoi farlo... guidami!”

Lo esortò con un colpetto sul fianco, il cavallo si mosse e inaspettatamente imboccò una via diversa da quella scelta dall’Elfo.

Uscirono finalmente dalla radura.

Il tempo sembrò non passare mai.

“Avanti, avanti!” gridò Legolas al cavallo.

Tutto pareva voler rallentare quella corsa disperata.

Lentamente l’oscurità si dipanò, schiarendosi. Dovevano essere giunti fuori dal bosco che li aveva circondati.

Gli occhi dell’Elfo riuscirono finalmente a distinguere di nuovo qualcosa, la pioggia parve placarsi, e mano a mano ricominciò a scendere sottile e costante.

Gli abiti dei due compagni erano zuppi, ma il corpo di Legolas era leggero, l’acqua filtrava attraverso i capelli d’oro e scivolava via alle sue spalle, lasciando una scia di rugiada.

Era il peso del corpo di Aragorn a rallentare la corsa. Legolas poggiò le dita sul collo dell’Uomo, ma nel movimento non riusciva a distinguere bene il suo respiro, che era ormai divenuto impercettibile.

“Corri! Corri! CORRI!” ansimò gridando.

Il cavallo ubbidì e per quanto potesse, accelerò il galoppo.

L’Elfo con una mano stringeva forte le redini, mentre l’altra era appoggiata sul corpo del compagno. Gli lanciò una veloce occhiata... gli sembrò per un istante che stesse trasportando un uomo morto. Scacciò immediatamente quel pensiero e si concentrò sulla direzione da seguire.

Sentì qualcosa di caldo bagnargli la coscia e si rese conto che il sangue che stillava dal braccio di Aragorn aveva preso a scendere di nuovo.

La ferita doveva essersi riaperta. Il lembo di tunica bianca che l’avvolgeva si era macchiata completamente di rosso.

“Valar, no!” balbettò Legolas angosciandosi.

E se non fossero arrivati in tempo?

Già... in tempo. Ma dove poi?

Provò ancora quel senso di disorientamento che gli accresceva l’angoscia.

Ma non doveva perdere il controllo.

D’un tratto il cavallo rallentò la corsa e prese a trotterellare tranquillo.

“Cosa fai?” gridò l’Elfo spronandolo.

Ma l’animale non ubbidì. Mantenne il suo passo.

Legolas alzò il volto spaventato e fu allora che intravide davanti ai suoi occhi, la bocca di una grotta.

Il suo cuore prese a battere con forza, tanta era la gioia...

“C’è ancora speranza...!” sussurrò. Poi abbassò gli occhi e carezzò dolcemente le guance di Aragorn “Mi hai sentito...? C’è ancora speranza, mellon nin!”

Spronò in avanti il cavallo, affinché li conducesse fino all’entrata. La sua mano strinse forte una ciocca dei capelli dell’Uomo... si rendeva conto che aver trovato un posto dove ripararsi non garantiva la salvezza, anzi l’incertezza iniziava proprio allora.

Cercò di mantenersi calmo.

Saltò giù dall’animale e dopo averlo accarezzato gli disse:

“Portalo dentro!”

Legolas li seguì e una volta che il cavallo si fu fermato, prese tra le braccia il compagno, barcollando un poco prima di adagiarlo a terra.

Tastò il terreno. Era freddo e duro. Si tolse il mantello e fece poggiare la testa di Aragorn su di esso.

“E ora, Estel... preparati a rinascere!”

Prese delle pietre accanto a lui, le sfregò e riuscì ad accendere un fuoco, che da debole che era s’ingrossò rapidamente.

Gettò nella fiamma tutti gli arbusti e i ramoscelli che poteva trovare nella grotta e subito la fiamma andò ad illuminarla.

Era piccola e spoglia, delle rampicanti salivano agli angoli delle pareti bianche e lisce.

Legolas osservò il volto del compagno.

Era segnato: la fronte aggrottata, gli occhi e la bocca serrati... il dolore aveva ridipinto le sue fattezze.

Non c’era tempo da perdere.

L’Elfo s’inginocchiò accanto a lui, gli slacciò la casacca, ne scoprì il petto brunito.

Velocemente ma con delicatezza, gli sfilò una manica, dopodiché fece scivolare una mano sotto la sua schiena, attirandolo a sé.

Fece scorrere il suo abito da sotto di lui e finalmente scoprì del tutto il braccio ferito.

Sciolse il nodo della fasciatura e il sangue sgorgò di nuovo copiosamente.

“Oh no!” esclamò Legolas, strappandosi di dosso un altro lembo della sua tunica.

Cercò di tamponargli di nuovo la ferita, ma il sangue non intendeva cessare e le sue mani s’impregnarono del liquido rosso.

“Oh Valar, fermati! Fermati!”

Il panico lo colse. Credette di non farcela ad arrestare quel flusso, ma lentamente il sangue fu riassorbito dal panno bianco.

Legolas chiuse gli occhi e sospirò.

Quando li riaprì vide sotto di sé il volto dell’Uomo. Era pallido, sempre più chiaro ed esanime.

“Il veleno!” disse tremando.

Ora doveva condurre la lotta più difficile.

Era questione di attimi.

Si alzò di scatto e prese a frugarsi nelle tasche, alla ricerca di qualche erba o pianta che aveva portato con sé, ma sapeva di non averne... nessun medicamento elfico, l’unico in grado di arrestare la corsa del veleno, e Lothlorien era ormai troppo lontana.

“Non possiamo tornare indietro...” guardò il compagno, sarebbe morto prima “Che fare... che fare...” mormorò guardandosi spasmodicamente intorno.

“C..ci dev’essere un modo...!”

Non riusciva a guardare troppo a lungo Aragorn, una fitta di dolore lo attraversò... quasi stentava a riconoscerlo... l’angoscia, la fatica, la sofferenza, e il dolore che stava combattendo nel suo silenzioso preludio di morte erano abilmente mescolati sul suo volto.

Legolas si chinò e appoggiò una mano sul suo petto... quasi non riusciva più a sentire i battiti del suo cuore, oppure era la paura che gli stava ottenebrando i sensi.

Si asciugò le lacrime dal volto, quella mano non avrebbe potuto trattenerlo a lungo in vita... lo stava lentamente perdendo, sotto al suo tocco inutile.

“N..no... Aragorn... ti prego... non...” s’interruppe, non riuscì a pronunciare quella parola.

Rimase immobile, attonito a guardarlo andarsene, le lacrime caddero una dopo l’altra sul petto ormai freddo del Ramingo.

“Non lasciarmi...!” singhiozzò.

Non poteva dirgli altro, non sapeva dirgli altro.

Il veleno era un nemico crudele...

Provò un senso di sconfitta, mai provato prima.

Impotenza. Non sapeva più cosa fare.

Il veleno stava vincendo sul suo ardore e sulle sue speranze.

Così pianse, pianse, pianse tanto...

Finché nell’attimo più alto di quella disperazione, non rialzò il volto rigato dalle lacrime e un sussurro sembrò entrare nella grotta e raggiungergli le orecchie.

...usala, anche quando penserai che non c’è più speranza, anche quando ti sembrerà di vedere ferite troppo profonde da medicare...

Un pensiero gli attraversò fulmineo la mente.

Lasciò per un istante l’Uomo a terra e si avventò sul suo mantello, tastò la stoffa con ansia e finalmente si... la trovò!

Toccandola chiuse gli occhi.

Estrasse la piccola ampolla trasparente dalla tasca e l’acqua del Ruscello di Cristallo brillò alla luce del fuoco.

“Galdriel...” mormorò e la strinse fra le dita.

Si avvicinò ad Aragorn, quasi timoroso, studiò la ferita, poi guardò nuovamente l’ampolla con occhi umidi e speranzosi.

“Quali saranno i suoi effetti non lo so...” mormorò con voce tremante “Mia Signora, dimmi che lo salverà... ho bisogno di credere che questo lo salverà...”

Quindi versò il liquido chiaro direttamente sulla ferita.

Attesa...

L’Uomo non si mosse...

Legolas trattenne il respiro...

Aragorn restò immobile con il volto mascherato di dolore...

Legolas pregava per una piccola reazione...

Silenzio...

Sapore di morte...

L’Elfo si chinò un poco, e appoggiò le labbra sulla sua fronte.

Nulla era cambiato da pochi istanti prima... era ancora fredda.

Chiuse gli occhi... ascoltò...

Nessun fremito... nulla...

Anche le sue stesse percezioni parevano tacere.

Sfiorò con la sua guancia quella ruvida del Ramingo e ascoltò il suo respiro...

Impercettibile... velato... sembrava stesse scomparendo...

Legolas non sentì più nulla.

Soltanto gelo e silenzio.

Allora si distese accanto a lui, trattenne seppur per poco, il pianto, soffocando un gemito di dolore.

E l’abbracciò.

Per la prima volta si strinse a lui, affondando le guance sul suo petto, lo carezzò con avidità, quasi con disperazione, come se volesse ricordare alla morte che Aragorn non apparteneva a lei, bensì a lui stesso.

In quella culla di dolore, l’Elfo lo tenne fra le sue braccia, non per dirgli addio ma per pregarlo di ritornare.

 

Fu allora che Legolas vide per la prima volta la Morte sul volto del compagno.

 

Non ce la fece più.

Un soffio di vento spense infine la fiamma.

E l’Elfo crollò addormentato accanto a lui.

La disperazione l’aveva vinto.

 

Così non si accorse della Luna che era appena affiorata dalle nubi e del volto del Ramingo, che nell’ultimo istante, si era disteso in un sorriso.