.|. Il Destino nello Specchio .|.

Capitolo III

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Scalciò. E si voltò di colpo su un fianco per guardare fuori dalla finestra le luci di Lorien che si fondevano tra di loro in un ritmo senza fine.

Osservò quella melodia cromatica con aria assente.

Fece scivolare un braccio sotto al cuscino e vi si adagiò sopra con la testa, mentre con l’altra mano, quasi senza accorgersi, prese a carezzare le lenzuola sotto di sé.

Un raggio di luna gli stava illuminando il volto, rendendo impalpabili, chiari e quasi argentei i capelli d’oro.

La Luna incedeva e dolcemente scivolava sulle sue guance, tracciandogli il contorno delle labbra che, morbide, di tanto in tanto si dischiudevano per respirare.

L’aria gliele seccò presto, così fece scivolare la sua lingua fra di esse per inumidirle.

Subito la Luna si posò su di esse e queste risplendettero chiare e bagnate.

I suoi grandi occhi azzurri guardavano fuori, ma non vedevano nulla. Stavano infatti guardando dentro di sé.

Un’ombra di malinconia e di ricordi li offuscò per un istante per poi dileguarsi via. Così un’altra e un’altra ancora.

Stentava ad addormentarsi. Attendeva. Il nuovo messaggio di quella notte.

Sapeva che sarebbe infine giunto e desiderava iniziare ad assaporare quell’attesa fin da quel momento.

La Luna non cessava di illuminarlo.

La sua luce rotolò sulla pelle nuda dell’Elfo, scivolando sulle sue braccia scoperte, cavalcando tra le fossette scure create dai suoi muscoli.

Ricadde infine tra le sue dita, intrecciandosi ad esse.

Legolas teneva lo sguardo fisso sulla finestra.

Una lacrima gli rigò il viso. Improvvisa. Inaspettata.

Pianse. Sommessamente. In silenzio. Lasciando che le lacrime scorressero via libere, fin quando lo desiderassero.

Pianse. Senza sapere il perché. Scosso appena da quei fremiti muti.

Non sapeva perché quando la Luna era alta nel cielo il suo animo si inteneriva, e tutto in lui diveniva commozione.

Non ne conosceva il motivo. Ma la Luna non smetteva di parlargli. Incalzava, desiderosa che in quegli istanti l’Elfo vivesse delle sue emozioni.

 

Sussultò.

Qualcosa lo aveva di colpo riportato alla realtà della stanza.

Sentì sotto di sé la consistenza materiale del letto.

Aragorn doveva essersi voltato. Un respiro gli aveva solleticato il collo. Era molto vicino a lui, le sue labbra appena contro la sua schiena.

Il fiato del Ramingo scivolò veloce tra i suoi capelli e lungo il suo collo.

Legolas s’irrigidì. Trattenne il fiato. Il suo cuore aumentò stranamente i battiti. Attese nuovamente quel respiro.

Chiuse gli occhi e tutto il silenzio fu occupato da quel soffio invisibile e ritmato.

Aragorn…” pensò Legolas.

Non osò voltarsi. Sentiva troppo la vicinanza dell’Uomo.

Immaginò il suo amico voltato su un fianco dietro di lui, il viso abbandonato al sonno, i capelli neri scomposti e liberi sul cuscino, le labbra dischiuse proprio sopra il suo collo.

Immaginò il Ramingo sollevarsi impercettibile ad ogni sospiro… il suo braccio cingergli la vita… le sue gambe intrecciate tra le lenzuola.

Legolas non si mosse. Aveva timore di fare anche il più piccolo movimento. Timore di svegliare l’Uomo, timore di doversi allontanare da quel soffio caldo che sopraggiungeva istante dopo istante.

Se soltanto le labbra del Ramingo avessero sfiorato la pelle della sua schiena…

Legolas lo sentiva vicino… troppo vicino, un solo piccolo movimento e la bocca dell’amico sarebbe andata a finire sulla sua pelle.

Non accadde. Ma Legolas percepì comunque quella sensazione.

Tremò. Come se quel contatto bastasse a farlo vacillare.

Un brivido gli percorse la schiena…

Anche se non si toccavano, gli sembrò di sentire la pelle dell’Uomo appena sopra la sua, il suo ventre avvicinarsi palpitando, e quel respiro vicino… sempre di più… lungo il collo… dietro l’orecchio… salire sulle guance… inebriarlo!
Fu scosso da brividi ancora più forti.

Non capì il perché. Non ne ebbe il tempo.

Il ventre gli tremò improvvisamente e un fuoco violento scivolò dentro di lui.

Non si mosse. Non riuscì a farlo. Trattenne in sé quel calore che aveva iniziato a bruciargli tra le gambe, fino a spingersi su verso l’alto.

Gli avvampò il volto. Sospirò. Aprì lentamente gli occhi, ansimando.

Aveva bisogno di aria, di respirare, aveva bisogno del soffio fresco del vento per sciogliere quelle fiamme che avevano preso a percorrerlo tutto, bruciando incontrollabili.

Poteva la fantasia soltanto aver creato quell’assurda sensazione?

Strinse forte i lembi del cuscino tra le dita e soffocò in esso i suoi sospiri.

Sussultò ancora.

La pelle di Aragorn aveva sfiorato la sua. Questa volta davvero.

Spalancò gli occhi. Il cuore gli rimbalzò in gola. Trattenne il respiro. E di nuovo sentì quel contatto.

Aragorn aveva iniziato a muoversi nel sonno. Aveva spostato le gambe in avanti, frusciando tra le lenzuola, ed erano andate a sfiorare quelle dell’Elfo.

Aragorn biascicò qualcosa  e scalciò nuovamente. Le sue gambe si mossero inavvertitamente tra quelle di Legolas, sfregò la pelle contro la sua, lasciando libero tutto il calore del suo corpo.

L’Elfo aveva smesso di respirare. Tutti i suoi sensi erano tesi nel sentire ogni minimo movimento dell’Uomo. Le ginocchia di Aragorn si fermarono dietro le cosce di Legolas, finché egli non si accoccolò contro di lui, continuando a dormire indisturbato.

“Oh Valar, cosa mi sta succedendo?” ansimò l’Elfo, non riuscendo più a controllare i suoi sospiri.

Era completamente travolto da quelle sensazioni calde e violente.

L’avevano colto totalmente alla sprovvista e senza un motivo apparente.

Il calore dell’Uomo lo stava invadendo istante dopo istante, si sentì bruciare, si sentì come paralizzato, privo di qualsiasi volontà di decisione.

Era come trattenuto da qualcosa, bloccato, avvinghiato, come se Aragorn lo tenesse stretto tra le sue braccia.

Ma non lo stava facendo. Lo sfiorava appena, lasciandolo libero.

“Niente ti trattiene, Legolas, niente…” si disse, cercando di arginare quelle emozioni.

Lentamente il suo cuore rallentò i battiti, ritornando a palpitare normalmente.

L’Elfo tirò un sospiro di sollievo, si passò una mano sulla fronte e scoprì che era umida di sudore.

La ritrasse spaventato… imbarazzato.

“Cosa… cosa significa tutto questo…?” si chiese, raccogliendo le lenzuola contro di sé.

Finalmente si mosse, riuscendo a staccarsi dal corpo dell’Uomo, che pareva averlo attirato come una calamita.

Scivolò sotto le coperte, nascondendosi anche ai raggi della Luna, e si spostò sulla parte fresca del materasso.

Respirò e sorrise. Un torpore e un senso di pace l’avevano ora avvolto, coccolandolo.

Aragorn continuava a riposare dietro di lui, senza essersi accorto di nulla.

Dopo pochi istanti anche Legolas fu colto dal sonno, le palpebre gli diventarono pesanti, quindi si addormentò.

 

Non trascorsero che pochi istanti, che un fruscio impercettibile scosse l’erba.

I fili verdi tremarono, gettando all’indietro le loro esili chiome.

Il fruscio proseguì, aumentando il suo rumore.

Un passo, un altro e un altro ancora… vesti trascinate sull’erba.

Legolas si destò di colpo.

Spalancò gli occhi. La Luna era scomparsa. La stanza era praticamente immersa nel buio.

L’Elfo aguzzò le orecchie. Non percepì nulla. Tutto taceva.

“Mi era sembrato…” mormorò, andando a rilassarsi ancora una volta sul letto.

Ma non fece in tempo a richiudere gli occhi, che un nuovo fruscio salì alle sue orecchie e si disperse nell’aria.

Questa volta si sollevò, mettendosi a sedere. Si tese nuovamente all’ascolto, in direzione della finestra… non sentì nulla. Ma il suo udito non mentiva.

“Chiama ancora…” sussurrò, abbassando la testa.

Il fruscio e qualsiasi altro rumore tacquero del tutto, ma subito un’attrazione incontrollabile per le luci di Lorien s’impossessò del corpo dell’Elfo.

Sollevò il volto.

“Sono qui…”

“Ti sto aspettando…” sembrò rispondere il Vento.

Legolas sgusciò via dalle lenzuola, avvicinandosi alla finestra.

Tra gli alberi di Lorien danzavano sinuose le luci della notte.

Tutto riposava tranquillo. Soltanto Legolas riuscì a sentire un lamento sollevarsi nell’aria… quel lamento che tanto l’attraeva.

Abbassò la testa, strinse i pugni sul legno, fece qualche passo indietro, con lo sguardo sempre fisso sulla finestra.

Raccolse la tunica bianca ai piedi del letto, sollevò le braccia e se l’infilò. Con una mano si scostò i capelli da sotto la tunica, lasciandoli ricadere sulle spalle.

Guardò nuovamente fuori. Il lamento non cessava di chiamarlo, ma soltanto lui poteva sentirlo.

Prima di uscire dalla stanza osservò per un istante il Ramingo, avvolto tra le lenzuola. Sorrise vedendolo dormire così placidamente.

“Non dovevi svegliarti per seguirmi…?” sussurrò dolcemente “Temo proprio che tu abbia perso la sfida, Aragorn!”

Quindi, aperto l’uscio, sgattaiolò via velocemente.

Appena fuori dal palazzo s’incamminò rapido e silenzioso lungo il sentiero che costeggiava il Ruscello di Cristallo, lasciandosi alle spalle tutte le abitazioni degli Elfi.

Quella notte c’era qualcosa di diverso nell’aria.

Un’atmosfera ancor più enigmatica di quella delle notti precedenti.

L’aria sembrava essere un continuo richiamo, e insistente si appiccicava sulla pelle.

Legolas si voltò, continuando però a camminare, e intravide i ponti che s’intrecciavano voluttuosi tra di loro, sospesi nell’aria, nascosti dalle fronde degli alberi.

Legolas, ad ogni passo, sentiva crescere nuovamente quel desiderio di unirsi a quel lamento che dominava l’aria.

Divorò il sentiero, desideroso di arrivare alla fine della foresta, lasciandosi tutto alle spalle, per ritrovarsi al cospetto della Regina.

Quella notte più che mai desiderava incontrare dama Galadriel.

Legolas stava bruciando di un nuovo fuoco, ma non era soffocante come quello provato pochi istanti prima nel letto… non era qualcosa di sconosciuto.

Era ansioso di raggiungere quel luogo… il suo luogo.

Soltanto la voce di Galadriel avrebbero potuto rendere tiepide le fiamme che divampavano nel petto dell’Elfo.

Finalmente intravide la fine del bosco.

“Sto arrivando…” mormorò emozionato, come se dovesse raggiungere il luogo di un appuntamento clandestino.

Questa volta però la voce non rispose. Non lo rassicurò chiamandolo a sé come nelle notti precedenti.

Tuttavia Legolas avanzò.

“Mia regina…” chiamò l’Elfo, guardandosi intorno.

Il silenzio regnava sovrano.

I flutti del ruscello scorrevano impercettibili e cadenzati.

Legolas era impaziente. Non riusciva ad attendere ancora.

Scrutò gli alberi e i loro tronchi, affinché potesse intravedere l’ombra della Bianca Signora avvicinarsi da dietro di essi.

Un pensiero s’insinuò nel suo cuore.

“E se non dovesse giungere…?” sussurrò intimorito.

Ma poi scosse la testa. Non doveva pensare… in quegli istanti non doveva pensare.

No… la Dama non aveva mai mancato ad una sua promessa.

Non l’avrebbe attirato fin laggiù per poi ingannare le sue attese.

Se l’aveva chiamato, significava che aveva qualcosa da dirgli, qualche nuovo messaggio da trasmettergli… come del resto aveva sempre fatto.

Legolas sobbalzò.

Qualcosa aveva distratto i suoi pensieri.

Ascoltò meglio… aveva udito un fruscio… qualcuno che calpestava foglie secche sul terreno.

Quel rumore, in tutta quella quiete, gli sembrò fastidioso e difficile da sopportare.

Si guardò intorno circospetto.

Questa volta il fruscio non proveniva dagli alberi dinanzi a sé, ma piuttosto alle sue spalle.

Si voltò di colpo, ma non vide nessuno… tutto era oscurato dal colore della notte.

Si sentì improvvisamente circondato. In trappola… intorpidito… ammaliato… attirato da qualcosa… ma allo stesso tempo braccato… inquieto.

Inoltre non stava giungendo nessuno.

La sua attesa, le sue emozioni, il suo desiderio stavano sfiorando l’apice, rasenti l’esplosione.

Si spazientì. Ancora quel fruscio. Fece qualche passo in avanti… ma non era da lì che proveniva.

“Galadriel…” provò a chiamare.

Ancora un passo. Fece per voltarsi, ma una mano gli afferrò un braccio, attirandolo a sé.

“Ma cos… Aragorn!” esclamò trasalendo.

L’Uomo lo avvicinò a lui.

“Mi hai spaventato! Come sei arrivato qui?”

“Ti ho seguito!” rispose il Ramingo.

L’Elfo sospirò come innervosito.

“Perché…?”

“Sono venuto a scoprire le tue abitudini segrete!” ammiccò l’altro.

“Ma questo significa che ti sei svegliato quando… insomma, tu non stavi dormendo…?”

“No, non dormivo!”

“Non… dormivi…?” domandò titubante Legolas.

Un moto d’imbarazzo lo percorse, e le immagini di ciò che aveva provato nel letto gli passarono davanti agli occhi.

“Ho sentito tutto…!” gli sussurrò l’Uomo ad un orecchio.

“Tutto…?”

“Si, ti ho sentito nel letto mentre…” s’interruppe, non riuscì a trattenere una risata nel vedere la faccia sbigottita dell’Elfo “…ti sei mosso per alzarti!”

“S..si… per alzarmi… già…” mormorò Legolas, tirando un sospiro di sollievo.

“E avvicinarti alla finestra, guardare fuori e ascoltare qualcosa che tu soltanto sei riuscito a sentire…” proseguì, Aragorn ridacchiando “…poi ti sei vestito in fretta e furia, hai fatto per uscire, ma ti sei voltato verso il letto per controllare se stessi dormendo… Credevi che stessi dormendo, vero, Legolas?!”

“Si… io… beh… si… pensavo che…”

“Non ti avrei sentito…? Ah, ti sbagli amico mio, le orecchie di un Ramingo sono molto più sensibili di quanto tu non possa immaginare, soprattutto se… poco prima vengono stuzzicate da parole di sfida…!”

“Non credevo che saresti riuscito a sentirmi!” commentò Legolas, accennando un sorriso.

“Oh si invece… riesco a sentirti molto bene… la tua presenza, lontana o vicina che sia, riesco a percepirla con chiarezza!”

L’Elfo a quelle parole abbassò la testa ma non smise di sorridere.

“Fai attenzione, amico mio… sono capace di cogliere ogni tuo movimento…” proseguì divertito l’Uomo.

“E… cos’altro hai sentito, stanotte…?” domandò Legolas, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso il basso.

“Molte cose, mio caro principe, molte cose…” ridacchiò Aragorn.

L’Elfo rialzò il volto e nonostante l’imbarazzo lo guardò negli occhi.

Non riuscì a capire bene se in quello sguardo divertito brillasse anche una scintilla di malizia.

Chissà se l’Uomo aveva sentito anche la sua reazione, mentre lo sfiorava col suo corpo…

Scosse la testa e si voltò a guardare dinanzi a sé, fra gli alberi.

“Perché mi hai seguito, Aragorn…?”

“Te l’ho detto… per scoprire le tue abitudini segrete!” ironizzò.

Ma l’Elfo rimase serio.

“Forse io avrei preferito che tu restassi nella nostra stanza! Non credi che un sonno ristoratore possa giovare di più che stare qui ad attendere?”

“Chi attendi, Legolas…?” mormorò l’Uomo avvicinandosi a lui “La Bianca Signora…? Sai, mi hai incuriosito con i tuoi racconti e ora vorrei sapere…”

“Non hai pensato che forse avrei voluto restare un po’ solo…?” l’interruppe l’Elfo, divenendo imperturbabile.

“Vorrei sapere… il perché di molte cose…” proseguì noncurante il Ramingo.

“Non sempre si può conoscere il perché di molte cose!”

“Legolas!” esclamò Aragorn stupito.

La sua risposta secca l’aveva disorientato.

“Legolas…” riprese più dolcemente “…volevo soltanto che tu… mi rendessi partecipe di questi momenti…”

A quelle parole, l’Elfo si voltò lentamente verso di lui e lo guardò per un istante con occhi velati di rancore.

“Cosa ne sai tu, se sia giusto viverli insieme?”

“Io non…”

“Questo doveva essere un mio intimo cammino, Aragorn!” concluse Legolas con un tono di rimpianto nella voce.

Lo credi davvero…?

Un sussurro parve percorrere l’aria.

L’Elfo sollevò di colpo la testa, ma riuscì soltanto ad ascoltare il vento che si era sollevato, andando a scuotere i rami.

Poi tutto si chetò nuovamente.

“Cos’è stato?” mormorò Aragorn, poggiando istintivamente la mano sull’elsa della spada.

Legolas non fece in tempo a rispondere che un fruscio dinanzi a sé prese a rumoreggiare tra i rami.

Le foglie secche e dorate rotolarono via, roteando in piccoli voragini sulla terra.

“È lei!” disse l’Elfo sgranando gli occhi.

“Legolas!” mormorò Aragorn come per fermarlo.

Ma l’Elfo già non lo sentiva più, si stava avviando lentamente verso l’ipnotico rumore.

Aragorn gli afferrò un braccio, Legolas si voltò di scatto e l’Uomo lo guardò fisso negli occhi, intimidandogli di non muoversi, almeno finché non fossero sicuri che si trattasse davvero di Dama Galadriel.

Restarono così, con il fiato sospeso per alcuni istanti, tutti i loro sensi tesi, come se fossero prossimi ad un attacco, finché tutto tacque nuovamente e nell’aria un grande senso di pace si sostituì alla paura.

L’Uomo lasciò il braccio all’amico e questi si avvicinò a lui intimorito.

Si mossero all’indietro, guardandosi intorno, finché Aragorn non afferrò nuovamente il braccio all’Elfo, ancora attonito, per portarlo via di lì.

Si voltarono e fecero per incamminarsi  verso il palazzo.

“Ve ne state già andando, signori?”

Una voce si sollevò nell’aria.

“Galadriel!” mormorò Legolas, ritornando subito sui suoi passi. E senza aggiungere altro s’inginocchiò al cospetto della Bianca Signora.

La Dama sorrise dolcemente e prese a carezzare la bionda testa dell’Elfo.

La carezza fu come un soffio, e i capelli tremarono tutti.

“Allora… eravate voi poco fa?” sussurrò Legolas, senza alzare gli occhi.

La Dama annuì.

“Se la fiducia non avesse per alcuni istanti abbandonato il vostro cuore, mi avreste subito riconosciuta…” disse, puntando il suo sguardo penetrante, dritto su quello di Aragorn “E non avreste temuto!” aggiunse.

“No mia Signora, infatti. Ma Lorien è stata solo da poco tempo liberata dalle forze di Sauron, gli Orchi sono stati ricacciati a Mordor, questo è vero, ma alcuni potrebbero ancora tornare…” intervenne il Ramingo, sentendosi come chiamato in causa.

“Apprezzo il tuo coraggio, Aragorn figlio di Arathorn, ma questa notte dimentica il fuoco delle battaglie…” gli tese una mano, invitandolo ad avvicinarsi “Da troppo tempo il tuo cuore conosce soltanto queste…!”

L’Uomo a quelle parole tentennò un istante, era ancora titubante, ma presto si accorse che la stessa forza che aveva attirato Legolas, ora stava iniziando ad attirare anche lui.

Si rese conto che da quando si era voltato per guardare che forma avesse quella voce, i suoi occhi non si erano più riusciti a staccare dalla luce dorata e dalle vesti chiare della Bianca Signora.

Il Ramingo si mosse quasi a fatica, risvegliandosi da quel torpore.

Fu subito percorso da brividi e da una profonda sensazione di piacere.

Che cosa fosse quella sensazione improvvisa e travolgente non se lo seppe spiegare, ma dopo pochi attimi si ritrovò anch’egli inginocchiato al cospetto della Dama, a fianco di Legolas.

A differenza dell’Elfo, Aragorn non abbassò subito gli occhi, ma continuò a contemplare estasiato, quasi commosso, la bellezza della Signora dei Galadhrim.

Mai l’aveva veduta così da vicino.

La sua luce era quasi accecante.

La mano bianca della Dama scivolò sul suo volto, carezzandolo, ed egli tremò a quel contatto.

Le dita, impercettibili e veloci, gli sfiorarono le guance, la pelle ruvida, la barba, e quando gli raggiunsero le labbra, passandoci sopra con maestria, egli chiuse gli occhi lentamente.

Sospirò.

Galadriel intrecciò le sue dita ai capelli neri dell’Uomo ed egli allora abbassò la testa, perdendosi in quella carezza.

Legolas accanto a lui taceva, nessuno dei due si accorse che sul suo volto era apparso un sorriso accennato.

“Volete vedere anche voi nello specchio…?” disse improvvisamente la dama, spezzando quel silenzio.

Aragorn e Legolas sollevarono di colpo la testa, guardandosi stupiti.

Pensarono la stessa cosa. Ma fu Legolas a parlare.

“Frodo guardò nello specchio… soltanto a lui fu offerta questa possibilità!”

Il Ramingo guardò l’amico condividendo lo stesso pensiero.

“Hai detto bene Legolas, figlio di Thranduil, quello che vi sto offrendo è una possibilità… che sia stata un tempo offerta anche a qualcun altro non ha importanza…” li guardò intensamente “Potete scegliere di scorgere cosa avverrà, o potete scegliere di ingannarvi e restare ciechi al vostro cuore. Potete scegliere di comprendere o di bendare il vostro cammino!”

“Che… cosa vedremo…?” domandò Aragorn rialzandosi e aiutando Legolas a fare lo stesso.

La Dama sorrise enigmatica.

“Neppure i più saggi potrebbero rispondervi… soltanto il Destino può farlo!”

Il Destino… il Destino…

Una voce sembrò risuonare e ripetersi nella mente di Legolas.

I due compagni si mossero meccanicamente verso lo specchio, ricolmo di acqua cristallina, inebriati dalle parole e dalla luce della Regina, desiderosi di conoscere, intimoriti da ciò che avrebbero potuto vedere… emozionati.

Quando, l’uno accanto all’altro, furono sopra lo specchio, l’acqua parve tremare per un istante, anche se non c’era vento ad averla scossa.

Uno moto di stupore li colse.

L’acqua non aveva subito carpito la loro immagine riflessa, per alcuni attimi nessuno dei due vide niente. Neppure il cielo si specchiava là dentro.

L’acqua era chiara, limpida, sembrava brillare come se stesse riflettendo soltanto un’intensa luce bianca.

Trattennero il fiato continuando a guardare dentro.

Si dimenticarono della presenza di Galadriel.

Ma lei sorrise. Era ciò che voleva.

Infine, quasi scoraggiati e allo stesso tempo impauriti da quello strano sortilegio, fecero per rialzare il volto, quando d’un tratto l’acqua rumoreggiò tremando ancora una volta.

Legolas afferrò il polso di Aragorn, impedendogli di muoversi.

I suoi occhi di Elfo avevano intravisto qualcosa.

Qualcosa aveva iniziato a brillare nello specchio. Ondeggiava.

Non era luce bianca, bensì qualcosa d’azzurro.

Lentamente quel colore iniziò a prendere una forma… sempre più evidente, sempre più chiara, sempre più concreta…

I due compagni furono nuovamente calamitati a guardare, e più guardavano, più un’emozione profonda e sconosciuta iniziava a crescere dentro di loro.

Non sapevano il perché. Non pensavano al perché. Sentirono i loro cuori aumentare i battiti all’unisono… vertiginosamente.

Legolas non lasciò il polso del compagno, istintivamente lo strinse ancora più forte tra le dita.

Quel colore azzurro prese una forma definitiva.

Fu circoscritto. Divenne pupilla. Divenne sguardo.

Quattro occhi azzurri, intensi e malinconici, colmi di vita vissuta apparvero nell’acqua e si fissarono a loro volta su quelli dell’Elfo e su quelli dell’Uomo.

Legolas lasciò di colpo il polso al compagno e la sua mano ricadde inerme accanto ai suoi fianchi.

I quattro occhi che li fissavano incessantemente li stavano attirando verso di loro, avvolgendoli con quella luce color zaffiro.

Parevano ansiosi, anch’essi, di voler raccontare una storia… una storia che sapeva di futuro.

D’un tratto, tutto attorno a loro si dipinse di azzurro, la luce li avvolse, la luce li penetrò, ed essi non poterono che abbandonarsi all’intensità di quegli sguardi che li chiamavano a sé.

La ragione tacque. Le loro difese crollarono. Galadriel li osservava attentamente.

Gli sguardi nello specchio si fecero ancora più nitidi.

Un’emozione incontrollabile colse Legolas, l’Elfo gemette qualcosa nella sua lingua, poi gli mancò il respiro.

Avrebbe voluto alzare una mano, immergerla in quell’acqua e carezzare quel volto invisibile che tanto l’attirava, baciare quelle labbra che non esistevano.

Ma vi erano soltanto occhi, visibili e profondi, che non smettevano di guardarlo.

Non c’era nessun volto, niente che l’Elfo potesse riconoscere, se non la malinconia e la dolcezza di quello sguardo che si era posato su di lui.

“Oh Valar!” esclamò, soffocando quel sussurro.

Si portò una mano al cuore e lo sentì battere impazzito.

Un’immagine gli aveva attraversato la mente: quella era la luce che aveva cercato da sempre, quella la bellezza che aveva sempre desiderato, ed ora era lì, dinanzi a lui, racchiusa in quello sguardo.

Uno sguardo senza volto… soltanto uno sguardo, che non riusciva a riconoscere da nessuna parte, uno sguardo che inaspettatamente… sentì di amare, e che forse… aveva amato da sempre.

In quell’istante anche Aragorn fu scosso da un violento brivido, si perse nella tenerezza degli occhi riflessi che stava mirando.

L’avevano rapito. Se ne stava innamorando.

Provò le stesse emozioni di Legolas, si morse le labbra… quello sguardo gli apparteneva, l’aveva cercato ovunque.

“Chi sei… chi sei…?” sussurrò ansimando.

I due rimasero immobili, con un desiderio bruciante che incalzava dentro di loro, pregando che sotto quegli occhi apparisse un volto da poter ricercare.

Ancora una volta l’acqua tremò e l’immagine fu offuscata per qualche istante.

“No!” gridarono insieme.

Non volevano che se ne andasse.

Ma Legolas aveva già iniziato a vedere quello sguardo sempre più sfocato, lentamente inghiottito dallo specchio.

Se ne stavano andando… quegli occhi stavano scomparendo…

Un sordo dolore gli penetrò il cuore. Gemette. Ma quel gemito gli morì sulle labbra.

Gli occhi erano sempre più impalpabili, trasparenti, il loro azzurro stava scivolando nuovamente via dalla forma che li aveva circoscritti per fondersi ancora con l’acqua.

“N..no… no… non te ne andare… non ora che ti ho finalmente trovato…” mormorò Legolas con voce rotta.

“Non… voglio perderti…” gli fece eco il Ramingo, anch’egli colto dallo stesso dolore del compagno.

Ambedue soffrirono nel vedere quello sguardo dileguarsi lentamente via, senza poter far nulla per trattenerlo.

 

Ormai la forma era quasi del tutto scomparsa. Una lacrima scivolò nell’acqua e con un tonfo affondò in essa.

Fu allora che Legolas scorse ancora una sfumatura d’azzurro nello specchio, la stessa degli occhi che aveva desiderato, la fissò come se volesse riportarla indietro e infine… una scintilla…!

“Aragorn!” esclamò sussultando.

“Legolas!” disse nello stesso istante il Ramingo.

Fu in quella scintilla, in quell’ultimo barlume di sguardo, che l’Elfo riconobbe gli occhi del compagno.

Alzarono la testa dallo specchio e si voltarono a guardarsi increduli, stupiti, spaventati, colmi di gioia e di paura.

Galadriel, dinanzi a loro, testimone di quanto era avvenuto, sorrise in tutta la sua luce, e una scintilla di malizia gli attraversò il volto.

Fece qualche passo indietro e lentamente, in silenzio, scomparve tra gli alberi.

L’acqua nello specchio smise di tremare, ritornando a riflettere il cielo scuro sopra di sé.

Gli occhi riflessi erano stati ormai definitivamente inghiottiti, dileguandosi via.

Non vi era più traccia di essi.

Mentre l’Elfo e il Ramingo si persero l’uno nello sguardo dell’altro.