.|. Il Destino nello Specchio .|.

Capitolo I

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L’Elfo si avviò lentamente verso la stanza che Dama Galadriel aveva preparato per loro.

Mentre camminava alzò gli occhi. Subito fu contagiato dall’atmosfera magica ed eterea del regno di Lòrien.

Era un luogo che pareva sospeso nell’aria. Impercettibili, le folate di vento scuotevano come carezze i rami e le foglie intrecciate fra di loro. Mormoravano. Come per trasmettersi messaggi in un linguaggio segreto.

Ma perché pensare che si parlassero?

Ad ogni fruscio, ad ogni tremore, si creava una melodia talmente armoniosa che rassomigliava ad un dialogo. Parole pronunciate all’unisono, parole di una perfetta intesa.

Niente era casuale. Quando alberi, foglie, rami iniziavano a parlarsi, risvegliandosi da lunghi sonni ristoratori, non lo facevano se non venivano stuzzicati da un motivo curioso ed intrigante.

Legolas si sentì osservato. Si guardò intorno, ma non c’era nessuno. Un lieve senso d’imbarazzo s’insinuò sotto la sua pelle. Gli sembrò che mille occhi lo stessero fissando, mille bocche immobili stessero commentando ciò che era appena avvenuto, incuriosite, attente ad ogni suo movimento, divertite.

Che qualcuno si stesse burlando di lui?

Non era una sua impressione. Non poteva esserlo. Il suo istinto d’Elfo glielo confermava.

Pensò anche alle parole di Aragorn quando, instancabile, raccontava le storie del suo infinito peregrinare.

Egli aveva potuto vedere innumerevoli cose nella sua vita mortale, alcune quasi inaccessibili alla razza degli Uomini, ma che la sua condizione di Ramingo gli aveva permesso di guardare e di capire.

Conosceva i segreti celati dietro le vesti della Natura.

Il suo sguardo sapeva come spogliarla ed essa non si opponeva a quell’ardore di conoscenza che albergava nel cuore dell’Uomo. Così lo lasciava fare. Voleva sapere fin dove il Ramingo era capace di spingersi, voleva capire se quel desiderio di scoperta che gli bruciava dentro fosse soltanto orgoglio umano. Quale fosse la linea di confine tra ambizione e ansia di apprendere.

Esisteva una tacita sfida tra di loro.

E solitamente l’Uomo non tradiva mai le aspettative della Natura. Il suo era un sentimento puro, il fuoco che bruciava nel suo petto sembrava non estinguersi mai.

Legolas sorrise a questi pensieri.

Aveva potuto conoscere bene Aragorn durante il periodo trascorso a Lothlòrien, quelle Lune che nascevano, maturavano, invecchiavano e nell’istante della morte si ricreavano, sembravano aver ponderato il tempo: non erano state né troppo lunghe, né troppo brevi. E ciò era stato un bene.

Il Destino pareva giocare a loro favore.

Se il tempo trascorso a Lòrien era sembrato loro breve, significava che erano riusciti a ricacciare presto i servitori di Sauron a Mordor. Si erano scoperti forti, e complici nella battaglia.

Ma il Tempo aveva anche concesso loro molte ore in più. Si erano potuti conoscere. Ed ogni istante che si arricchiva della conoscenza dell’uno e dell’altro era scandito dal ciclo di vita della Luna.

L’Astro era stato il testimone silenzioso della loro amicizia.

 

Il vento soffiò ancora più forte, i rami sussurrarono qualcosa alle foglie che tremarono tutte.

Era stato proprio il Ramingo, ricordò Legolas, a parlargli dei taciti dialoghi degli alberi.

Legolas stesso li conosceva bene, in quanto l’Elfo era immerso in una totale comunione con la Natura e ne decifrava i segreti, ma restava ogni volta stupito del legame che Aragorn aveva con essa.

A volte quell’uomo, nei momenti di quiete, riusciva a meravigliarlo con storie che l’Elfo aveva immaginato soltanto, e sapeva rivelargli segreti importanti sulla vita del Mondo, sui segnali della Natura, sul legame misterioso che unisce Cielo e Terra.

Il Ramingo con il suo nudo occhio mortale riusciva quasi ad avere la saggezza di un Elfo nel comprendere il mondo. In modo diverso però.

Legolas aveva bisogno dello sguardo dell’Uomo per sentire la vita totalmente dentro di sé.

“Il mio sangue è fuso con questa terra” gli aveva confidato una volta Aragorn, “…quando il sole sorge, la mattina presto, ogni singola parte di me vibra. Come la linfa nel tronco degli alberi. Quando le luci della sera cominciano a morire dietro le spalle ricurve delle colline, il mio corpo s’intorpidisce, desideroso di un intimo abbraccio con la Natura. Conosco il linguaggio del Vento e le sfumature delle sue grida. So quando egli mi dice di restare o quando mi ordina di ripartire. La terra brucia sotto i miei piedi e mi ricorda la stanchezza, la mia fragilità, ma anche quanta strada sono riuscito a fare. Così guardo indietro e il mio cuore si riempie di gioia perché lontano si srotola il sentiero infinito, laggiù verso l’orizzonte sterminato” continuava, “…così la Luna mi ricorda che ho fatto tutto questo da solo, mi rigenera e guida i miei passi su un nuovo cammino…”

Mentre l’Uomo raccontava, un fremito di passione cresceva nella sua voce, il suo volto si coloriva di un rosso brunito, terra bruciata e i suoi occhi brillavano intensi.

Ciò che l’Elfo percepiva, l’Uomo lo viveva.

Ciò che l’Elfo sfiorava con il suo passo gentile, l’Uomo vi si immergeva, bruciando con esso.

 

Di colpo, Legolas si bloccò e strinse tra le mani l’ampolla trasparente che Dama Galadriel gli aveva donato.

La stessa acqua purificatrice che un tempo aveva offerto a Frodo.

D’improvviso una profonda commozione l’invase, non riuscì a spiegarsela subito, ma tutti i suoi sensi sembrarono vibrare all’unisono.

Restò immobile… incantato.

Un lamento più struggente di un addio si era levato nel cuore di Lòrien, si era alzato velocemente contro il cielo, andando ad invadere l’aria circostante.

Sembrava un canto, il canto di una voce pura e cristallina, femminile, invisibile e soave, e la sua melodia era accompagnata dalle note di un liuto e di un’arpa.

Che cosa… può essere…? pensò l’Elfo.

Le foglie smisero di mormorare, il ruscello arrestò il suo scorrere lento e cadenzato, il vento tacque, e tutta la Natura sembrò aprirsi come un immenso teatro per lasciar passare quell’arcana voce.

Soltanto Legolas non si spostò, così dopo alcuni istanti si ritrovò completamente immerso in quella melodia.

Non riusciva a distinguere le parole, sembravano piuttosto echi lontani, di un’era a lui sconosciuta.

Il linguaggio era elfico, su questo non aveva dubbi, ma Legolas stesso stentava a comprenderne il significato. Forse era Alto Elfico, la lingua dei suoi avi. Un canto dei Tempi Antichi dunque, che a lui era sconosciuto.

Quanto avrebbe dato per comprendere il significato di quelle parole…

La sua mente tacque. Ma non il suo cuore. Esso doveva averlo riconosciuto.

Prese a battere impetuosamente, ogni vibrazione di quel lamento s’impossessò di lui, di ogni sua fibra vitale, e il suo cuore si perse in un dialogo segreto con la dolce voce.

L’aria frizzante di Lòrien gli solleticò la pelle, scivolò tra i lembi della sua tunica, gli raggiunse il petto…

Legolas esalò un respiro profondo e si lasciò andare a quel piacere sconosciuto. Dischiuse lievemente le labbra come per assaporare il vento. Una brezza leggera gli solleticò il collo e le spalle, scostandogli i biondi capelli dal volto.

Intensi brividi iniziarono a percorrergli la schiena e scivolarono giù, sui fianchi, rapidi sulle gambe, finché non si persero nella terra.

Quelle carezze invisibili sapevano amarlo con dolcezza…

Le mani gli tremarono e strinse più forte l’ampolla tra le dita, gettò indietro la testa e sorrise compiaciuto.

“Er meleth glir…” sospirò, “er ninios suilannad…” riaprì gli occhi, “Perché…?” sussurrò.

La voce tacque d’improvviso, dissolvendosi nell’aria. Soltanto la sua eco rotolava ancora tra i piccoli varchi aperti dai rami.

Legolas sembrò destarsi da quella specie di sogno. Si voltò per guardarsi attorno. Era incantato. Inquieto e gioioso al tempo stesso.

La scia di dolcezza e di piacere sembrava non volerlo abbandonare. Non ancora.

Mosse qualche passo in direzione della sua stanza. Le foglie scricchiolarono sotto ai suoi piedi. Tutto taceva. Anche i rami avevano cessato di sussurrare.

Di colpo l’Elfo si sentì solo. Quello spazio gli sembrò troppo grande, soltanto per lui.

Sebbene conoscesse perfettamente quel luogo, non seppe più come muoversi, era spaesato, non sapeva dove andare.

Cos’era stata quella voce? Perché era apparsa in quegli istanti? Perché a lui? Ma soprattutto… cosa ci faceva lì?

Idee confuse gli ottenebravano la mente e il pensiero.

Sembrava che un’arcana magia si fosse sollevata per alcuni istanti, l’avesse atteso, per invaderlo e rivelargli qualcosa. Già… ma che cosa…?

Il suo cuore stava lentamente rallentando i suoi battiti. Legolas sospirò.

La luce di Lothlòrien era ritornata ad essere quella azzurra e dorata di sempre. Risplendeva serena.

Il senso d’inquietudine si placò nel corpo dell’Elfo.

Per un attimo aveva avuto la sensazione di essere stato il testimone di qualcosa…le parole della Regina poi, così enigmatiche… ancora gli risuonavano nella mente.

Ora una nuova emozione lo stava avvolgendo.

Lanciò un’occhiata al Ruscello… scorreva quieto, i rami s’intrecciavano leggeri e voluttuosi sulla sua testa.

Si sentì improvvisamente completo e sereno, come se avesse appena vissuto un atto d’amore.

Si strinse tra le braccia, in intima confessione con se stesso, alzò gli occhi verso l’alto, al cospetto delle fronde ondeggianti degli alberi. Si amò e amò tutto ciò che aveva attorno in quegli istanti.

Si sentì incredibilmente puro, come non lo era mai stato.

Un’intensa sensazione di calore l’invase.

Desiderò condividerla. Da sola non sarebbe bastata per riscaldarlo come tanto piaceva a lui.

Si guardò intorno, e fu allora che iniziò tutto.

Quel calore rimase.

Fu allora che iniziò a cercarlo dappertutto…

Fu allora che iniziò il suo cammino…

In quell’istante, qualcosa attirò la sua attenzione: la piccola finestra della sua stanza. Una fioca luce brillava all’interno di essa, il bagliore di una candela… la candela che aveva lasciato quando era uscito non si era ancora spenta…

Ma si stava consumando lentamente e il fuoco diveniva cenere…

“Aragorn…” sussurrò.

Quel sussurro fu subito raccolto dalla Natura che vibrò in un silenzioso canto di giubilo.

Non si accorse di nulla l’Elfo, che come ridestato da quel torpore, iniziò ad incamminarsi verso la stanza.

Di colpo la stanchezza s’impossessò di lui.

Tutte le forti emozioni che aveva provato, ricadevano giù verso il suo ventre per addormentarsi lì.

Aveva bisogno di un sonno ristoratore.

Si avviò verso i grandi rami intrecciati che aprivano un varco sulla porta d’ingresso del piccolo palazzo, s’infilò dentro e salì velocemente le scale di legno per giungere davanti alla porta della stanza.

Anch’essa era fatta di rami intrecciati, come del resto tutto a Lothlòrien.

Tutto era perfettamente incastonato e nulla dava l’impressione di essere pesante o terreno.

Gli Elfi di Lòrien, da esperti architetti, erano riusciti a costruire un regno sospeso nel vuoto che sembrava tendere verso l’alto.

Legolas indugiò un istante prima di entrare, la candela si stava ormai spegnendo; tra le fessure dei rami intravide la sagoma del Ramingo disteso sul letto.

La luce della candela era ancora abbastanza viva da poter illuminare il corpo dell’Uomo.

Legolas lo guardò.

La candela si spense.

L’Elfo entrò allora nella stanza, senza preoccuparsi di far rumore, Aragorn non avrebbe certo sentito i suoi impercettibili passi.

Richiuse la porta dietro di sé.

“Sembra proprio che questa notte ti abbia colto un sonno profondo, Estel…” sussurrò Legolas, sorridendo.

Il Ramingo infatti dormiva beatamente, abbracciato al suo morbido cuscino.

“Ti meriti questo riposo, valoroso guerriero…” disse ancora l’Elfo avvicinandosi al letto.

Ricordò quante notti l’Uomo era rimasto a vegliare la Compagnia, durante le prime tappe del loro viaggio, quante volte aveva rinunciato al sonno per far riposare gli altri, quante volte aveva evitato di chiudere gli occhi per aguzzare la vista e scrutare nemici o possibili insidie tra le ombre.

Aragorn era forte, provato dalle intemperie, a volte sembrava instancabile, avanzava e sembrava dar poca considerazione ai suoi più profondi sentimenti, al suo cuore…

Legolas si soffermò qualche istante a guardarlo.

Un fremito di tenerezza l’avvolse. Lo vide, lì, disteso su quel letto, finalmente rilassato, il corpo inerte, il viso sereno, i lineamenti distesi.

“Stai forse sognando, Estel…?” mormorò l’Elfo, “Li vedo sul tuo volto, i sogni, stanno forse scrivendo una storia segreta che tu non hai mai raccontato a nessuno…?” abbassò gli occhi, “L’importante è che siano belli…”

Le battaglie sembrarono non riguardarlo in quel momento.

All’Elfo parve strano. Non l’aveva mai visto così. Oppure non vi aveva mai prestato bene attenzione.

S’incuriosì. S’incuriosì improvvisamente del mondo intimo e nascosto dell’Uomo… delle solitudini del guerriero.

Il Tempo per la prima volta sembrava aver rallentato la sua corsa, quella notte, anche se l’alba si sarebbe presto stagliata nel cielo, non sarebbero comunque dovuti partire.

Legolas fu felice di questa certezza.

Avevano a disposizione un giorno e una notte ancora, per lasciare nella loro stanza i loro abiti di guerrieri. E restare semplicemente Elfo e Uomo.

Legolas non avrebbe mai potuto comprendere completamente l’essenza di un Uomo.

Aragorn non avrebbe mai potuto somigliare ad un Elfo.

Avevano imparato a conoscersi però. Questo gli bastava.

 

Legolas gettò a terra la sua tunica e si distese sul letto accanto al compagno.

“Riposa, amico degli Elfi…” gli sussurrò all’orecchio.

Aragorn mormorò qualcosa nel sonno, quindi si voltò su di un fianco continuando a dormire.