.|. Seeking Harmony .|.

Nota: Il Sole per gli Elfi è femminile, per questo Legolas parla del Sole come di una ‘lei’ verso la fine della fic =)

 

2. Spiriti che si Risvegliano nell'Eternità

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* * * * *

 

 

And if you should still fall into despair, there is one thing left to believe

E se dovessi cadere preda della disperazione, c’è una cosa che ti rimane da credere
I lie in your heart always

Io sono sempre nel tuo cuore

 

Nothing is braver than honesty, my life is your faith in me

Non c’è nulla di più coraggioso dell’onesta, la mia vita è la tua fiducia in me

 

I’ll be there when you need

Sarò lì quando avrai bisogno
You don’t have to hide from me

Non c’è ragione di nascondermi
What you are feeling now

Quello che stai provando ora

I fill your soul

Io riempio la tua anima

 

We will seek together destiny

Cercheremo insieme il destino
Troubles have an end

I problemi hanno una fine
We will carry on hand in hand

Andremo avanti mano nella mano

You’re not alone

Non sei solo

 

People searching desperately outside themselves,

Le persone cercano disperatamente al di fuori di loro stesse,
Caught up in thinking of what never helped

Indaffarate a pensare a ciò che non hai mai dato loro aiuto
And I’d forgotten too that love exists inside of me as in

E avevo dimenticato anch’io che l’amore esiste dentro me, come dentro
Those that I wanted from

Coloro da cui lo volevo
I feel you now

Ti sento ora

 

I’ll be there when you need

Sarò lì quando avrai bisogno
We will live together

Noi vivremo insieme
Nothing is in our way

Non c’è nulla sul nostro cammino
With trust in our soul

Se abbiamo della fiducia nella nostra anima

 

We will seek together destiny

Cercheremo insieme il destino
Troubles have an end

I problemi hanno una fine
We will carry on hand in hand

Andremo avanti mano nella mano

We won’t forget we have each other

Non ci dimenticheremo di averci l’un l’altro

 

Love is in the heart of all man

L’Amore è nel cuore di tutti gli uomini
You’re not alone.

Non sei solo

 

                  - You're not alone - Maaya Sakamoto

 

Faceva freddo; troppo freddo per lui.

In alto, il cielo pulsava già di quella falsa luce che precede l’alba, indolente e pallida, come se il sole fosse troppo sfinito per levarsi dopo la tempesta di quella notte; ma le tenebre ancora resistevano, addensandosi, nel fondo delle valli, sulle sponde del fiume, e aldilà, nel fitto sottobosco.

Il vento gelido frustava le cime degli alberi, e non vi era altro rumore che il torturato gemere delle fronde.

Nonostante si trovasse al riparo in una bassa gronda di rami intrecciati, in alto sopra ad una collinetta scoscesa, Aragorn iniziò a rabbrividire. Il primi raggi del sole si erano insinuati nell’alcova ove sedeva, e scorrevano sulla sua pelle con tocco gentile; ma il gelo continuava ad avvolgerlo, come se si trovasse immerso in una pozza di acqua scura e ghiaccia.

Provò a sfregarsi le mani lungo le braccia – un movimento rapido, quasi violento, frustrato – ma a nulla valsero i suoi sforzi. Solo, in quella falsa luce che precede l’alba, era di un calore differente che aveva bisogno, che sognava senza nemmeno rendersene conto: il calore di un altro corpo, stretto al suo, il tepore dolce del respiro che scivolava sulla sua pelle, di mani forti e timide che lo stringevano senza sapere come…

Fu colto alla sprovvista quando il ricordo del calore di Legolas, di quel suo corpo sinuoso, gli esplose nella mente. Desiderava quel calore, ora, e quel desiderio lo torturava, come il desiderio d’acqua tormenterebbe un uomo sperduto nel deserto. Bramava disperatamente qualcosa che non poteva avere, che non aveva diritto di chiedere, e quella realizzazione bastò a fargli sentire ancora più freddo dentro.

Risistemandosi la coperta sulle spalle, Aragorn lasciò vagare i suoi occhi verso il basso, sul modesto campo che avevano preparato per rifugiarsi dal temporale. Lanciò un occhiata aldilà delle braci ormai morte a Gimli, che dormiva nell’incavo di un vecchio albero, e sentì le labbra incresparsi in un sorriso. Nella sua ricerca di calore il Nano si era rimboccato sotto tutti i mantelli e le coperte che possedevano, ed ora ronfava beatamente, la folta barba scura che s’alzava e s’abbassava sopra il mucchio di panni.

Riuscirebbe a dormire anche in mezzo ad una guerra, concluse Aragorn divertito.

Ma ogni traccia di ilarità sparì dal suo volto il momento stesso in cui notò che anche il mantello di Legolas era avvolto attorno al Nano, e che non vi era traccia dell’Elfo da nessuna parte. Aggrottando le sopracciglia, Aragorn scrutò intensamente le ombre attorno al campo, e sentì l’apprensione crescere dentro di lui con ogni secondo che passava.

Rabbrividì. Ma al tempo stesso dubitò che il freddo avesse qualcosa a che fare con quel tremito.

Cercò la sagoma luminosa dell’Elfo tra gli alberi, sulle rive del torrente; poi nel bosco che si allargava metri sotto di lui, alla base della collina; infine puntò lo sguardo al cielo, dove migliaia di stelle brillavano come gemme incandescenti, come se si aspettasse che Legolas, stella di bellezza e grazia tra gli Elfi, si fosse attardato a conversare con loro nel cielo.

Finalmente colse una pallida luce con la coda dell’occhio, un guizzo d’oro nelle ombre di velluto. Aragorn si costrinse a non girarsi, a non posare gli occhi su quella perfetta, solitaria figura che si stagliava al bordo del suo campo visivo, sicuro che non avrebbe potuto controllare le sue reazioni se l’avesse guardato.

Ma il desiderio bruciante di vederlo lo vinse, ed in poco meno di un battito di ciglia. Aragorn si girò verso quella visione che era Legolas, e gli respiro gli morì in gola.

L’Elfo stava in piedi tra gli alberi, e luci e ombre oscillavano attorno a lui, danzando sul suo corpo come le mani di un amante. Il vento giocava con la sua tunica, e a tratti il colletto aperto si alzava abbastanza da far intuire la candida gola e il petto. Il suo viso risplendeva come una stella. I suoi occhi erano blu come acqua limpida, sebbene paressero orlati d’ombra come quelli di un mortale.

Era, in poche parole, la cosa più bella che Aragorn avesse mai visto.

Si guardarono.

Il sole si nascose dietro una nuvola. Il vento soffiò con più forza. Foglie e polvere si alzarono vorticando in mezzo a loro. I capelli di Legolas si alzarono e ondeggiarono contro il suo volto, sfiorandogli le labbra, la punta del naso, il mento, così che c’erano momenti in cui pareva indossare un velo che solo la luce irreale dei suoi occhi trapassava.

Poi venne la pioggia: piccole, tremule goccioline scesero le guance di Legolas come lacrime, fino alle labbra, dove lui le catturò con la punta della lingua. Aragorn batté le palpebre quando la pioggia iniziò a cadere più fitta, rigando il volto di Legolas, inzuppandogli i capelli fino a farli aderire sul collo e sulle spalle in ciocche di oro scuro e greve. Ma all’Elfo sembrava non importare della pioggia o del vento, la sua mente persa da qualche parte nel profondo degli occhi di Aragorn.

Il Ramingo trattenne il respiro dinanzi a quell’irreale bellezza, e il calore finalmente si fece strada dentro di lui, dilagando dolcemente come una marea. Poi si scosse, tremante, e sussurrando appena: “Legolas…”, gli fece cenno di raggiungerlo nel suo piccolo rifugio.

Annuendo, Legolas venne ad inginocchiarsi davanti a lui, fissandolo. Le loro mani si sfiorarono per un attimo, quando si sedette al suo fianco: grazie a quel piccolo contatto, il gelo che aveva assillato Aragorn scomparve del tutto.

L’Uomo chiuse gli occhi, e per un momento ebbe paura di riaprirli, temendo che, se lo avesse fatto, non avrebbe visto nessuno accanto a lui. Temendo di aver sognato quel loro incontro nella luce del mattino. Temendo di scoprire che Legolas non fosse null’altro che un sogno nato nel dormiveglia – poiché, cosa aveva fatto lui nella vita reale per meritare qualcosa come il diafano e bellissimo Principe di Bosco Atro al suo fianco?

Avvertì un fremito lungo la schiena, ed il bisogno di sapere che Legolas era , reale, e non un frammento della sua immaginazione, si fece troppo forte per resistergli. Lentamente si mosse, finché infine non sfiorò il corpo dell’Elfo col suo.

Solo allora rilasciò il respiro che non sapeva di stare trattenendo.

 

Alzò le palpebre, e accarezzò con gli occhi il corpo sinuoso del compagno. Il calore che si era insinuato dentro di lui salì, turbinando, traboccando, in un coro di maestosità inaudita.

Per i Valar, com’era bello…

Come se avesse avvertito lo sguardo di Aragorn su di lui, Legolas alzò la testa. Aveva il volto illuminato dalla luce nascente, atteggiato in un espressione gentile e curiosa insieme. I capelli zuppi di pioggia gli modellavano le forme pure del volto, aderendogli sulle guance, il collo, le spalle. Le labbra, schiuse e umide di pioggia, parevano luminose.

No, non era solo bello, concluse Aragorn. Era… non aveva parole per descriverlo.

Divino, forse.

Ed era cambiato molto, dall’inizio del loro viaggio.

Esteriormente, era persino più radioso di com’era quando l’aveva visto a Granburrone. Interiormente… era diventato più umano. Lo si poteva vedere gioire delle piccole cose o rabbuiarsi; si poteva sentire la sua risata echeggiare cristallina e pura, o vederlo perdersi in attimi di malinconia lancinante, e tremare dinanzi a essi.

Così umano… e così infinitamente superiore.

Persino Gimli -che mai era stato famoso per il suo senso di osservazione- si appartava spesso col Ramingo a fare commenti sull’atteggiamento di Legolas, o a canzonarlo per la sua umanità. E i suoi commenti si coloravano di una sfumatura maliziosa ogniqualvolta Gimli menzionava l’inaspettata, nuova familiarità –intimità- che l’Elfo condivideva con Aragorn. Legolas era persino arrossito, a volte, nel sentirli parlare di lui, e li rimproverava di divertirsi alle sue spalle, ma la gaiezza nel suo sguardo era innegabile: stava iniziando a capire il cuore degli Uomini, il cuore di Aragorn, provando ciò che lui provava, e questo gli dava una gioia senza fine.

Aragorn fu strappato dai suoi pensieri languidi quando vide Legolas tremare, seppure leggermente. Senza pensare, il Ramingo aprì il suo mantello e lo cinse attorno alle spalle dell’Elfo, così che coprisse entrambi.

“Questa ti terrà caldo.” Disse, a mo di giustificazione. Legolas si fece più vicino, e annuì quietamente contro la sua spalla. “Cosa ti spinge a girovagare con un tempo simile, Legolas?” L’Elfo scrollò le spalle, sorridendo.

“La bellezza di questi luoghi. Voglio goderne, Aragorn, poiché non possiamo sapere cosa i Valar abbiano in serbo per noi. Voglio assaporare questa bellezza finché posso, assaporare delle ore di gioia senza curarmi di quanto il nuovo giorno ci porterà.” Sospirò, e appoggiò la guancia su una spalla, tirando a sé le gambe e circondandosi le ginocchia con le braccia. Aragorn aggrottò le ciglia, preoccupato, ma anche stupito da quel bisogno urgente che sentiva di proteggere l’Elfo. Si passò la lingua sul labbro, e sentì sapore di pioggia.

“Qualsiasi cosa i Valar abbiano in serbo per te,” disse gentilmente, “Evita di tentarli mettendoti a girovagare sotto una simile tempesta senza armi né mantello.” L’elfo alzò il viso verso di lui, e le sue labbra erano atteggiate in un sorriso.

“Non ti facevo un uomo superstizioso.”

“Infatti non lo sono.” Fece Aragorn, sulla difensiva. “Sono solo realistico.” Legolas inclinò leggermente la testa, studiandolo dal basso. Lentamente il suo sorriso si allargò, e i suoi occhi si accesero come crepuscolo stellato.

“Preoccuparsi che un Elfo possa ammalarsi sotto la pioggia, non è realistico, signor Ramingo.”

“Non credevo che preoccuparsi per un amico fosse un crimine.” replicò Aragorn, con un tono a metà tra l’offeso e il divertito.

“Infatti non lo è.” Disse Legolas di rimando, con quella luce divertita ancora negli occhi. “Ma non sono un bambino.”

“Di fatto lo sei.” Notò Aragorn, facendogli passare un braccio attorno alle spalle e attirandolo a sé senza rendersene nemmeno conto. “In fondo, non sei un Elfo adesso, ma un aspirante Umano. Da questo punto di vista, potremmo dire che sei come un bambino.” Legolas sospirò a quelle parole, e si girò a guardare gli steli d’erba tentennare sotto la pioggia incessante.

Aragorn si odiò per aver parlato, ed aprì la bocca per scusarsi, sicuro di aver offeso l’Elfo. Poi però sentì Legolas farsi ancora più vicino; sentì le sue dita incerte sfiorargli il braccio, subito sopra il bracciale di Boromir, e tacque.

Prima anche solo di rendersene conto, si mosse finché sentì quelle dita tremanti danzargli sul palmo della mano; poi le catturò tra le sue in una stretta gentile. Alzò l’altra mano, usando le nocche per sfiorare Legolas teneramente sulla guancia, e gli sorrise. L’Elfo inclinò il volto contro il suo tocco confortante, e i suoi occhi si chiusero quando sospirò.

“Sono stato io a volerlo.” Mormorò, schiudendo le labbra in un sorriso quando sentì Aragorn muovergli una ciocca di capelli umidi dal volto. “Ma mi è difficile abituarmi, perché non avevo mai provato confusione o incertezza prima. Credevo che capire gli Uomini… agire come uno di loro… diventare uno di loro… mi avrebbe potuto dare le risposte che cercavo, eppure così tante domande sono nate nella mia mente. L’Umanità è, apparentemente, null’altro che confusione. Almeno per me; almeno per il momento.”

Un silenzio calò su di loro, stranamente dolce.

La pioggia era cessata. Gli ultimi stralci di nuvole scure parvero accumularsi sul basso orizzonte, ed il sole creò un alone di luce morbida e tremula intorno ad esse, prima di squarciarle come veli ondeggianti e levarsi in tutto il suo magnifico splendore in un cielo dal tenue color lavanda. La luce dorata si riversò sulle colline, e investì il ruscello che correva spumeggiando nei pressi dell’accampamento. La luce riflessa del cielo si infranse in linee increspate e scintillanti sulla sua superficie, rimandando barbagli candidi lungo i tronchi irruviditi degli alberi, accendendo muschi e foglie di mille riflessi come una pioggia di luce.

“È così bello,” disse Legolas in poco più di un sussurro. “E confortante vedere come, nonostante la Tenebra si stia accumulando ad Est, la natura continui a seguire i suoi ritmi. Perché, non importa cosa sarà di noi alla fine, ora so che l’Oscuro Signore non potrà mai ottenebrare la gloria tenera e meravigliosa della Terra di Mezzo.” Aragorn, perso in contemplazione, mosse appena la testa in tacito assenso.

Poi, un pensiero gli si affacciò alla mente – un pensiero che lo colpì al cuore come una pugnalata, e lo riempì di orrore.

“Sei pentito?” Sei pentito della tua scelta? Sei pentito che i recessi più profondi e bui del mio cuore siano ora aperti ai tuoi occhi? Quello che vedi dentro di me è troppo disgustoso perché tu possa sopportarlo? Legolas si svincolò gentilmente da lui, e si girò a guardarlo. Sul suo volto stava il sorriso più radioso che Aragorn avesse mai visto.

“Mai,” mormorò Legolas dolcemente. “Potrà essermi difficile capire gli Uomini, ma sono felice di stare imparando.” Aragorn si scostò e guardò lontano, le sopracciglia aggrottate.

“Non capisco,” iniziò a dire. Poi esitò, e scosse la testa. Legolas si tese verso di lui, avvicinando i loro visi. La morbida luce del sole gli cadde sulla guancia e i capelli, rendendoli simili ad oro filato. Aragorn gli lanciò un’occhiata, un gesto veloce, per poi inumidirsi le labbra e provare ancora.

“Non capisco perché un Elfo quale tu sei voglia conoscere il cuore degli Uomini, creature così rozze e semplici se paragonate alla tua stirpe…”

“Ma non è vero!” proruppe Legolas. Aragorn si girò si scatto a guardarlo, sorpreso della nota disperata che aveva udito nella sua voce. Si ritrovarono a guardarsi negli occhi per un lungo momento, ognuno cercando di dare senso alle parole addolorate dell’altro. Legolas si passò la lingua sulle labbra, che d’improvviso gli sembrarono aride. Sembrava stesse cercando l’energia necessaria per sembrare arrabbiato, ma che non riuscisse a scrollarsi di dosso un velo di profonda malinconia.

“Non è vero affatto,” sussurrò infine con voce roca, e poi abbassò lo sguardo, incapace di fissare ancora gli occhi profondi e chiari del Ramingo.

In sottofondo si udiva il mormorio leggero della brezza tra le tenere fronde e l’erba imperlata di rugiada. Da più lontano giungeva lo scrosciare quieto e sempre uguale delle acque del ruscello. Aragorn, fatti scorrere gli occhi sul corpo di Legolas come una carezza, chinò indietro la testa, offrendo il viso al tocco fresco del vento.

Quando parlò, la sua voce era chiara e ferma.

“Il tuo cuore arride agli Uomini, Legolas,” disse gentilmente, e la sua non era una domanda.

Gli occhi dell’Elfo si alzarono cautamente, ed Aragorn era lì, dinanzi a lui, palpebre abbassate, labbra schiuse, i capelli mossi dal vento. Per un lungo momento Legolas rimase a fissarlo, rapito dal modo in cui la cascata di luce verde e d’oro levigava e accentuava le linee orgogliose del suo volto, facendo di lui l’effige vivente dei grandi Re del Passato. Poi Aragorn fece per voltarsi a guardarlo, socchiudendo appena gli occhi, e Legolas distolse lo sguardo, mordendosi il labbro.

“È così.”

Per un attimo restarono entrambi senza parlare. Poi, per alleggerire la coltre silenziosa che sembrava essere calata tra di loro, Legolas aprì la bocca senza pensare.

“Io li amo,” sussurrò; e percepì, più che vedere, gli occhi di Aragorn sgranarsi per la sorpresa.

“Che cosa mai possono possedere gli Uomini, mio buon Legolas, che ti affascina così?” Aragorn chiese allora, genuinamente confuso.

“Gli umani cambiano e crescono col tempo. È stata concessa loro questa caratteristica. Posseggono un potere che li fa sognare e sperare, finché anche l’impossibile sia divenuto realtà. Ecco cosa mi affascina in loro. Gli Elfi, che conoscono la vita senza fine, desiderano, ma non sognano. Non hanno bisogno di provare speranza, perché sanno che il tempo porta soluzione ad ogni problema. Ieri è come Oggi per noi. Oggi è come Domani, ed il resto dell’Eternità.” Legolas scosse la testa, come per liberarsi di un pensiero triste e, giunte le mani sopra le ginocchia, vi premette il mento, come un giovane mortale.

“Amo gli Uomini per questa loro speranza. Per i loro sogni; il loro fuoco. Il modo in cui vivono le loro emozioni senza riserve di fronte ad una vita limitata,” continuò nello stesso, placido sussurro, alzando gli occhi lentamente su di Aragorn. “Forse c’è stato un tempo in cui anch’io ero umano, prima di nascere con questo aspetto che tu conosci. E vorrei… vorrei esserlo di nuovo.”

Per un attimo, Aragorn non poté parlare, e lo fissò, ammutolito.

“Perché?” sussurrò infine. Legolas alzò completamente lo sguardo, incrociando gli occhi indagatori di Aragorn e disse, semplicemente:

“Per essere come te.”

Aragorn sentì la bocca secca, come fosse piena di sabbia, ed il respiro gli si strozzò in gola. Legolas lo stava fissando con in intensità tale da farlo tremare, e brividi caldi e gelidi si rincorsero, alternandosi, lunga la sua spina dorsale.

Perché?

“Per quello che sei.” Aragorn scosse la testa, come per ribadire che era un concetto assurdo.

“Io non sono nemmeno paragonabile a te, amico mio, in nessun modo. Come puoi tu desiderare, oh bellissima creatura, di essere come me?”

“Tu sei la mia Armonia, Aragorn,” insistette Legolas. La sua voce carica di emozione scongiurava Aragorn di capire, ancora una volta, qualcosa che nemmeno il suo stesso cuore poteva spiegarsi chiaramente. Ma Aragorn poté solo continuare a fissarlo con una luce di ammirazione chiara negli occhi. Non c’era nulla nell’Elfo che non fosse perfezione in sé per sé, ed Aragorn era certo che mai avrebbe visto una creatura più affascinante camminare sulla Terra di Mezzo.

Legolas era alto e snello; e aggraziato, si, ma come lo è un felino cacciatore: in modo potente e sensuale. La sua carnagione era neve e velluto. I lineamenti, perfetti. Gli occhi erano scuri e meravigliosamente espressivi. I capelli poi erano bellissimi, lunghi e serici, e del colore del sole estivo.

Aragorn non riusciva a comprendere come un simile miracolo potesse anelare ad essere come lui.

“Il tuo animo, il tuo cuore, il tuo coraggio, sono meravigliosi per me!” insistette l’Elfo, ed Aragorn non riusciva a credere una simile bugia, per quanto dolce potesse essere.

Parte di lui si rifiutava di credere a Legolas: l’Elfo non poteva assolutamente ammirarlo, non poteva assolutamente desiderare di essere come lui; e questo perché Legolas gli era superiore in ogni modo, agli occhi del Ramingo.

E poi, si ricordò tristemente, lui non poteva –non avrebbe mai potuto- essere l’Armonia di quella creatura magnifica. Era un ruolo troppo straordinario, troppo speciale, per appartenergli.

Legolas stesso lo era.

Troppo speciale per appartenermi; questo è ciò che pensava Aragorn.

Eppure, parte di lui voleva disperatamente credere il contrario.

Combattuto, l’Uomo si voltò, cercando rifugio dalle emozioni che vedeva riflesse negli occhi di Legolas, e da quelle che si agitavano dentro il suo stesso petto; ma Legolas lo seguì, la sua mano si chiuse sulla sua spalla con forza disperata; il suo corpo, tutto il suo corpo, si premette contro quello del Ramingo facendo esplodere in loro una scintilla argentea e calda.

“Perché? Perché rifiuti di vedere il tuo valore, Aragorn?” implorò. “Perché ti ostini tanto a negare di essere speciale, e ancor più ai miei occhi? Sei tu col tuo corpo forte, la pelle baciata dal sole, gli occhi del colore della nebbia, ad essere bellissimo, non io…” D’improvviso chiazze di colore divamparono sulle guance dell’Elfo; Legolas ritrasse la mano e si staccò da Aragorn di scatto, resosi conto infine delle sue parole: così oneste, così innocenti, e cosi terribilmente fuori luogo, proibite, imbarazzanti.

Immediatamente Aragorn si girò a guardarlo, teso e scioccato. Dapprima Legolas non volle incontrare i suoi occhi, e il suo respiro era rapido e incerto. Poi lentamente alzò lo sguardo, e qualcosa di profondo e elusivo passò tra di loro come un richiamo silenzioso. Per un attimo fu come se una luce balenasse negli occhi di Legolas, scintillando come un tesoro che la risacca a tratto sulla spiaggia. Ma subito, ancora una volta Legolas si voltò, e la visione fu persa agli occhi di Aragorn. Eppure già l’Uomo aveva compreso il segreto ignoto allo stesso Legolas, e d’improvviso si sentì come se una luce dorata squarciasse le nebbie che gli ottenebravano la mente.

D’un tratto tutto gli fu chiaro: era vero! Era tutto vero! Lui era veramente speciale per Legolas, anche se in che modo ancora non lo sapesse, né gli importava scoprirlo. Tutto ciò che contava in quel momento era Legolas, e il pensiero inebriante di lui scacciava tutti i dubbi e la tristezza. Anzi era grato che fosse stato concesso a lui, il Re Perduto, di essere così legato a quella creatura dorata e magnifica. Poi tutto si perse nella sensazione, fisica nella sua intensità, che gli provocava assaporare il loro legame unico.

Era come un canto. Si alzava dentro di lui con toni puri e ricchi, ascendeva e traboccava in una salmodia divina, ed Aragorn si sentì leggero, senza peso, e la presenza di Legolas avvolgeva il suo spirito, come la nebbia luccicante alla luna lambisce le acque di un lago. Non poté farne a meno: lo guardò.

Com’era bello! Com’era stranamente affascinate e irreale! E, improvvisamente, com’era suo!

Finalmente, realizzò Aragorn, finalmente esisteva qualcuno che lo ammirava per ciò che era. Qualcuno che, senza sapere cosa fosse l’amore, l’amava. E non per i suoi atti d’eroismo, per il suo destino, per ciò che sarebbe dovuto diventare, ma per sé stesso!

Una deliziosa sensazione di pace si impadronì di lui; ed essa gli era estranea, eppure familiare, perché era Legolas che l’aveva fatta nascere in lui.

Fu come se una fontana di luce sgorgasse nel suo petto, dilagando dal suo cuore come acqua, come miele, come tempesta. Era una sensazione che sembrava purificarlo, elevarlo, confortarlo ed estasiarlo allo stesso tempo, e raggiunse di nuovo altezze tali da farla sembrare quasi fisica nella sua intensità.

I suoi occhi si spogliarono di quel dolore che sembrava colmarli giorno e notte, ed Aragorn sorrise, sebbene né Legolas né nessun altro vide quale miracolo operò sul suo volto quel suo raro sorriso. Sembrava quasi che un velo scuro fosse caduto da dinanzi al suo viso, ed Aragorn sembrò improvvisamente giovane, ed i suoi tratti parevano Elfici, e invasi di luce, ed eterni.

Sorridere era sempre stato difficile per lui. Lo faceva così di rado, che aveva quasi dimenticato come fare. Eppure Legolas, magnifico Legolas, riusciva a toccare angoli così remoti del suo cuore che Aragorn credeva morti. Lui, e solo lui, sarebbe mai riuscito a raggiungere le profondità così nascoste del suo animo, di questo Aragorn ne era certo. Poi, quando quel tesoro che era Legolas sarebbe stato reclamato dall’Oceano, Aragorn avrebbe sigillato di nuovo quei luoghi, per sempre, e ne avrebbe fatto un tempio al ricordo di Legolas.

Il suo Legolas.

Oh, era così dolce chiamarlo ‘suo’ ora! Così giusto, così legittimo, quando solo pochi attimi prima gli era sembrato una follia!

Il suo Legolas; suo, suo, suo…

 

“Io… perdonami Aragorn, ti prego.” Legolas disse in un sussurro, risvegliando Aragorn dai suoi pensieri estatici. “Non volevo imbarazzarti. Ti prego… perdona la mia impulsività, se questa ti ha in qualche modo offeso. Io volevo solo…” Esitò. Soffiò la brezza, e i capelli di Legolas si alzarono, sfiorando prima la sua guancia e poi quella di Aragorn, freschi come sprazzi di pioggia estiva.

In un attimo di chiarezza sconcertante Aragorn sentì ciò che Legolas provava in quel momento: timore, se non vera e propria paura, e confusione. L’Elfo era spaventato di quelle emozioni umane che si erano insinuate in lui durante il loro viaggio e che gli erano estranee. Ed era spaventato dall’idea che, mostrandole ad Aragorn, lo avrebbe perduto.

Desideroso di confortarlo, Aragorn si chinò verso di Legolas per scostargli una ciocca di capelli dalla fronte. L’aria profumava della sua pelle, un aroma come di vaniglia e fiori e nebbia, più qualcosa di etereo, qualcosa di distintamente Legolas che rendeva ebbri.

Aragorn poteva sentire su di lui il profumo di tutte le cose che amava sulla Terra di Mezzo: i fiori d’estate, l’erba fragrante di rugiada, il miele della sua terra natia, le fresche notti di nebbia e luna, la dolce acqua di fonte, i frutti maturi e caldi di sole, la brezza del mare. E per un attimo, un attimo che rimase impresso per sempre nella sua mente, ebbe una visione di tutte quelle cose, e sentì il bisogno di provare il loro sapore, sorbendolo con le labbra dalla pelle candida di Legolas.

Senza intenderlo, Aragorn si ritrovò a rimuovere alcune ciocche di capelli dal collo di Legolas, e con reverente tenerezza carezzò in punta di dita quella pelle che tanto lo ammaliava.

Il contatto sorprese il Principe di Mirkwood, e l’Elfo si tese, esalando un respiro ansante, come se si stesse preparando a fronteggiare un pericolo.

“Non scusarti, Legolas,” mormorò Aragorn. “Agire come ti comanda il cuore, l’istinto, é il primo passo per divenire umani.” Intento ora a tracciare il contorno del suo orecchio -dalla delicata punta a foglia fino al lobo, e poi giù fino alla base del collo- Aragorn si chinò verso l’Elfo, e col respiro gli carezzò guancia. Lo sentì rilassarsi sotto le sue dita ad ogni parola che sussurrava.

“Devi imparare a esprimere i tuoi sentimenti sia con la voce che con il corpo, e a non mentire mai a te stesso a proposito dei tuoi desideri. Solo allora sarai ciò che desideri essere,” spiegò il Ramingo.

“Esprimere i miei sentimenti attraverso il mio corpo?” chiese Legolas, tendendosi verso di lui.

“Lascia che i tuoi occhi splendano quando sei felice, e che si oscurino quando sei preda dell’ira, o quando il desiderio ti brucia nell’animo. Lasciati sorprendere da ciò che non conosci. Lasciati ammaliare da ciò che di nuovo si presenti sul tuo cammino. Lascia che le tue guance si colorino, che la tua voce tremi, che le tue lacrime cadano.”

Le dita di Aragorn trovarono il punto, alla base del collo, dove poteva sentire il cuore di Legolas battere come le ali di un uccello in gabbia, e all’improvviso seppe ciò che Legolas aveva scoperto la notte in cui avevano dormito abbracciati: che i loro cuori battevano in splendido unisono, così da essere l’uno eco e riflesso dell’altro. La sensazione provocata da tale scoperta sembrò travolgerlo: sentì onde d’estasi propagarsi lungo il suo corpo, e lacrime calde bruciargli negli occhi, sebbene fossero anni che non ne versava.

“Il segreto dell’essere umani è il non avere alcun segreto,” disse con voce roca e sussurrante. “Sii sincero, Legolas. Con te stesso prima che con altri. E ammetti sempre ciò che custodisci nel cuore, perché il mondo possa vederlo.” Legolas strofinò il viso contro la sua mano callosa, con gli occhi chiusi e le labbra morbide, come avrebbe fatto un gatto – e lo fece perché il suo cuore lo desiderava. Aragorn ne sorrise.

“Cos’è che desideri, Elfo-Uomo?” domandò. Legolas incurvò le labbra nel sentire quello strano, nuovo appellativo, e sospirò: un sospiro che nasceva dalle carezze di Aragorn, anche se l’uomo lo capì solo molto tempo dopo.

“Ciò che voglio…” mormorò Legolas. La sua voce di era un sussurro quieto come il rumore di acqua che zampilla tra le rocce ad altezze che fanno girare la testa. “Non voglio molte cose, o meglio le voglio, ma non so ancora come chiamarle. Ma se c’è qualcosa che desidero davvero, è di stare con te, sempre. Di rimanere al tuo fianco fino a che tu non chiuda gli occhi nel riposo eterno, Uomo-Elfo.”

Aragorn gli sorrise, come l’immagine in uno specchio, e Legolas chiuse la mano sopra quella del Ramingo che gli sfiorava il viso.

“Voglio donarti ciò che tu hai donato a me. Desidero con tutto me stesso…” esitò, si passò la lingua sulle labbra. Poi, poggiando la mano di Aragorn sul petto dell’Uomo, proprio sopra il suo cuore battente, e lasciandola, si alzò in piedi.

“Desidero con tutto me stesso qualcosa che non potrò mai ottenere, perché tu sei la mia Armonia, e sarebbe solo il delirio di un folle sperare di essere la tua.” Gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi, e lo guardò negli occhi. “Ma vorrei che tu trovassi la tua Armonia, e giuro sul mio tempo eterno e sul mio cuore umano, mia Armonia, che ti aiuterò a farlo.”

Aragorn lasciò che Legolas lo guidasse gentilmente in piedi, e poi lo guardò scivolare via e correre verso il sole. Una volta raggiunta la sommità della colle Legolas si girò in un turbinio di capelli e stoffa verde. Si fermò, immobile, ed una luce intensa sembrò scaturire da dietro la sua testa, circondando la sua fronte di una corona ardente. Per un attimo sembrò quasi che il suo corpo catturasse la luce del sole ed invece di proiettare un ombra proiettasse altra luce, ma più candida e più calda.

Il Tempo rallentò, perse di significato, scomparve.

Gli occhi di Legolas sembravano gemme blu, blu come il mare, ma ardenti come fiamma. Gli sorrise, ed in quel momento Aragorn rimase senza fiato per la meraviglia che quella creatura faceva nascere un lui. Le colline, gli alberi, il mondo intero trattenne il respiro mentre l’Uomo e l’Elfo si guardavano negli occhi, l’uno prigioniero di un incantesimo che l’altro non sapeva di stare emanando.

“Lo giuro Aragorn,” la voce di Legolas si levò, librando nell’aria immota come una farfalla dalle ali d’argento. “Sarò con te fino a che il Sole continuerà a brillare, e quando anche lei sarà caduta, io sarò ancora al tuo fianco, nelle tenebre, come tua luce.” Legolas si mosse, e fu come se il mondo si risvegliasse d’un tratto: il tempo riprese a scorrere, ed il vento, che era caduto, si alzò, portando con sé una melodia dolcissima di foglie tremule e cinguettio d’uccelli.

Legolas guizzò via, come un giovane cervo, oltre la cima della collina e dentro la luce accecante del sole. Dapprima, Aragorn non si mosse per seguirlo. Né lo fece per un tempo che gli sembrò lungo quanto il Mondo.

Prigioniero della meraviglia, si fermò a riflettere sul piccolo miracolo –o immensa pazzia- che è il trovare la propria Armonia dentro un’altra creatura vivente, e sull’incredibile possibilità di essere noi stessi l’Armonia della nostra Armonia. Le labbra gli si curvarono in un sorriso, mentre una verità profonda ed incredibile si svelò ad i suoi occhi. Per un momento ebbe l’impressione che il cuore gli scoppiasse, sebbene un limpido senso di serenità si stesse riversando dentro di lui come liquida luce.

Aragorn aveva già trovato la sua Armonia.

Non era, come dicono le Leggende, un posto od un evento, né il labile ricordo di esso rimastoci nel cuore.

Né la sua Armonia si trovava, come era stato per quella di Legolas, in un’altra persona.

Per Aragorn l’Armonia era una persona, un Elfo forte e bellissimo, etereo come la luce della luna sulle acque e reale quanto gli alberi che lo sfioravano con le loro ombre oscillanti.

L’Elfo ancora non lo sapeva, e magari non lo avrebbe scoperto per molto tempo a venire, ma per Aragorn fu improvvisamente chiaro: lui e Legolas si appartenevano. E qualsiasi cosa fosse ciò che li legava, si sarebbero sempre appartenuti.

Si appartenevano in quella vita, e quando sarebbe finita, loro si sarebbero appartenuti in quella successiva, ed in quella dopo ancora, per sempre.

Con questa certezza chiara nella mente e calda nel petto, Aragorn si mosse verso il sole, incamminandosi sul quel sentiero che lo avrebbe portato in luoghi a lui ancora sconosciuti, ma che gli avrebbe permesso di stare con la persona che più importava per lui.

Legolas.

Il suo Legolas.

La sua Armonia.

Persino più di questo.

Legolas, il suo……………………………………………………………………………………

 

-          Fin.

 

Questa fic é sdolcinata da morire, vero? =) Spero comunque che leggerla vi sia piaciuto tanto quanto a me è piaciuto scriverla!!!!!! ^_^