.|. Seeking Harmony .|

Questo è il primo capitolo di una saga divisa in cinque parti più un epilogo, ed è la traduzione dall’Inglese della prima A/L che abbia mai scritto. Si può considerare anche come una storia auto conclusiva, ma spero di trovare il tempo di tradurla tutta, se la trovate interessante! ^_^

Bene, io ora vado a nascondermi nel mio rifugio anti-atomico, come ogni volta che ‘posto’ qualcosa qui… se volete farmi arrivare critiche, commenti, lodi o minacce alla mia persona, lasciatemi una review! ;)

--

1. Seeking Harmony

~

Could you let down your hair and be transparent for awhile

         Potresti scioglierti I capelli e diventare trasparente per un poco

Just a little while to see if you’re human after all

         Solo per un pochino, giusto per vedere se in fondo sei davvero umano

Honesty is a hard attribute to find when we all want to seem like

         L’onestà è un pregio difficile da trovare quando tutti vogliamo dare l’impressione

We got it all figured out

         Di aver capito tutto

Let me be the first to say that I don’t have a clue

         Lasciami essere il primo ad ammettere che non so che pesci prendere

I don’t have all the answers

         Io non ho tutte le risposte

Ain’t going to pretend like I do

         E di sicuro non pretendo di averle

Just trying to find my way

         Sto solo cercando di trovare la mia strada

Trying to find my way the best I know how

         Cercando di trovare la mia strada meglio che posso

Well, I haven’t got it all figured out quite yet

         Beh, non ho ancora capito tutto

But even if it takes my whole life to get to where I need to be

         Ma anche se ci metterò tutta la vita ad arrivare dove ho bisogno di essere

If I should fall to the bottom of the end

         Anche se dovessi cadere nel fondo della fine

I’ll be one step back to you

         Sarò ad un passo dal tornare da te

                  - Trying - Lifehouse

 

Esiste un posto, da qualche parte, dove ogni creatura, sia essa mortale o immortale, può trovare pace e completa Armonia.

Il popolo Elfico sostiene che questo posto non può trovarsi né sulla Terra di Mezzo né nell’aldilà mortale –essendo quello un regno proibito agli Elfi- ma dentro l’anima.

Un posto che non è niente più di un momento mistico, scintillante e perfetto come un cristallo di neve. Candido ed etereo come la luce dell’alba. Al di fuori del tempo, immoto, silente, trasparente alla vista ed impalpabile al tocco.

Un singolo momento di perfezione che, se viene custodito in fondo al cuore, può generare una gioia infinita.

 

Legolas Verdefoglia si stava domandando se non avesse appena trovato la sua “Armonia”.

 

Si stava domandando se quest’Armonia risiedesse nelle profondità del bosco in cui si trovava in quel momento; o se magari non fosse nello splendore seducente della notte attorno a lui; o nel dolce sussurro del vento che correva tra i suoi capelli.

Eppure al tempo stesso si rendeva conto che essa risiedeva sia in tutte quelle cose che in nessuna: poiché la sua Armonia non avrebbe mai potuto essere ricamata nelle profondità di quella magica notte se un suo solo elemento fosse stato anche minimamente differente.

 

E sopratutto se quell’uomo, quel mortale, non fosse stato lì.

 

La bassa radura in cui si erano rifugiati dopo i perigli del giorno era inondata da una miriade di fluttuanti frammenti di luce. Una lenta pioggia di lucciole che girava attorno all’Elfo in una danza aggraziata. Ondeggiavano sinuose, a destra e a sinistra, non osandosi nemmeno toccare quella bellezza vellutata.

Alberi annosi si affollavano i bordi della piccola radura, le fronde che si cercavano, intrecciandosi, e si fondevano in uno scuro manto bucherellato sopra di lui. La luna che gettava macchie d’ombra tra le foglie infondeva i suoi lineamenti d’un morbido bagliore latteo.

Serenità; ecco cosa traspariva dal suo volto in quel momento. L’Armonia era un miracolo che lo riempiva di gioioso stupore, e quella sensazione diventava fisica. Era leggero, e la magia e la notte abbracciavano il suo spirito mentre fissava i profondi occhi blu su quell’Uomo mortale.

Si, ora lo sapeva… la sua Armonia era là, in quel luogo, quel momento, quella persona. Eppure, la gioia era ottenebrata da una confusione più profonda di quanto l’Elfo avrebbe mai ammesso.

 

Com’era potuto accadere? I Nove era diventati Otto, e gli Otto si erano tramutati in sette un attimo prima di dividersi nei Tre, e Due, e Due. I Tre Cacciatori, I Due Prigionieri, I Due Viaggiatori dell’Ombra.

Gandalf il Grigio era perito poco tempo addietro, così poco che il suo ricordo risvegliava ancora uno strazio profondo nel cuore dell’Elfo. Eppure, era qualcos’altro, qualcosa di apparentemente meno importante, qualcosa che nessuno mai avrebbe pensato potesse tormentarlo, che lo aveva gettato nella più profonda confusione.

L’aveva baciatoAragorn aveva baciato Boromir

Tenendo il viso del Guerriero di Gondor gentilmente tra le mani insanguinate, piangendo lacrime calde, Aragorn, Granpasso, Elessar, aveva poggiato le labbra sulla sua fronte in un addio tenero e amaro, mentre Boromir raggiungeva le Terre dove i suoi avi risiedevano, seppure solo in spirito.

Vedere il loro condottiero agire così aveva sconvolto Legolas più di quanto potesse spiegare - forse persino più di quanto volesse.

E quei momenti, quegli attimi infinitesimali della fine, erano marchiati nella sua mente fino alla fine del tempo.

 

Il momento in cui era giunto nel campo di battaglia volando sul vento, il tempo che si era fermato nel momento stesso che li aveva visti …Aragorn e Boromir… Aragorn e Boromir…le forze che gli erano venute meno, i suoi piedi che si fermavano senza che se ne rendesse conto, gli occhi che si facevano grandi, il cuore che batteva, la confusione che dilagava come una marea oscura dentro la mente.

Aragorn e Boromir…

Valar perché?

Aragorn e… Boromir.

Preso; preso come il cervo dinanzi ad una luce improvvisa, aveva piegato la testa, confuso, perso in quel momento in cui il tempo scorreva più lento del dovuto, coi i capelli biondi che ondeggiavano attorno al suo viso, e la luce del sole che si rifletteva su ogni ciocca lucente. Aveva schiuso le labbra in un’espressione confusa, gli occhi attenti, antichi, che si facevano grandi e scuri, come quelli di un cucciolo.

Guardò l’ultimo addio di Aragorn al suo fratello, Boromir il figlio di Gondor, con la stessa innocente sorpresa di un bimbo. La sacralità palpabile di quell’ultimo addio, la dolcezza del tocco leggero di labbra sulla fronte insanguinata, la sua tristezza, la sua grandezza, avevano fatto calare un silenzio doloroso tra le fronde. E persino il cuore di un Elfo si era riempito di bruciante tristezza.

E così era semplicemente rimasto là, la luce naturale del suo volto diminuita, l’arco stretto debolmente nella mano immacolata; sembrava come se fosse pronto a rimanere in quel luogo fino alla fine del Tempo, se fosse stato necessario, mentre l’Erede di Isildur dava al suo fratello un bacio d’addio. Persino il Nano, entrando nella radura senza grazia, si era chinato sotto il peso del doloroso silenzio, prigioniero della sacralità e della dolorosità della scena.

 

Legolas non poteva dire di aver compreso quell’estremo atto di affetto e consolazione, perché la sua natura Elfica gli impediva di capire completamente il cuore umano. Gli Elfi comprendevano il linguaggio della natura, e ne condividevano le pene più profonde, si. Ma non comprendevano le altre razze. Se cercavano conforto, risposte, o affetto in un momento di dolore, era ad altri Elfi che chiedevano, soprattutto a coloro a cui il loro cuore apparteneva.

Ma il dolore degli Uomini, e la loro tristezza, erano dei reami sconosciuti ai membri del Popolo Elfico, e così Legolas aveva potuto solo guardare compiersi quel rito, e i due figli di Gondor venivano separati per sempre.

 

Anche se Legolas desiderava dare anche lui il suo addio al prode guerriero che era stato Boromir, baciare la sua pelle non era nelle sue intenzioni. Per questo non poteva smettere di pensare a quel atto che era di affetto e rispetto insieme, e del profondo dolore che aveva inciso loro nel cuore.

 

Boromir era morto. Legolas l’aveva visto cadere. Tutti loro l’avevano visto. Niente avrebbe mai potuto cambiare il fatto che se n’era andato, e, accettando la sua morte come un sacrificio per far sopravvivere la Compagnia e salvare la Terra di Mezzo dalla fine, avrebbero dovuto lasciarsi indietro il suo ricordo.

Non c’era motivo di torturarsi per ciò che non poteva essere cambiato. Era pura logica. Non importa quanto il cuore faccia male, dovevano lasciarlo andare.

Però lui non ci riusciva!

Nessuno di loro ce la faceva.

Il Nano aveva iniziato a dubitare la sua forza. L’Uomo era perseguitato dal dolore e dal rimorso, e lo sarebbe stato per molto tempo ancora, avendo visto morire l’unica cosa che in quel viaggio gli ricordava la terra natia. Ma l’Elfo…

L’Elfo non riusciva a cancellare dalla sua mente il ricordo dell’ultimo addio di Aragorn a Boromir.

Un bacio.

Il bacio di un mortale.

Sulle sue labbra… che sapore avrebbe avuto?

 

Legolas chiuse gli occhi, le lunghe ciglia incurvate sulle guance, ed una sensazione mai provata prima si insinuò dentro di lui. Quando lasciò che i suoi occhi si riaprissero, Aragorn era là, come lo era lui.

 

Ore prima, quando il dubbio dentro di lui si era fatto troppo forte, e Legolas si era deciso ad affrontare Aragorn, in qualche modo aveva sentito che l’avrebbe trovato in questa radura. Ma il perché di questo, non lo sapeva.

Aveva seguito un richiamo silenzioso tra gli alberi, apparentemente padrone di sé, deciso fermamente ad ottenere una risposta alle sue domande, a fermare la confusione che gli si agitava in petto.

Però una volta giunto nella radura ove stava Aragorn, si accorse che non poteva.

Qualcosa, lo stesso qualcosa che lo aveva spinto fino all’Uomo gli stava sussurrando di attendere, di non disturbare quel momento magico con le parole, di ascoltare con tutti i suoi sensi la mortalità di Aragorn, e quello che la sua presenza risvegliava nel suo cuore Elfico.

 

Così Legolas si era inginocchiato accanto al Ramingo dormiente; e guardare il suo volto –solitamente così duro, così pronto- rilassato nel sonno, gli aveva fatto sciogliere il cuore. Lo aveva condotto a qualcosa che non aveva mai saputo di stare cercando.

Una pace infinita, serenità della mente e dello spirito.

 

Quella era la sua Armonia.

 

Quando si rese conto di ciò, Legolas provò una sensazione di profondo turbamento, gioiosa, eppure altamente conturbante.

Aveva trovato la sua Armonia, ed essa non si trovava, come dicevano gli scritti antichi, dentro di lui, ma al di fuori.

In un Uomo mortale.

 

Avvicinò lentamente il suo viso a quello del mortale finché non sentì il suo respiro caldo sulle labbra, e stette in attesa, studiando quelle fattezze così familiari sotto una luce nuova.

La sua pelle, bruciata dal sole e sporca di terra, sembra rilucere come bronzo nel chiarore lunare. I capelli bruni, così differenti da quelli degli Elfi, che la luce screziava d’argento.

Il suo aspetto era sempre stato piacente, e a volte, gli aveva persino mozzato il respiro. Ma l’esteriorità non conta, agli occhi di un Elfo, quanto la bellezza interiore.

Ed Aragorn era così bello, così puro, che gli faceva scoppiare il cuore. L’ammirava… lo stimava… lo rispettava… l’adorava…  

In quel momento, niente l’avrebbe reso più felice che continuare a guardarlo, con il vento che gli carezzava la pelle e la luce come una ghirlanda attorno a loro. Era rimasto ad ammirarlo nel sonno per ore, nonostante il pericolo che correvano. Però non ce la faceva più ad aspettare. I dubbi gli serravano il cuore in una morsa d’acciaio, e sapeva, sentiva, che Aragorn aveva le risposte che cercava.

Solo Aragorn, in tutta Ëa.

 

Aveva accettato di aspettare prima, e così facendo aveva trovato il miracolo più grande che potesse essere concesso ad un Elfo. Ma il Tempo non è un Signore gentile, e sgocciolava via veloce, e lui lo sapeva. Cosa non sapeva, era quanto di quel Tempo rimaneva loro da passare insieme. Se avrebbero mai potuto parlarsi ancora. Se…

Come poteva essere sicuro che al mattino uno di loro non sarebbero stato richiamato nelle Terre dei loro avi, come era accaduto a Boromir?

Temeva il futuro: non c’era certezza del domani, e perciò doveva agire ora, se voleva che i suoi dubbi sparissero.

Doveva parlargli. Voleva sentire la sua voce. Ora.

Il bisogno di sapere era quasi un dolore fisico. Non sarebbe stato più sé stesso, finché non avesse compreso il cuore umano.

Si domandava se Aragorn glielo avrebbe spiegato. E sarebbe riuscito lui a capire, una volta che gli fosse stato detto?

 

Perso nei suoi pensieri, Legolas non si accorse che Aragorn aveva iniziato a sognare finché non vide i suoi occhi muoversi senza posa sotto le palpebre chiuse. Silenziosamente, l’Elfo allungò la mano e delicatamente spostò una ciocca di capelli dalla fronte che si era fatta madida.

Quel tocco, seppur leggero, strappò Aragorn dal suo sonno, ma aprire gli occhi fu come risvegliasi da un sogno in un altro, che era mille volte più bello.

 

Sopra di lui brillava il volto candido e bellissimo di Legolas, etereo nella luce della luna, coi capelli distesi come un manto d’oro sulle spalle. Era come una stella. Luminoso. Fuori della portata di mani mortali, poteva essere carezzato solo con gli occhi; bellezza fresca, incontaminata, intoccabile.

Per un momento rimasero in silenzio, col vento che sussurrava tutt’intorno a loro. Poi,

“Legolas…” disse Aragorn dolcemente, allarmato, ma al tempo stesso consapevole che non c’era nessun pericolo attorno a loro, se non la tristezza negli occhi dell’altro.

“Che cosa sogni, quando il sonno ti porta nelle sue Terre?” Legolas chiese gentilmente, la sua voce sussurrante come il vento. Riempì il cuore di Aragorn di confusione e melanconia, mentre la mente ritornava alle perdite che avevano subito. Mosse la bocca, ma l’Elfo non lo fece parlare, avendo già la risposta per entrambi.

“Di Arwen, vero? E dei nostri Gandalf, Boromir e Frodo, che abbiamo perduto. Mi vedi mai nei tuoi sogni?” La voce gli tremò su quella domanda, gentile e curiosa insieme, e di nuovo si rispose da solo. “No, certo che no. Me è così che deve essere.”

Tirandosi su sui gomiti, Aragorn riavvicinò i loro visi, e studiando gli occhi di Legolas li vide colmi di domande che l’Elfo stesso non sapeva esprimere.

 

Legolas si vergognava, in un certo senso, dei suoi dubbi, del suo bisogno di sapere. Ma non aveva speranza di domarli, da solo.

“È così difficile trovare un equilibrio quando si deve scegliere tra ciò che dice la mente e ciò che sussurra il cuore,” cominciò, esitante. “La nostra missione, il nostro dolore… quale è più importante? Paradossi sì grandi che procedono fianco a fianco… quali di essi ci sta guidando?” Legolas scosse la testa, devastato. “Non capisco. Se i nostri amici sono caduti, è stato per consentirci di andare avanti. E allora perché esitiamo, con la morte nel cuore? Cerco risposte, e non ne trovo alcuna. Perché non riesco a trovare pace?” alzò gli occhi, fissando quelli scuri e grandi del ramingo. “Perché nemmeno tu ci riesci?”

Invece di rispondere, Aragorn gli accarezzò i capelli, teneramente, offrendo quanto conforto poteva dare. Legolas abbassò di nuovo la testa.

“Non dovrei chiedermi il perché delle cose. Sono un Elfo; non sono come voi Uomini, eppure… non posso fare a meno di avere dubbi. Curiosità e confusione tormentano da sempre i mortali, ma non quelli della mia razza. Eppure… ovunque io posi gli occhi, trovo domande, e non risposte come invece dovrebbe essere.” Rimase in silenzio per un istante e poi aggiunse, dolcemente: “Ma quando i miei occhi si posano su di te, anche se la mia confusione non diminuisce, e mi addolora vederti triste… io mi sento… sereno. Tu mi fai… felice. Averti vicino…” Scuotendo la testa, si volse in modo che i suoi lunghi capelli cadessero come uno scudo tra di loro, e la sua voce si fece riluttante quando ammise, finalmente: “In te io ho trovato la mia Armonia.”

“Legolas…” Aragorn sussurrò, mettendosi a sedere, ammutolito dalla meraviglia, e scostò dolcemente i capelli dal volto dell’Elfo, piegando la testa fino a incontrare quegli occhi fuggenti e bellissimi. Poteva percepire la sua incertezza, che si agitava sotto quella facciata di pallida e vellutata bellezza. Ed il dolore che quella confusione causava a Legolas lo colpì come una scudisciata in pieno petto.

…amicizia… dovere… responsabilità… anelli… dolore… pena… morte… obblighi… speranza… confusione… tristezza… fiducia… il dolore di sentirsi inutili… vi era tutto questo negli occhi che trattenevano i suoi, ed Aragorn si sentì colmare dall’ansia. Doveva mettere fine a quella confusione tagliente. Doveva… ne aveva bisogno. Per Legolas, ma anche per sé stesso. Il pesante manto del comando era stato poggiato sulle sue spalle, e avrebbe fatto il possibile per meritarlo.

Tutto ciò che poteva fare, però, era rimanere al suo fianco, offrendogli tutto il conforto che, confuso e ferito com’era, poteva offrirgli come suo amico. In fondo… lui non poteva essere l’Armonia di quel Principe dorato. Anche il solo pensarlo era follia. Pura follia.

 

Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi Legolas si avvicinò, così che le dita che gli sfioravano i capelli vi si immersero, carezzandogli la nuca, il collo nudo, l’orecchio.

“Sogneresti di me, se morissi?” mormorò infine, con gli occhi lucidi e le labbra appena schiuse, inconsciamente provocanti, e Aragorn chiuse gli occhi con un tremito. Lasciar morire questo Elfo dorato, questa creatura nobile e bellissima, questa luce seducente… sarebbe stato un crimine agli occhi di tutti i popoli e tutti i Valar. No, non l’avrebbe mai permesso.

Finché lui era vivo, nessuno avrebbe toccato Legolas.

 

“Baceresti la mia pelle, come hai fatto con Boromir, se lasciassi questi lidi, oppure questo è qualcosa che un Elfo non può ricevere da un Umano?” La sua voce era carica di curiosità, di un desiderio inespresso che trasmise un brivido caldo lungo la schiena del Ramingo. E i suoi occhi, quegli occhi antichi e saggi, l’unica delle sue fattezze che rivelasse la sua età millenaria, erano giovani e carichi di domande.

Aragorn trasse un respiro ansante, e lo fissò meravigliato. Così luminoso. Molto più luminoso di qualsiasi cosa avesse mai visto, eppure ottenebrato dall’ombra del dubbio. Così bello, così fragile, eppure così forte. Come un diamante: una combinazione di perfezione, forza e delicatezza che brillava in modo incantevole. Qualcosa da adorare e proteggere. Qualcosa che aveva bisogno di rassicurazione e di risposte come mai prima, né dopo di allora.

“Non so spiegare… e non sono sicuro che mai riuscirò. Non riesco nemmeno a dire ciò che penso. Voglio solo capire. Voglio vedere cosa c’è nel cuore degli Uomini, che li fa essere ciò che sono. Crudeli, e indomabili, ma gentili, e teneri… voglio conoscere il segreto della magia del loro tocco. Della sacralità che esso possiede. Dell’Armonia che cercano, e che pure sembrano possedere naturalmente. Ho bisogno di conoscere il cuore umano, e i suoi sentimenti. Ne ho bisogno così tanto…” mormorò Legolas.

Incapace di parlare, Aragorn annuì, confermando in silenzio di aver capito qualcosa di cui nemmeno Legolas era sicuro. Spostando la sua coperta, l’Uomo prese la mano dell’Elfo e gentilmente lo guidò sotto il calore di quella vecchia, rozza stoffa. Legolas desiderava ardentemente stendersi tra le braccia di Aragorn, ma era confuso, forse persino spaventato, di quel suo bisogno.

 

“Ti farò entrare nel mio cuore.” Aragorn disse in un sussurro, cingendo Legolas, che ancora esitava, tra le braccia. “Ti farò vedere ciò che vedo. Sentire ciò che sento. Provare ciò che provo.” Legolas si rannicchiò quietamente contro il petto di Aragorn, sentendo tutti i suoi dubbi sfumare in una nebbiolina su cui si sarebbe concentrato poi. Ora null’altro contava se non Aragorn, il suo calore, il suo abbraccio.

Attorno a loro il vento si alzò, mugolando come un’anima persa. Ma all’Elfo non importava né del vento, né del freddo. Con le braccia di Aragorn chiuse attorno a lui, il suo profumo che gli riempiva le narici, si sentiva sicuro come mai prima d’ora.

Legolas fece scivolare le braccia attorno a lui, incerto, ed Aragorn lo strinse a sé con forza gentile, spiegando, dimostrando, finché, lentamente, anche le braccia dell’Elfo non si fecero più sicure attorno alla sua vita; dapprima debolmente, e poi con rinnovato ardore.

 

Condividere una tale intimità con un Uomo –quell’Uomo- era… bello. Giusto. Gli sembrava naturale, persino. L’Elfo riusciva a sentire il cuore che sì tanto l’aveva confuso battere contro il suo, e si ritrovò a pensare, per un momento, se i loro cuori non fossero identici. Dal loro suono sembravano esserlo, poiché battevano allo stesso, armonico, ritmo.

Era quello il segreto della magia degli Uomini? Non avere nessun segreto? Oppure c’era qualcosa nelle carezze rassicuranti e inebrianti di Aragorn, che Legolas doveva ancora capire? I suoi dubbi si dissolsero, facendo spazio ad una curiosità genuina, innocente, che sapeva di dolce. E siccome la natura degli Elfi li spinge a cercare rispose, Legolas le cercò.

Appoggiò la testa nella curva di quel collo umano; e quando Aragorn capì che stava venendo esplorato, il suo calore cercato, e la sua pelle annusata, assaporata - per un momento si tese.

Legolas si ritrasse immediatamente, imbarazzato, credendo di aver distrutto quella perfetta sincronia che stavano creando, e vergognandosi di aver osato troppo nella sua impazienza di capire il cuore di quell’uomo.

Ma quando lo sentì allontanarsi, Aragorn gli poggiò le labbra sulla fronte in un gesto istintivo, eppure dolce, e lo strinse a sé con più forza, come se non volesse lasciarlo mai più andare. Come se volesse rassicurarlo che avevano tutto il tempo, che lui poteva fare tutto ciò che voleva, perché quel mortale non si sarebbe mai ritratto. Come se potesse, condividendo il suo calore con l’Elfo, promettergli che ci sarebbero stati altri abbracci, ed altro calore, che avrebbe sciolto la sua confusione.

 

Ogni incertezza fu spazzata via all’istante, come se un segreto fosse stato loro rivelato, ed essi ascoltarono, in trepidante silenzio, il respiro dell’altro, mentre il giorno si avvicinava veloce.

E della luce del giorno, all’Uomo non importava affatto – qualsiasi cosa portasse, fosse essa pena, dolore, perdita, amicizia o amore. In quel momento, nulla importava, se non Legolas. In quel momento l’Elfo era lì, con lui, per lui, e completamente suo. Il futuro, qualsiasi cosa avesse in serbo per loro, non era importante come il presente, come quell’istante, ed Aragorn non se ne preoccupava.

E allora, perché l’Elfo avrebbe dovuto?