.|. Loss - Neve .|.

9. Ritorno alla Neve

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Ancora due giorni e poi sarò in viaggio.

Mi sono svegliato accanto a lei questa mattina. Era accoccolata contro di me, dormiva serenamente. Mi sono fermato a guardarla per qualche istante, era così bella.

Dopodiché ho guardato fuori e mi sono sorpreso. Quella mattina nessun sole era sorto, l’alba appariva più opaca del solito, come se un cielo bianco e freddo gravasse su quel giorno, come se esso fosse semplicemente il prolungamento della notte passata.

Mi sono sentito felice.

Non ho più avuto paura di partire.

In fondo, avevo fatto tutto ciò che dovevo fare, concluso ciò che dovevo concludere e infine scelto… il mio Destino.

Lentamente sono uscito dal letto, l’ho ricoperta con il lenzuolo fino alle spalle, lei ha mormorato qualcosa nel sonno e una strana tenerezza mi è salita nel cuore.

Ricordo bene cosa è accaduto la notte precedente… non abbiamo fatto l’amore, abbiamo parlato e tanto, questo sì… le ho confidato di Legolas, mi ha confidato di Legolas, ho pianto e mi sono tolto un peso dal cuore.

Mi sono sentito tremendamente legato a lei, e forse ieri sera più che mai ho avuto la certezza di aver ritrovato quella sorella e quell’amica che pensavo di aver perduto.

 

Ho lasciato presto la sua stanza, non volevo che nello svegliarsi mi avesse trovato accanto, forse per lei sarebbe stato più doloroso, sono sgattaiolato via come un ladro, ed ora, mentre il palazzo ancora dorme silenzioso, approfitto per stare un po’ con  me stesso, immaginare il Consiglio di domani e le persone che ci saranno, immaginare il volto del piccolo Hobbit, e cercare di immaginare me, lontano da Gran Burrone…

Lontano da Gran Burrone…

Quanto mi fa male quest’idea. Forse perché questa volta non avrò la certezza di tornare, forse sarà l’ultima volta che guarderò negli occhi mio padre e coloro che mi hanno cresciuto, ma soprattutto, guarderò per l’ultima volta lui, stasera a cena.

In fondo, Legolas è venuto alla Casa di Elrond soltanto per salutare coloro che sarebbero partiti… solo questo dopotutto.

Lascerò la mia infanzia e la mia giovinezza tra quelle pareti di legno, lascerò ogni mio segreto a quegli alberi che mi hanno visto diventare uomo, lascerò qui ogni mia paura, e mi domando chi sarà a conservare tutto questo.

Come l’Inverno lascerà questa terra per nove lunghi mesi.

Guardo fuori dalla finestra. Sorrido amaramente.

E’ l’ultimo giorno di questa stagione.

 

Non ho visto Legolas per tutto il giorno, non l’ho visto a pranzo, non l’ho visto passeggiare attraverso i giardini, come fa di solito.

“Dove si sarà cacciato…?” mi domando “Ma cosa mi può importare, in fondo, il suo saluto me l’ha dato!”

Cerco di non pensare alle parole di Arwen, cerco di dirmi che è tutta un’illusione, soltanto un errore, dopotutto mi farebbe troppo male rivederlo e salutarlo ancora… è stato già abbastanza struggente ieri notte… sarebbe doloroso pensare di dover guardare ancora i suoi occhi, desiderarlo come ormai da molto tempo lo desidero, per poi partire e soffocare questo sentimento dentro di me.

La sera è calata presto, e anche all’ora di cena, Legolas, non si è presentato.

Ho cenato con mio padre, con Arwen e i suoi fratelli in silenzio.

Evidentemente ognuno di noi era immerso nei propri pensieri.

Dopo l’ultimo pasto, mi sono scusato con tutti loro e mi sono assentato prima del tempo, dicendo che desideravo restare un po’ solo prima del Consiglio, desideravo pensare e non vedere nessuno.

Mio padre ha annuito e ha sorriso. Tutti mi hanno accompagnato con lo sguardo mentre lasciavo la Sala del Pranzo.

Ho una strana sensazione addosso, una sensazione di attesa che permea anche tutta l’aria intorno.

Attesa per il mattino seguente, certo, ma non solo…

Raggiungo le mie stanze e mi cambio d’abito, indossando una lunga tunica blu, la stessa che avevo la notte precedente.

Mi guardo per un istante allo specchio… come sono cambiato.

Dove, dov’è finito il ragazzo di un tempo? Cos’è che ha segnato il mio volto in così pochi anni? Ma soprattutto i miei occhi…

Perché il controllo, e la tiepidezza d’animo hanno sostituito la curiosità e l’ardore, quel furore Umano che spaventava tanto gli Elfi, e irritava Legolas?
Rido, e ricordo ancora…

Dove sono finito io? Dove siamo finiti io e quel Legolas di allora?
Improvvisamente sento assalirmi da un’incontrollabile voglia di vederlo.

Vederlo non per salutarlo, ma per tornare, seppure solo per una notte, come allora.

Indosso una vestaglia e, noncurante del freddo, esco a cercarlo.

Busso alla sua stanza ma la scopro vuota, intatta, come se da mesi il mio giovane amico non dormisse più lì.

Così decido di lasciare il palazzo ed avviarmi verso i giardini, verso il mio albero, verso il nostro albero…

Non nevica più.

La terra è ancora coperta di bianco, ma il cielo è intatto, puntellato di stelle, forse si è stancato di donarci i suoi fiocchi… capisco all’istante che quella sarà l’ultima notte di neve.

“Se non ti trovo ora, forse non ti troverò mai più…” mormoro, guardandomi intorno, come se Legolas fosse una creatura appartenente unicamente all’Inverno.

Quiete. Silenzio. Pace.

Il silenzio che solo una sera innevata riesce a trasmetterti.

Immobilità e calore.

Per questo io amo così tanto queste notti, perché riescono a far sposare due opposti altrimenti troppo lontani.

Mi avvio verso il nostro albero, e l’ansia di volerlo vedere mi cresce sempre di più nel cuore.

“Dove sei? Dove sei?” sussurro, cercando di catturare ogni cosa con lo sguardo.

Ma lui non c’è, né accanto alla grande quercia, né intorno… da nessuna parte.

“E se se ne fosse andato?”

Questo pensiero mi fa tremare.

“Non può essere!” mi dico, scuotendo la testa, cercando di scacciare i crudeli fantasmi che cercano di assalirmi con le loro paure.

Mi sento nuovamente incompleto, profondamente incompleto… mi sento come se non avessi concluso nulla qui a Gran Burrone.

Ogni certezza che ero riuscito a costruirmi prima accanto ad Arwen crolla a terra rovinosamente.

Come posso partire ora?

Mi porterei questa incompletezza lungo tutto il cammino. Diverrebbe la mia debolezza, diverrebbe la mia condanna, e non mi darei pace per essere arrivato troppo tardi, per aver taciuto l’unica cosa che sentivo veramente di dire.

Mi porto le mani alla fronte e la sento calda e sudata, nonostante il freddo pungente sulla mia pelle, nonostante abbia indosso solo una tunica da letto.

Ma non sento nulla, provo immobilità, ma non sento il calore.

“Legolas…” mormoro, e quel sussurro pare essere più acuto di qualsiasi grido.

Fende la notte, la ferisce.

Mi chino e raccolgo un po’ di neve fra le mani, mani troppo calde per mantenerla in vita… la vedo sciogliersi e divenire acqua.

Ne prendo ancora e ancora e ancora, come se fossi stato colto da un istinto folle di conservare, di non perdere più nulla, come se mi sentissi solo, solo più che mai in quel momento, come se quella neve bianca e pura fosse Legolas, il mio Legolas, e le mie mani non sapessero come trattenerlo.

“Non mi abbandonare…” gemo, crollando in ginocchio.

I capelli scomposti e bagnati sul mio volto non m’impediscono tuttavia di guardare attraverso essi dinanzi a me.

Non riesco a distinguere bene, tutto sembra così offuscato… forse è la mia mente… forse sono le mie lacrime.

Eppure mi pare di vederla, una luce, una creatura trasparente tra la notte trasparente, notte senza ombre, notte di solo candore.

Mi rialzo barcollando un poco, e con il cuore che sembra esplodermi in petto (forse il mio cuore l’ha già riconosciuto, forse ha capito già tutto!), mi avvicino ad essa, sperando che non sia una mia visione, sperando che il mio tocco caldo non la faccia morire.

Mi avvicino e mi fermo a pochi passi di distanza. Immobile. Paralizzato. Senza aria da respirare.

“Cosa ci fai qui…?” dice dopo un istante.

La sua voce è di ghiaccio.

“Ero venuto a cercarti!”

Silenzio.

“Sapevo che ti avrei trovato qui, ma credevo che fossi al solito posto, appoggiato al nostro albero!” continuo, avvicinandomi ancora un poco.

“E cosa ti fa credere che quello sia il nostro albero?”

“Io… non so, lo sento e basta!”

“Quello è il tuo albero, e questo è il mio albero… separati, lontani, come sempre lo sono stati!”

“Legolas ti prego…”

“Lei dov’è?” m’interrompe, sempre senza voltarsi.

“E’ nelle sue stanze, credo…”

“Capisco.”
Vorrei toccarlo, stringerlo, ma soprattutto, guardarlo negli occhi.

“E… l’hai amata?” mormora dopo poco “L’hai amata stanotte?”

Sospiro.

“Sei stato tu a spingermi a farlo!” rispondo.

“L..l’hai amata, dunque!” dice con un filo di voce, e vedo le sue dita conficcarsi con forza nella corteccia.

“Fa differenza?”

“No, certo che no!”

Le sue spalle si sollevano a fatica in sospiri sempre più dolorosi.

Vorrei alleviare quel dolore, vorrei ma non posso, e non voglio… non ancora…

Mi avvicino a lui, sussulta un poco quando sente i miei passi sulla neve.

“Ti fa male…?”

“No, certo che no!” ripete, facendo quasi fatica a parlare.

“A me sembra di sì invece!”

Si volta di scatto verso di me. Ha il volto rigato dalle lacrime, gli occhi rossi, un’espressione sconvolta sul viso. Non l’ avevo mai visto così, non l’avevo mai visto piangere così tanto.

“E allora?” grida “Sì! Sì fa male! E non c’è niente di nuovo in questo! Niente! Mi fai del male da quando ti conosco, non hai mai smesso di farmelo!”

Mi getto su di lui e lo stringo forte tra le braccia.

“Lasciami!” grida divincolandosi “Lasciami!”

Posso sentire il suo dolore. Posso sentire la sua paura. Le sto provando anch’io nello stesso momento.

Quant’era più facile odiare. Quant’era più facile picchiarsi e gridarsi contro.

Combatte, lotta contro un nemico che non comprende, un nemico dal quale sa che sarà battuto.

“Mi hai sempre fatto del male! Ti sei sempre divertito a farmelo!” grida ancora.

Sento le sue lacrime sul mio collo, sento le sue mani aggrapparsi alla mia schiena, e lentamente quel che prima era lotta, piano piano diviene quiete.

Avvicino un poco le labbra al suo orecchio… il suo profumo m’inebria… restiamo per un istante ad ascoltare i nostri reciproci sospiri… caldi… roventi…

“Non… non vorresti che rendessi un poco più lieve questo male…?” sussurro, sfiorandogli il lobo con le labbra.

Scuote la testa, ma si stringe ancor di più a me.

Mi abbraccia del tutto, muove un poco la fronte contro la mia guancia… posso sentire ogni singolo frammento del suo corpo lasciar cadere le proprie difese…

“Io ti odio…” sussurra, abbandonandosi.

Silenzio. Lo sfioro ancora. Questa volta con la lingua.

“Io ti amo invece!”

Trema.

Cerco con le mie labbra le sue labbra e lo bacio con ardore.

Soffochiamo un gemito all’unisono, si aggrappa a me, mi aggrappo a lui, lo spingo contro l’albero e i nostri corpi si fondono insieme.

M’impossesso della sua lingua e da fresca che è, continuando ad assaporarla, la rendo rovente… e anch’egli mi sfiora, mi lambisce, mi reclama.

Nelle nostre bocche si consuma il primo atto di quell’amore troppo a lungo taciuto, mascherato.

Con una mano afferro il colletto della sua tunica, e inizio a passargli le dita sul collo nudo, toccandolo intensamente, rudemente forse.

Un altro gemito abbandona le sue labbra ed io non resisto più… inizio a slacciargli i bottoni fin dove posso, fino a scoprirgli il petto chiaro, fino a scoprirlo identico alla neve.

Mi mordo le labbra, sono felice, pazzo di gioia come non lo sono mai stato.

Mi allontano un istante dalla sua bocca, intravedo le sue labbra umide e dischiuse, frustrate da quella breve assenza, vedo i suoi occhi guardami, le sue mani trattenermi la testa contro il suo petto… respiro profondamente e rapisco i profumi di quella pelle incontaminata… mi chino un poco e senza attendere ancora richiudo le mie labbra su uno dei suoi capezzoli ormai turgidi.

“A..aha… Estel!” grida, gettando la testa indietro contro la corteccia.

Il piacere che deve provare è forte, ad ogni mio contatto, ad ogni mio piccolo morso, sento il suo corpo scuotersi violentemente.

Forse non l’ha mai provato prima. Forse non l’ha mai provato con un uomo, forse…

“Ti desidero! Ti desidero! E’ da troppo tempo che ti desidero ormai!” ansima, rispondendo ad ogni mio dubbio.

Sento le sue mani poggiarsi sulle mie spalle e fare per spingermi lontano, mi discosto un attimo, giusto il tempo per consentirgli di raggiungere con le dita i lacci della mia tunica e sfilarmeli rapidamente.

“Non… non hai perso la tua voglia di dominare!” mormoro, senza smettere di guardarlo.

Anche da ragazzino faceva così.

Mi spalanca l’abito e passa i palmi delle sue mani sul mio petto nudo, bollente e sudato.

“Taci e godi!” risponde, inginocchiandosi improvvisamente dinanzi a me, e avventandosi con la bocca sul ventre.

“Legolas!” esclamo, sorpreso da quel gesto e da quelle parole.

Sento il mio ventre pulsare, sento la sua lingua muoversi rapidamente avanti e indietro su di esso senza tregua.

Chiudo gli occhi. Desidero di più. Ma non oso confessarglielo.

Le sue mani raggiungono i miei pantaloni e senza indugiare, sfilano i lacci anche da essi.

Il suo respiro mi raggiunge…

Vedo i lacci cadere a terra sulla neve…

Le sue labbra mi raggiungono…

Forse mi ha letto nel pensiero…

La sua bocca mi raggiunge… la sua lingua…

“A..ah Valar!”

Il mio gemito spezza la notte.

Istintivamente porto una mano sulla sua testa e lascio che si spinga più a fondo.

Il calore m’invade. Un calore sconosciuto, mai provato, che mi fa tremare, che mi fa vibrare…

Non posso trattenermi. Non posso fingere. E ammetto che è bellissimo stare lì a guardarlo dall’alto mentre la sua bocca si muove esperta su di me, mentre, con tutta la dolcezza di cui è capace, mi regala piacere, un piacere infinito.

Vedo le sue labbra che si aprono appena e si chiudono nascondendomi ogni cosa alla vista, lasciandomi solo immaginare per poi riaprirsi di nuovo, per poi concedermi di guardare ancora.

Come un fiore che sboccia e si ritira, Legolas, non si risparmia in nulla.

“Sei… sei…”

“Mmm…”

Un suo gemito mi fa morire ogni parola.

Non posso parlargli, non vuole che gli parli, non vuole essere disturbato in quel momento.

Vuole… solo sentirmi.

Un’altra scossa di calore. Un altro sguardo. Un’altra lingua di fuoco. Un’altra ancora.

Più intensa.

La fine è vicina.

E solo in quell’istante mi accorgo che non ho nulla a cui aggrapparmi attorno a me, tranne che la sua nuca, i suoi capelli d’oro che continuo a stringere spasmodicamente nella mano.

L’estasi è vicina, e temo di crollare, di non riuscire a sopportarla, senza un appiglio, senza un appoggio… e mi rendo conto che l’unico appiglio è lui, che l’unica cosa capace di sorreggermi è lui… come del resto lo è sempre stato.

“Le...Legolas…”

“Mmm…”

“I..io…”

“Mmm…”

I suoi gemiti sono più forti. Le mie grida sono più forti.

Stringo forte le dita sulla sua testa, lui accelera i movimenti, mi tendo all’indietro, mi afferra le gambe con le mani che ha libere… mi tendo ancora, con più forza, con violenza, mi accoglie in fondo alla sua bocca… ed io, sento il ghiaccio sciogliersi su di me, grido ed esplodo… lasciando al silenzio a venire e alla mia essenza che scorre sulle sue labbra la melodia di quel momento.

Restiamo così, immobili, per un istante che sembra essere interminabile.

Chiudo gli occhi, non riuscendo più a sostenere la pesantezza delle mie palpebre, getto lentamente indietro la testa, e solo in quell’attimo mi rendo conto che ha ricominciato a nevicare.

Un fiocco bianco si posa sulle mie labbra.

 

Dopo poco sento Legolas allontanarsi da me, e quel senso di freddezza dovuto alla sua assenza, sembra ridestarmi di colpo.

Senza parlare mi richiudo i lembi della tunica su di me e mi distendo di fianco accanto a lui, prendendolo tra le braccia.

La neve, mai è stata più calda.

“Perché hai voluto farlo?” gli domando poco dopo.

Sospira.

“Per darti piacere, Mortale…”

“Ma il piacere degli Uomini è diverso da quello di voi Elfi…” lo stuzzico.

“Mi piace questo piacere, mi piace tutto di voi Uomini… purtroppo…”

“Non riesci ad accettarlo, vero?”

Si volta verso di me, e mi sorride a lungo, radioso.

“Non riesco a crederci, Estel!” risponde, carezzandomi dolcemente una guancia.

Mi perdo nei suoi occhi… sono diversi, sono cambiati… il ghiaccio di un tempo ha finalmente lasciato spazio a qualcosa di profondo e incommensurabile, come l’oceano forse.

“Hai visto? Ha ripreso a nevicare!”

Ripulisco un fiocco di neve dal suo naso. Ride.

“Non ha mai smesso!”

“Perché… perché tu ami tanto la neve…?” mi domanda dopo un istante.

“Perché è bianca e pura, è perfetta… su di essa, su quel manto incontaminato, ci si può scrivere qualunque storia, ci si può incidere qualunque vita…”

Mi guarda in silenzio per un momento, come se la sua mente volasse lontana.

Abbassa un istante gli occhi, per poi guardarmi ancora.

“Ti daresti a lei…?”

Sento un brivido caldo attraversarmi il corpo… tremo un poco, ma già conosco la mia risposta.

“Sì, Legolas!”

Mi sorride, e mi sembra di vedere delle lacrime danzare nei suoi occhi.

Annuisce più volte, quasi incredulo delle mie parole.

Si china su di me, mi bacia teneramente, poi, timidamente, scosta nuovamente i lembi della tunica dal mio petto, scoprendomi nuovamente del tutto.

Senza aggiungere altro, inizia a sfiorarmi con le labbra… il collo… i capezzoli… ogni parte raggiungibile… ovunque…

Sospiro profondamente, ed inizio a carezzare la sua testa bionda che pare non volersi fermare.

Una volta mi sono chiesto come si potesse fare per riconoscere la felicità, e non mi ero accorto che la felicità fosse quel momento… poiché la felicità non si attende, ma si vive.

Lo guardo ancora  non mi faccio più domande.

Sono il mio cuore ed il mio corpo a parlare.

D’un tratto sento un calore ancora più intenso sulla mia pelle, e scopro che anch’egli si è tolto gli abiti , ed è nudo tra le mie gambe.

Vedo i fiocchi di neve posarsi sulle sue spalle ampie e lisce, li vedo scivolare via, ne vedo altri posarsi di nuovo.

Forse dopo l’amore lo ricopriranno del tutto, forse ci coprirà del tutto, forse diverremo neve stessa, come, del resto, siamo sempre stati…

Sento le sue ginocchia farsi largo tra le mie cosce, vedo il suo petto dinanzi a me, vedo che sta risalendo su di me.

Spalanco le braccia e sfioro le sue, sfioro i suoi muscoli perfetti e tesi a sollevare il resto del suo corpo, sfioro i suoi capelli d’oro mischiati con i fiocchi bianchi, che ricadono abbandonati sopra  di me, ci gioco un po’ con le dita… lo vedo sorridere… è felice.

D’improvviso i suoi occhi si chiudono un poco, li vedo macchiarsi di desiderio, e divenire lucidi… sento che è il momento…

Apro di più le mie gambe, noncurante del dolore che certamente sarebbe arrivato, lascio che lui si posizioni meglio su di me… sento la sua eccitazione… la sento bruciare tra la mia carne… pronta ad entrare…

Ci guardiamo ancora una volta…

“Per incidere i nostri nomi… per scriverci la nostra storia…” mormoro, prima che ogni parola muoia soffocata dal primo gemito di dolore.

“Estel…” mi chiama “Estel…” mi chiama ancora.

Riapro gli occhi, lo vedo appena… sono offuscati dalle lacrime…

Mi vuole, mi cerca, ha bisogno di me…

“Gui..guidami tu…” sussurra.

Ed è dolcissimo.

Lascio che si appoggi su di me, e conosca ogni parte del mio corpo, di quel territorio sconosciuto e per troppi anni a lui ostile.

“Prenditi il mio piacere, Legolas… prenditi il piacere di un Mortale…” gli sussurro dolcemente.

“Io… io ho…”

“Non aver paura!”

Si muove un poco sopra di me, sfiorando con la sua guancia la mia guancia, con le sue labbra appena le mie… dopodiché sento nuovamente le sue ginocchia incedere tra le mie gambe, e tenendomi stretto a lui, ricominciare a spingersi in me.

“Ti... ti fa male…?”

“Soltanto un po’…” rispondo, cercando di mascherare un dolore ben più grande “Non ti fermare… non ti…ah!”

Fino in fondo. Si è spinto fino in fondo.

Mi ha preso tutto.

Ed ora è immobile dentro di me, tremante, con la neve che ricopre leggermente le sue spalle.

“Non… ti fermare…” ripeto, muovendomi contro di lui “Ti voglio sentire… ti voglio…”

Gli afferro i fianchi con le mani ed inizio a guidarlo nelle profondità del mio corpo.

I suoi sospiri divengono sempre più rapidi, e ben presto i gemiti si sostituiscono a quei sospiri, come l’abbandono si sostituisce alla sua immobilità.

“Sei meraviglioso…” riesco finalmente a dirgli.

Si fa ancora più largo dentro di me… il calore è intenso, il dolore soccombe sotto di esso.

Ed io mi tendo, affondando con la schiena nella neve.

Tengo serrate le mani sui suoi fianchi… potrei anche lasciarli ora, Legolas ha imparato a muoversi in quel terreno, non ha più paura di esso.

E sento salirmi le lacrime agli occhi nel vedere che mi sta dando tutto sé stesso.

Inizia a muoversi più rapidamente, si solleva sulle braccia e si tende all’indietro, dischiudendo le labbra e gemendo qualche parola nella sua lingua.

Gli carezzo ancora una volta le braccia, percorrendole tutte, sento il suo calore contagiarmi, tremo anch’io… lo tiro contro di me… si lascia trasportare… si muove rapido… folle… abbandonato…

“Melin le… melin le…” sussurra al mio orecchio, lambendomelo con le labbra.

Melin le … nella lingua degli Elfi significa… ti amo.

“Anch’io ti amo Legolas…”

“Melin le, Estel…” ansima “Melin… ah…!”

Intreccio le gambe dietro alla sua schiena, lo sento prossimo all’esplosione, lo sento dalle sue parole, lo sento dai suoi gemiti, lo sento dai suoi sospiri, lo sento dal suo corpo capace di sciogliere ogni grammo di neve…

Intreccia le sue dita alle mie dita, mi porta le mani sopra la testa, si spinge con forza… lo trattengo contro di me… gemiamo all’unisono… affondiamo nella terra…

“Estel…”

“Legolas…”

“Per sempre!”

M’invade. Dolce nettare colmo di calore… lo sento in ogni fibra, mentre il suo corpo si scioglie contro il mio, ed io non posso fare a meno che proteggerlo, stringendolo a me.

Insieme, ritorniamo così alla neve.

 

Vorrei che nulla cambiasse lo stato di quelle cose. Vorrei che il tempo si fermasse e mi rendesse immortale per potergli restare accanto.

“Vieni qui…” mi dice dopo un istante.

Ora si distende lui sulla neve, e mi porta con sé, accompagnandomi a posizionarmi sopra di lui.

“Che cosa vuoi fare…?” gli domando un po’ sorpreso.

“Ti prego entra, entra dentro di me!”

Spalanco gli occhi.

“Legolas io… non credo di…”

“Entra soltanto…” m’implora “Sciogli l’ultimo strato di ghiaccio che porto dentro, e addormentiamoci così…” mi sorride dolcemente “ Non avrai freddo… il freddo non apparterrà a questa notte!”

Senza riuscire a ribattere, faccio come egli mi ha chiesto.

Lo faccio perché lo desidero, lo desidero da morire.

Sento che Legolas mi accoglie tra le sue gambe, ed io, ammaliato da quel calore, non riesco a resistere oltre…

Mi spingo in lui… un’unica, forte, intensa spinta.

Gridiamo insieme, viviamo insieme quell’ultima scheggia di dolore, perché entrambi sappiamo che il dolore non ci apparterrà più, così come l’assenza.

Mi acquieto in lui, e lo stringo a me.

“Sai perché ti odiavo…?” mi dice d’un tratto.

“Perché…?” rispondo, senza smettere di carezzarlo.

“Avevo paura… avevo paura di tutto questo, avevo paura dell’inverno e di come tu lo amavi, perché… era lo stesso modo in cui lo amavo io…” sospira, come per liberarsi di un peso portato troppo a lungo “Temevo la neve…”

“Temevi te stesso allora!”

“…perché sapevo che sotto di essa c’era una terra ancora più calda! Avevo paura di bruciarmi, avevo paura di dissetare quella terra… avevo paura di sciogliermi e di morire…”

“Ho avuto anch’io questa paura, Legolas… troppe volte ho visto la neve diventare acqua tra le mie dita, troppe volte ho visto morire la cosa che amavo di più!”

“Io sono quella neve e tu sei la terra riarsa, Estel…” si solleva un poco per guardarmi negli occhi “Ma tu non mi hai ucciso, hai solo fatto sciogliere le mie paure!”

“Lo so…”

“Ti ho tradito troppe volte, ti ho voluto lontano, ma ora…” mi bacia dolcemente “…ora sono con te, ci sarò domani, ci sarò sempre…” sussurra, riappoggiandosi su di me.

Improvvisamente dimentico la solitudine, improvvisamente comprendo che l’amore di cui parlava mio padre era proprio lui, comprendo che io e Legolas saremmo stati una cosa sola… in battaglia… nella vita.

D’un tratto vedo le sue dita carezzare dolcemente la terra, come in una sorta di addio a quell’inverno che ci aveva fatti scoprire… infine prende un po’ di neve e me l’appoggia sul petto.

Mi sorride e chiude gli occhi.

“Lo senti? Lo senti il calore, Estel…?”

“Lo sento.”

 

*Fine*

*Buon Natale*

 Aranel