.|. Prigioniero di un Incubo .|.

Disclaimer: nulla mi appartiene, tranne il Mago, e non ci guadagno nulla!!

Beta: Terry, grazie, grazie, grazie!!

Note dell’autrice: È la prima fiction a capitoli che ho scritto, anche se non la prima ad essere qui postata, commentate, poiché solo così saprò che cosa ne pensate! In questo capitolo si possono trovare alcune frasi e scene prese direttamente dal Libro e probabilmente ce ne saranno anche nei prossimi capitoli, ovviamente con le dovute modifiche.

Potete trovarmi a questo indirizzo: http://www.livejournal.com/users/mareaclo/
ci sono tutte le mie ficcine, venite a trovarmi e fatemi sapere che ne pensate!!
Grazie, adoro questo sito!
Marea

 

1. Risvegli

~

 

                                      “… e splendente di chiara ignoranza

                                        attraversa contrade gravate da una

                                                 oscura consapevolezza”

Italo Calvino

 

Lentamente Legolas iniziò a riprendere conoscenza. Per primo riacquistò l’udito, tuttavia non gli poté essere di molto aiuto. Tutto ciò che riuscì a sentire furono solo il respiro profondo e lento di qualcuno alla sua destra ed il lontano sgocciolio dell’acqua che cadeva sulla roccia, da qualche parte nell’oscurità davanti a lui. Poi riprese coscienza del suo corpo. Gli dolevano i polmoni e le spalle per la posizione innaturale in cui si trovava sicuramente ormai da troppe ore: le braccia levate sopra la testa, bloccate da catene di ferro. Provò a muoversi, ma non riuscì neanche ad aprire gli occhi: il suo corpo non rispondeva. Era completamente inerme. Cercò di non farsi assalire dall’ansia per il loro destino, di rimanere calmo e cercare di capire cosa fosse successo. Si chiese dove fossero e perché mai si trovassero in quelle segrete. Le sue domande non ebbero risposta. Non riusciva a formulare neanche un pensiero. Gli sembrava di avere la mente completamente vuota o forse era piuttosto come se fosse stata offuscata da un fumo denso e ottenebrante. Riusciva solo a percepire che mancava qualcosa, era come se intorno a lui vi fosse troppo silenzio. Si rese conto di non riuscire ad udire il pesante russare del nano o il suo respiro affannoso.

In quel momento tornarono i ricordi.

 

***

 

Correvano ormai ininterrottamente da più di un giorno e mezzo, quando scese la notte sui tre Cacciatori. Nelle verdi praterie di Rohan le ombre oscurarono le deboli luci del cielo. Gli Orchetti proseguivano nella loro estenuante marcia ed erano ormai troppo lontani per essere scorti anche dalla vista acuta di Legolas, eppure i tre corridori ad un cenno di Aragorn dovettero fermarsi.

“Dobbiamo prendere una difficile decisione. – esitò un attimo prima di continuare - È scesa la notte e non abbiamo neanche il fioco bagliore della luna a mostrarci la via. Forse riuscirei a condurvi anche al buio, ma potremmo perdere qualche importante traccia.” disse e poi tacque pensieroso, in attesa delle loro parole.

“Merry e Pipino saranno sfiniti e terrorizzati. Ormai neanch’io riesco più a vederli. Non dovremmo permettergli di distanziarci ancora di più; hanno già abbastanza vantaggio su di noi. – ribatté Legolas - Dobbiamo raggiungerli al più presto, prima che si allontanino troppo!” concluse.

“Anch’io vorrei continuare, – disse Gimli, guardando Aragorn dritto in volto – ma temo più l’eventualità di non riuscire ad accorgerci di qualche improvvisa deviazione e, mi dispiace ammetterlo, - aggiunge abbassando lo sguardo – ora ho bisogno di un po’ di riposo.”

“Non abbatterti, ne abbiamo tutti bisogno, non ci siamo risparmiati in questi giorni.” rispose Aragorn.

“Il mio cuore mi ordina di andare avanti, - soggiunse Legolas – ma dobbiamo rimanere uniti. Tu sei la nostra guida, seguiremo il tuo consiglio.” concluse infine, fissandolo con serena fiducia.

“La luna è velata e così anche le stelle. – disse, con lo sguardo levato al cielo oscuro - No, non possiamo correre il rischio di perdere le loro tracce. La speranza di raggiungerli diminuisce con il passare del tempo, - soggiunse amaramente Aragorn – ma temo che dovremo fermarci per qualche ora, almeno fino alle prime luci dell’alba.”

“E così sia.” disse il nano e si gettò a terra. Pochi istanti più tardi dormiva già, russando sonoramente.

Aragorn si sedette poco più in là. Un’ombra era scesa sul suo volto. Fissava mestamente la pianura deserta che si andava facendo sempre più indistinta con l’avanzare della notte. Legolas rimase in piedi ancora qualche tempo, poi gli si accostò e si sedette accanto all’uomo.

“Cosa c’è che ti preoccupa e che ti tormenta al punto di non permetterti di trovare un po’ di riposo?”

Aragorn non rispose subito. Si limitò a continuare a osservare in lontananza. Legolas attese senza fretta che condividesse con lui i suoi pensieri. Finalmente Aragorn si mosse e chinò il capo. I suoi occhi fissavano il nero terreno, quando cominciò a parlare.

“Ho paura. – ammise. I capelli scarmigliati erano scesi scompostamente a coprirgli il viso. – Non so se ce la farò. Non so se stiamo sbagliando a indugiare così. Tutto mi sembra così inutile, inevitabilmente destinato al fallimento, anche questo inseguimento. Che speranze abbiamo di trovarli vivi, ma soprattutto di riuscire a raggiungerli?”

La voce di Legolas risuonò melodiosa e limpida come una fioca candela nell'oscurità.

“Forse non c’è mai stata molta speranza per la nostra missione, neanche all’inizio, ma siamo partiti lo stesso. Abbiamo ugualmente deciso di sfidare il terrore e l’ignoto.”

“Si, ma guarda dove ci ha portato! – esclamò Aragorn – Gandalf è caduto e ci ha lasciati soli nell’oscurità e ora abbiamo perso anche Boromir. La Compagnia è infranta. Che cosa ci rimane?”

“Noi stessi e i nostri destini. Tu sai che questo è abbastanza.”

“Ho percorso così a lungo i miei sentieri da solo  e ora ho di nuovo dinanzi a me ancora un altro lungo viaggio solitario ed estenuante.”

“Non sei da solo. Noi ti seguiremo ovunque. Sai che lo faremo. Conosci la nostra lealtà. Siamo qui con te, l’abbiamo scelto liberamente! Ognuno di noi l’ha fatto e ci fidiamo del tuo giudizio.”

“Come potete? - mormorò Aragorn con voce rotta. – Troppe volte ho errato fino ad ora. Le mie decisioni ci hanno portato a questo. Frodo è lontano e non possiamo più difenderlo dai pericoli della missione. Ho fallito il mio compito. Ho lasciato che il Portatore andasse da solo a Mordor.”

“La Compagnia ha recitato la sua parte, ma anche ora che ci siamo separati, non dobbiamo disperare e ognuno di noi prima di tutto deve cercare di volgere al meglio ciò che si trova ad affrontare. E poi dimentichi che non è solo.”

“Sam, buon hobbit. Forse sono andati incontro alla morte e io non posso più far niente per mutare il loro destino.

“Forse questo era il loro destino sin dall’inizio. Non possiamo saperlo! Non puoi sapere cosa sia meglio per loro. Ma una cosa lo sai: che ciò che stiamo facendo non è una fatica vana. Non stiamo correndo come folli incontro alla morte! I nostri sforzi non saranno inutili.”

“No. Non li abbandoneremo mai. Gandalf mi ha affidato la guida della Compagnia e, anche se adesso la Compagnia si è sciolta, è mio dovere continuare a proteggere coloro che mi sono stati affidati. Non posso venir meno alle mie parole, sarebbe come se tradissi la memoria di Gandalf e di tutti coloro che hanno avuto fiducia in me. Eppure, talvolta temo di non essere in grado di guidarvi, che mi manchi, non so, la fermezza o la saggezza necessaria.”

“Da quando abbiamo perso Gandalf la responsabilità della missione grava troppo pesantemente sulle tue spalle.” mormorò sommessamente Legolas.

“La responsabilità della salvezza della Terra di Mezzo è nelle mie mani! – replicò Aragorn – Dipende da ciò che io scelgo di fare…”

“Ora non esagerare! – lo interruppe Legolas con dolcezza e, posandogli una mano sulla spalla, continuò – Sei solo un uomo, forse il tuo lignaggio ti destina a grandi imprese, ma non per questo dovresti pensare che tutto dipenda da te!” disse e sottolineò le ultime parole stringendogli con forza la spalla. Il diversivo funzionò.

“Forse?” rimarcò Aragorn con un mezzo sorriso.

“Si, dico ‘forse’, uomo presuntuoso! – rispose Legolas con un’espressione affettuosamente sfacciata sul viso.

Per un attimo gli occhi di Aragorn si erano accesi di un bagliore malizioso, quasi di giocosa sfida, ma presto si spensero nuovamente.

“Come vorrei che fosse così. – mormorò con un sospiro – Che io stia veramente esagerando e che nelle mie parole, dietro a queste mie paure, ci sia solo presunzione. Ma sai benissimo che non è così. L’hai detto tu stesso poco fa: sono a capo di ciò che resta della Compagnia. Le mie decisioni influenzeranno le sorti non solo delle nostre vite, ma anche quelle di molti altri.”

“È questo che ti angustia?”

“Cos’altro potrebbe essere? No, forse non basta il sangue dei miei antenati a fare di me un condottiero.”

“Qui ti sbagli. Noi non ti seguiamo solo perché rispettiamo il tuo nome. Noi ti seguiamo perché rispettiamo te! Ci fidiamo di te e sappiamo di poterti affidare le nostre vite.” Legolas concluse con decisione.

“Non sono degno di tanta fiducia.” Aragorn scosse amaramente la testa e si nascose il volto reclinato tra le mani.

“Guardami e ripetilo, se lo pensi veramente.” disse Legolas e gli sfiorò i polsi. Aragorn lasciò guidare docilmente le sue mani lontano dal viso e alzò lo sguardo lentamente. Lo sconforto era evidente nei suoi occhi, ma il rimorso ed il timore minacciarono di schiacciarlo, quando lesse l’incredibile fiducia nel viso di Legolas. Insieme a questa c’erano un calore dello sguardo e un affetto evidenti nella luce che emanava la figura serena dell’elfo. Aragorn scosse nuovamente la testa, ma si arrese a quell’incrollabile certezza che gli trasmetteva la figura di Legolas e poi parlò.

“Talvolta credo che tu veda in me molto più di quanto ci sia.” disse con voce incerta.

“Forse vedo solo un po’  più lontano di te o con maggior chiarezza nel tuo stesso animo.” lo rassicurò Legolas.

“Non sono mai riuscito a scorgere dove mi stesse conducendo la mia strada, eppure forse l’ho sempre saputo. – disse, lasciando scivolare le sue dita nella mano dell’elfo e intrecciandole con le sue. – Credo di aver sempre temuto e al tempo stesso desiderato questo momento. – fatto un profondo respiro continuò - Il sentiero che sto percorrendo mi conduce sempre più vicino alla prova definitiva…” affermò con voce bassissima.

Aragorn non osò porsi la domanda che lo tormentava, ma Legolas la conosceva bene, gliela aveva letta nel cuore e non aveva bisogno che lui desse voce ai suoi pensieri per esprimere la sua opinione a proposito.

“Riuscirai.” disse e non aggiunse altro.

Rimasero a lungo in silenzio, osservando la quieta piana erbosa che si estendeva dinanzi a loro. Le mani unite trasmettevano un confortevole senso di pace, nonostante la pressante ansia (inquietudine) per la loro sorte e per quella dei loro compagni lontani non fosse affatto diminuita.

Poi Legolas interruppe quel momento di quiete voltandosi verso Aragorn e dicendogli sommessamente: “Anche tu devi riposare. – sorrise – Non discutere con me, sai che ho ragione. – e aggiunse dolcemente – Sdraiati qui, vicino a me. Stanotte veglierò io per voi due.”

Aragorn annuì, si stese senza esitare e chiuse gli occhi. Pochi istanti più tardi era già sprofondato in un sonno profondo e senza sogni.

Legolas rimase ad osservarlo per molto tempo. Sfiorò lievemente con la punta delle dita il suo volto segnato dalla stanchezza e dal peso di un destino troppo esigente. Nulla poteva fare per cambiarlo, solo stargli accanto e sperare di essere per lui un sostegno.

Le stelle ruotavano lente nel cielo, ma l’alba sembrò giungere troppo presto per i tre stanchi Cacciatori.

 

***

 

Il loro inseguimento era ben lungo dall’essere concluso, quando in cielo il sole calò oltre l’orizzonte e furono costretti ad interrompere la marcia. Un silenzio innaturale regnava in quelle terre e non si scorgeva uomo o animale per miglia e miglia.

“Sono sempre più distanti. Temo che abbiano quasi raggiunto la Foresta di Fargorn.” Legolas parlava tenendo lo sguardo fisso davanti a lui, teso verso le loro prede ormai lontane.

Gimli parlò a denti stretti: “Allora è finita. Non c’è più speranza di raggiungerli.”

“No, non è finita! – ribatté Aragorn – Possiamo non avere più speranza, ma non ci arrenderemo. Ora, però è inutile parlare di questo, dobbiamo riposare, se domattina vogliamo riprendere il cammino."

Gimli mormorò qualcosa fra sé e poi si preparò a dormire. Aragorn intanto rimase ancora per qualche tempo immobile a scrutare nell’oscurità che sopraggiungeva da Oriente. Finalmente, dopo un lungo silenzio, si rivolse a Legolas che era rimasto in piedi accanto a lui.

“Legolas, c’è qualcosa di strano qui, in questo paese. – disse con fare guardingo, mentre i suoi occhi continuavano a dardeggiare nel buoi, che si andava infittendo sempre più - Non riesco a capire che cosa sia, ma mi rende inquieto. C’è troppo silenzio. È come se qualcosa in me mi dicesse di stare all’erta. Non so… – scosse la testa – non capisco.”

Legolas annuì. – Neanch’io riesco a capire da dove provenga, ma l’avverto distintamente. È una sensazione vaga, come di disagio. Aggrava i nostri timori e rende difficile avanzare.”

“Sono stanco, - ammise Aragorn, volgendosi verso l’elfo – sono più stanco di quanto dovrei essere. Ho fatto viaggi più lunghi e su sentieri ben più ardui di questo. C’è qualcosa che cerca di ostacolarci.!” mormorò stringendo i pugni.

“Ma non glielo permetteremo.” lo rassicurò Legolas, posandogli una mano sulla spalla – Sappiamo che dovremo combattere, contro la nostra stessa debolezza…” ma Legolas non terminò la frase e lasciò che le sue parole  si perdessero nell’oscurità della notte, che li avvolgeva silenziosa e furtiva.

“È un argomento amaro e doloroso, soprattutto per me. Le nostre debolezze… - l’uomo si lasciò sfuggire un sospiro – siamo noi stessi i nostri primi nemici, oltre che i nostri primi alleati! – Aragorn affermò con voce cupa, eppure i suoi occhi scintillavano – No, non ci lasceremo sconfiggere. Non ci tireremo indietro proprio adesso che è giunta l’ora della prova. Legolas, non so se la mia sia solo ostinazione, arroganza o più semplicemente follia, ma non so spiegare il perché, eppure più sento che l’ora della sfida si avvicina, più desidero andare avanti: vedere quel giorno, qualunque ne sia l’esito.”

“Mellon nin, e noi, se i Valar ce lo permetteranno, saremo accanto a te. Questo lo sai vero?”

Aragorn non rispose alla sua domanda, non ce n’era bisogno, si limitò ad affermare: “Saruman con tutte le sue arti malefiche non può farci arretrare né fermare ed è per questo che si accanisce ancora di più contro di noi.”

“La sua potenza aumenta. La sento sempre più forte man mano che ci addentriamo in queste verdi pianure e che ci avviciniamo ad Isengard.” mormorò Legolas, tornando a fissare verso ovest.

“È come se avesse posto una barriera tra noi e i suoi servi, – osservò Aragorn – ma non ci fermerà!”

“Eppure non c’è solo questa innaturale stanchezza che grava sul cuore più che sulle membra…” sussurrò Legolas, mettendosi a sedere.

“È vero, - disse Aragorn, imitandolo – sta accadendo qualcosa, qualcosa di strano e di malvagio in queste terre.” il suo sguardo si fece cupo, mentre si perdeva nell’oscurità della notte che aveva sommerso la vasta piana erbosa.

“La terra parla di oltraggi e di odio. È come se il nemico sia ovunque, tutt’intorno a noi. Eppure tutto ciò non ha senso! Per miglia e miglia non ci siamo che noi, ma l’intensità del disgusto che sento provenire dalla voce della natura mi turba profondamente. Non dovremmo fermarci qui. È pericoloso!”

“Lo so. – rispose Aragorn – Lo sento anch’io, ma non possiamo fare altrimenti. Non possiamo rischiare, non possiamo cercare di seguire la loro pista di notte. Adesso l’unica cosa che ci resta da fare è sfruttare ciò che ci è dato: usare  come meglio possiamo il tempo e le occasioni che ci vengono offerte. Dobbiamo cercare di usare queste ore per riposare.” mormorò, passandosi stancamente una mano sul viso.

“Mi sembra di sentire un po’ di saggezza elfica nelle tue parole, mellon nin.” disse Legolas. Un lieve sorriso aleggiava sul suo viso.

“È la tua presenza! Lo sai bene che mi fai quest’effetto.” affermò con dolcezza Aragorn e cercò il contatto con la sua mano. Improvvisamente Legolas lo abbracciò. Aragorn chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere dalle sue braccia. Rimasero per qualche istante in quella posizione, poi l’uomo si districò, posò una mano sulla guancia di Legolas e sorridendo gli disse: “Devo riposare.” Nel suo tono non c’era rammarico o malinconia, solo una semplice constatazione delle necessità del suo corpo, evidenti sul suo viso esausto.

L’elfo gli tese le braccia e Aragorn si sistemò contro di lui, accettando il conforto che la sua vicinanza gli donava. Legolas invece rimase vigile e non cercò riposo. Non solo perché non ne aveva bisogno, ma soprattutto perché non riusciva a scacciare dalla mente la sensazione di un pericolo imminente.

Era ancora teso in ascolto di quanto il vento e la terra potessero trasmettergli in quella landa ignota ed ostile, quando sentì l’oscurità raggrumarsi su di loro. Poteva quasi percepire un ansito maligno e strisciante improvvisamente pervadere l’aria. Non fece in tempo a svegliare i suoi compagni, né a lanciare un grido d’allarme. Il silenzio della notte fu squassato da un boato devastante. Furono sbalzati via dalle loro posizioni: trascinati lontano dall’inaudita violenza di un’esplosione. Pietre, polvere e intere zolle di terra li colpirono, ricoprendoli di un sottile strato di detriti. Il suolo tremò ancora per qualche secondo. Una nuvola di polvere aveva riempito le loro narici e li aveva quasi accecati. Confusi e contusi cercarono di sollevarsi in piedi. Gimli tossiva convulsamente, ancora inginocchiato per terra, quando le poche e rauche parole che Legolas e Aragorn cercarono di scambiarsi furono sommerse dalle furenti grida di battaglia di un fiume di orchi che, emerso dal terreno, gli si gettò contro.

Lo scontro non durò che pochi minuti. Erano stati colti di sorpresa e non poterono resistere all’attacco di un così alto numero di quelle mostruose creature. Il nano fu il primo a cadere. Il suo pesante elmo fu colpito da una delle scimitarre ricurve degli Orchetti e la violenza dell’urto lo stordì per qualche istante, fornendo così ad un’altra di quelle bestie il tempo e l’occasione di sferrargli un colpo terribile con una mazza. Cadde per non più rialzarsi. Aragorn tentò di raggiungerlo, ma non riuscì ad oltrepassare il muro di corpi che li dividevano. Pochi passi più in là Legolas lottava strenuamente, senza peraltro riuscire a muoversi di un passo. Ogni nemico abbattuto veniva presto sostituito da molti altri, che sopraggiungevano urlando selvaggiamente il loro odio. Una rozza freccia nera si conficcò nella spalla destra dell’elfo. Non un grido di dolore gli sfuggì dalle labbra, ma ormai non riusciva più a tendere l’arco. Abbandonò l’arma ormai inutile e le lame dei lunghi coltelli elfici balenarono nel buio. Sapeva che il suo viso doveva essere contratto in una smorfia di rabbia e frustrazione. Non poteva finire tutto qui! Continuò a combattere, se possibile con foga ancora maggiore; gli sembrava quasi di non avvertire dolore, quando un’altra freccia lo aggiunse, ferendolo alla gamba. Perse l’equilibrio e cadde. Mentre cercava di rialzarsi, scorse poco distante da lì la figura del Ramingo che negli ultimi minuti gli aveva dato le spalle, voltarsi in quel momento. Riconobbe l’espressione sul viso dell’uomo: Aragorn non sopportava l’idea di assistere alla scena senza neanche tentare di fare qualcosa. L’uomo era in preda alla disperazione. Ignorando le proprie ferite che aumentavano di secondo in secondo con il proseguire della carneficina, Aragorn si slanciò nella direzione dell’elfo caduto. Non riuscì a fare che pochi passi. Si era distratto e non vide il ghigno malevolo di un imponente Uruk-Hai che si preparava a colpirlo alle spalle. Legolas cercò di gridargli un avvertimento, ma era troppo tardi e nulla poté impedire alla mazza ferrata di quel mostro di abbattersi su Aragorn. Legolas gridò il suo nome, cercando inutilmente di sollevarsi da terra, ma gli Orchi gli balzarono addosso esaltati dall’inevitabile vittoria. Presto anche per lui non ci fu altro che oscurità.

 

 

***

 

Legolas rimase ancora per qualche secondo immerso nelle proprie memorie, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla situazione presente. Le ferite ancora aperte, comunque testimoniavano che non dovevano essere trascorse molte ore. Il suo corpo di elfo gli aveva permesso di riprendersi velocemente dagli effetti del veleno di cui erano intrise le armi degli Orchetti, tuttavia non aveva idea di quali fossero le condizioni nelle quali si trovasse il suo compagno, tutto ciò che riusciva a percepire era il lento e stabile respiro di Aragorn, che per lo meno gli dava la certezza che l’umano fosse ancora vivo. In ogni caso non riusciva ad immaginare quanto tempo ancora sarebbe trascorso prima che anche lui si risvegliasse.

 

***fine primo capitolo***

Vi prego commentate!!! *Marea*