.|. Loss - Neve .|.

3. Ricordi

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Sono trascorsi giorni, mesi, anni da quella notte in cui ho lasciato Gran Burrone, eppure il suo ricordo è ancora vivo dentro di me... in un modo o nell'altro è difficile se non impossibile cancellare la vita che ho vissuto in quei luoghi, gli Elfi hanno lasciato un'indelebile impronta nella mia mente.

I miei sogni sono diventati realtà... mi sono aggiunto ai raminghi delle Terre Selvagge e con loro ho vagato per molto tempo alla ricerca di qualcosa, che, probabilmente, neppure io sapevo cosa fosse.

Mi hanno dato un nuovo nome, che suona meno dolce di quello che mi aveva assegnato il popolo elfico... non più Estel, bensì Strider, Grampasso, che perfettamente definisce ciò che ho fatto fino ad oggi: camminare, vagare, cercare senza sosta.

La prima notte che ho trascorso fuori dal dorato mondo di Gran Burrone, l’ho passata in una taverna, un'isolata e sperduta taverna che avevo trovato sulla strada.

Aveva nevicato troppo quella notte, non ce la facevo più... non credevo che sarebbe stata così dura...

Molte volte avevo pensato di ritornare indietro, e più avanzavo tra il freddo e le avversità della natura, più la mia nostalgia si faceva più intensa.

C'era gente strana nella taverna... non vi era nessuno del popolo degli Elfi, ma c'era d'aspettarselo... nessuno di loro avrebbe frequentato certi luoghi. Vi erano Uomini, forse, gente alta dal viso scuro e dalla barba sfatta, viandanti che come me forse cercavano la propria strada.

Quando ero entrato tutti si erano voltati a guardarmi, persino l'oste mi aveva scrutato con sospetto. Mi ero sentito intimorito da tutto questo... io che ero abituato alla gentilezza e al sorriso degli elfi, non riuscivo a comprendere tutta quella diffidenza e tutti quegli sguardi cupi e accigliati.

Così mi ero seduto ad un tavolo per conto mio, avevo ordinato qualcosa da mangiare, e con il cibo mi avevano portato un bicchiere con un liquido giallastro al suo interno.

"Questa è una pinta!" aveva mugugnato l'oste, offrendomi da bere.

L’avevo guardato indugiando. Per quanto mi riguardava, quello poteva essere anche veleno.

Ma volli fidarmi, avevo preso il bicchiere e avevo tracannato il suo contenuto.

"Bravo, così si fa!" mi aveva detto l'uomo, mentre sulla sua faccia compariva un grande sorriso.

In quell'istante mi sembrò di comprendere un nuovo linguaggio, il modo di fare amicizia con queste persone era completamente diverso da quello degli Elfi. Infatti l'oste si era alzato e mi aveva dato una sonora pacca sulla spalla.

Contatto, contatto fisico, calore... erano state quelle le prime cose che ho imparato e che in seguito mi connotarono... cose che fino ad allora avevo ignorato.

Mi era stato insegnato a comunicare tramite gli sguardi, mantenendo sempre una certa distanza con la persona che mi stava davanti... non avevo mai conosciuto il linguaggio del corpo, né tutto ciò che da esso deriva... e lo trovai piacevole, elettrizzante...

Lo feci mio.

 

Da quella notte in poi, giorno dopo giorno, ogni cosa che vedevo e che provavo mi fece scoprire sempre di più la mia vera natura e le mie vere attitudini... compresi cosa significasse essere un Uomo e avere sentimenti da Uomo.

Stavo lentamente recuperando tutto ciò che mio padre Elrond mi aveva accuratamente tenuto nascosto.

Ma non provavo più rancore per lui. Compresi che l'aveva fatto a fin di bene, ed io avevo sottovalutato la sua capacità di guardare oltre.

Quando scoprii chi fossi veramente, ero infatti solo.

Non ero pronto.

E tutta la pesante eredità che gravava sulle mie spalle mi ricadde addosso come il più doloroso dei fardelli.

Avevo solo ventidue anni quando approdai, assieme ad un gruppo di raminghi a Minas Tirith.

M'innamorai all'istante di quella città, anche se, almeno apparentemente, sembrava abbandonata a sé stessa.

Fu uno dei miei compagni che mi narrò la triste storia di Isildur, e della sua discendenza, di re Arathorn e del sacrificio della sua regina nel rinunciare al suo unico figlio.

"Aragorn... questo è il nome dell'erede al trono di Gondor, se mai egli tornerà qui e vorrà un giorno rivendicare il posto che gli spetta!"

Mi riconobbi all'istante in quella storia. Il mio cuore mi disse che quel ramingo aveva detto la verità. Mi riconobbi nel nome 'Aragorn' e per un istante quasi lo detestai, per poi amarlo perdutamente.

"E... perchè, quest'uomo non vuole rivendicare il suo trono?" avevo domandato titubante.

"Nessuno sa le ragioni! Molti dicono che il fanciullo allevato dagli Elfi sia stato rinchiuso da quello stesso popolo in una delle loro prigioni d'oro, per paura che, come i suoi antenati, commetta qualche male..."

Le stesse parole che aveva pronunciato Legolas. Lo stesso pensiero...

"Altri ancora sostengono che il figlio di re Arathorn non esista neppure, che sia soltanto un'invenzione per tenere alla larga ancora per un po' il Male da queste terre..."
"Il Male?" avevo domandato sorpreso.

Il Ramingo si era voltato verso di me, guardandomi con un amaro sorriso sul volto.

"Immagino che tu non sappia nulla, vero Grampasso?Non me ne stupisco, data la tua giovane età!"

L’avevo guardato ancora più perplesso.

"No... io no... ma voglio sapere! Voglio sapere tutto!Avanti!"

Il Ramingo aveva esalato un profondo respiro, si era seduto su una piccola roccia e aveva iniziato così a narrare.

"Noi eravamo Uomini del regno di Gondor... ma quando al posto di Re Arathorn, è succeduto Denethor, il discendente di un'altra casata, abbiamo, in molti, deciso di abbandonare queste terre. Egli non era il discendente diretto di Isildur e sembrava non avesse coscienza di cosa fosse stato il passato, dell'Ultima Alleanza, del fatto che il Male non fosse stato distrutto completamente, ma, al contrario fosse sopravvissuto e in segreto, nelle viscere profonde del Monte Fato stesse covando la sua vendetta e il progetto di ritornare!" sospirò "Abbiamo così deciso di andarcene. Abbiamo scelto di esplorare nuove terre ed uccidere liberamente tutti coloro che sapevamo si erano uniti al male... orchi, uomini selvaggi... non potevamo più restare nella nostra città senza far nulla, senza neppure tentare. Fummo chiamati 'ribelli', 'fuorilegge', e all'inizio fu posata sulle nostre teste una grossa taglia per chi ci avesse ritrovato e riportato a Gondor, dove ovviamente, saremmo stati giustiziati!" si era poi fermato un attimo, lanciando un'occhiata malinconica dinanzi a sé "Guarda, guarda la splendida città di Minas Tirith! Cosa ne è rimasto dell'antico splendore? Rovine e abbandono! Ma io ancora sogno dell'arrivo del Dunedain, del fanciullo allevato dagli Elfi, e di poter rivedere le mie terre illuminate dalla gloria di un tempo!" si era infine voltato verso di me, e aveva appoggiato una mano sulla mia spalla "E' duro e doloroso essere esiliato per così tanti anni... ormai comincio ad essere vecchio ed ho visto troppe cose di questo mondo... io, desidero ritornare!" aveva sorriso "Non so quali siano le cause che hanno spinto te a scegliere questa vita, ma tu hai ancora molto da vedere e tanto da scoprire, almeno finché il Tempo ce lo consente, almeno finché il Male a Mordor non si risvegli del tutto!"

"Mordor?" avevo esclamato, spaventato da quel nome oscuro come la pece.

"Si, Grampasso... Mordor... è lì che il Male ha preso a risvegliarsi! Pare che sia stato ritrovato da qualche parte nella Terra di Mezzo, l'Unico Anello, l'anello forgiato da Sauron in persona! Egli non è ancora potente, ma sta organizzando degli eserciti, ha irretito coloro che un tempo erano dalla parte del Bene, e si dice che uno degli Istari, degli stregoni di Orthenc sia divenuto il suo messaggero prediletto.

Attraverso lui, desidera ritrovare colui che ora ha in possesso l'Anello, e attende il momento in cui questo gli ritorni tra le mani, e da ombra quel che è, ritorni ad essere un diabolico signore delle tenebre."

"E'... è terribile..." avevo balbettato sgomento.

"Si, lo è... apparentemente sembra che non ci sia speranza per le popolazioni della Terra di Mezzo, ma ultimamente ci sono giunte notizie di un Consiglio, indetto da Elrond, re degli Elfi di Gran Burrone, in cui ha deciso di riunire le uniche persone che ritiene adatte per compiere la missione avversa a Sauron, anche se..."
"Quando?" l’avevo interrotto istantaneamente.

"Come...?"

"Quando ci sarà il Consiglio?"

"Tra un mese... il tempo per permettere ai vari abitanti di raggiungere la casa di Elrond!"

Avevo così raccolto il mio mantello e mi ero incamminato verso la mia strada.

"Dobbiamo andare, ora!" avevo detto, voltandomi verso il mio compagno di viaggio.

Egli si era alzato e mi aveva seguito in silenzio.

Ma riuscii comunque a percepire qualche sussurro pronunciato a bassa voce.

"Se gli occhi non m'ingannano... l'erede al trono di Gondor, non tarderà ad arrivare..."

 

Quella notte ci accampammo in una piccola radura, appena fuori Minas Tirith.

Mi ero raggomitolato nel mio mantello, dinanzi a un piccolo fiumiciattolo. Ma non ero riuscito a prendere sonno.

Forse per il freddo, essendo l'inverno alle porte, o forse per le parole che mi aveva detto il vecchio Ramingo.

Ero rimasto tutto il tempo a fissare, con occhi spalancati, il cielo stellato sopra di me. Mi era quasi sembrato che per un istante, le stelle avessero iniziato a tracciare una specie di sentiero nell'oscurità.

"La mia strada..." avevo mormorato "La mia strada..."

Compresi che anch'io avevo un ruolo in quella storia, e forse, il mio, era uno dei ruoli più importanti.

Forse, per la prima volta, dopo otto lunghi anni, il mio vagare si era finalmente arrestato, e ciò che cercavo iniziava a delinearsi dinanzi ai miei occhi.

Ebbi paura.

Non volli pensarci.

E stranamente, inaspettatamente, la mia mente volò, a qualche anno addietro, verso colui che avevo profondamente detestato... Legolas...

Il suo volto mi comparve nitido davanti agli occhi... il suo sorrisetto sprezzante... il suo sguardo di ghiaccio da cui non traspariva alcuna emozione.

"Legolas..." avevo mormorato ridacchiando.

Ormai non mi era più niente, ormai, nei suoi confronti, provavo soltanto indifferenza, un indifferenza sorda e fredda come la superficie ghiacciata della neve.

Risi ancora, felice di averlo dimenticato, quando una serie di episodi mi ritornarono alla mente.

Una volta, quando ancora eravamo piccoli, eravamo a giocare insieme fuori nel grande parco... avevo trascorso con lui tutta la giornata, e per quanto me ne riguardava, tutto poteva concludersi quella mattina.

Ma gli Elfi che si prendevano cura di noi avevano insistito che restassimo insieme.

Quando avevamo smesso di giocare, avevamo iniziato ad ignorarci cordialmente.

Io mi ero appoggiato contro un albero ad ascoltare i rumori della natura e a cogliere in silenzio ogni sensazione.

Quando avevo riaperto gli occhi, me lo ero ritrovato dinanzi a poca distanza da me.

Era voltato di spalle... si stava carezzando i lunghi capelli biondi, intonando una dolce melodia elfica.

Ero rimasto incantato ad osservarlo per qualche istante... la sua voce mi aveva rapito... i movimenti delle sue dita mi avevano rapito, ma quando mi destai da quella sorta d'incantesimo e mi ricordai che colui che avevo davanti non fosse altro che Legolas, il detestatissimo Legolas, fui colto da un crudele moto di vendetta.

Avevo raccolto più neve che potevo accanto a me e avevo formato una grossa palla.

Aveva impiegato così tanto tempo ad aggiustarsi i suoi capelli d'oro...

Aveva sprecato molte ore per renderli così perfetti...

Risi.

Quale migliore occasione!

Avevo fatto qualche passo indietro, avevo preso la mira e gli avevo lanciato la palla sulla nuca.

In un attimo fu coperto di neve fino alle spalle... sembrava uno dei grossi cespugli che io amavo vedere immersi in quel manto candido.

Si voltò lentamente verso di me, ed io non ce la feci più... crollai a terra dal ridere.

Non si mosse dalla sua posizione.

Ma la cosa che mi divertiva di più, era il suo sguardo, sdegnato e spaesato. Solitamente quegli scherzi li faceva lui, ed io, quella volta avevo oltrepassato un limite, che non avrei dovuto oltrepassare. Mai.

"Estel... io... io ti odio..." aveva sibilato, mordendosi le labbra.

Non c'era nulla da fare, un piccolo Uomo e un piccolo Elfo non erano fatti per stare insieme!

Da quel giorno diventammo nemici giurati, come solo due bambini sanno fare, e ci dichiarammo guerra... una guerra che sarebbe durata a lungo...

 

Scossi la testa a quei 'dolci' pensieri... quanto tempo era passato... mi domandai se Legolas fosse rimasto lo stesso di sempre durante quegli anni, oppure se le esperienze di vita lo avessero cambiato.

Ormai non conoscevo quasi più nulla del mondo degli Elfi, che, sebbene mi ritornasse in ricordo, lo stavo sostituendo con quello degli Uomini, nel quale mi ero immerso del tutto.

Ora, io e Legolas... saremmo stati ancora più distanti, più lontani l'uno dall'altro... due linguaggi opposti che non possono più comprendersi.

La sua immagine sfumò via dalla mia mente, e dopo un istante mi addormentai.

Faceva freddo.

L'inverno era giunto.