.|. Addio e' per Sempre .|.

4. Qualcosa di Magico

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19 luglio 1381

 

Ci hai invocato, abbiamo ascoltato la tua preghiera, molte e molte notti fa hai segnato il tuo destino con una scelta.

I Valar non concedono un ritorno se la preghiera è un grido di dolore, i Valar ascoltano una sola volta e quella volta è per sempre.

Non puoi arrestare il corso della storia che hai scelto…

 

“No!”

Un grido spezzò la notte.

Tutto ricadde subito nel silenzio.

Aragorn si era destato di soprassalto, spaventato, ansimante, ancora le parole del sogno che aveva appena fatto gli rimbombavano nella mente come evocazione lontana.

Si portò una mano alla fronte e la scoprì madida di sudore, si guardò attorno terrorizzato, come se quell’oscurità avrebbe potuto strapparlo alla vita da un momento all’altro.

Non puoi arrestare il corso della storia che hai scelto…

Scese lentamente dal letto e raggiunse quasi traballante la grande terrazza, come ipnotizzato uscì fuori, una folata di vento gli lambì dolcemente la vestaglia nera.

La luna splendeva alta nel cielo, seppure non fosse ancora piena come nella notte in cui aveva invocato i Valar, pareva ugualmente scrutarlo con i suoi occhi di ghiaccio.

L’uomo non riuscì a sostenere quello sguardo che gli riportava alla mente troppe cose.

S’inginocchiò dinanzi al balcone e si prese la testa fra le mani.

“Che cosa ho fatto…?” mormorò alla notte.

Quando aveva pregato i Valar affinché lo liberassero prima del tempo dal dolore che serbava in silenzio nel cuore, era disperato… non vedeva nulla attorno che gli desse un motivo per vivere, ma ora… ora qualcosa era cambiato, ora c’era qualcuno accanto a lui che gli aveva fatto riscoprire giorno dopo giorno chi fosse. Era riuscito a far vibrare di volta in volta una nuova emozione dentro di lui, stava riconoscendo i suoi sentimenti, stava percependo di nuovo la sua persona, e cosa ancora più terribile, si stava rinnamorando della vita.

“Legolas…” mormorò rialzandosi.

Gli aveva mentito, non aveva avuto il coraggio di rivelargli la verità. L’elfo gli stava donando la gioia di vivere e presto gli avrebbe dovuto dire che anche questo sarebbe stato inutile.

“Deve… esserci un altro modo per… io… devo, io voglio… tornare indietro…” mormorò fissando la luna.

Ma questa rispose indifferente al suo sguardo, questa volta pareva non vi fosse nessuno a volerlo ascoltare.

“Legolas…” ripeté, e si diresse verso la stanza dell’elfo che si trovava poco distante dalla sua.

Aveva bisogno di lui più che mai in quel momento, aveva bisogno di essere consigliato, rassicurato. Corse da lui per dimenticare, o forse… per illudersi ancora un poco.

Ma quando spalancò, quasi stravolto, la porta della sua stanza, non trovò altro che il grande letto sfatto e vuoto.

Le tende svolazzavano all’interno della stanza, la finestra era aperta sui giardini, e tutto il resto era immerso nell’oscurità più profonda.

“Ma dove…?”

Richiuse la porta e si diresse verso l’uscita del palazzo.

Legolas era un elfo, forse dormire in un luogo chiuso non era una cosa che si confacesse alla sua razza, forse preferiva gli alberi, la natura, il verde…

“I giardini!” mormorò Aragorn, e con passo veloce si avviò verso di essi.

Dopo essersi guardato un po’ intorno, scorse un lembo bianco dietro ad alcuni alberi.

Si avvicinò silenziosamente e vide il profilo dell’elfo, se ne stava appoggiato contro un tronco.

Il vento muoveva dolcemente la sua tunica, quasi trasparente, i capelli erano scossi dalle dolci folate, e la luna che filtrava tra i rami illuminava il profilo del suo volto, il contorno delle sue labbra.

Aragorn si arrestò e rimase come impietrito: quello che aveva davanti non era l’amico di sempre, ma una creatura quasi soprannaturale, tanto simile ai Valar stessi.

La sua bellezza era accecante…

“Il mio tempo è quasi giunto al termine, Estel…”

A quelle parole l’uomo sobbalzò e si fece più vicino.

“Mi… mi hai sentito arrivare…?” mormorò accostandosi a lui.

“Si, certo… ma non solo… ti ho visto anche pochi attimi fa alla finestra…” si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano incredibilmente tristi “Stiamo contemplando la stessa cosa, Estel…?”

Aragorn lo guardò interrogativo.

“La luna…” proseguì Legolas “Quando sarà piena me ne dovrò andare…”

A quelle parole l’uomo sentì un fuoco bruciare doloroso dentro di lui, i suoi occhi erano fissi su quella splendida creatura e mai come in quel momento avrebbe voluto trattenerla lì.

L’elfo abbassò la testa e prese a guardare la terra nuda sotto i suoi piedi, ma in realtà non riusciva a vedere nulla.

“Ho assolto il mio compito, Estel… ciò che Arwen mi aveva chiesto… il tuo volto ha ritrovato il sorriso, e il tuo cuore… la pace che aveva perduto da tempo…”

“Non ci sarà più sorriso, né pace in me… se te ne andrai!” disse Aragorn istintivamente.

Legolas rialzò il volto e lo guardò profondamente.

Le parole dell’amico erano state impulsive e veritiere, troppo veritiere. Il cuore prese a battergli con forza.

“Anch’io vorrei restare, ma non posso…” sospirò “…e quel che è peggio, mi sto affezionando a questo mondo…” appoggiò la testa contro l’albero e alzò gli occhi verso il cielo “Non mi è accaduto in duemila anni di vita, non ho amato Bosco Atro come da un po’ sento di amare questo posto…” sospirò, era scosso da un’emozione profonda, forse a lui ancora sconosciuta, “Mi hai donato qualcosa di voi uomini, e quel qualcosa… ora batte qui dentro…!” concluse, scostandosi i lembi della tunica e poggiandosi una mano sul petto.

Aragorn chiuse per un istante gli occhi, non sapendo se gioire o sentirsi in colpa, quando li riaprì, il suo sguardo cadde proprio sul petto dell’amico, là dove batteva il cuore.

Lo vide sollevarsi scosso da profondi respiri, illuminato dalla luna, tanto simile alla perfezione statuaria del marmo, liscio, levigato, perfetto… fragile.

Quel fuoco che fin dall’inizio aveva preso a bruciargli dentro, divampò incontrollabile, violento…

Scostò le mani dell’elfo, e timidamente allungò la sua.

Legolas lo guardò stupito, fece per parlare, ma ogni parola gli morì sulle labbra quando sentì il calore del tocco del compagno sulla sua pelle.

“Portalo sempre con te!” disse, ascoltando i battiti del suo cuore.

Si guardarono a lungo, in quell’istante il volto e il nome di Arwen sfumarono fino a divenire ricordo, Aragorn spalancò gli occhi e una fiamma brillò in quell’azzurro profondo: un sentimento, il sentimento che con più forza aveva nascosto e represso dentro di sé, era riaffiorato d’improvviso.

Legolas comprese che stava per accadere qualcosa, ma non si scostò.

Non si trattava di una minaccia.

Aragorn, senza smettere di guardarlo, iniziò a muovere lentamente le dita sul suo petto, scivolando su quella pelle liscia che aveva preso ad inumidirsi di un calore difficile da trattenere.

Raggiunse con la mano le spalle dell’amico, dopodiché il collo, e infine ritornò in basso sul petto.

“Estel…” ansimò Legolas, quasi non riconoscendolo più, quasi non riconoscendosi più.

L’uomo cercò di fermare quelle carezze, ma le dita sembravano muoversi da sole.

Una forza sconosciuta, un desiderio dimenticato o forse mai provato, si stava impossessando di entrambi, e cresceva, cresceva impetuoso, andando ad occupare l’aria intorno, spingendosi contro il cielo.

L’elfo prese tra le mani il volto del compagno, e iniziò a sfiorarlo con le dita in ogni sua parte, raggiunse le sue labbra, Aragorn gliele baciò e le rapì nella sua bocca.

Legolas fece fatica a tenere gli occhi aperti, come se una debolezza sconosciuta, assieme ad un calore sempre più intenso, lo spingesse a terra, fino a crollare.

Cosa stava accadendo in quegli attimi?

Ancora deboli barlumi di resistenza da parte di entrambi, ma qualcosa di più forte della loro volontà li stava vincendo.

Aragorn sentì quel fuoco farsi ancora più violento, mai aveva carezzato qualcuno con quell’intensità, lasciò scivolare del tutto la sua mano sotto la tunica del compagno, toccò, strinse, toccò ancora ogni sua parte, prese un capezzolo dell’elfo tra le dita e mosse forte.

“A..ah!” gemette Legolas.

Lo stesso fuoco, lo stesso delirio di Aragorn si stava impossessando di lui.

Sentì le labbra dell’uomo poggiarsi sul suo collo, per poi salire, raggiungergli le guance, e…

“N..no, fermati…” sussurrò prendendogli il volto tra le mani “Dobbiamo fermare tutto… dobbiamo fermarlo prima che sia troppo tardi…!”

La luna brillò violentemente nel cielo.

Aragorn dimenticò la sua luce, dimenticò la preghiera fatta ai Valar, dimenticò il suo sogno e lo scorrere del tempo, si perse nello sguardo del compagno, chiuse gli occhi e prese quelle labbra tra le sue.

In quel bacio, in quel dolce sapore, perse così se stesso, annegò le sue menzogne e la sua disperazione, e rinacque più forte che mai la voglia di vivere.

“Cosa significa tutto questo…?” mormorò Legolas riaprendo lentamente gli occhi e passandosi la lingua sulle labbra.

“Significa che voglio che tu resti!” rispose Aragorn stringendolo forte a sé.

“Sai che non è possibile…” disse ansimante l’elfo.

“Allora vorrà dire che quando te ne andrai, io verrò con te!”

Sarebbe accaduto infatti, non poteva essere altrimenti.

Nella sua preghiera ai Valar, in cui tutto pareva seguire un Destino preciso, Aragorn non aveva fatto i conti con quel sentimento irrazionale che credeva ormai morto, e che viveva nell’angolo più remoto di se stesso, l’unica cosa capace di sconvolgere i piani più perfetti di una scelta definitiva.

Mentre i Valar stavano tessendo una storia, l’Amore aveva iniziato a tracciarne un’altra.