.|. The Night Before You Die .|.
2. Prima dell'Alba ~
Alcuni uomini iniziarono
a bisbigliare fra loro, a parlottare sottovoce. Altri si
inginocchiarono. Ma i più restarono immobili, sospesi fra la paura e la
meraviglia, fra il sollievo e la sfiducia, mentre contemplavano schiere
di bellissimi e sottilmente conturbanti arcieri allinearsi in perfetto
ordine lungo i bastioni della fortezza.
"Non sono umani... non
possono esser umani."
"Certo che non sono
umani, sciocco. Sono elfi. Guarda le loro orecchie."
"Guarda i loro volti.
Sembrano fanciulle..."
"Guarda i loro occhi,
invece. Fanno paura. Quanti anni avranno? Sembra che abbiano visto
migliaia e migliaia di inverni."
"Sono elfi. Molti di
loro ne avranno visti migliaia, di inverni."
"Non parlano. Perché non
parlano?"
"Migliaia di inverni. E
vengono a giocarseli qui? Non sarebbero certo venuti a morire. Se siamo
con loro, vinceremo."
"Sono immortali, non lo
sapevi?"
"Ma guardate le loro
facce. Fanno paura. Non sono umani, e si credono migliori di noi."
Sussurri, bisbigli
sospettosi che correvano lungo le mura del Fosso di Helm, scivolando di
bocca in bocca, raggiungendo chiunque. E da ogni parte giungevano
guerrieri, giovani inesperti, rudi contadini e vecchi moribondi, pur di
vedere.
Vedere quelle creature
magiche, inspiegabili, che erano giunte in loro soccorso. Chi per trarre
conforto dalla loro tangibile e soprannaturale presenza, chi per
abbeverarsi alla loro bellezza, chi per fomentare ire contro la loro
indifferenza - ma tutti si accalcavano intorno a loro, si riunivano in
capannelli, osservandoli sottecchi, mormorando. Molti fra costoro non
avevano mai nemmeno immaginato che potessero esistere simili creature -
e si sentivano rozzi, e sporchi, e inutili. E per questo, da un lato li
odiavano, mentre dall'altro inizavano a desiderarli, li bramavano, con
acute fitte di desiderio, desiderio di quel magico splendore che li
attirava come falene.
Legolas si aggirava per
i corridoi della fortezza, senza poter trovare pace.
Tutti quei suoi
fratelli, giunti a morire, lì, con loro. Morire, sì. Era a questo che
andavano incontro. Ma perchè? Per quale assurdo motivo? Lui stesso
avrebbe voluto essere lontano mille miglia da quel luogo, quel maledetto
luogo privo di sole e di luce, quel maledetto luogo così simile ad una
tomba... e che una tomba sarebbe diventato, entro poche ore, per loro.
Per tutti loro...
"Ecco uno dei nostri
salvatori."
"Lui non è uno di loro.
Non vedi? Non ha armatura, non ha elmo."
"Le orecchie. Guarda le
orecchie!"
L'elfo si voltò
nervosamente, mentre i quattro uomini si avvicinavano, indicandolo e
commentando. Ignorandoli, prese ad avanzare a grandi passi, deciso ad
oltrepassarli senza degnarli di uno sguardo.
"Questo è l'amico del
ramingo... non vedi?"
"E' lui... ma oggi hanno
litigato, ricordi?"
"Certo. Chissà cosa
stava dicendo, questa serpe, nella sua lingua. Certamente si lagnava di
noi, ci insultava - ricordi il suo tono? - se non stava addirittura
gettandoci qualche maledizione!"
I quattro si erano fatti
più vicini, intralciandogli la strada. Legolas provò a scansarli, ma
questi gli impedirono di avanzare, bloccandolo.
"Con permesso," disse
allora l'elfo, rizzando il capo sulle spalle. "Dovrei passare."
"Non hai sentito,
Marius? Dovrebbe passare."
"Avanti, ragazzi,
spostatevi e lasciate passare la signorina."
"Prego, incantevole
fanciulla. Gradite che vi scorti fino alle vostre stanze?"
Gli uomini si
avvicinarono ulteriormente, accerchiando Legolas con scaltra rapidità.
Gli occhi dell'elfo saettarono da un volto all'altro, mentre un vago
nervosismo iniziava a risvegliarsi nelle sue viscere.
"Avanti, non avete
sentito cos'ha detto? Spostatevi, ragazzi. Perché lui è un Elfo! Lui
dovrebbe passare!"
L’uomo chiamato Marius
spintonò il biondo arciere, ghignando.
"Elfo... cosa stavi
dicendo oggi, al tuo compare, mh? Ti credi tanto meglio di noi solo
perchè hai le orecchie a punta?"
"Abbiamo visto, sai,
come ci trattate, tu e quelli della tua razza." L'altro individuo sputò
la parola razza come fosse stata un boccone rancido. "Vi credete tanto
superiori a noi. Perché voi siete così belli, non è così?"
Legolas, istintivamente
fece un passo indietro. Il suo volto s'indurì.
"Eppure sono talmente
meravigliosi..." uno degli uomini fece scorrere le dita fra i biondi
capelli dell'elfo, stringendone una ciocca lucente fra le dita.
"Ehi, bellezza. Hai
impegni per stasera?"
Gli altri ridacchiarono,
facendosi più vicino. Una nuova luce si accese nei loro occhi, sebbene a
malapena percettibile.
"Guardate i suoi occhi.
Guardate il suo corpo. Non sembra quello di una fanciulla?"
Legolas percepì quattro
paia d'occhi strisciare con lasciva lentezza lungo il suo corpo,
lasciandogli addosso una sensazione di appiccicoso disgusto. Non riuscì
ad impedirsi un brivido, gelido, che corse rapido lungo la sua spina
dorsale.
Una mano sfiorò i suoi
fianchi, mentre una seconda si strofinava contro le sue natiche. Uno dei
quattro gli afferrò il mento, costringendo l'elfo a fissarlo negli
occhi, oltre la lunga cicatrice che attraversava una guancia ruvida.
"Che ne diresti di farci
compagnia, stanotte, mh? Dopotutto, chissà se saremo ancora vivi,
domani."
"Sarebbe un buon modo di
dare l'addio a questo mondo…" concordò un altro. Si spostò, finche il
suo fiato si trovò a scivolare nel padiglione auricolare di un
disgustato Legolas, prima di sussurrare "...scopandosi una bellezza di
prima classe come te fino all'alba. Ancora... e ancora... e ancora..."
L'elfo si scostò
brutalmente, ma già il primo uomo gli serrava dolorosamente nel pugno
una manciata di capelli, mentre il secondo gli forzava il volto verso
l'alto, e le mani degli altri vagavano per il suo corpo, in rivoltanti
parodie di carezze, lo afferravano, lo stringevano con violenza...
"Cosa c'è, dolcezza? Ti
piace farti desiderare?"
"Potremmo darti noi una
bella lezione... non è così.?"
"Pensi che darebbe
fastidio al tuo amichetto ramingo, se ci divertissimo un po' con te?"
"NON SO DIRVI RIGUARDO
AL PRINCIPE ARAGORN," esclamò una voce glaciale, alle loro spalle. "Ma
darebbe di certo fastidio a ME. Quindi, vi consiglio di lasciarlo
andare. Adesso."
I quattro si voltarono,
seguiti da Legolas. Di fronte a loro, algido e bellissimo, composto come
sempre, stava Haldir, i lunghi capelli biondi confinati rigidamente
dietro le spalle.
Lo sfregiato avvampò.
"Ed io ti consiglio di farti i fatti tuoi, biondino."
Haldir non diede segno
di aver sentito.
"...in caso contrario,
mi vedrò costretto a ricordare a re Theoden che il mio popolo è giunto
fin qui per salvare le vostre vite. E posso garantirvi che non sarà
contento di sapere come vi state comportando verso uno di noi..."
"Ehi, noi ci stavamo
soltanto divertendo un-"
"...e vi regalerà a me
su un piatto d'argento!" Haldir, con uno scatto repentino, afferrò uno
degli uomini alla gola, sollevandolo senza sforzo a trenta centimetri da
terra. "Meglio che ricordiate che io sono il capitano Haldir, comandante
di questo esercito. E se mi va, posso avere le vostre pelli per
lucidarci la mia spada. Quindi se fossi in voi me ne andrei, luridi topi
di acquitrino. E senza por tempo in mezzo!"
Con gesto sprezzante,
scagliò lontano il guerriero che reggeva. Come l'uomo toccò terra,
spiccò la corsa, senza degnare Legolas di uno sguardo, a seguito dei
suoi compagni, già lontani nel corridoio.
Legolas si portò una
mano al viso, in una reazione automatica, per ripulirsi dalle tracce che
la mano dell'uomo aveva lasciato, almeno nella sua mente. Poi scoccò ad
Haldir un debole sorriso.
"Non perdi mai il tuo
carisma," gli disse.
Haldir, con aria
indifferente, si ravviò i capelli con gesto secco. "Non si può mai dire.
Di solito, non perdo mai nemmeno la calma," replicò, asciutto. "Andiamo,
Legolas. Vieni con me."
****
"E allora... avanti,
biondo principe... dimmi. Come ti trovi fra questi... uomini? Dopo che
per loro hai abbandonato la tua casa e la tua gente. Sei soddisfatto
della tua scelta?"
Legolas si strinse nelle
proprie spalle, mentre osservava con fasullo interesse le armi poggiate
sul tavolo nella stanza di Haldir. Non rispose.
Percepì il guerriero
vagare per la stanza, finche non si fermò, verosimilmente in piedi,
appoggiato a qualche muro da dove godere di una perfetta visuale sul suo
biondo compagno.
"Tu che li ami così
tanto," proseguì Haldir, imperterrito. "Ebbene. Cosa in loro appaga le
tue aspettative? Li ho visti, gli uomini. Li hai visti anche tu. Sono
come quei quattro che ti hanno accerchiato, là fuori. Rozzi, sporchi,
violenti. Intrappolati nella loro minuscola vita, breve come un battito
di ciglia, non sanno vedere cosa c'è al di là dei cancelli delle loro
case. Non sanno scrutare ciò che a noi è rivelato – sono ciechi,
insulsi. Piccoli ed insignificanti come scarafaggi - anche se per
liberarsi degli scarafaggi, di solito, basta una buona spruzzata di
belladonna."
Legolas non trattenne un
sospiro all'asprezza che impregnava la voce del biondo capitano.
Lentamente, raggiunse la finestra, e vi poggiò una mano sullo sitpite.
Con occhi sconfortati, osservò le nubi tumultuose che si affollavano
all'orizzonte, brontolando sorde.
"Cosa ci fai qui,
Haldir?"
Non una domanda. Non
realmente.
"Cosa ci fai qui -
perchè hai portato qui il tuo esercito, se disprezzi gli uomini così
tanto?"
Haldir, in silenzio si
sfilò la cintola, poggiandola su un ripiano vicino. Con meticolosa
precisione, vi sistemò a fianco anche la propria spada, insieme a
delicati pugnali elfici.
"Re Elrond di
Gramburrone ha comandato alle sue guarnizioni di accorrere in soccorso
degli uomini. Noi abbiamo semplicemente obbedito al nostro re."
Legolas lo fissò, mentre
il capitano continuava a deporre le sue armi con la cura di una madre.
Le guarnizioni di re
Elrond. Gramburrone.
Le guarnizioni di
Gramburrone.
Haldir ò Lorien.
Haldir di Lorien...!
Legolas si voltò, con
uno scatto repentino. Guardò Haldir con occhi stravolti.
"Tu non eri..." e la
realizzazione calò su di lui, come il martello sull'incudine,
tramortendolo quasi. "Questo non è il tuo battaglione. Tu... Tu non
dovresti essere qui!"
Haldir lo ignorò, sordo
alla dolorosa nota di sorpresa che tingeva la voce dell'elfo.
Legolas mosse un passo
verso di lui, e fu come se l'avesse afferrato per le spalle, data
l'accoratezza con cui parlò.
"Haldir. Dimmi cosa ci
fai tu qui."
Il biondo elfo di Lorien
tacque, immobile. Quindi si voltò verso Legolas, con quel fare seducente
che lo contraddistingueva, prima di replicare con tono discorsivo.
"E se ti dicessi che
sono qui per lealtà. Perché sento di appartenere a questo mondo. Questa
è anche la mia terra - ed io sono uno dei suoi guerrieri." Si portò una
mano al petto, con fare teatrale. "E rispetto le antiche alleanze. Sono
qui per onorare quella che venne stipulata fra il nostro popolo e quello
degli..." fu costretto ad interrompersi dal disgusto che incrinava la
sua voce, minacciando di sfociare in un'aperta smorfia. "...uomini."
Legolas lo fissò a
lungo. Quindi il suo volto si torse in un amaro ghigno.
"Hai così poca stima di
me, dunque?" il suo volto s'indurì. "Non insultarmi con menzogne,
capitano Haldir."
Haldir rise. Una risata
secca, carica di un'ostile ironia, immobile, una mano poggiata sul legno
del ripiano. Scrollò lentamente la testa, quindi si diresse verso il
compagno, senza fretta. Un passo dopo l'altro.
"Legolas, Legolas,
Legolas."
Si fermò alle spalle del
biondo arciere, sfiorando la sua spalla con il proprio mento.
"E se ti dicessi che
sono qui... che li ho condotti fin qui, e che sono pronto a ripartire. E
se ti dicessi..." girò lentamente intorno a Legolas, fino a
fronteggiarlo direttamente, occhi negli occhi. "...che sono qui per
convincerti a ripartire con me, Legolas. Che sono qui per condurti via,
lontano da questa tomba."
Sollevò una mano,
sfiorando i capelli dell'altro, quindi la sua fronte, per poi tracciare
con dita perfette il contorno di due occhi azzurri che lo fissavano,
increduli.
"una tale bellezza,"
proseguì, la sua voce un mormorio ipnotico e seducente... "Una tale
perfezione. Questo candore immacolato non deve essere sporcato da sangue
e polvere."
Fissò i propri occhi di
ghiaccio su Legolas. E fu come se avesse avuto di fronte la più elevata
e proibita fra le meraviglie terrene.
Quando parlò ancora, il
suo tono era sommesso, come se stesse parlando solamente per se stesso,
e non per altri. Come se Legolas non fosse stato altro che una preziosa,
bellissima statua, che lo fissava, immobile, con gli occhi spalancati.
"Vieni via con me,
Legolas. Vieni, lontano da qui, lontano da questa battaglia, questa
morte che incombe su di te. Vieni con me, lontano da questa feccia.
Parti con me."
Il crollo del mondo.
Legolas mosse un passo
indietro, tremante. Un rivolo di sudore bollente corse lungo a sua
schiena. Non poteva essere vero.
Valar, non poteva essere
vero.
"Tu... sei qui per
questo?" il suono stesso della sua voce gli ridiede coraggio. Si rivoltò
contro Haldir, furente, ad un passo dal gridare. "E' per me che ti sei
fatto assegnare il comando di questa missione? E' per me che ti sei
messo in questa situazione?! Haldir, devi essere impazzito!" abbassò il
volto, tentando di riacquistare la calma. "Io non partirò, Haldir. E
cosa farai, allora? Rimarrai qui? Per me? A morire con noi?!"
Haldir inclinò il capo
da un lato, con pazienza. "Sì," ammise, con crudele semplicità. "io sono
qui per questo. E il mio onore mi impedisce di allontanarmi da solo. Se
tu resterai, così farò io."
Legolas scrollò la
testa, come a rifiutare quanto stava udendo. I suoi occhi tornarono a
fissarsi in quelli di Haldir, increduli, freddi e furiosi allo stesso
tempo. "Non lo accetto," disse, poi. "E' un peso che non voglio. Non
voglio essere responsabile di questo. Di quanto potrebbe accaderti."
Haldir scosse la testa,
come di fronte ad un bambino che non voglia capire. "Se durante la
battaglia io dovessi morire, e tu sopravvivere, sarei grato ai Valar di
aver contribuito alla tua salvezza con la mia vita. E, se entrambi
dovessimo essere toccati dal Fato, sarei felice di non dover affrontare
l'eternità con la consapevolezza di non averti difeso."
Legolas lo fissò,
stranito. Haldir. Perché... una cosa del genere. Non poteva
accettarlo...
"No." Afferrò le spalle
del capitano con ambo le mani, stringendo con forza. "Haldir, tu non mi
costringerai a questa scelta. Non mi farai questo."
"E allora vieni via con
me."
"NO!" Legolas abbassò le
mani, guardandosi intorno, sentendo un sentimento disperato crescere
dentro di sè. Si costrinse a riportare su Haldir il suo sguardo, senza
far nulla per nascondere la propria angoscia. "Tu non capisci... questa
è anche la mia battaglia. Io devo difendere questa gente - questo
mondo!"
"Così farò io, allora."
"Haldir, tu te ne andrai
di qui!"
"NON SENZA DI TE,
LEGOLAS!"
Il biondo arciere mosse
un passo indietro, colto di sorpresa dal subitaneo scatto d'ira del
compagno.
Haldir avanzò verso di
lui, afferrandolo, stringendolo. Avvicinò il volto a quello di Legolas,
sfiorando la sua guancia con le labbra, lasciandole scivolare fino ad un
orecchio delicato...
"Non senza di te..."
sussurrò. Si concesse di vagare verso il basso, accarezzando la candida
pelle del collo di Legolas... lasciò la sua lingua libera di danzarvi,
prima di serrarvi i denti, strappando un gemito all'incredulo arciere...
"Ha... Haldir..."
"Shhh..." Lo mise a
tacere, spostando le sue attenzioni all'altro lato del collo, risalendo
con lentezza, fino alla morbida pelle dietro l'orecchio... per poi
scivolare in avanti, fino a deporre piccoli, lenti baci sul mento
dell'altro...
"Avanti... non
resistermi..."
"Mhhhh..."
Haldir catturò gli occhi
di Legolas con i propri... così freddi... così intensi... ipnotici...
impossibili da affrontare...
"Oh..."
"Legolas... non
resistermi..."
Legolas socchiuse gli
occhi, travolto dalle sensazioni che gli si riversavano dentro, gli
occhi di Haldir, la sua voce, le sue labbra, così vicine... così
vicine... si sentì tremare, mentre un indefinito desiderio sbocciava nel
suo petto, il desiderio di sentire quelle labbra sulle proprie, di farsi
catturare, rapire...
"Così... Legolas..."
Con lentezza
esasperante, Haldir depose un primo, impercettibile bacio sulla bocca di
Legolas, in attesa... così invitante... come un frutto maturo, rigonfio
di dolci succhi, come una bacca bambina... poi un altro... più
insistente... catturò quelle labbra fra le proprie, sfiorandole con i
denti, per poi liberarle, e poi intrappolarle di nuovo... così morbide,
fresche, che eppure custodivano un calore segreto ed inesplorato...
Legolas gemette di
nuovo... ed i suoi pensieri sfuggirono al suo controllo...
sì... Valar, sì... ti
prego...
Haldir soffocò un
sorriso, di vago trionfo... lasciò che la sua lingua scivolasse a
lambire le labbra di Legolas, sfregando la linea che formavano in una
languida carezza... e l'elfo non si fece pregare, e le dischiuse,
consentendogli l'accesso che cercava...
Il biondo capitano
afferrò il volto di Legolas, prima di chiudere gli occhi e perdersi in
quel bacio, percorrendo la bocca del compagno - così calda, invitante, e
oh così buona - con lente carezze, sfiorando la lingua che giaceva in
attesa, per poi trascinarla in una lenta danza, che andava facendosi di
momento in momento più intensa, rovente di passione ,di desiderio...
...sì...
Legolas barcollò
all'indietro, stordito, ipnotizzato... Haldir... l'unica cosa reale in
quel momento, era Haldir, e le sue parole... andare con lui... con
lui... si appoggiò al tavolo, dietro di lui, cercando un sostegno...
con...
CLANG!
Legolas si riscosse,
allontanandosi quasi con un balzo dal biondo capitano. Abbassò lo
sguardo a terra. Lì giaceva la lama che era appena caduta, dopo che lui
vi aveva poggiato la mano. Quella stessa mano che si stringeva ora al
petto, sanguinante.
"Legolas..."
Si voltò di scatto, i
biondi capelli che si sollevavano, irosi. "No, Haldir. Sta' indietro."
"Lascia che..."
"Ho detto di no." il
calore, la passione di poco prima, soffocati ed estirpati da un gelo
pungente, tagliente. "Non mi incanterai più."
"Legolas.."
"Taci."
"Le-"
"TACI, ho detto!"
Legolas scosse la testa,
incapace di dare un ordine ai fili confusi dei suoi pensieri, desideri,
onore, dovere, rispetto, dolore...
Il dolore alla mano
ferita lo trascinò brutalmente nella realtà, in quella realtà di morte e
sofferenza in cui era immerso.
Si voltò, ignorando la
mano di Haldir tesa per fermarlo, e corse. Fuori, sbattendo la porta.
Corse.
Il biondo capitano di
Lorien, invece, rimase immobile. Con calma, raccolse il pugnale,
deponendolo di nuovo al suo posto, a fianco agli altri. Quindi, esitò.
Il suo sguardo vagò fino
alla porta, quella porta serrata fra lui e ciò che l'aveva condotto in
quel posto.
Quindi, si voltò, e si
sedette al tavolo, estraendo carta e penna. Anziché disporsi a scrivere,
però, serrò i pugni, fissando con odio il muro.
In silenzio.
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