.|. Sei La Mia Speranza  .|.

Ed eccomi giunta a scrivere la premessa per la mia ennesima fic…

Vi sento già dire scocciatissimi “Ancoraaaa??”, ma io vi rispondo… “SIIIIIIII!!”, con un bel  sorrisone Durbans annesso. Perché mi dispiace, preciousssss… non vi libererete tanto facilmente da me… BWAHAHAHAHAH *___* (ho pauuuura… ;_; mamma… voglio la mammaaaah!! ndPiccoloFragileLettoreTerrorizzato).

Ehm ok scusate ^.^ torno seria, che sennò mi scappate… ^O^

 

La fic che vi apprestate a leggere l’avevo in mente da mooolto tempo. Oddio, non proprio tantissimo, ma perlomeno l’idea dell’ambientazione esisteva da sempre. Dovete infatti sapere che fin da quando ero picci picci ho sempre trascorso gran parte delle mie vacanze al Lago d’Orta, situato nella provincia di Novara. Lì la mia famiglia ha infatti una casetta, costruita da mio nonno.

E’ inutile dire che di questo posto sono pazzamente innamorata da tempo immemore. Lo adoro. Probabilmente molti di voi lo conoscono, visto che comunque è uno dei più bei laghi italiani ed europei. Lì io son sempre riuscita a ritrovare me stessa, a ritrovare la pace, la serenità… a riempirmi gli occhi di vera bellezza e pura poesia, quando tutto il resto mi appariva privo di senso e grigio…

Quando mi assale la tristezza, il mio unico desiderio è, sempre, quello di vederlo… di tornarci al più presto, anche se spesso non mi è possibile.

Oltretutto è una gran bella fonte di ispirazione. Ed è sia per “celebrarlo” in qualche modo, come ho sempre desiderato fare, sia per scrivere una storia che abbia come protagonisti Legolas & Aragorn di TLOTR (in ottica slash ;P) che sono arrivata fin qui. Che poi, diciamocelo… quali altri personaggi potevo scegliere come “attori” in una cornice che di tolkeniano e di magico ha moltissimo? ^-^

Ordunque… la trama in sé (anche se al tempo non era così articolata come poi lo è diventata in seguito, nella mia testolina folle *.*) è nata una sera in un pub di Milano, in compagnia della mia tessora Mellyn Tiny (ciuu nina!!), che ringrazio tantissimo ^-^ come me, anche lei ama & conosce Orta ^.- è stata subito entusiasta di tutto quanto, nonostante all’inizio il progettino fosse stato partorito più come un delirio che altro ^_-

Naturalmente avrete già intuito che la fic è una Alternate Universe, e che la Terra di Mezzo ve la potete tranquillamente scordare ^_- almeno per adesso!! Le descrizioni che faccio (e che farò) dei vari paesaggi son infatti praticamente parallele a quelle che potrei immaginare realmente per Orta, del suo paese, del lago, dell’isola… o perlomeno quasi. Non tutto tutto è ugualissimo, per ovvie ragioni. Comunque la mia intenzione è proprio quella di attingere al massimo dalle mie conoscenze, esperienze, sensazioni ed emozioni riguardo al Lago… perché ciò che voglio comunicare con questa storia è esattamente questo, il mio amore e il mio affetto per ogni singolo angolo di un posto che rimane tra i più belli del mondo, almeno per la sottoscritta (miih starò facendo un po’ di promozione turistica?? ;D).

Anche se Alternate Universe, però, nella storia troverete moooolti punti in contatto con TLOTR… e come potrebbe esser altrimenti?? ;D prima di tutto le lingue, il Sindarin e il Quenya, che ho utilizzato sia per i nomi dei vari luoghi (heheh certo, non ho messo quelli reali ;P) che per la lingua vera e propria parlata nell’universo della fic. Mi scusino gli esimi studiosi & esperti di Elfico (Stefychù perdonoooo ;P) se ho combinato le parole un po’ come volevo io qua e là, ma chissene. Ho scelto le costruzioni che suonavano meglio, hihi ^o^ in fondo nella storia non è elfico, nooo? ;D

Poi poi… i personaggi. Ok, ci son Lego e Ara ammoooori loro, ma nemmeno la nostra coppietta adorata è stata ahimè risparmiata dalle mie elucubrazioni folli… UHUHU!! E infatti li troverete, spero mi perdonerete, leggermente diversi dagli originali. Per cui se vogliamo la fic è pure un po’ Out Of Character… uh, Lego ha anche un particolarino fisico diverso che vi invito gioiosamente ad indovinare (e non è quello che state pensando voi, OH!! Sennò questa non sarebbe una fic slash… uhuh… ok basta ^O^’’’’), aggiungendo che è stato necessario ai fini della storia…

Oltre a loro due non ci sono molti altri personaggi presi dall’opera originale, quindi non aspettatevi invasioni di Elfi e di Rohirrim, perché non ce ne saranno :P in compenso, però, un po’ di elementi pescati dal mondo tolkeniano compariranno, quindi non mettetevi a piangere ^_-

Anche se la mia idea-base era quella di creare una sorta di semplice leggenda per il Lago, mi sono sforzata di ideare una vicenda un po’ intricata, almeno all’apparenza. Il ritmo sarà forse un po’ lentino a volte (come sempre nelle mie fic ^^’’), ma spero vi piacerà comunque… anche perché per scoprire la maggior parte delle cose dovrete arrivare fino all’ultimo capitolo ^__-

Mhh direi che ho finito *_* uh… ehm… prevedo anche che in questa fic scriverò per la prima volta qualche scenuccia un po’ vietata ai minori di anni 18 ^O^ per cui… siete avvisati!!

Ok, credo di aver concluso!! A questo punto posso solo passare ai ringraziamenti, che ovviamente vanno alle mie precioussissime e tessorissime Mellyn, senza le quali, forse, non riuscirei ad avere il sorriso sulle labbra tutti i giorni… una volta era dura, ma adesso è molto, molto più semplice, sin da quando un certo Club è sorto. Siam passate attraverso gioie e dolori, certo, ma non mi sono mai pentita, nemmeno un momento, di nulla…

Ringrazio chi sta lassù di avermele fatte incontrare. Non posso negare che negli ultimi anni, insieme ad altre due-tre cose e poche altre persone, abbiano cambiato in meglio la mia vita, in un periodo che oltretutto di bello aveva pochino. Per cui, grazie a tutte…

Infine, un abbraccio fortissimo anche alle mitiche, insuperabili e già leggendarie WickedGirls della Mailing List di Wicked Games!! ^-^ come farei senza la mia dose giornaliera di posta e senza i deliri della ML più pazza del web?? ^O^ grazie infinite anche a loro, soprattutto per aver capito il vero senso che io e le Mellyn diamo e abbiam sempre dato a WG… ovvero quello di un “posto” (perché per noi lo è ^.^) dove dimenticare tristezza e malinconia, trovando allo stesso tempo un sacco di risate accompagnate dalla demenza più sfrenata e tanto sano, romantico e succulento slash ^O^

Adesso ho proprio finito ^__- Ci terrei tantissimo ad avere dei feedback… commenti insomma!! Fatemi sapere ^.^ io son sempre qui…

 

Dimenticavo, se dopo la lettura siete curiosi di vedere com’è il reale Lago d’Orta: http://www.orta.net e http://www.lagodorta.com

Magari poi vi viene voglia di visitarlo!! ^____^ (il sindaco di Orta dovrà pagarmi…)

Leia^.^

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«Acque di Dio
Dipinte su un fondale di seta
Silenziose nella notti d'estate
Cantate le storie della Terra
L'amore degli Uomini e degli Immortali
E la vostra gemma più bella
Incastonata fra le pieghe di un sogno
Sarà il mio dolce purgatorio
Esitante tra acqua e cielo»
 

Prologo

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Grida d’odio e rabbia si alzavano nell’aria ferma, non attraversata da un soffio di vento. Centinaia di torce accese, uniche luci in quella notte nera senza luna né stelle, avanzavano nell’oscurità in cui era immersa la collina accompagnate da un numero ancora maggiore di spade, asce ed armi di ogni genere. I bagliori sprigionati dalle fiamme guizzanti si riflettevano sulle molteplici superfici di metallo, lame non lavorate alla maniera degli Alti Cavalieri ma ugualmente affilate e pericolose. Coloro che le impugnavano non erano infatti i guerrieri scelti dagli Dei, nulla del loro aspetto pareva  ricordare i lineamenti eleganti o le vesti argentate dei sacri Protettori. Il loro sguardo tradiva incertezza mista ad ira, e follia che affondava nella paura.

Nella  consapevolezza che ogni cosa , ormai, sarebbe stata inevitabile.

Sotto di loro, dove i pendii erbosi declinavano dolcemente verso la pianura, le acque calme del lago Valánen parevano attendere silenziose il consumarsi del destino degli Uomini Mortali, spettatrici e testimoni di azioni che avrebbero portato con loro innumerevoli colpe, dolori e sofferenze.

 

“Madre…”.

Una donna dai lunghi e lucidi capelli scuri, ferma sull’uscio aperto di una delle case del villaggio situato in cima al colle, si voltò di scatto. Due occhi verdazzurri, adornati da lunghe ciglia scure, si abbassarono dolcemente sul viso confuso del figlio. Piccolo ed esile, stringeva nelle dita un lembo del vestito candido indossato dalla giovane.

“… madre, cosa succede?”.

Lei rimase a guardare le innocenti, grandi iridi azzurre del bambino per un momento, posandogli una tenera carezza sui capelli castani. Poi, improvvisamente, la linea dolce formata dalle sue labbra rosate scomparve, mutandosi in un sorriso amaro. Immensamente triste.

“… madre… ”.

Il bambino si buttò al collo della donna, mentre lei si accasciava sul pavimento in legno dell’ingresso.

Strinse a sé il figlio. Calde lacrime iniziarono a scorrerle lungo le  guance pallide.

“Non piangete… ”, mormorò flebilmente lui, spaventato dal dolore della madre. “… papà tornerà presto…”.

L’altra scosse piano il capo, la voce rotta dalla disperazione.

“No… tuo padre… lui non tornerà…”.

A quelle parole, il bambino si aggrappò con più forza alla donna. Folte ciocche ondulate, sfuggendo da dietro le orecchie, gli scesero sugli occhi ormai lucidi. Lui, però, non ci fece caso.

In cuor suo, lo sapeva già.

Sapeva che suo padre non sarebbe più tornato.

“E adesso… adesso ascoltami bene…”.

La giovane donna si scostò dal figlio, e seppur col viso rigato dal dolore lo fissò con sguardo deciso.

“Dovrai rimanere qui. Qualunque cosa succederà, non dovrai uscire. Mai. Per nessuna ragione. Fino a quando il sole non sarà sorto. Mi hai capito bene?”.

L’altro annuì subito, stupito ed intimorito dall’improvviso cambio di tono della madre.

“Ora ti aiuterò a scendere nella botola. E lì dovrai restare”.

Ancora un cenno con la testa, quasi meccanico.

“Bravissimo”. Il viso della donna ritornò dolce, i suoi occhi malinconici. “Vieni”.

Arrivarono in un angolo dell’ingresso. La giovane spostò freneticamente prima un grande cesto pieno di frutta e verdura, poi un piccolo tappeto di paglia e lana che nascondeva la botola, all’apparenza non troppo grande. Quindi ne sollevò la parte superiore tirando verso l’alto l’anello in ferro fissato alla sagoma quadrata, rivelandone lo spazio sottostante. Un piccolo buco largo pressappoco un metro e mezzo per lato, e profondo altrettanto.

“Vai”, disse la donna. Aiutò il figlio a scendere. “E tieni questi” aggiunse poi, porgendogli un telo in cui aveva avvolto numerosi frutti. “Mi raccomando. Promettimi che non ti muoverai”.

Il piccolo abbassò un attimo la testa, poi la risollevò. Chinata sull’apertura, tesa e preoccupata, la madre gli appariva già lontana.

“E tu… dove andrai?”.

Lei non disse nulla. Strinse le labbra per contenere i singhiozzi, ma una volta che ebbe riaperto gli occhi arrossati sorrise.

“Ti amo più della mia stessa vita. Ricordalo sempre”.

Si sporse per dargli un bacio, ma proprio in quell’istante il brusio proveniente dall’esterno si fece più forte. Insieme alle grida degli abitanti del villaggio, adesso, fra le ombre di quella notte cupa risuonavano anche altri rumori. Altri versi. Terrificanti, assordanti.

La donna volse la testa verso l’uscio ancora aperto, e con negli occhi l’angoscia per ciò che la attendeva, guardò un’ultima volta il figlio con infinito affetto, infinita sofferenza.

 “Addio, Estel nîn (mia speranza)”.

Il bambino guardò la botola richiudersi pesantemente sopra di lui. E quando, con un urlo disperato, provò a richiamare la madre, la stanza era ormai vuota.