.|. Per un Anno Fortunato (White Cristhmas) .|.

by Leia

Dicembre. Il Canada e le sue montagne innevate ospitano quasi tutto il cast di TLOTR riunitosi in un'elegante baita per festeggiare, ancora una volta, il Natale insieme. Forse l'ultimo. Dopo un intenso mese di premieres su TROTK, infatti, è arrivata davvero l'ora dei saluti... anche se Viggo, guardando tristemente fuori dalla finestra, teme che qualcuno gli abbia già detto addio tempo prima. A Los Angeles, dopo la serata più bella della sua vita... 

Sentimentale | Slash | Rating PG-13 | One Piece

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Solo una cosuccia prima di lasciarvi alla lettura... questa fic l'ho scritta principalmente per dedicarla alla ML di Wicked Games, come regalino del Natale appena trascorso ^_- a fine storia c'è infatti, la nota finale originale, che ho pensato di lasciare anche qui ^.^ cioè, casomai non capiste di che parlo... ehehe :P

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“Karl! Sfiora ancora una volta quella bottiglia di Bordeaux e ti giuro che rimani fuori nella neve per tutta la notte!”.
 Gli occhi di Liv Tyler si erano spostati, minacciosi, su quelli scuri di Karl Urban che, terrorizzato, bloccò la mano a mezz’aria. La ragazza lo squadrò un’altra volta per poi, con un mezzo sorriso, tornare verso la cucina.
 L’uomo ritirò lentamente il braccio indietro, lasciandosi quindi ricadere con la schiena contro il divano tra le risate degli amici. Sospirò.
 “Ma ho sete… ”, si lamentò, sollevando gli occhi verso il soffitto. “ … e almeno vi dico se non sa di tappo… ” (scusaa Karlino mio >.< ormai per me e per tutta la lista sei un amante delle cantine *_* ndA).
 “Tranquillo, sono assolutamente certo che sia ottimo… ”, rise Sean Bean, seduto di fronte a lui oltre al tavolino in vetro. Sopra il ripiano trasparente bottiglie ancora chiuse di vino rosso, champagne e analcolici vari brillavano allineate insieme a due file di calici di cristallo sotto la luce calda di un fuoco scoppiettante, a pochi passi dai due divani. L’uomo si sporse un attimo per avvicinare tra loro due bicchieri, poi si girò verso le fiamme dorate e vermiglie.
 “Tu cosa dici, David?”.
 Fermo accanto al camino ed appoggiato al suo ripiano orizzontale in pietra e marmo addobbato a festa, l’interprete di Faramir aveva osservato la scena trattenendo a stento una risata soffocata, con le labbra serrate circondate da una rada barba rossiccia.
 “Mhh… credo che… beh, che Sean abbia per tua sfortuna ragione, Karl… ”. Si avvicinò al divano. “Ian l’ha comprato in Europa durante i giorni della premiere a Berlino, e sai quanto stia attento a questo genere di cose”.
 “Esattamente”, disse in quel momento l’inglese dall’altra parte della stanza con un sorriso prima di attraversarla per raggiungere Liv in cucina (hihi perdonatemi se sarà out of character, non ho idea se Ian sappia cucinare, ma è troppo divertente immaginarlo col grembiulino… :P ndA). “E se, mio caro ragazzo, aprirai quella bottiglia di ottimo vino francese prima del tempo stai pur certo che affiancherò Liv nel suo… malsano ma interessante intento”.
 Detto questo l’uomo dai capelli bianchi sparì con una piccola risata oltre il pannello in legno che divideva tra loro i locali del salotto e della cucina, sotto lo sguardo piuttosto turbato di Karl. L’attore neozelandese rialzò piano il viso sui due amici, sistemandosi meglio sul cuscino nel quale era sprofondato.
 “Ma… solo a me Ian crea uno strano senso di inquietudine quando parla? Ho sempre… come l’impressione… che alluda costantemente a qualcos’altro… ”.
 David e Sean si scambiarono una veloce occhiata frammista ad una maliziosa incurvatura della linea della bocca ma a scoppiare a ridere, questa volta, fu Mirando Otto. La donna attraversò l’accogliente e delizioso salotto con un lieve rumore di tacchi, sfilando davanti agli amici fasciata in un tailleur del colore della neve più candida, la stessa che, in quel momento, cadeva in fiocchi leggeri e silenziosi sull’intera vallata fuori dalle alte pareti di legno e pietra. La grande ed elegante baita in cui gli attori erano riuniti era infatti affacciata sullo spettacolare paesaggio innevato delle Rocky Mountains, a pochi chilometri da Toronto, in Canada. Era stato Peter Jackson a proporre loro di utilizzarla per un ritrovo natalizio piuttosto “intimo” dopo le innumerevoli premieres di The Return of the King che si erano succedute in quel lungo ed intenso mese, un po’ per staccare dallo stress e dai riflettori, ed un po’ in onore dei vecchi tempi. Anzi, più che altro per il secondo motivo. Quella era infatti probabilmente l’ultima occasione che, per molto tempo, il gruppo di amici avrebbe avuto per trovarsi insieme a chiacchierare, scherzare, e ricordare l’avventura che avevan vissuto per tutti quegli anni. The Return of the King era stato infatti il film conclusivo della trilogia, ed anche se sarebbe presto arrivata la relativa Extended Edition con la quale The Lord Of The Rings avrebbe fatto parlare nuovamente di sé, ognuno di loro, in cuor suo, era perfettamente cosciente del fatto che, a distanza di pochissimi giorni, sarebbe davvero tutto finito. Che, proprio come era accaduto per la Compagnia dell’Anello, anche loro si sarebbero divisi, e questa volta senza la speranza di potersi ritrovare mesi più tardi.
 Era naturalmente stato impossibile organizzare quella piccola festa proprio il giorno di Natale, ma l’importante, per tutti, era festeggiare con il gruppo. Cate, Sean Astin, Billy, John, Andy, Bernard e Christopher non erano riusciti in ogni caso a venire – chi impegnato in famiglia, chi occupato da un lavoro improvviso – però gli assenti avevano promesso che, in un modo o nell’altro, sarebbero passati almeno per un saluto il giorno seguente. Non era da loro entrare in un nuovo anno senza incontrare, durante le feste, i colleghi della trilogia per scambiarsi gli auguri. Ad ognuno di loro aveva sempre portato fortuna, i dicembri passati. E una tradizione simile non si sarebbe certo spezzata l’ultimo Natale…
 “Mhh, ecco la Bianca Dama di Rohan nel pieno del suo splendore!”, esclamò Karl stendendo un braccio ricoperto da un morbido dolcevita blu notte sulla spalliera del divano. “Allora, la mia sorellina si è ripresa dalla scarpinata sotto la neve? Quando sei arrivata sembravi uno yeti… ”.
 Miranda si chinò sulla sedia a dondolo dell’ingresso dove, al suo arrivo, aveva dimenticato la borsa. Mentre la apriva, affondandovi dentro una mano per frugare alla ricerca di un piccolo beauty coi trucchi, si voltò verso l’amico. Storse la bocca, facendogli un verso.
 “Non credo che se tu fossi stato al mio posto l’avresti trovato tanto divertente… ”. Gli mostrò la lingua, sostituendo però subito la smorfia col suo solito, splendente sorriso. “Beh, però ammetto che in fondo un po’ lo è stato… mmh, un po’ meno quando il taxi si è messo a scivolare all’indietro verso il dirupo, ok, ma… per il resto, insolito ed affascinante. Questo paesaggio è fantastico. Uh, e meno male che le scarpe ed il tailleur me li sono portati in un borsone e che per venire mi son messa gli stivali, altrimenti… ”.
 “Sì, ma ciò non toglie che arrivata alla porta sembrassi un’esploratrice scampata da una valanga… ”, continuò a canzonarla Karl. “Davvero buffa. Coperta di neve dalla testa ai piedi, eh eh… più Dama Bianca di così!”.
 Tutti risero ancora una volta e Miranda sbuffò, scuotendo i lunghi capelli biondi ormai rassegnata al suo ruolo di vittima-da-prendere-in-giro e che, precedentemente, era stato di Liv. Sollevò quindi gli occhi dalla sedia, stringendo tra le mani il beauty finalmente recuperato, ma raddrizzandosi la sua espressione mutò.
 A pochi passi da lei, infatti, fermo davanti alla finestra al lato della porta, Viggo Mortensen scrutava il cielo scuro punteggiato da piccoli fiocchi bianchi con apparente distacco, le magre mani inserite nelle profonde tasche dei pantaloni scuri quasi distrattamente ed il corpo, irrigidito, vicinissimo alle assi di legno lucide. Pareva realmente distante, quasi non fosse nemmeno lì con loro ma in un’altra dimensione, remota e raggiungibile solo dalla sua mente eclettica e sognatrice. Non era certo qualcosa di insolito con Vig, ma quella sera appariva malinconico in modo quasi preoccupante, e assente come mai lo era stato, nei loro precedenti ritrovi.
 L’interprete di Eowyn lo osservò per qualche secondo, indecisa su cosa dirgli.
 “Viggo… ?”.
 L’uomo non sembrò averla sentita. La donna si voltò verso gli amici, ma loro alzarono tristemente le spalle. Solo Sean si sollevò dal divano, per poi superarlo ed accostarsi all’attore danese.
 “… Viggo, vedrai che Orli arriverà”.
 Al contatto della mano dell’inglese sulla propria spalla l’uomo, finalmente, si scosse.
 “Oh… ”.
 Sembrò dispiaciuto. Spostò velocemente lo sguardo, imbarazzato, sui compagni, puntando infine i limpidi occhi azzurri su Sean.
 “… scusate, stavate dicendo?”.
 “Non importa Vig, tranquillo”. L’interprete di Boromir inclinò la testa con un piccolo sorriso. “Ma dammi retta… staccati da questa dannata finestra, e vai di là, o di sopra. Stenditi sul letto, rilassati per qualche minuto e non preoccuparti. Orli è sicuramente in viaggio, ha detto che sarebbe arrivato un po’ in ritardo, no? Quindi non ha senso restare incollato qui tutta la sera. Lo stiamo aspettando tutti, e non inizieremo senza di lui, lo sai. Liv e Ian stanno ancora cucinando”.
 Sean attese, pazientemente, che l’amico reagisse. Ci mise un po’ ma alla fine, dopo essersi passato una mano sul collo nudo, Viggo annuì.
 “Avanti… ”. L’uomo accompagnò Viggo per un breve tratto del salotto, passando con naturalezza davanti ai visi muti e silenziosi degli amici. “E magari, già che sei di là… di’ a Dom di smetterla di truccarsi in quel modo dark, che tanto per Elijah è bellissimo ugualmente… e che soprattutto non ci mettano altre tre ore a vestirsi...”.
 Sean aprì la porta che univa il salotto ad una piccola anticamera. Da lì, un’altra porta verso una stanza da letto e una scala che portava al piano superiore dividevano lo spazio in due possibili percorsi. Vig superò l’anta con lentezza, dopodiché si voltò. Incrociò lo sguardo affettuoso dell’amico, e per un attimo la tristezza che era certo dominasse il proprio fu spazzata via dalle parole rassicuranti di Sean.
 “Che poi, se arriva Orli e loro non sono ancora pronti, come facciamo a fermare Karl dall’assalto dei vini?”.
 L’inglese strizzò l’occhio a Viggo, e lui ridacchiò.
 “Hai ragione. Glielo dirò. E… grazie”.
 L’altro non disse nulla. Si limitò ad un breve cenno con la testa, quindi richiuse la porta. Quando la luce ed il calore del salotto tornarono ad investirgli il viso, però, Sean cambiò espressione. Gli occhi dei colleghi eran tutti puntati su di lui, compresi quelli di Liv e Ian che, avendo ascoltato le ultime battute dalla cucina, si appoggiarono al divisorio con aria preoccupata.
 Sean li osservò uno ad uno per poi, con passi veloci, avvicinarsi alla finestra dov’era rimasto fermo l’attore danese.
 “Spero che Orli arrivi davvero”, disse così, scuotendo debolmente il capo. “Se no… credo che questo Natale sarà veramente triste per Vig”.
 
 
 ***
 
 
 L’uomo rimase immobile nella penombra dell’anticamera. Si osservò i piedi per qualche istante, cercando di distinguere i contorni delle scarpe con fatica, ma alla fine vi rinunciò. Sollevò il viso verso l’alto sospirando, e con l’intenzione di salire le scale a pochi passi da lui afferrò il corrimano piegando il primo ginocchio. Fu però fermato da un non meglio identificato brusio e, girandosi, si accorse che proveniva da oltre la porta accanto alla rampa. L’anta socchiusa faceva filtrare, oltre al rumore sommesso, anche un filo di luce.
 Viggo staccò la mano dal corrimano, e si accostò all'ingresso della camera. Già, Dom ed Elijah erano ancora lì. Fece quindi per entrare a chiamarli, ma qualcosa lo spinse a bloccarsi, abbassandosi prima a guardare attraverso la fessura.
 La stanza era illuminata solamente dalle luci poste accanto a quattro grandi letti sui quali, momentaneamente, erano state abbandonate le valigie e le borse di tutti nell’attesa di decidere come ci si sarebbe divisi per la notte tra quel piano e quello superiore. L’uomo percorse con gli occhi i contorni dei plaid che ricoprivano i materassi fino a che, salendo, non incontrò due figure maschili sottili, in piedi tra due letti e vicine tra loro. Molto… vicine tra loro.
 “Dom, te l’ho già detto… ah… dobbiamo… sbrigarci, di là ci aspettano… ”.
 “Mh lo so… ma finché non arriva Orli possiamo anche restare qui… ”.
 Dominic Monaghan passò un’altra volta le labbra sulla spalla di Elijah prima di salire, lentamente, per percorrere la curva del suo collo fino all’orecchio destro. Una delle mani era ferma sul colletto della camicia del ragazzo per tenerlo allargato, mentre l’altra, sul davanti, continuava a spaziare dal suo petto seminudo al ventre, mosso da respiri veloci.
 “… magari… abbiamo anche tempo per… ”, alluse poi Dom abbassando, con sensualità, la mano sul bacino dell’altro, ma a quel contatto Elijah si divincolò, non senza una certa riluttanza. Si voltò, sorridendo all’amico in un modo non ben definito. Sembrava imbarazzato, e decisamente in difficoltà nel riuscire a controllarsi.
 “Oh, Dom, smettila. Ci… ci sentirebbero. Non credo sia il caso… ”.
 Il ragazzo dai corti capelli scuri passò accanto all’amico tenendo i grandi occhi blu sul pavimento. Richiuse i primi bottoni della camicia, fermandosi poi davanti al grande specchio fissato alla parete.
 “Su, sistemati anche tu”.
 Dominic rimase ad osservarlo tenendo una mano sul fianco, l’altra abbandonata lungo la gamba.
 “Ahh, e va bene. In ogni caso non credo che nessuno si scandalizzerebbe… ormai sanno perfettamente cosa c’è tra di noi”. Sbuffò, e alzò le spalle. “Inoltre… ricordati che entro domattina voglio comunque il mio regalo di Natale… ”, riprese maliziosamente subito dopo, raggiungendo di nuovo Elijah mentre teneva gli occhi blu, circondati da una linea di matita nera, su quelli del suo interlocutore riflessi nello specchio. Questi ridacchiò.
 “Guarda che saremo probabilmente costretti a dormire o nella stanza di sopra con Miranda e Liv o qui con gli altri, per cui… ad eccezione naturalmente che tu non voglia dare spettacolo, credo proprio che dovremo rimandare… ”.
 L’amico gli circondò il collo con le braccia, proseguendo a fissare in modo fintamente torvo il suo sguardo sulla superficie riflettente.
 “Mhh inzio ad odiare questi ritrovi, Lijah… ”.
 “Eh eh, anch’io…. mhh, beh... solo un pochino… ”.
 Ruotò di poco il capo, catturando fra le sue le labbra già protese di Dom.
 “Ma in fondo questa è l’ultima volta che ci troviamo con gli altri per Natale… e poi porta fortuna, no?”, sussurrò, staccandosi di poco. “Vedrai che ci porterà un bellissimo anno nuovo… ”.
 Viggo, da dietro la porta, sentì i due ridere un’altra volta. Si staccò dalla fessura, sentendosi un po’ in colpa per averli osservati fino a quel momento ma allargando, nel contempo, le labbra in un tenero sorriso. Erano… davvero perfetti insieme…
 Chiuse gli occhi. Improvvisamente cupo si morse un labbro, cercando di ignorare il nodo che aveva iniziato a salirgli nella gola, ma poi fece un lungo, profondo respiro. Quando risollevò le ciglia si voltò per fare qualche pesante passo sulle scale e quindi ridiscendere velocemente, saltando gli ultimi due gradini in legno per far notare la sua presenza dietro la porta ai due amici. Bussò energicamente.
 “Scusate, posso entrare?”.
 Viggo non attese risposta, e aprendo l’anta sorrise. Dom ed Elijah, fermi davanti allo specchio intenti a mettersi a posto i colletti delle rispettive camicie, risposero allo stesso modo fingendo la più totale innocenza.
 “Entra pure”, disse l’interprete di Frodo. “Stiamo… finendo di prepararci”.
 “Vedo… ”, rispose l’attore danese. “E a proposito, gli altri vi reclamano. Io devo solamente recuperare la mia borsa e poi salgo di sopra, almeno utilizzo l’altro bagno. E poi… ”.
 Si fermò. Elijah lo guardò interrogativo.
 “Sì?”.
 L’uomo rimase con gli occhi chiari a fissare l’aria. Li rialzò poco dopo.
 “Oh… nulla. Credo che… mi stenderò un attimo sul letto. Vi raggiungo tra… non so, mezz’ora”.
 Dom aggrottò le sopracciglia.
 “Non stai bene?”, chiese.
 Vig alzò una mano, muovendola con un mezzo sorriso.
 “No, nulla di particolare. Forse un po’ di stanchezza per gli ultimi viaggi. O magari ho soltanto preso troppa neve. Non preoccupatevi, davvero”.
 Attraversò la stanza arrivando accanto al letto dove era posata la sua valigia, e la prese. Tornato alla porta fece per uscire, ma all’ultimo momento si rivolse ancora ai due ragazzi.
 “Ah… e se arriva Orli, chiamatemi”.
 Uscì. Elijah e Dominic rimasero a guardarsi, poi il secondo scosse la testa.
 “Mi dispiace per Vig. Credevo che fra lui e Orli le cose si fossero rimesse a posto dopo LA, ma a quanto pare… non è così”.
 L’altro lo fissò, quindi tornò con i grandi occhi blu sulla porta, tristemente.
 “Già”.
 
 
 ***
 
 
 Viggo appoggiò quasi con delicatezza il piccolo trolley sul pavimento scuro. Allontanò la mano dalla maniglia, rimanendo a fissare la sua sagoma definita nella penombra della mansarda. Dalla piccola finestra triangolare, infatti, situata oltre i due letti matrimoniali posti contro la parete a nord, entrava la lieve luce opalescente e quasi irreale delle montagne innevate. L’uomo si girò, ma non si avvicinò al vetro, decidendo di restare a contemplare quello spettacolo da lontano.
 Gli occhi azzurri non si mossero da quel chiarore per un po’. Poi, improvvisamente, si chiusero.
 
Dovrò… farlo anche con lui?
Sarò costretto a continuare ad amarlo solo attraverso lo schermo di un televisore o guardando la copertina patinata di una rivista?
No, non... posso accettarlo. E non so se ci riuscirò mai.

 
 Si gettò su uno dei letti. Il capo, affondato in uno dei cuscini, rimase così per parecchi minuti. L’attore percepiva i battiti del proprio cuore distintamente, sentendoli risuonare nella propria gabbia toracica e percorrergli il corpo fin su, nella testa, dove, assorto, li ascoltava ripetersi nelle tempie simili a note di una musica familiare e piacevole.
 Sorrise. Era da quando aveva fatto l’amore con Orlando la prima volta, esattamente il ventidue dicembre di un anno prima, che aveva imparato ad ascoltare il proprio cuore e quello del compagno. Abbracciato a lui, nel silenzio splendido che aveva seguito il loro violento amplesso. E adesso, forse proprio perché era una delle poche cose capaci di ricordargli il corpo caldo di Orlando stretto al proprio, amava farlo sempre, ogni volta che si ritrovava solo, steso su un letto, in una stanza immersa nella penombra. Lo rilassava, e lo faceva stare bene.
 Orlando. Ma perché non arrivava?
 Si girò, piegando una delle braccia sull’addome e l’altra vicino al viso. Faceva freddo, e lui aveva portato soltanto quel maglione leggero. Avrebbe potuto mettersi sotto le coperte, ma non voleva rischiare di addormentarsi. Orli aveva detto che sarebbe partito dalle isole Caymans non appena avesse potuto, e comunque in tempo per raggiungerli entro quella sera. L’uomo sapeva che, nonostante ciò che era accaduto tra di loro durante il loro ultimo incontro, non si sarebbe perso il ritrovo natalizio con gli altri per nulla al mondo, ma non era tranquillo. Ultimamente Orli gli era sembrato parecchio stanco, ed il nuovo film in cui era impegnato stava mettendo a dura prova la sua resistenza psicologica. Per quella fisica era ormai ampiamente allenato, ma quell’anno era stato comunque esageratamente massacrante per lui. Per loro.
 Viggo l’aveva capito tardi, ed il colpo era stato tremendo. Non si era accorto di quanto Orli fosse diventato fragile dietro a quella maschera costantemente ironica e sempre pronta a scherzare. Non si era reso conto di quanto la popolarità e lo stress lo stessero consumando. Di quanto la loro storia lo stesse consumando.
 “Non possiamo continuare così. Tu presto tornerai alla tua vita riservata, in mezzo alle tue… passioni da artista, mentre io… rimarrò imprigionato in questo dannato mondo. Un mondo che ho cercato e voluto disperatamente, ma che adesso mi va stretto”.
 Era questo che gli aveva detto. In quella camera d’albergo, dopo la prima a LA. Così, come un fiume in piena. Senza lasciargli il tempo di replicare.
 “Ma non posso fare altro, ormai. Devi capirlo. Come entrambi dobbiamo capire che tra noi non potrà mai funzionare. Sarebbe… troppo doloroso per me. Vederti due volte all’anno, di sfuggita, sempre di nascosto…”.
 Si era girato, e sui suoi riccioli castani si erano posati i raggi freddi dell’inverno che, brillanti, erano entrati dalla finestra aperta.
 Gli aveva sorriso. In un modo così triste.
 “Scusami, Vig. Lo sai cosa provo, ma… sto troppo male. E se rimango con te so che non ce la farò”.
 Non era riuscito a dirgli nulla. Solo il tempo di aprire le labbra, di provare ad afferrargli un braccio, che Orlando era già uscito nel corridoio. E quando Viggo si era affacciato dalla porta per richiamarlo la sua sagoma, in fondo, aveva già raggiunto l’angolo. L’aveva oltrepassato.
 E da allora, più nulla… se non quell’unica telefonata, formale, fattagli pochi giorni prima per avvisare lui e gli altri che forse sarebbe riuscito a raggiungerli a Londra. Ma nessun accenno a loro due. Nessuno.
 
Se rimango con te… so che non ce la farò.
 
 Viggo chiuse gli occhi. In parte aveva capito ciò che Orlando aveva voluto dirgli. Anzi, l’aveva capito perfettamente. Ma lui… non era d’accordo. Era certo che… che se solo l’avessero voluto, sarebbero riusciti a vedersi. Nonostante i continui spostamenti di Orlando tra i set dei suoi molteplici film, nonostante le mille interviste da rilasciare, nonostante gli impegni familiari di entrambi… e nonostante le facciate pubbliche da mantenere. Nonostante le chiacchiere della gente. Alle ultime premieres erano stati parecchio espansivi tra di loro, e i pettegolezzi avevano immediatamente iniziato a girare. Dopo anni di apparente distacco, sia lui che Orlando avevano deciso di cominciare a raccontare mezze verità ai media, senza nemmeno sapere esattamente perché.
 Forse, all’inzio… entrambi ci credevano. Speravano che avrebbero potuto mostrarsi uniti senza problemi, ma si sbagliavano. La manager di Orlando, Robin Baum, non aveva voluto sentire ragioni, e dopo le foto uscite su di loro provenienti dalla premiere di Wellington e dalla stessa prima a LA aveva chiesto piuttosto esplicitamente al suo protetto di evitare certi “episodi gay”. La ragione? Non facevano bene alla sua immagine di idolo delle teenager, in particolare dopo l’equivoco faticosamente cancellato con Andrè Schneider, e nemmeno al suo status di sex-symbol e nuovo astro nascente di Hollywood.
 E tutto questo, Viggo ne era sicuro, aveva abbattuto ancor di più Orlando. L’aveva... portato a dirgli quelle cose. Solo per senso del dovere e fedeltà verso le proprie fans, per non deludere la madre e per mille, altre innumerevoli ragioni legate a freddi calcoli economici fatti dalla sua efficientissima manager. Ad Orli non importavano i soldi, Vig lo sapeva, ma purtroppo la vita di Bloom-la-stella non era più solamente in mano al suo legittimo proprietario. Aveva delle responsabilità verso molti, come molti le avevano verso di lui. I capricci di una star non gli appartenevano. Era un attore serio, e sarebbe andato avanti senza creare problemi a nessuno. Inoltre amava recitare, era tutta la sua vita. Ed anche se adesso Hollywood gli stava facendo assaggiare l’agrodolce sapore della notorietà, Orli avrebbe seguito la sua strada. Anche se era stanco di scendere a compromessi, anche se era stanco e basta. Anche se lo amava.
 Viggo tornò a sedersi sul letto, facendolo cigolare fievolmente. L’angoscia aveva ripreso a crescergli nel cuore, e non sapeva come fare per allontanarla. Aveva soltanto bisogno di vedere Orlando. Doveva… doveva parlargli. Assolutamente. Doveva dirgli tutto quello che non era riuscito a dirgli a LA… e cercare di farlo ragionare, di fargli capire che non poteva accettare l’idea di perderlo. Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma era l’unica cosa che gli restava.
 
Cazzo, Orli. Almeno non tenerti quel dolore chiuso dentro…
Dietro quegli occhi, sempre pronti ad illuminarsi con una risata per non far preoccupare quelli che ti stanno intorno, quelle ragazzine urlanti che ti adorano.
Non riesci a non fingere. A non nascondere quanto stai male.
Ma io so che sei al limite. E non voglio vederti così, stupido. Stupido elf-boy.

 
 Percepì gli angoli degli occhi bagnati, ma non riusciva a piangere. E poi, se fosse arrivato Orli… insomma, era meglio iniziare quel discorso senza tristezza. Le lacrime avrebbero solo peggiorato fin dal principio le cose.
 Si alzò. L’intenzione era quella di andare in bagno a risciacquarsi la faccia, ma un rumore proveniente dalle scale lo fece voltare.
 “Volevo… sapere se andava un po’ meglio”.
 La voce cristallina di Elijah si sparse nell’aria ovattata e delicatamente pregna di un fresco profumo di lavanda della mansarda. Fermo accanto allo stipite della porta, con le braccia incrociate strette a metà busto, lo stava guardando con un piccolo sorriso gentile.
 “Si… si, grazie. Ancora cinque minuti e sarei sceso”.
 “Oh, resta pure qui un altro po’. Liv ha bruciato un dolce, e Miranda e Ian la stanno aiutando a prepararne un altro a tempo di record”.
 Viggo mostrò i denti bianchi, ridendo sommessamente.
 “Okay… certo che Liv non imparerà mai. E’ un disastro come cuoca, ma ogni volta si ostina a tentare. Mi chiedo come il suo neomarito non sia ancora scappato… ”.
 “Già, è davvero un bel mistero. Ma Vig… ”.
 Il ragazzo esitò. Osservò per qualche istante la pioggia di fiocchi di neve fuori dalla finestra, poi tornò su di lui.
 “A me non pare affatto che tu stia bene. Non stai bene da quando siamo partiti da LA. Io non… voglio mettere il naso nelle tue faccende personali, ma… volevo solo dirti che se vuoi parlare, io sono qui”.
 L’uomo sollevò di scatto lo sguardo, più sorpreso dall’interessamento di Elijah che dalle sue parole. Aveva infatti da sempre avuto il sospetto che la maggior parte dei ragazzi sapessero di lui e Orlando, a parte naturalmente Sean… ovvero l’unico con il quale si fosse sempre personalmente confidato. Viggo stesso riconosceva che sarebbe stato piuttosto difficile non accorgersi di quanto fossero diventati intimi lui e Orli negli ultimi mesi, e comunque il fatto che gli altri fossero a conoscenza della cosa non gli creava alcun problema. Erano sempre stati corretti, delicati e comprensivi nei riguardi di tutte le questioni personali di ognuno, ed inoltre avevano trattato e continuavano a trattare con la stessa discrezione anche la relazione che esisteva tra Elijah e Dominic, nonostante fosse molto più evidente di quella che legava lui ad Orli. Sapeva di potersi fidare di loro. E di Lij, in particolare, si fidava ciecamente.
 Gli sorrise tirato. Era evidente che il ragazzo si stesse riferendo proprio all’atmosfera tesa che si era venuta a creare prima della partenza tra lui e Orlando all’aeroporto di LA, ma spiegargli tutto quanto si sarebbe rivelato difficile. E poi non voleva che si preoccupasse per lui, già gli bastava Sean con le sue attenzioni da mammina…
 “Eheh, sei gentile, ma non preoccuparti. Sul serio. Sto bene… ”, disse con una piccola risata causata dal pensiero di Sean, ma al termine della frase vide che Elijah stava già per replicare.
 “… forse, solo un po’ di malinconia”, si affrettò a correggersi. “E… beh… ”. Si fermò. “Orlando ed io… diciamo che a LA abbiamo avuto una piccola discussione, ma credo… che ve ne siate accorti tutti. Speravo di chiarire le cose stasera, ma lui ancora non arriva e io… sto anche iniziando a preoccuparmi”.
 Attese qualche secondo, ma l’amico non parlò. Allora fissò un attimo le luci accese sopra il lavandino del bagno per poi, quasi stancamente, tornare verso il letto.
 “Tutto qui”.
 Si sedette. Lij lo osservò, poi decise di avvicinarsi, rimanendo in piedi di fronte all’uomo.
 “Quando Orli promette qualcosa la mantiene, lo sai. E se succedesse qualcosa verremmo a saperlo”.
 Vig si chinò in avanti, appoggiandosi sulle ginocchia. Si passò le mani tra i capelli, e sospirò.
 “Lo… spero”.
 “E’ così. Cerca di non farti assalire dall’ansia, non serve a nulla”.
 L’interprete di Aragorn tenne le dita premute sul proprio collo chinato fino a quando, con un altro sospiro, non rialzò finalmente la testa. Guardò Elijah. Era la prima volta che gli parlava in quel modo, o meglio… era la prima volta che era Elijah a dare consigli a lui. In tutti quegli anni era sempre avvenuto il contrario, ma ormai era chiaro come quello che un tempo era stato soltanto un ingenuo ed incerto diciassettenne fosse diventato un uomo. Responsabile, sicuro e, perché no, saggio. Di sicuro non grazie all’influenza di Dominic, ma comunque… molto maturo. La capacità di infondere fiducia e serenità era, invece, una delle caratteristiche che Elijah non aveva mai perso, e Vig ne era felice.
 “Me l’ha detto anche Sean…”, mormorò allora l’uomo, increspando le labbra. “… e ho come l’impressione che dovrei darvi ascolto”.
 Le iridi blu del ragazzo sembrarono ravvivarsi. Mise le mani sui fianchi, allegro.
 “E’ esattamente ciò che farebbe Aragorn!”, esclamò entusiasta. “… ed anche il Viggo che conosco, ovviamente”.
 Strizzò un occhio all’amico, quindi fece per incamminarsi verso la porta.
 “Mh, allora ti aspetto da basso… mi raccomando, se no torno a prenderti!”.
 L’attore danese annuì con un mezzo sorriso. Seguì i passi del ragazzo fino alle scale ma, dopo aver posato la mano sulla maniglia, Elijah si girò nuovamente.
 “Se due persone… tengono veramente l’una all’altra, trovano sempre un modo per chiarirsi. E non scappano da ciò che provano, perché è impossibile resistere soffocando la verità”.
 Sorrise. Dolcemente, e tristemente.
 “Io ci ho provato, infatti… ma senza riuscirci”.
 La frase di Lij echeggiò piano nel silenzio della stanza semibuia, e Vig restò, stupito, ad osservare il ragazzo senza riuscire a rispondergli in nessun modo. Chinò un attimo il viso alla ricerca di una domanda che non facesse direttamente riferimento a Dominic, ma quando riportò lo sguardo sulla porta Elijah non c’era più. I suoi passi, veloci, stavano risuonando già ad almeno una decina di gradini più in basso.
 La neve iniziò a cadere più fitta. L’uomo prese ad osservare la successione quasi ipnotica dei candidi fiocchi luminosi oltre la finestra senza chiedersi nulla, offuscato da un improvviso senso di spossatezza. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti, e nonostante avesse dormito in aereo desiderò ugualmente poterli chiudere per qualche minuto. Così, solo per poco. Per stare un attimo disteso. Non per dormire, no. Non poteva dormire.
 Si accoccolò sul materasso, portando una mano sotto al cuscino. Era strano che giù da basso non stessero facendo casino… eppure, era tutto così calmo. Silenzioso. No, non sentiva nulla…
 
Se due persone tengono veramente l’una all’altra…

 
 Nulla… a parte i battiti del proprio cuore.
 
… non scappano da cio’ che provano.
 
 Abbassò le palpebre. Era… davvero stanco. Forse, era quello il tipo di stanchezza che sentiva anche Orli?
 Provò un piccolo dolore all’altezza della gola, ma cercò di mandarlo giu’. Come si fa con un boccone troppo grande, inghiottito male. O come una verità che non si vuole accettare, solo supposta ma già così definita, e precisa.
 Solo un’idea. Lontana.
 Proprio come probabilmente lo era Orlando, in quel momento.
 
 
 
***
 
 
 ... I'm dreaming of a white Christmas...
 just like the ones I used to know...

 
 Aprì gli occhi. Li richiuse subito.
 
 ... where those tree-tops glisten,
 and children listen
 to hear sleighbells in the snow.

 
 
Si voltò dall’altra parte con un piccolo lamento.
 Quella melodia… la conosceva.
Sicuro, la conosceva…
 
 I'm dreaming of a white Christmas,
 with every Christmas card I write...
 

 ... una… canzone di Natale?
 
Sì... sì, senza dubbio lo era. Però non si ricordava assolutamente di averla mes…
 “Merda!”.
 Viggo si rialzò di scatto dal letto, stringendo tra le dita i lembi del plaid su cui era disteso. Rimase così, immobile, qualche secondo, con lo sguardo fisso sulla porta chiusa.
 “Lo sapevo… cazzo, mi sono addormentato… ”.
 Sospirò profondamente. Si portò le mani sul viso, stropicciandosi gli occhi.
 “Avrò sicuramente dormito per almeno un’ora, e gli altri saranno… ”.
 Si bloccò. La melodia stava continuando, e proveniva chiaramente dal piano di sotto. Era flebile, la voce registrata poco pulita, leggermente elettronica, ma… reale.
 
 
I'm dreaming of a white Christmas...
 
 Abbassò le braccia. Piano.
 
 … just like the ones I used to know.
 
 
Aspetta… aspetta un attimo, pensò.
 Quella… canzone.
 Si voltò.
 “Orli… ”.
 Gli occhi di Viggo percorsero lentamente i contorni della piccola finestra, dalla quale la luce surreale del paesaggio invernale pareva entrare ancor più luminosa di quando si era addormentato. La neve, continuando a scendere piano oltre il vetro trasparente, attraversava l’aria creando un effetto quasi magico, rilassante, da sequenza di film al rallentatore.
 E proprio lì, tra un fiocco e l’altro, il profilo scuro di un viso maschile si stagliava, netto, contro quel chiarore perlaceo.
 “Non… volevo svegliarti”.
 Orlando mormorò quelle tre parole con una dolcezza infinita. Fece un lungo silenzio, quindi mosse la testa.
 L’uomo sussultò. Era certo che il ragazzo lo stesse guardando, ma la sua posizione non gli permetteva di riuscire a distinguere alcun lineamento. Oltretutto, aveva ancora la vista offuscata dal sonno…
 “… quando… quando sei arrivato?”.
 La voce gli tremava. Dio, non stava sognando…
 Orli… era lì. Quello era lui. Il suo Orli. Era venuto.
 “Solo pochi minuti fa. Cioè… venti minuti fa. Gli altri… mi hanno visto arrivare dalla finestra”.
 Vig fece leva sul materasso con le braccia per sollevarsi un po’ e sedersi sul bordo del letto.
 Doveva… doveva calmarsi. Calmarsi.
 “Oh… allora, è per questo che… non mi sono svegliato. Non hai suonato”.
 “Già, non ho suonato”.
 “Già”.
 Silenzio. Un leggero cigolio del letto.
 “Io… ecco, non volevo addormentarmi”. Viggo si schiarì la voce. “Credevo… saresti arrivato prima, e allora ero giù con gli altri ad aspettarti, ma poi ritardavi, e ho iniziato a preoccuparmi, quindi son salito qui sopra e poi ho parlato con Elijah che mi ha detto di cercare di rilassarmi, ma io non potevo e ho pensato che non saresti più venuto così sono… ”.
 Riprese fiato. Non ricordava di aver mai detto nulla di tanto lungo così velocemente in tutta la sua vita. In effetti non diceva spesso tutte quelle parole senza fare pause di almeno tre secondi tra l’una e l’altra, e gli innumerevoli giornalisti che l’avevano intervistato in tutti quegli anni lo sapevano fin troppo bene.
 “Scusa. Io… sono soltanto… ”.
 Non terminò la frase. E non seppe dire perché la lasciò lì così, a metà. Forse non aveva una definizione adatta. O forse ne aveva troppe. Sospirò.
 Orlando, però, fece una piccola risata. Il suo contorno si inclinò leggermente, e quando, finalmente, si spostò dalla finestra Viggo capì che era rimasto seduto su un piccolo sgabello per tutto il tempo.
 “Hai riconosciuto la musica, scommetto”.
 Il ragazzo fece qualche passo nella stanza, e Viggo fu in grado di vederlo meglio. Sembrava aver ancora su una giacca a vento sui toni del blu, slacciata, con sotto forse un maglione a collo alto (quello della foto sbavosa di gruppooo! :P ndA). Ai piedi aveva degli anfibi adatti alla montagna, e un paio di normali jeans scuri.
 “Come avrei potuto non farlo. Quella maledetta musichina… ”, rispose allora l’uomo con una risata sommessa. “Lo scorso Natale l’abbiamo sentita praticamente tutte le sere. Ma proprio in camera da letto dovevi metterlo, quell’albero?”.
 Orlando si fermò, nascondendo le mani nelle tasche e dondolandosi sulle gambe. Rise.
 “Ah, ma pensa. Prima me lo regali e poi hai il coraggio di lamentarti se lo metto come colonna sonora alle nostre notti di passione?”.
 “Non è questo. E’ che mi deconcentrava… ”.
 “Mh, davvero? E da cosa?”.
 Orli rise ancora. Una delle sue soliti risate, schiette e sincere. Sfacciate, vere, bellissime.
 Sembrava… tutto come prima. Esattamente come prima. Come se LA non ci fosse mai stata.
 “Non mi sei mai sembrato particolarmente deconcentrato, a dire il vero… ”, proseguì con tono leggermente malizioso l’interprete di Legolas. “… e comunque… quest’anno Liv mi aveva chiesto di portare un piccolo albero, se ci riuscivo. All’aeroporto di LA non ne ho trovato nessuno di trasportabile e già addobbato, così ho deciso di passare prima da casa. Tanto il primo volo per Toronto l’avevo già perso comunque… ”.
 L’attore danese rimase in silenzio. Aveva avuto come l’impressione che Orli volesse continuare la frase, ma che poi si fosse, inspiegabilmente, bloccato. Deglutì.
 “Perché… hai tardato così tanto?”.
 Il silenziò tornò a dominare nella mansarda per qualche secondo, ma ad un certo punto il ragazzo, lentamente, abbassò gli occhi sull’ombra del telaio della finestra, proiettata sul pavimento. Era lontano ancora un paio di metri da Viggo e, quando tornò a guardarlo, gli si avvicinò di qualche passo.
 Orlando aveva temuto quella domanda, sapendo però anche che, prima o poi, sarebbe arrivata.
 “Sono stato… in ospedale. Fino a questa mattina”.
 Lo disse piano, forse per cercare di non allarmare l’uomo. Ma quest’ultimo, a quelle parole, venne attraversato da un brivido. Di paura.
 “Co… come?”.
 “Non vi ho chiamato per non farvi preoccupare”, riprese immediatamente l’attore inglese, guardando con apprensione gli occhi chiari e sconvolti dell’amico. “Non è stato nulla di grave. Solo un… crollo nervoso, mi hanno detto i medici. Dovuto allo stress. Io volevo ripartire subito, ma Robin ha insistito perché restassi per fare almeno qualche controllo”.
 Viggo aveva lottato contro l’impulso di alzarsi dal letto per raggiungere Orlando più volte, ma in quel preciso momento credette di non poter resistere oltre. Fece allora per muoversi, ma la voce del ragazzo lo fermò.
 “Aspetta. Ancora… non ho finito”.
 Il giovane attore sospirò, per poi sorridere, e sospirare nuovamente.
 “Sai… per tutto il tempo, su quel maledetto aereo, ho creduto fino alla fine che non sarei venuto qui, stasera. Perché… non potevo rivederti. Non sapevo come sarei riuscito a guardarti di nuovo in faccia… ”.
 L’uomo scosse la testa.
 “Orlando… ”.
 “Ma poi… ”. Il ragazzo avanzò di un altro passo. “… quando sulla scaletta la testa ha iniziato a girarmi, un attimo prima di non vedere più nulla… ho pensato a te. A quanto saresti stato male. E al Natale orribile che avremmo passato tutti e due”.
 Si sfilò la giacca, appoggiandola sulla spalliera del letto con un gesto quasi delicato. L’uomo si volse piano per seguire i suoi movimenti, e quando entrambi spostarono gli occhi dal tessuto chiaro i loro sguardi si incrociarono.
 “Io… ”, sussurrò Orli oltrepassando l’angolo del letto. “… non sono mai stato peggio come in queste ultime settimane. Da quel giorno a LA. Guardavo ogni mattina il sole sorgere sul mare dei Carabi, e nonostante avessi davanti a me uno dei più bei spettacoli del mondo non provavo nulla. Perché… tu non c’eri. Recitare era diventato difficile… fare qualunque cosa era diventato difficile, se non impossibile. E quando mi sono risvegliato nel letto di quel pronto soccorso, con una flebo attaccata al braccio, ho capito che non era stato solo il lavoro a ridurmi così”.
 Socchiuse le palpebre. Avvicinò una mano al viso di Viggo, sfiorando le sue guance insolitamente prive di barba.
 “Mi mancavi… ”, mormorò, accarezzandogli gli zigomi con le dita. “… mi mancavi da morire. Eri l’unica cosa che mi aveva realmente sostenuto in tutti questi anni, e non me n’ero voluto rendere conto. A LA, forse, ho avuto soltanto paura di diventare davvero felice. Troppo felice. Non eri tu a farmi stare male, ma tutto quello che mi stava intorno”.
 I respiri dell’uomo si fecero più veloci. Sentì le proprie braccia spostarsi... le proprie mani posarsi sui fianchi del ragazzo, quindi scorrere sulla sua schiena.
 “Non so cosa dire… ”, sussurrò poi, gli occhi fissi in quelli, lucidi, dell’altro. “Non so… cosa dire… ”, ripeté ancora.
 Orli incurvò le labbra, e fece una piccola risata.
 “Non c’è bisogno di parlare, mio Re. Ricordi? Sono un Elfo… posso leggere ogni pensiero nella tua mente. Anche quello che non riesci a dire… ”.
 Si chinò. Alzò il viso di Viggo, attirandolo a sé e, delicatamente, lo baciò.
 L’attore danese assaporò ancora incredulo le labbra del ragazzo, ma d’un tratto prese a stringere il suo corpo con possessività, costringendo Orlando a sedersi sulle proprie gambe divaricate. Questi, allora, si aggrappò al compagno ridendo. Perse l’equilibrio, e sia lui che Viggo si ritrovarono in un attimo con la schiena sul materasso, i corpi vicini scossi dalle risate.
 “Mhh, il solito impetuoso… ”.
 Il ragazzo circondò il torace dell’uomo con un braccio, coprendo in parte il suo corpo con il proprio peso. L’interprete di Aragorn, allora, sollevò leggermente la testa dal cuscino per girarla di poco.
 “Sono un Mortale, principe… ” disse, accarezzando i capelli del ragazzo. “… e siamo sempre impetuosi con chi amiamo. Ma dimmi… ”. Sorrise. “… cos’hai letto nella mia testa?”.
 L’altro si avvicinò di più al viso del compagno.
 “Tante cose… ”. Posò nuovamente le labbra sulle sue. “Ma di una puoi essere sicuro, tra quelle che stai pensando…”.
 Si staccò.
 “… che anch’io ti amo. Ti amo, Vig. E non mi importa più della gente, delle chiacchiere dei media, di quante volte riusciremo a vederci nei prossimi mesi. Mi basta non dover rinunciare a te. Non… potrei resistere”.
 L’uomo rimase ad osservare le labbra del ragazzo per poi, con un tocco lieve, lambirgliele con le proprie. Gli tornarono in mente le parole di Elijah e, dentro di sé, rise. Dom e io ci faremo presto una chiacchierata, pensò. Una lunga chiacchierata…
 Ripuntò gli occhi in quelli di Orli, mostrandogli un sorriso interrogativo.
 “E Robin?”.
 L’attore inglese, nel risentire quel nome, ridacchiò.
 “L’ho mandata a fottersi. Direi che come scambio di auguri non potevamo farcene uno migliore”. Tornò sullo sguardo divertito dell’uomo, e dopo esser scoppiato in un’altra risata, proseguì. “All’ospedale ha continuato a dirmi per tutto il tempo che dovevo smettere di continuare ad usare tutti i miei momenti liberi per vedere voi. Per vedere te. Ripeteva che adesso dovevo solo pensare agli altri film, e che se ero stressato era certamente a causa tua. Che non dovevo nemmeno venire qui. E poi… beh, quando è tornata a parlare delle nostre foto di LA non ci ho visto più… ”.
 Fece una pausa, cercando invano di restar serio.
 “Le ho… dato un pugno”.
 Viggo sgranò gli occhi.
 “Tu le hai… ”.
 “Se lo meritava”, riprese Orlando con una certa soddisfazione. “Quando si è rialzata ha iniziato ad insultarmi, ma i medici l’hanno trascinata via prima che potesse finire… ”.
 L’uomo si coprì la fronte con una mano, e alzando gli occhi al soffitto scosse piano la testa.
 “Sei incredibile… ”.
 Tornò a guardare il ragazzo.
 “… ma hai fatto bene. La detestavo… mhh, diciamo... cordialmente anch’io”.
 “Non avevo dubbi. E per farla incazzare ancora di più ho deciso di fare anche un’altra cosa”.
 L’altro attore lo fissò con curiosità.
 “Cioè?”.
 Orli abbassò un attimo le ciglia. Le risollevò.
 “Prendermi una lunga… lunghissima vacanza. L’avevo già detto a dei giornalisti, in un’intervista di qualche giorno fa, senza che lei lo sapesse… ma allora era soltanto un’idea. Adesso ne sono convinto. Voglio andarmene, il prossimo anno, per staccare da tutto. Non so dove, non so quando, ma lo farò. E voglio che con me ci sia tu. Tu soltanto”.
 Viggo sorrise. Circondò il viso di Orlando con le mani, saggiandone più volte i contorni, e lui richiuse gli occhi.
 “Allora… lo sarà davvero, a quanto pare”, mormorò l’uomo, piano.
 Il ragazzo tornò a guardarlo con gli angoli della bocca sollevati.
 “Che cosa?”.
 “Un altro… anno fortunato. Perché lo sarà di sicuro, con delle premesse del genere”.
 L’altro non disse nulla, ma rimase ad osservare Viggo, dolcemente. Le ombre dei fiocchi di neve che, ancora, seguitavano a scendere oltre il vetro coprivano i luminosi occhi castani di Orlando a tratti, lente, per poi scorrere sulla sua pelle e infine scomparire arrivate oltre al collo grigio del maglione. L’uomo lo contemplò a lungo, illuminato da quella luce pallida. Lo guardò come mai l’aveva guardato, in tutti quegli anni, rendendosi improvvisamente conto di essere capace di amarlo ancora più di quanto avesse fatto fino a quel momento. E avrebbe avuto una vita intera per dimostrarglielo. Una vita intera. Molto, infinitamente di più di quanto avesse mai osato sperare…
 “A cosa stai pensando?”.
 La voce di Orli risuonò nelle sue orecchie, e Viggo si scosse, sbattendo gli occhi piano. Affondò le dita nei folti capelli del ragazzo un’ultima volta, poi allungò le labbra in una linea morbida.
 “Che… giù ci stanno aspettando. Credo sia meglio scendere… anche perché non vorrei che Sean iniziasse a fare battute maliziose sul nostro ritardo. Ian e Dom lo seguirebbero a ruota… ”.
 Orlando si mise in ginocchio sul letto, liberando il compagno dal suo abbraccio.
 “Mhh di sicuro. E poi Karl sarà ormai impaziente di stappare i suoi amati vini… il mio ritardo è stato un’attesa davvero logorante per lui!”.
 Si sollevarono dal materasso ridendo. Raggiunsero la porta stretti l’uno all’altro, e nel momento in cui la aprirono le note e le parole di White Christmas si diffusero nella mansarda, per un attimo, più alte e nitide.
 Oltrepassarono la soglia, ma Viggo esitò un istante prima di seguire Orlando giù per le scale. Prima infatti di richiudere la porta alle proprie spalle abbracciò la stanza con un ultimo sguardo, ed arrivato alla sagoma triangolare della finestra sorrise ancora una volta.
 Socchiuse le labbra, e dalla sua bocca uscirono, sussurrate, due sole parole.
 “Buon Natale… ”.
 
 Sulle Rocky Mountains, quella notte, sarebbe caduta più neve che in qualunque altro giorno dell’anno.
 
E di quelli futuri.
 
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 ... I'm dreaming of a white Christmas,
 just like the ones I used to know.
 may your days be merry and bright,
 and may all your Christmases be white.
 

 
-
 
 The End
 

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 Ed è finitaaaaaa!! ;)
 E’ una fic un po’ strana da una parte… mentre dall’altra è fin troppo prevedibile ^^; comunque spero vi sia piaciuta almeno un pochino… l’ho scritta in tre sere, dominata da un *vivo* spirito natalizio + da una ancor più *viva* follia per le recenti news e foto uscite sui nostri colombelli dalle varie premiere di TROTK in questo dicembre *_* l’idea per la storia mi è venuta così, una notte… e ho preso immediatamente a scrivere… anche perché volevo finirla in tempo per potervela mandare & dedicare questo Natale. Certe volte mi sembra di non fare abbastanza per voi, nel senso che nonostante il sito e tutto son sempre di fretta, stanca, di corsa… e poi vi sgrido sempre per KB sforati eccetera e magari avete iniziato pure ad odiarmi hihi ^,^; con questa ficchina spero quindi di farmi un po’ anche perdonare :P (guarda che non serve… -_- ndTutti) (nuuu dai non fate cussì ;_; ndLeia)
 Che dire… ovviamente mi son inventata tutto di sana pianta (ehehe… forse… *_*), e riguardo a tutte le info messe… mhhh io spero siano giuste ^^; (anche se naturalmente è molto improbabile che verso il 22/12 siano sul serio tutti in Canada :P e vabbè è una fic *_*;) … cmq grazie a chi mi ha dato tutte le dritte del caso :P siete degli angeli :* ahhhhhh soprattutto per la manager di Orlando... mi perdoni signora se è in ascoltoooo ^^;; (o signorina??) Non ho idea di come sia questa tizia, non so se sia odiosa o no... ma mi serviva per la storia ^.^; e per il pugno... ari-soooooorry >.< molto poco "da Orlando", credo... penso che anche se questa Robin fosse sul serio la manager più insopportabile del mondo Orli non la sfiorerebbe nemmeno con un dito! (ehh lui è un uomo perbene ^o^ le donne non le picchia :P). E' che all'inizio pensavo fosse un uomo... solo quando ormai avevo già finito la fic ho scoperto che era una lei ^^;;; (a dire il vero lo sapevo già da prima... ma naturalmente non me lo ricordavo... -.-;)
 Infine una piccola nota finale… io son parecchio fissata sulla canzone White Cristhmas. L’ho infatti inserita anche in un altro racconto che ho scritto anni fa e ambientato sempre a Natale… ma sorry, non riesco proprio a variare :P immagino perché son veramente affezionata a quella canzone… credo che rappresenti in modo esemplare il Natale, ed il suo spirito ^.^ inoltre ho tanti ricordi di atmosfere belle e “calde” legate a questa song…
 
 Ooook ok concludo…^o^ che forse è meglio… come sempre mi dilungo un casino…
 Un bacione alla ML migliore del mondo… vi voglio bene gente!! ^.^ augurissimi per uno splendido Natale e… per un anno fortunato!! ^__- questa fic è il mio regalo per voi ^-^ (Se’, dimmi che non ti voglio bene!!! ;PPPP).

 

*Ele aka Leia*