.|. Passato & Presente .|.
by
Legolas
Dal passato di Elrond emerge una triste
realtà fatta di amore e sogni infranti che servirà ad indicare la giusta
via da percorrere a Legolas, finalmente pronto a svelare il suo amore ad
Aragorn, proprio alla vigilia del suo matrimonio con Arwen...
Drammatico/Sentimentale | Slash | Rating
PG - 13 | One Piece
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Tre anelli per i re degli
elfi… Ormai ascolto queste parole da millenni, è adesso giunto il
momento che io dica la mia su tutto quello che è successo, finalmente, dal
mio volontario esilio oltre il mare potrò dire che cosa ho visto durante
le ere in cui ho abitato la Terra di Mezzo, è giunto anche il momento che
dica ciò che accadde dopo la Guerra dell'Anello, narrerò finalmente ciò
che è sempre stato nascosto per paura della verità
Il giorno in cui
Aragorn, figlio di Arathorn, trentottesimo discendente di Isildur fu
incoronato re di Gondor e di Arnor, ricevendo la corona da Gandalf il
Bianco bene quel giorno, che per tutti rappresentò l'inizio dell'era degli
uomini, era in cui né Elfi né Stregoni avrebbero più abitato la Terra di
Mezzo, per me, Legolas Verdefoglia, erede di Thranduil di Bosco Atro,
cominciò una nuova vita vissuta in maniera raminga in terre in cui gli
Eldalie non avevano mai messo piede prima e dove probabilmente non
giungeranno dopo di me. Avrei dovuto lasciare la mia terra insieme a
tutto il mio popolo, ma non fu ciò che accadde. Quella notte successe
qualcosa che cambiò drasticamente la mia vita e quella del nuovo signore
di Gondor. La mattina seguente avrebbe dovuto unirsi in matrimonio a
Dama Arwen, figlia di Elrond, mio signore ed amico. Il matrimonio però
non ebbe luogo, ma non voglio correre troppo, rischierei di fare ancora
più confusione quando il mio unico scopo è quello di fare finalmente
chiarezza su ciò che è accaduto realmente.
Era ormai il crepuscolo,
e le stelle, a noi Eldalie care più di ogni altra cosa avevano finalmente
mostrato il loro volto leggiadro quando impossibilitato a dormire mi
decisi a fare una passeggiata nei giardini della reggia di Gondor,
purtroppo le piante portavano evidenti i segni degli stenti patiti per
lunghi anni a causa della minaccia ora sopita e ora scoperta dell'Oscuro
Signore, ma non per questo erano meno belle o ammalianti. I miei passi
non producevano alcun rumore calpestando la morbida erba dei prati, ma il
mio cuore tornava con rimpianto e nostalgia a Gran Burrone le cui bianche
costruzioni non erano state toccate dalla distruzione di Mordor, e
soprattutto a Bosco Atro, la mia patria, la mia terra, i suoi alberi
tornarono prepotenti a mostrarsi nella mia mente, i suoi odori, i suoi
ruscelli, tutto adesso era lontano, tanto, troppo; fu in questo stato,
completamente perso nei miei pensieri che mi trovò Aragorn, il mio amico,
mio fratello e mio…
"Principe di Bosco Atro che cosa state
facendo?" Il suo tono era scherzoso, come sempre del resto, lo era
stato anche in alcuni momenti del viaggio che avevamo affrontato insieme
prima come Compagnia dell'Anello e poi in compagnia di Gimli come ultimi
rimasti in grado di poter salvare Merry e Pipino. Ma questa volta la
sua allegria non trovò il mio favore, troppo grosso il carico che gravava
sulle mie spalle, più peso anche dell'Anello che Frodo aveva dovuto
portare fino al Monte Fato. Solo allora lui si rese conto di quello che
stava accadendo, una cosa che ben pochi uomini possono vantarsi di aver
visto. Stavo piangendo, per la prima volta nella mia lunga vita lacrime
stavano uscendo dai miei occhi. Io che avevo visto morire i miei più
cari amici, che avevo visto cadere milioni della mia razza senza mai
abbandonarmi alle lacrime, adesso mi stavo lasciando vedere debole e
indifeso da un uomo, non mi importava se fosse un mio amico da vecchissima
data, e ben altro per me, ma questo allora non lo avrei mai ammesso.
Mi voltai come se la sua sola presenza rappresentasse per me motivo di
fastidio e mi diressi velocemente verso i miei alloggi; non ho visto la
sua espressione in quel momento, ma conoscendolo credo che sia rimasto
sconvolto e la sua espressione deve essere stata simile a quella che
avrebbe fatto se avesse visto Sauron in persona tornare dai confini del
mondo rivestito da spoglie umane. Sulla via del ritorno mi imbattei in
Elrond, non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, temevo che i miei
avrebbero potuto rivelargli ciò che tutto il mio essere stava cercando di
negare, ma scoprii a mie spese che la sua conoscenza andava ben oltre il
limite che io stesso potevo immaginare.
"Non puoi scappare ai tuoi
sentimenti, se lo fai mio giovane amico, non ti sarà perdonato. Tu hai la
possibilità di rivelare il tuo amore prima che sia troppo
tardi!" Impallidii, ne sono certo; quelle parole mi colpirono con tanta
violenza che non fui in grado di pronunciare parola. "Adesso seguimi
nelle mie stanze, credo che dovremo parlare a lungo!" Lo seguii come un
cagnolino, ero completamente svuotato, il petto mi faceva male, mi
sembrava di impazzire, mai in tutta la mia vita avevo provato un dolore
più grande di quello causatomi dal pensare allo sposalizio del giorno
segue, eppure ero stato ferito, e anche gravemente. Le sue stanze erano
inondate dalla luce della luna, e lui splendeva più che mai in quel
panorama quasi irreale, sembrava un quadro vivente, fatto dalle mani
esperte dei nostri migliori artigiani, ma in quella pace la sua tristezza
risaltava con molta più chiarezza; vederlo così avrebbe fatto star male
chiunque, anche l'essere più insensibile della terra; lui, Elrond, signore
di Gran Burrone, uno degli elfi più anziani e sapienti, era il più triste
tra tutte le creature di Arda. "Ci sono cose che nessuno sa, cose
accadute durante la seconda era, e che adesso tu conoscerai, ma se sto per
parlare è solo perché conosco la sofferenza che deriverebbe a te e a
Aragorn se io adesso vi premettessi di perdere il vero amore." Non
riuscivo a capirlo, ma seppi con certezza che quello che voleva dire non
era legato alla madre dei suoi figli. Quando si sedette sul suo scranno e
un raggio di luna illuminò il suo volto per intero, mettendone in luce il
contorno degli occhi potei vedere chiaramente tutto il dolore che portava
dentro di sé anche se solo per un istante. "Siediti e ascolta
Verdefoglia, le parole che udrai adesso dovranno essere conservate infondo
al tuo cuore e mai rivelate." Non avevo mai visto Elrond in quello
stato, sembrava che ormai il peso del suo segreto lo avesse piegato a tal
punto da essere simile ai miei occhi agli alberi millenario della mia
terra. Annuii e liberai la mente da tutti i pensieri che la stavano
affollando per far posto a quello che presto avrei udito, ma niente nella
mia vita mi aveva preparato a quello che stava per accadere. "Sono
certo che tu abbia sentito parlare di Isildur, bene, adesso saprai cose
della sua vita, della nostra vita che per millenni sono state nascoste;
neppure i suoi familiari, sua moglie e i suoi figli hanno mai saputo
perché il loro caro, dopo essere entrato in possesso dell'Unico Anello
cambiò così radicalmente abbandonando la casa dei suoi avi e trasferendosi
nella torre di Minas Thirit. Quella torre che ai giorni nostri appare
bella e splendente nasconde un segreto, le sue segrete sono uguali a
quelle che si trovano in Minas Morgul, la Torre della Stregoneria. Luoghi
di tormento e di tortura, luoghi che mai hanno visto e vedranno la luce
del sole…" Il suo sguardo si fa ancora più triste, il suo dolore sta
finalmente uscendo, come un fiume in tempesta abbandona il suo letto anche
esso sta finalmente abbandonando il luogo dove è stato prigionieri fin
troppo a lungo. "Io e Isildur ci amavamo, probabilmente dal primo
momento in cui i nostri sguardi si sono incontrati. Io ero l'araldo di
Gil-Galad, Sommo Re dei Noldor nell'ultima alleanza tra Uomini ed Elfi,
ero stato inviato a Gondor dal mio signore per prendere accordi su come i
due eserciti si sarebbero mossi, e in quella città io vidi per la prima
volta il giovane principe. Non pensavo che un essere umano potesse
provocare in me le sensazioni che il solo vedere Isildur per pochi istanti
mi aveva provocato. All'inizio pensai che fosse dovuto al fatto che lui
discendeva anche se indirettamente, dal Re di Numenor, che a sua volta era
il 22 discendente di Elros, mio fratello, che scelse la vita dei
secondogeniti di Ilùvatar, ma mi resi ben presto conto che il mio era solo
stato un tentativo di mentire a me stesso. Il tempo passava, e io mi
innamoravo ogni istante di più della spensieratezza e della voglia di
vivere di quel ragazzo che era stato costretto a fuggire ancora fanciullo
dalla terra dei suoi avi che troppo facilmente si erano lasciati sedurre
dalle parole di Sauron l'Ingannatore, ma mai osavo avvicinarmi a lui, fu
lui infatti che fece il primo passo, una sera, durante una festa fece in
modo di rimanere solo con me, mi seguì in un angolo remoto del giardino
della sua casa, un luogo splendido dove io ero solito isolarmi e ricordare
la patria che stavo fondando e che per troppo tempo avevo lasciato senza
un signore."
Lo vedevo mentre si stava allontanando da me, è una
cosa che succede sempre a noi elfi quando parliamo di qualcosa che ci ha
toccati profondamente, e niente è più profondo dell'amore; la prova che ci
attende sta diventando sempre più complessa, lui dovrà rivivere dei
momenti di grande dolore e io dovrò riuscire a seguirlo e a riportarlo
indietro…
"Sembrate molto assorto nei vostri pensieri!" "Lo
sono, la guerra è alle porte ormai, e io temo per la mia gente!" "Se
voi temete per i vostri, che cosa dovremmo dire noi? Noi uomini mortali
non dovremmo forse temere la guerra più di voi Eldalie?" "Se temete la
guerra a causa della caducità della vostra vita, allora perché siete
sempre voi a provocarle? Se davvero temete questo flagello perché avete
prestato orecchie alle parole dell'Ingannatore?" Elrond aveva
pronunciato quelle parole senza distogliere lo sguardo da un punto ben
definito del cielo, stava cercando suo padre, lo stesso genitore che si
era tramutato nella stella più brillante e importante per tutti gli
Eldalie. Per molto tempo tra i due interlocutori calò il silenzio,
sembrava che Isildur non sapesse che cosa rispondere alle parole
dell'elfo. "Avete ragione, ma volevo vedere con i miei occhi come un
elfo, senza alzare la voce o sollevare la spada potesse mettere a tacere
un insistente interlocutore!" "La risposta alla vostra curiosità è in
una parola che voi stesso avete detto; io sono un Eldar, mentre voi avete
portato come esempio il comportamento che nella mia stessa situazione
avrebbe tenuto un uomo." "Voi non amate gli uomini dico bene?" "Ti
sbagli, ma fra un uomo e la mia razza io preferisco la mia razza!" "Non
avete risposto alla domanda!" "Io amo gli uomini come amo tutte le
creature che vivono nella Terra di Mezzo, ma per quel che mi riguarda non
sono certo le più amate!" "Che cosa di noi vi dà tanta noia?" "La
vostra sete di potere, il vostro inusitato amore per il denaro e per i
gioielli, anche per quelli che non vi appartengono e non vi potranno mai
appartenere, e soprattutto il fatto che siete terribilmente cocciuti, se
ci avesse dato retta prima, se non aveste rimandato indietro i messi che
Gil-Galad vi aveva inviato, e li aveste ascoltati mentre tentavano di
mettevi in guardia dalle trame di Sauron adesso la guerra non minaccerebbe
entrambe le razze." Non riusciva a spiegarsi perché fosse così duro con
colui che ormai gli aveva rubato il cuore, forse proprio per allontanarlo
da sé, per evitare di continuare a pensare a lui tutto il giorno, e tutta
la notte, ma più lui cercava un modo per allontanarlo, più Isildur gli si
avvicinava, attratto, innamorato. "Va bene, ma anche voi elfi, se non
mi sbaglio, avete per primi innescato una serie di catastrofi e di
maledizioni solo per il possesso dei Silmar!" "Avete perfettamente
ragione, ma i Silmar erano nostri, fatti da Feanor in persona, mentre ciò
che voi uomini desiderate, come le vita eterna per esempio, non vi
appartengono!" "La vita eterna non ci appartiene, ma perché voi e non
noi?" "Perché la morte era stata vista di Ilùvatar come una ricompensa
per voi, non certo come un castigo; vi è diventata insopportabile solo
perché i vostri cuori sono stati corrotti. Voi non avete la più pallida
idea di che cosa voglia dire vivere in eterno, portare il peso di guerre e
dolori innumerevoli, non poter mai ambire al riposo eterno!" Nuovamente
cadde il silenzio, non era facile per un giovane uomo capire le ultime
parole di un elfo. "Vostro fratello però scelse la vita
mortale…" Elrond si girò verso di lui come una furia, non permetteva a
nessuno di parlare di suo fratello in sua presenza, troppo grande era
stato per lui il dolore della sua perdita. Si allontanò senza
commentare, evitando tutti i luoghi in cui poteva incontrare qualcuno dei
partecipanti alla grande festa, e si diresse al luogo dove erano le sue
stanze. Da lì a poco sarebbe partito per tornare al suo regno e al suo
signore, avrebbe rivisto Isildur solo sul campo di battaglia, e lì non ci
sarebbe certo stato tempo per cominciare qualcosa come una conversazione
un po' particolare. Ancora poco e sarebbe stato salvo da quello che
percepiva essere l'evento più bello della sua vita ma anche il più
tragico. Era disteso sul letto, la luce della luna entrava dalle
finestre aperte, e lui stava cercando disperatamente di riposare e
ignorare le sensazioni che gli stavano affollando il cuore e la
mente. La porta si aprì lentamente, cigolando, Elrond non poté fare a
meno di voltare la testa, ma sapeva che cosa o meglio chi avrebbe visto.
"Che cosa ci fate voi qui?" "Cerco delle risposte!" "Minas
Thirit è il posto dove si possono trovare tutte le risposte!" "Non
quella che cerco io, non credo sia contenuta in uno dei volumi della
grande biblioteca!" "Che cosa volte sapere dunque?" "Vi siete
innamorato di me?" Perché era così schietto? Non si sarebbe mai
immaginato quelle parole sulle labbra di un giovane elfo. "Non credo
che la risposta a questa domanda debba essere data!" "Io invece credo
proprio di sì giacché è una cosa che mi riguarda!" "Siete tenace mio
giovane principe, ma non sapete quando è il momento di fermarvi!" "E
voi non sapete quando invece è il momento di lasciarsi andare!" "Un
guerriero, mio giovane uomo, non si lascia mai andare, perché è allora che
il nemico è più libero di colpire!" "Voi vedete nemici ovunque, ma qui
non ve ne sono!" Si stava avvicinando lentamente al letto, con passo
sinuoso e letale, era paragonabile a una pantera che ha puntato la preda,
e che certo non ha la minima intenzione di lasciarla andare. "Ne siete
certo? Siete sicuro che qui non ci siano
nemici?" "Certissimo!" Elrond si mise seduto, con le spalle
appoggiate ai cuscini, la veste da camera che stava indossando era scesa
su una spalla, lasciando scoperta la parte destra del petto fino al
capezzolo. "Ed è qui che sbagliate, se tra noi due stasera succedesse
qualcosa, qualunque cosa, vostro padre monterebbe su tutte le furie e per
vendetta negherebbe il suo aiuto a la sua alleanza, e voi dite che non ci
sono nemici?" "Continuo a ribadire che non ve ne sono e non ve ne
saranno mai, mio padre sa che questa è la mia vita, e che lui non deve in
alcun modo intromettersi!" "Il nemico è la nostra stessa
debolezza!" Isildur si fermò titubante, tutta la sicurezza che aveva
dimostrato fino a quel momento era scomparsa. "Adesso vi prego di
uscire da questa stanza e di dimenticare quello che è accaduto!" Detto
questo Elrond si girò e fece finta di voler riposare, ma sapeva che non
sarebbe riuscito a non pensare a quello che sarebbe potuto accedere tra
loro se solo si fosse veramente lasciato condurre solo dai suoi
istinti. Isildur intanto era alla porta e se ne stava per andare quando
improvvisamente si fermò e guardò per l'ultima volta in direzione del
grande letto. "Noi ci rivedremo mio splendido Sire elfico, e allora
niente mi impedirà di avere o prendere da voi ciò che oggi non avete
voluto concedermi!" Elrond si girò di scatto verso la porta, ma Isildur
era già sparito chiudendosela alle spalle; l'angoscia colse Elrond, aveva
sentito quelle parole pronunciate da due voci diverse, una era quella del
giovane principe, ma l'altra era quella di Sauron. Era tornato da
Gil-Galad, ma non era più stato lo stesso, era diventato ancora più
taciturno e scostante, e spesso si era recato alla tomba di suo
fratello. Rimaneva lì per ore, come se stesse aspettando qualcosa, fu
così che una volta il Re Supremo lo trovò; Celeborn e Dama Galadriel erano
arrivati con gli uomini da Lothlorien e voleva che anche Elrond fosse
presente agli ultimi preparativi prima dell'inizio della guerra. "Ben
trovato Mastro Elrond, come state?" La voce di Dama Galadriel era
sempre stata profonda e dolce, ma quella volta neppure lei aveva il potere
di arrivare nel luogo dove Elrond era solito rifugiarsi in quell'ultimo
periodo. "Mia sposa, credo che Mastro Elrond non abbia molta intenzione
di parlare, e non sarò certo io a violare i suoi segreti, deve solo saper
che in me Celeborn del Doriath, Signore di Lothlorien, ha un amico
fidato." Celeborn non amava parlare molto, ma quando lo faceva le sue
parole non ammettevano repliche. Elrond in cuor suo fu grato a quel re
della sua gentilezza, ma dalle sue labbra non uscì neppure un suono. Il
tempo passava, e la tempesta non era ancora scoppiata anche se grande nubi
si ammassavano a Est, in direzione di Mordor. Tutto avvenne in
brevissimo tempo, oltre agli uomini e agli Elfi nessuna delle creature
della Terra di Mezzo era rimasta, tutti erano fuggiti o si erano nascosti
nelle loro tane e caverne, come i nani ad esempio; le truppe di Sauron
erano uscite dalla sua fortezza, i Nazgul in persona erano pronti a
guidare l'assalto, e fu in questo scenario apocalittico, che l'ultima
alleanza tra uomini ed Elfi calcò finalmente la polvere di Mordor, terra
inospitale e avvelenata dalla presenza di essere più antichi e crudeli
degli orchi. La battaglia fu dura, molti persero la vita, e proprio
mentre le ultime speranze stavano per svanire successe qualcosa di
inaspettato e terribile, qualcuno, un uomo, Isildur riuscì a tagliare il
dito dell'Oscuro Signore, lo stesso dito che portava l'Anello del Potere.
In pochi istanti tutto finì, sul campo rimasero solo i cadaveri dei
vinti e dei vincitori, ma le creature che erano ancora in vita non mossero
attacchi, troppo terrorizzate per farlo dalla scomparsa del loro signore,
fu in quel momento che Elrond si avvicinò a Isildur e gli ordinò di
seguirlo, dopo poco giunsero alle pendici del Monte Fato, e lì il destino
degli uomini si compì definitivamente; Isildur si rifiutò di distruggere
l'Anello, era bastato così poco a quello stupido gingillo per corrompere
il cuore di uno degli uomini più forti della discendenza di Numenor. Le
due razze si divisero, adesso dovevano seppellire e piangere i loro morti,
forse in seguito si sarebbero riviste. I Noldor, che avevano ormai
perso il loro Re e le motivazioni che da sempre li avevano tenuti staccati
dalle altre tribù di Elfi, riconobbero in Elrond il loro nuovo sovrano, e
insieme alla sua gente si stabilirono a Imladris. La guerra non era
ancora conclusa definitivamente, bande di archetti e creature del male
erano state avvistate in molti luoghi; Elrond e Celeborn erano soliti
cavalcare sui loro destrieri per tenere sotto controllo la situazione, ma
questo purtroppo distoglieva la loro attenzione dal curare i feriti. Fu
durante una di queste cavalcate, per una volta svolta in completa
solitudine, che Elrond venne circondato da dei cavalieri e costretto con
la forza a seguirli; stava per compiersi il suo destino. La strada fu
lunga, i territori che oltrepassarono portavano tutti, chi più chi meno i
segni della guerra appena finita, nessuno aveva ancora aperto bocca, forse
perché nessuno sapeva in effetti che cosa dire.
Fu Elrond il primo
a parlare. "Posso almeno sapere per ordine di chi sono stato strappato
nuovamente al mio popolo?" "Tu sei solo un prigioniero, non ti dobbiamo
la minima spiegazione!" Il cavaliere che aveva parlato si era dovuto
girare per guardarlo negli occhi, e fu così che Elrond vide quello che già
sapeva, un emblema, l'emblema della discendenza di Numenor. Dopo circa
due giorni da quell'episodio arrivarono in vista di Minas Tirith, e fu
allora che uno degli uomini che dall'inizi del viaggio era sempre stato in
disparte gli si avvicinò a lo fece cadere in un sonno innaturale dopo
avergli fatto inalare una pozione evidentemente a base di erbe soporifere;
la mistura era talmente potente che Elrond non ebbe neppure il tempo di
capire che cosa stesse accadendo.
L'elfo cominciò a riprendere i
sensi, ma l'oscurità che lo avvolgeva era troppo fitta perché gli
permettesse subito di vedere dove fosse; non sapeva neppure per quanto
tempo era stato in quello stato. Era in una stanza, molto umida e
fredda, probabilmente una cantina, o una segreta, era
prigioniero. Cercò di alzarsi per vedere quanto fosse grande la sua
cella, ma le gambe all'inizio non vollero collaborare, solo dopo vari
tentativi riuscì finalmente a muoversi, ma ciò che credette di indovinare
non gli piacque affatto, non c'erano finestre, e questo voleva dire che
mai la luce della luna sarebbe potuta entrare nella sala. Chiunque lo
avesse voluto vedere senza forze, aveva trovato uno dei modi più rapidi
per farlo. La porta si aprì, dal corridoio giungeva la luce delle
torce, ma colui che ne reggeva una era ancora troppo lontano perché
potesse capire chi era il suo ospite. "Vedo che finalmente ti sei
svegliato, stavo cominciando a credere di aver sbagliato le
dosi!" Aveva riconosciuto quella voce. "A che cosa devo l'essere
trattato come uno schiavo?" "Come! Un elfo non ricorda le
promesse?" "Un elfo ricorda le promesse fatte da persone degne di
fiducia, non da uomini accecati dal potere!" "Io non sono affatto
accecato dal potere! Sei tu che volevi che distruggessi il mio tesoro solo
perché ne eri geloso!" "Già lo definisci tesoro?" "Si, lui è il mio
tesoro!" "Isildur per l'amor del cielo, l'Anello non è una
persona!" Elrond stava cominciando a tremare, per la prima volta nella
sua lunga vita stava provando che cosa volesse dire avere paura. "Mi è
caro, molto più caro delle persone che compongono la mia famiglia, tu lo
sai vero che sono stato costretto a sposarmi?" "Se è rimasto in te
qualcosa del principe che io ho conosciuto, liberati dell'Anello prima che
sia troppo tardi, non condannare i tuoi discendenti a portare un peso che
non dovrebbe più esistere!" Uno schiaffo lo colpì, talmente forte che
il labbro si spaccò come se fosse stato un frutto troppo maturo. Il
sangue cominciò a colare lentamente. "Guai a te se oserai ancora dire
che l'Anello deve essere distrutto!" "Isildur, ma non vedi che non sei
più tu? Sei cambiato, sei crudele, e questo a causa dell'Anello, a quel
gioiello è legato il destino di Sauron, se tu non lo distruggi lui tornerà
prima o poi!" Un nuovo schiaffo, seguito da altri, sempre più forti, ma
Elrond non faceva niente per difendersi, ormai sapeva che l'uomo che aveva
conosciuto, di cui si era innamorato era morto per sempre e che non
sarebbe tornato. "Vedo che non vuoi difenderti, spero che oltre a
questa saggia decisione tu ne abbia presa anche un'altra, non parlare mai
più del mio tesoro e vedrai che la tua prigionia sarà sicuramente meno
pesante!" "Tu non puoi tenermi qui, il mio popolo mi cercherà e non sei
in grado di affrontare un loro attacco!" "Ma loro non attaccheranno se
sapranno che il loro Re sta bene e gode di ottima salute, e sarai tu a
dire tutto questo in un missiva, a meno che tu non voglia provare la
potenza del mio tesoro!" Elrond firmò la lettera che Isildur gli aveva
mostrato, aveva imparato bene il Sindarin, ma una firma in quella lingua
non poteva essere imitata. La lettera fu consegnata a uno degli uomini
che aveva accompagnato il re nella cella, andandosene chiuse la porta alle
sue spalle; adesso erano soli e non sarebbero stati disturbati per molto
tempo. "Stai tranquillo, non rimarrai qui per tutta la durata del tuo
soggiorno, sarai spostato nelle mie stanze, ma prima ho bisogno che tu
faccia una cosa per me!" Elrond sorrise beffardo. "E che cosa di
grazia?" "Devi giurarmi assoluta fedeltà!" "Lo sai bene che non lo
farò mai!" "Ma io so come farti cambiare idea!" Sfoderò la sua spada
e la avvicinò al volto dell'elfo. "Non ho paura delle minacce di una
spada!" Fu la volta di Isildur di sorridere. "Lo so bene, ma non
voglio ucciderti, la spada mi serve solo per rendere più veloce un compito
che altrimenti richiederebbe del tempo!" Appoggiò la punta nel luogo in
cui le clavicole si incontrano e la fece scorrere velocemente. La
delicata stoffa di cui era rivestito il corpo dell'elfo cedette a quel
taglio affilato, scoprendo la pelle candida. In alcuni punti Isildur
accentuava la pressione esercitata sull'arma e faceva in modo che su
quella pelle si creassero dei piccoli tagli dai quali uscivano gocce
scarlatte; era uno spettacolo meraviglioso. "Hai capito adesso in che
modo mi giurerai fedeltà?" La maglia era stata del tutto aperta, adesso
toccava solo ai pantaloni, ma la cosa si fece un po' più complessa in
quanto Elrond, ripresosi finalmente dalla sorpresa iniziale cominciò a
opporre una fiera resistenza. Solo l'Anello a quel punto poteva piegare
la sua volontà, e questo Isildur lo sapeva bene. Lo portava legato al
collo con un catena, non gli ci volle molto per sfilarlo e farlo cadere
davanti agli occhi impietriti di Elrond. "Adesso stai fermo, se non
vuoi che lo usi contro di te!" Elrond smise di muoversi e lasciò che il
suo aguzzino finisse di spogliarlo. "Ho sentito dire in giro che se si
possiede un elfo lo si lega a sé per sempre!" "Smettila Isildur, sei
ancora in tempo!" "Ma io non ho la minima intenzione di smetterla. Ti
ho voluto dalla prima volta in cui ti ho visto e adesso ti avrò!" "Tu
non sai quello che stai dicendo, io e te non possiamo legarci!" "E
perché mai non potremmo?" "Smettila Isildur, smettila, smettila,
smettila!" "Avanti, vedrai che alla fine piacerà anche a te!" Il
corpo di Elrond si irrigidì quando fu violato con brutalità dall'uomo che
amava. Le urla del prigioniero rimbombarono per tutta la cella, unite
alle risate del suo carceriere. Le spinte divennero sempre più feroci,
tanto che Elrond ebbe la netta sensazione che il suo corpo si sarebbe
rotto, il sangue usciva copioso delle sue ferite, ma se il corpo sarebbe
guarito, il suo animo sarebbe rimasto segnato per sempre. Finalmente
Isildur finì, si abbandonò esausto sul suo corpo, rischiando di
soffocarlo, ma l'elfo non aveva la forza per parlare, per dirgli di
spostarsi di non toccarlo, sarebbe stato tutto inutile, lui ormai era
legato a Isildur, e niente avrebbe mai potuto cambiare questa realtà,
magari in un futuro avrebbe potuto riottenere la libertà, tornare alla sua
gente, sposarsi e avere dei figli, me sarebbe sempre stato di Isildur,
anche dopo l'inevitabile morte di quest'ultimo. "Quando ci saremo
ripresi sarai spostato nelle mie stanze, mi sarà molto più facile tenerti
d'occhio!" <silenzio> "Per me puoi anche rimanere muto,
l'importante è che tu mi faccia sentire la tua voce durante la nostra
intimità!" <silenzio> "Avanti, non fare l'offeso Sire, in fin
dei conti gemi benissimo…" <silenzio> "Come una cagna in
calore…" Elrond chiuse gli occhi cercando di impedire alle lacrime di
scorrere libere sulle sue guance. "Che non vede l'ora di essere
scopata!" Isildur cominciò a ridere, con voce cattiva, priva della
minima umanità, oppure colma di essa. Sollevò il corpo di Elrond come
se fosse un mucchio di stracci e lo costrinse a camminare, sebbene sapesse
che il dolore doveva essere forte; la cosa non lo preoccupava, anzi lo
divertiva moltissimo. "State tranquillo, nessuno vi vedrà in questo
stato, sono geloso delle cose che mi appartengono!" Entrarono nelle
stanze del re, in mezzo alla camera da letto si trovava un immenso letto
coperto da una trapunta Rosa antico. "Quello sarà il nostro letto,
spero che sia di tuo gradimento!" Elrond si guardava intorno, non
ascoltava l'uomo che stava continuando a parlare. "…Sono troppo
pesanti!" "Che cosa?" "Le tende sono troppo pesanti, i raggi della
luna non vi passeranno mai attraverso!" "Non è una cosa così
grave!" "Forse non per la vostra razza, ma per la mia lo è!" Isildur
si voltò contro di lui con aria assassina. "Vuoi forse dire che la
vostra razza è migliore della nostra?" "Più pura!" Lo colpì
nuovamente, ma l'elfo se lo aspettava. "E così sareste più puri di noi?
E da cosa si capisce di grazia?" "Un Sire elfico non avrebbe mai usato
la violenza per legare a sé qualcuno…" Isildur sorrise
crudelmente. "Forse hai ragione, ma ormai quel che è fatto è fatto, e
per quanto riguarda le tende, resteranno queste che ti piaccia o
no!" Lasciò la stanza, ma chiuse la porta a chiave, in modo che Elrond
non potesse neppure tentare di scappare, ma l'elfo non lo avrebbe fatto
anche se la porta fosse stata spalancata, era troppo stanco e indolenzito
per muoversi; si distese sul letto e cercò di riposare, ma non sarebbe
stato facile, c'erano troppe negatività in quella reggia perché un Elfo
potesse trovarvicisi bene. Il suo riposo forzato fu tormentato da
incubi atroci, e dalla consapevolezza che almeno in quel momento non aveva
la più remota possibilità di andarsene da quel luogo ormai
maledetto. Isildur tornò dopo molte ore e lo trovò ancora disteso, come
era tipico della sua razza non si era messo sotto le coperte, ma stava
sdraiato con gli occhi sbarrati e immoti. "Ho dato ordine che la cena
ci fosse servita in questa stanza! Spero che non mangerai solo lembas,
altrimenti sarò costretto a cambiare la tua dieta!" "Non ho
fame!" "Mangerai comunque, non mi piace cenare da solo!" Si mise a
sedere appoggiando la schiena ai morbidi e grandi cuscini di seta; il suo
corpo protestò vigorosamente per quei gesti eseguiti con troppa
naturalezza. "Vuoi costringermi anche a mangiare contro la mia
volontà?" "Se tu mi costringi si!" Elrond sospirò e si sdraiò
nuovamente, le sue movenze erano paragonabili a quelle di un felino, anche
adesso che giaceva privo di forze e dolorante, niente aveva perduto di
quella grazia che gli elfi soli tra le creature della Terra di Mezzo
possiedono. "Non dovresti muoverti in questo modo, non fai che
incoraggiare le mie azioni!" Elrond rimase immobile. "Avanti, lo so
bene che lo fai apposta, non cercare di nasconderlo, anche tu volevi
essere mio!" "Se mai ho desiderato essere tuo non lo volevo certo nel
modo in cui lo hai fatto accadere!" Nella sua voce non c'era rabbia,
solo una profonda tristezza. "Tu mi rifiutasti la prima volta, non fui
io a fare il difficile, adesso stai solo pagando le conseguenze del tuo
gesto sconsiderato!" "Se quella notte non ho voluto fare l'amore con te
c'è una ragione ben precisa…" "Adesso smettila di parlare!" La
doppia natura di Isildur stava tornando a farsi sentire. "La conosco
bene la tua ragione, tu volevi solo evitare che un essere che consideravi
inferiore ti toccasse. Sei come tutti quelli della tua razza, sicuri di
essere i perfetti in tutto e per tutto!" "Isildur, adesso smetti di
di…" "Stai zitto! Tu sei solo il mio schiavo, non ti ho dato il
permesso di parlare, per una volta sarai tu, un Elfo a ubbidire agli
ordini di un Uomo, per quanto la cosa ti possa riempire di
ribrezzo!" "Vuoi ascoltarmi un attimo per favore?" "Non voglio
ascoltare la tua voce, voi siete degli incantatori, avete poteri che vi
permettono di mantenere la vostra supremazia su di noi, ma con me non
riuscirai a usare i tuoi trucchi, io ho il mio tesoro che mi
protegge!" Elrond non ribatte ulteriormente, sapeva bene che il re non
avrebbe inteso ragioni in quel momento, la sua volontà era completamente
soggiogata da quella dell'Anello, e niente avrebbe potuto competere con
quella forza che derivava da una malvagità millenaria. "Cosa c'è, non
hai niente da dire? Tutti conoscono i poteri della Dama di Lothlorien, ma
nessuno ha ancora scoperto che cosa sai fare tu Mastro Elrond!" Elrond
in quel momento capì che cosa l'Anello volesse veramente sapere. Dei 19
anelli creati, i 9 degli uomini erano caduti sotto il volere dell'unico, 3
di quelli dei nani erano andati perduti, e solo 4 erano stati trovati da
Sauron, ma i più potenti, quelli creati solo dai signori degli elfi, e per
questo non corrotti dal potere dell'Oscuro Signore, quelli non erano mai
stati trovati, anzi Sauron non sapeva neppure precisamente chi li avesse,
e adesso tramite l'anello voleva quella risposta. "Avanti Elfo,
rivelami chi di voi ha i tre anelli e vedrai che non sarà fatto loro alcun
male!" "Nessuno sa chi possiede gli anelli!" "Che cosa vuoi
dire?" "Che nessuno sa chi li possiede tutti e tre!" "Questa è una
cosa assurda!" "Lo abbiamo fatto per proteggerci, nessuno tra i capi sa
la verità, e tra la gente comune il ricordo degli anelli è stato obliato
perché non suscitasse la bramosia di ottenerli." "Ma bene, allora non
vi fidate neppure di voi stessi!" "Sappiamo che anche il nostro cuore
può essere corrotto dal potere e soprattutto dalla voglia di possedere
delle opere tanto belle, ricorda che noi Elfi amiamo la bellezza sopra
ogni altra cosa!" "Siete solo degli sciocchi, che cos'è la bellezza se
non una cosa effimera, che non dura se non il battito d'ali di una
farfalla? La cosa più importante è il potere, quello non svanisce
mai!" "Ti sbagli, è più facile che svanisca il potere piuttosto che la
bellezza, la terra in cui viviamo te lo dimostra. E' sempre splendida,
coma quando fu creata degli Ainur, sebbene abbia subito molte violenze, ma
su di essa non è mai durato per sempre il potere, neppure quello di
Morgoth." "Morgoth ha perdurato nella forma di Sauron!" "Sapevo che
avresti detto una cosa del genere, ma mi chiedo, hai veramente chiaro
quello che hai detto oppure lo hai detto e basta?" Stavolta fu il turno
di Isildur di rimanere in silenzio. "Hai appena affermato che
nonostante il sangue versato dai tuoi antenati, nella lotta contro
Morgoth, e quello versato dai tuoi amici e fratelli nella lotta contro
Sauron, il male ha continuato e continua a esistere, e tutto questo a
causa dell'Anello che ti ostini a portare al collo invece di
distruggere." La furia si scatenò nuovamente in Isildur. "Ti avevo
avvertito Elrond di non dire mai più che l'anello va distrutto, adesso
scoprirai che quando un uomo ordina una cosa è bene seguire ciò che dice
senza ribattere…" "Cioè vuoi dimostrarmi che voi uomini non potete
essere contraddetti perché questo offende il vostro orgoglio e la vostra
assurda idea di essere infallibili?" "Taci maledetto!" Adesso Elrond
stava veramente cominciando ad arrabbiarsi, tra loro si era instaurato un
legame, e per quanto sbagliato potesse essere, gli dava la possibilità di
ribattere oltre che l'obbligo di ubbidire. "Ma come, comportandoti
così non fai che avvallare la mia tesi piuttosto che smentirla!" "Hai
sbagliato serata per contraddirmi Elrond!" "Sei tu che hai sbagliato
serata per legarmi a te, non doveva accadere, e adesso che ti piaccia o no
tu dovrai ascoltare quello che ho da dirti. Per quanto tu possa non
crederlo speravo di potermi risparmiare queste parole." Isildur si
prese la testa tra le mani evidentemente in preda a un forte dolore, poi
senza emettere un lamento, ma con una smorfia del volto si lasciò cadere
sul letto accanto al corpo nudo dell'elfo. Elrond rimase interdetto per
qualche secondo, non si rendeva conto di quello che era successo, ma
attribuì le cause del malessere improvviso di Isildur al dannato anello
che si ostinava a portare al collo. Il respiro dell'uomo era affannoso,
e stava sudando; facendo appello a tutte le sue forze Elrond si alzò e
cominciò a spogliarlo della pesante tunica regale che indossava, facendo
ben attenzione a non toccare l'Anello. Una volta che ebbe portato a
termine la sua opera lo mise sotto le coperte fresche e lasciò che la seta
delle lenzuola coprisse il suo corpo sofferente. "Mi dispiace Isildur,
ma non posso non parlare! Spero che una parte della tua anima riesca a
sentirmi, e a comprendere che cosa mi spinse allora a non toccarti. Per
quanto remota sia la tua discendenza da mio fratello, tu porti ancora in
te l'antico retaggio. Quando Elros decise di essere sottoposto al destino
umano, lo fece per una ragione molto semplice, sapeva che dalla sua
discendenza sarebbe nato un uomo capace di legare a sé il destino di uno
degli anelli che erano stati creati per noi elfi, ma questa unione avrebbe
rappresentato la sconfitta di una delle due razze. Ecco perché quella sera
io ti ho rifiutato, non volevo avere la consapevolezza di aver segnato la
fine della mia razza concedendomi a te e alle mie passioni, ma
contemporaneamente non aveva creduto che tu avresti segnato, con il tuo
comportamento, la scomparsa della gente di Numenor." Isildur si mosse
nel sonno, non sembrava aver compreso niente di quello che era stato
detto, ma l'Anello purtroppo aveva ascoltato, e adesso aveva cominciato a
sospettare chi fosse ad avere uno degli anelli, ma non poteva averne prova
certa, né mai l'avrebbe avuta. Elrond si stese accanto a Isildur,
lasciando che la seta accarezzasse anche le sue membra con la sua carezza
maliziosa. La sera passò velocemente, senza che i raggi della luna
riuscissero a filtrare dal pesante tendaggio. Elrond era immerso nei
suoi pensieri, sentiva una profonda nostalgia per tutto quello che aveva
lasciato di incompiuto nella sua terra; Isildur gli aveva chiesto quale
fosse il suo potere, il suo potere era quello di essere un guaritore, con
le sue mani poteva curare ferite impensabili, e questa dote dopo una
guerra era la cosa più necessaria per dare nuova speranza a coloro che
avevano combattuto per la libertà. Ma essendo prigioniero non poteva
essere di aiuto a nessuno, sperava solo che Celeborn e la sua sposa
fossero in grado di svolgere una parte del suo lavoro. "Elros, Elros
fratello mio, in che guaio mi hai messo con la tua scelta, adesso sono
prigioniero di un amore che per me è diventato solo fonte di
dolore!" "Sembri assorto nei tuoi pensieri, mio bell'elfo, spero solo
che tu non stia cercando un modo di evadere da questo posto, per te è
letteralmente impossibile!" "Ti ricordo uomo che i miei pensieri non
percorrono la stessa strada dei tuoi, non rivolgerti a me come se
appartenessi alla tua razza!" "Vedo che sei polemico di prima mattina,
cosa c'è hai riposato male?" "Mi sarebbe stato difficile riposare male
visto che non ho chiuso occhio e non solo a causa delle tende, si dà il
caso che tu ti sia agitato come un pazzo per tutta la notte." "Avrai
tempo di riposare durante il giorno, io ho diverse cose da fare, non posso
dimenticarmi di essere un re!" "Tu non puoi mentre io devo, sei pieno
di contraddizioni Isildur!" Il discorso fu fatto cadere, proprio in
quel momento infatti era entrato il servo personale del re con la
colazione su un vassoio e dei vestiti per Elrond. "Non ho potuto
trovare abiti fatti in Mitril, spero però che la semplice seta sia di tuo
gradimento!" "Non abbiamo gusti difficili come i vostri, che non vi
accontentate di quello che possedete e che la natura vi dona!" Elrond
prese i vestiti e li indossò velocemente, non aveva la minima intenzione
di rimanere nudo un secondo di più, è difficile che un elfo rinunci alla
sua dignità, e lui era uno dei più accaniti sostenitori di questa
affermazione! La giornata trascorse tranquillamente, Elrond trovò in
una stanza attigua a quella da letto, una grande e fornita biblioteca, e
cominciò a leggere gli scritti sulle ere antiche che vi erano
conservati. Ne trovò di interessanti, ma anche di completamente
irreali, chiunque li avesse scritti non si aspettava certo che un giorno
un Elfo li avrebbe letti. Anno 1889 Della Prima Era Segue il
racconto di Elros, figlio di Ealendil, e di come decise di appartenere
alla razza degli uomini e come loro essere mortale. Elrond sentì il
fiato che gli si mozzava in gola, dunque il padre di Isildur era riuscito
a salvare dei testi dalla distruzione di Numenor. Lesse avidamente
quelle pagine, sebbene conoscesse personalmente la storia che vi era
narrata, ma non riusciva a smettere, aveva sempre avuto uno splendido
rapporto con il fratello, e non aveva mai detto o fatto niente che potesse
turbarlo, per questo non aveva opposto resistenza alla sua decisione di
divenire mortale, e era anche arrivato a nascondere dentro di sé il dolore
che provava; Elros non aveva mai saputo delle notti insonni che Elrond
aveva passato cavalcando come un disparato nel tentativo di dimenticare,
anche solo per un istante il dolore che lo stava consumando. "Vedo che
la mia biblioteca ti interessa molto, ma tu dovresti conoscerla meglio di
chiunque altro quella storia." Elrond non si era neppure accorto della
sua presenza, era troppo preso dalla lettura, un lettura che lo faceva
stare male perché non faceva altro che alimentare il suo dolore, ma era
suo dovere leggere, sapere che cosa aveva spinto il fratello a quella
scelta; era un argomento che non avevano mai affrontato insieme, e in
quelle pagine, tra parole realmente pronunciate da Elros e parti
totalmente inventate c'era la verità. "Io dovevo leggere queste pagine,
è un tributo per la memoria del mio unico fratello…" "Che con la sua
scelta ha dato vita alla razza maledetta degli uomini di Numenor, dico
bene? Non è forse questo che stavi pensando?" "Come puoi sempre pensare
di sapere a che cosa sto pensando? La mente di un elfo può diventare un
terreno molto pericoloso se ci si avventura qualcuno che non è in grado di
calarsi completamente nel nostro essere!" "E noi uomini non siamo certo
in grado di fare una cosa del genere, in fin dei conti siamo solo degli
essere imperfetti!" "Questo è solo il tu o pensiero Isildur, il
pensiero degli uomini che per le loro debolezze diventano crudeli e
spietati, non è certo il pensiero di noi elfi, noi vi abbiamo sempre
considerato dei fratelli, vi abbiamo permesso, anche se a malincuore, lo
ammetto, di sposare appartenenti alla nostra razza, sebbene sapessimo che
questo avrebbe segnato il loro definitivo abbandono della
terra!" "Certamente, perché siamo noi quelli che sono razzisti e chiusi
nelle loro città!" "Si Isildur, dalla caduta di Gondolin siete voi che
vi siete chiusi nelle vostre città, e dirò di più, siete voi che avete
sempre cercato di conquistare i nostri territori e che ci avete costretti
a creare delle protezioni ancora maggiori di quelle che usavamo una volta
contro Morgoth!" Isildur afferrò Elrond e lo portò di peso nella
camera da letto, non era più in grado di controllare totalmente le sue
azioni, e questo lo rendeva ancora più esposto al potere dell'Anello, e
l'Anello voleva assolutamente che Elrond fosse distrutto. Un'altra
notte passò, seguita da una nuova alba, Elrond fu il primo a svegliarsi e
uscì sul terrazzo, unico luogo che dava sull'esterno che potesse
frequentare senza timore dell'ira del suo compagno. "Vedo che ti sei
alzato di buon'ora come al solito, in questo non sei cambiato per
niente!" La voce che lo aveva raggiunto alle spalle era diversa da
quella che aveva imparato a conoscere, era più calda, più umana, come se
non appartenesse ad una persona dalla doppia natura. "Neanche tu ti sei
alzato tardi oggi!" Elrond distolse gli occhi dalla bellezza dell'alba
nascente e si girò verso Isildur, la prima cosa che notò fu che non aveva
addosso quel maledetto anello, forse era per questo che appariva tanto
diverso; se quella fosse stata la verità forse esisteva ancora una
possibilità per poterlo salvare. Isildur gli si avvicinò e gli passò
una mano tra i capelli, per poi farla scendere in una lenta carezza fino
al volto dell'elfo. "Hai l'aria stanca, e poi sei pallido, mi dispiace,
io non volevo farti questo, non avrei mai voluto farti del male, io…io ti
amo, ti ho sempre amato, ma ho dovuto, questo era l'unico modo che avevo
per legarti a me per sempre!" Elrond lo stava fissando allibito,
finalmente dopo tanto tempo riusciva a vedere nuovamente il vero Isildur,
il suo grande amore. Il re degli uomini avvicinò le sue labbra a quelle
dell'elfo e lo baciò come non aveva mai fatto, al principio fu un bacio
timido e insicuro, poi si trasformò in qualcosa di passionale e
aggressivo, come se Isildur non fosse mai sazio di quelle labbra; Elrond
non potè fare a meno di rispondere al bacio. Non si rese neppure conto
di essersi mosso, lo capì solo quando sentì la freschezza delle lenzuola
sotto di sé; Isildur lo aveva preso in braccio e lo aveva riportato nella
loro stanza adagiandolo dolcemente sul letto. I baci piovevano sul suo
volto, come i petali dei fiori mossi dal vento in primavera, le mani di
Isildur erano delicate mentre lo privava delle vesti, come se stesse
toccando un oggetto di cristallo, pronto ad andare in frantumi al minimo
accenno di mossa sbagliata. Quando Isildur lo prese tutti i ricordi
delle ultime notti furono cancellati, le ferite medicate con il più
potente dei balsami. Per la prima volta il futuro non spaventò Elrond,
per la prima volta dopo molto tempo si sentì libero di amare l'uomo che lo
stava possedendo senza doversene pentire, e senza temere per la sua vita e
per quella del suo popolo. Isildur si staccò da lui dopo molto tempo,
poi lo fissò, ma in quello sguardo Elrond vide qualcosa che fino a poco
tempo prima non c'era. Isildur si sporse e toccò ripetutamente la
superficie del comodino, alla disperata ricerca di qualcosa, dopo poco
incontrò i freddi anelli m,metallici di una catena e la afferrò facendo
risplendere il pendente alla luce del sole che stava tramontando, Elrond
non poté trattenere un moto di ribrezzo alla vista dell'Unico
Anello. "Vedo che non hai ancora capito come ti devi comportare nei
suoi confronti!" Isildur gli afferrò i capelli in modo da costringerlo
a guardare l'Anello. Elrond abbassò la testa completamente sconfitto, e
un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra, adesso sapeva, adesso tutto
era chiaro, non ci sarebbe stato mai modo di allontanare Isildur
dall'Anello, ormai era perduto per sempre. La dolcezza di quell'unione
fu cancellata dalla brutalità delle seguenti, dai gemiti di dolore di
Elrond che si trasformarono in vere e proprie urla, e dalla risata crudele
di Isildur, resa roca dallo sforzo. La storia continuò per diversi
giorni, in cui Elrond non poté fare niente per liberarsi, ma alla fina
arrivò anche per lui l'occasione propizia per fuggire. La notte scese
nuovamente sulla Terra di Mezzo, e Isildur fece il suo ingresso nella
stanza dove Elrond lo stava aspettando. "Vedo che anche questa sera mi
hai aspettato sveglio!" "Non sei tornato così tardi da giustificare un
mio assopimento!" "Non hai cenato?" "No, non ne avevo voglia, e lo
sai bene che almeno su questo punto non puoi piegarmi!" Isildur salì
sul suo letto e schiacciò Elrond con il peso del suo corpo. "Se non hai
cenato tu, posso resistere anche io e impiegare meglio il mio
tempo!" "Non posso oppormi!" Era vero, non poteva assolutamente
opporsi, ma Isildur era ormai preda dell'Anello e la sua volontà era
sempre più debole, rari ormai i momenti in cui Isildur era lucido e
forte. La notte si ripeté uguale a molte altre che l'avevano preceduta,
tranne che per un unico particolare. Elrond giaceva sul letto in uno
stato di dormiveglia continuo, non riusciva a fare in modo che il suo
corpo si abbandonasse finalmente al riposo, i suoi nervi erano tesi come
se presagissero qualcosa in quella notte senza luna. Ad un certo punto
sentì chiaramente Isildur muoversi nel letto e rimase sbalordito e confuso
da quello che stava accadendo, una carezza, fragile come il cristallo e
triste come una rosa che morendo sparge i suoi petali profumati come
ultimo disperato atto di farsi ricordare in tutta la sua
bellezza. Elrond aprì gli occhi di scatto, Isildur si teneva la testa
tra le mani, una maschera di dolore era scesa sul suo volto. L'Anello
aveva nuovamente preso il sopravvento sull'uomo, ma questa volta la crisi
sembrava più forte di tutte le precedenti; gli occhi di Elrond vagarono
per la stanza alla ricerca di qualcosa che potesse far cessare il dolore,
solo allora si rese conto che la porta era stata lasciata aperta. Era
la sua unica occasione, ma proprio in quel momento in cui la libertà era a
portata di mano il suo animo era diviso, da una parte voleva tornare alla
sua terra e dimenticare, per quanto possibile, tutto ciò che era accaduto,
ma dall'altra non se la sentiva di lasciare l'uomo al quale ormai era
legato. Fu Isildur a decidere per lui, in un ultimo sprazzo di lucidità
lo afferrò e lo fece arrivare vicino alla porta, poi crollò ormai
definitivamente vinto. La cavalcata fu lunga, ma più si avvicinava alle
sue terre, più il suo cuore si riempiva di affanno e preoccupazione per la
sorte di Isildur.
L'accoglienza che egli ricevette dal suo popolo,
tutti i lavori che erano stati lasciati a mezzo per via dell'assenza del
re, i soldati da curare, i bambini da far nascere, niente di tutto questo
riusciva ad assorbire Elrond completamente, soprattutto durante le notti
solitarie che passava nella sua stanza, in quei momenti non poteva fare a
mano di ripensare al suo uomo, anche se per lui era strano pensare a
Isildur in quei termini. La vita di Elrond continuò così fino a quel
maledetto giorno in cui le sue guardie arrivarono a lui con una notizia
sconvolgente. A Campo Gaggiolo Isildur e i suoi figli erano stati
attaccati da un gruppo di orchi; nessuno era riuscito a salvarsi…e
l'Anello era andato perduto, forse per sempre.
Elrond è ancora
accasciato sul suo seggio, sembra non avere più forze, tutto quello che ha
detto mi ha sconvolto, ma soprattutto sono rimasto turbato dal fatto che
lui ne è ancora innamorato, l'ho sentito chiaramente nelle sue parole,
l'ho capito dalle sue lacrime. Adesso mi spiego molte cose, il perché
dell'odio nei confronti dell'Anello, il suo non volerlo occultare a Gran
Burrone, il suo essere combattuto nei confronti di Aragorn, diverso da
Isildur eppure suo discendente, messo innanzi a una prova che il suo
illustre predecessore non riuscì a compiere. Ed infine io, re
innamorato di un re, elfo innamorato di un uomo, Legolas Verdefoglia
futuro re di Bosco Atro innamorato di Aragorn II re di Gondor. E' come
se la storia si ripetesse attraverso me e Aragorn, ma come andrà a finire
questa volta? Saremo noi in grado di abbattere quelle barriere che resero
impossibile la precedente unione? E soprattutto Aragorn mi ama, oppure ama
Arwen e con lei convolerà a giuste nozze? "Non è questo il tempo delle
domande Legolas!" La voce di Elrond mi riporta alla realtà. "Adesso
è il tempo della verità, tu conosci finalmente i tuoi sentimenti, adesso
devi conoscere quelli di Aragorn!" Faccio per ribattere, ma lui mi
zittisce con un gesto della mano, è stanco e sofferente nell'anima, troppo
tempo ha passato su questa terra privo del suo amore per poter continuare
adesso a guardare me sapendo che forse questa sera io potrò realizzare il
sogno che da sempre gli è negato. "Va da lui, andatevene da questa
terra ormai inospitale per voi, fondate una città in cui elfi e uomini
possano vivere in pace tra loro, e non dimenticare mai le mie
parole!" "Mio signore, mio re, mio amico, come posso io fare ciò che
voi dite sapendo che se mai anche lui mi amasse sarebbe vostra figlia a
soffrirne!" "Tutte le nostre azioni sono scritte nel libro di Manwe,
niente avviene per caso o per errore. Se il vostro destino è quello di
amarvi, non aspettarti che tutti lo capiscano. Adesso lasciami ti prego
Legolas, sono stanco e desidero riposare; ricorda però che questo non è un
addio, ma un semplice arrivederci, non so se tra un anno, un secolo, o un
millennio, ma so che nei nostri destini è scritto che dovremo rivederci!
Addio, e buona fortuna Legolas Verdefoglia!" Esco dalla sua stanza con
le lacrime agli occhi, sembra che questa notte io non sappia fare altro;
le sue parole sono ancora vive nelle mie orecchie e fanno male, ma so che
sono vere. Mi dirigo velocemente nell'ala del palazzo dove sono
posizionate le nostre stanze, se deve essere fatto devo fare in fretta,
tra poco infatti sarà l'alba.
Busso alla sua porta, e non mi
stupisco della velocità con cui mi chiede chi è, sapevo che non stava
dormendo, quello che non so è che cosa lo tiene sveglio. "Legolas,
speravo che tu venissi, io devo parlarti!" C'è urgenza nella sua voce,
un'urgenza che non gli ho mai sentito. Mi siedo sulla poltrona che mi
indica e aspetto che anche lui prenda posto accanto a me. "Anche io
devo parlarti Aragorn, sono qui per questo!" Vedo un moto di meraviglia
nei tuoi occhi, davvero non te lo aspettavi? "Permetti che parli per
prima io Legolas, è una faccenda delicata, e deve essere portata a termine
prima dell'alba!" Annuisco con un lieve movimento della testa e mi
preparo a sentire le sue parole. "Tu sai che domani…oggi, che oggi io
devo sposare Arwen, ma quello che non sai è che non lo farò, non posso, io
non la amo e non mi sento di ingannarla ancora!" Le sue parole sono
confuse, pronunciate troppo velocemente e con troppe ripetizioni, è
nervoso, mentre io sembro un pezzo di ghiaccio, al di fuori, ma solo
perché nessuno è in grado di vedere quello che sta succedendo dentro di
me. "C'è qualcun altro nella tua vita, nel tuo cuore?" Le mie parole
sembrano rimbombare nel silenzio irreale che si è creato nella stanza, ma
io devo sapere, devo essere certo che lui sia innamorato di me, solo
allora potrò decidere veramente di lasciare questa terra con lui. "Si,
si Legolas nella mia vita, nel mio cuore, nei miei sogni, nell'aria che
respiro e nell'acqua che bevo c'è qualcun altro!" "Posso sapere il suo
nome?" Per una delle prima volte nella mia vita sento di avere paura,
veramente paura. "Te lo devo, ma temo che una volta ascoltato il nome
della mia ossessione il nostro rapporto non sarà più lo
stesso!" "Lascia che sia io a decidere che cosa ne sarà del nostro
rapporto!" Il tempo sembra fermarsi, vedo le tue labbra dischiudersi
leggermente, le vedo muoversi come le ali di una farfalla a comporre un
nome, il mio nome. Finalmente torno a respirare, la tensione nel mio
corpo si scioglie, tu abbassi la testa, tieni gli occhi bassi, senza avere
il coraggio di guardarmi, fissando il pavimento tra i tuoi piedi. Io mi
alzo e poso le mie mani sulle tue spalle incurvate dall'attesa della mia
reazione. "Ti amo Aragorn, ma lo sai a cosa andiamo incontro se adesso
decidiamo di seguire i nostri cuori?" Finalmente alzi gli occhi e mi
guardi, non avevo mai notato come fossero belli i tuoi occhi e quanto mi
piaccia specchiarmi in essi. Sembri ancora incredulo, ma l'ansia ha
finalmente abbandonato il tuo volto. "Io so solo che non posso mettere
a tacere quello che provo!" "Neppure io, ma Gondor ha appena ritrovato
il suo re…" "Lo so, ma io non posso rinunciare a te, mentre posso
rinunciare al trono, nominare Faramir reggente del regno e
andarmene!" "E' l'unica cosa che possiamo fare, abbandonare questo
luogo e creare la nostra casa altrove!"
La decisione ormai era
presa, per quanto i nostri cuori soffrissero, non potevamo fare
altrimenti, ma quello che vedemmo una volta usciti dal palazzo ci permise
di lenire almeno in parte il dolore del distacco. I nostri due cavalli
erano stati sellati, e ad attenderci c'era un nutrito gruppo di persone,
uomini ed elfi. "Permetteteci di seguirvi, fedeli fino alla
morte!" Non riuscivo a capire che avesse raccolto quelle persone, le
più fedeli tra gli elfi di Bosco Atro, di Gran Burrone e tra gli uomini di
Gondor e i discendenti di Nùmenor. Poi il mio sguardo si alzò e si
diresse verso le finestre dell'ultimo piano dell'ala che dava sul fiume e
lì riconobbi la sagoma di Elrond. "Se siete pronti potete seguirci, ma
solo se non avrete rimpianti di nessun tipo!" Nessuno se tirò indietro,
io e Aragorn ci mettemmo alla testa di quella moltitudine e ci dirigemmo
verso nord. Il sole stava nascendo quando le mie orecchie e quelle di
tutti gli elfi che erano con noi sentirono chiaramente un urlo di
disperazione. Arwen aveva scoperto la nostra fuga-partenza. Nessuno
di noi si voltò, tutti continuammo la cavalcata senza fare domande e senza
parlare, il silenzio era l'unica compagna sopportabile in quel momento,
tutti noi dovevamo dire addio, probabilmente per sempre, alle nostre terre
e a tutto quello che era stata la nostra vita di quella
decisione. Eravamo accampati per la notte, ma quasi nessuno era
riuscito veramente a prendere sonno. Aragorn mi si avvicinò, il suo
volto era stanco, per un istante temetti che avesse cambiato idea, che
volesse tornare indietro, ma mi pentii immediatamente dei miei pensieri,
forse è vero, in fin dei conti noi elfi non riusciamo a fidarci degli
uomini fino in fondo. "Dove ci dirigeremo? Dobbiamo allontanarci, e
molto, se non vogliamo essere inseguiti e raggiunti!" "Temi dunque di
essere rintracciato?" Non so spiegarmene il motivo, ma la mia domanda
assunse un tono freddo e sprezzante. Aragorn mi guardò come per essere
certo che fossi veramente io quello con cui stava parlando. "Non temo
certo per me, ma per gli uomini che hanno deciso di
seguirci!" "Perdonami, io credo di essere solo molto stanco, non era
mia intenzione usare quel tono…comunque, per rispondere alla tua domanda,
credo che l'unica cosa che ci resti da fare sia dirigerci oltre il
mare!" Vedo nei suoi occhi che anche lui aveva pensato a questa
possibilità. "Va bene, io avviso gli uomini, ci dirigeremo ai porti al
sorgere del sole!" Io avvisai gli elfi, tutti loro furono ben lieti di
attraversare il mare, in buona parte infatti discendevano dagli antichi
Teleri, gli amanti del mare, soli tra gli elfi sa non aver mai eretto
edifici lontani dalle sponde delle grandi acque. Il viaggio fu più
piacevole del precedente, finalmente la tensione sembrava essersi sciolta
e tutti stavano ridendo o cantando, ma a un certo punto il cielo fu
oscurato da una grande nuvola scura. Aragorn spronò il cavallo per
portarlo accanto al mio. "Non è possibile che siano veramente delle
spie alate!" Aragorn non ebbe il coraggio di pronunciare il loro nome,
troppo vivo nella nostra mente il ricordo di quelle dannate bestie che già
una volta avevano tentato di sbarrarci la strada costringendoci ad
attraversare le miniere di Moria. "E' ciò che sono purtroppo, e non
credo che abbiano intenti di pace, ordina agli uomini di cavalcare il più
velocemente possibile, che si imbarchino appena arrivati al
porto!" "Che cosa temi?" "La vendetta più di ogni altra cosa,
soprattutto adesso che non siamo pronti al contrattacco!" Finalmente
arrivammo al porto, e se i miei calcoli si fossero rivelati esatti avevamo
un vantaggio, se pur minimo, su quei dannati uccelli. Le navi erano
veloci, venti in tutto, di fabbricazione elfica, grandi eppure
agili. Io e Aragorn viaggiavamo sulla prima, le vele recavano le
insegne di Gondor e di Bosco Atro, in quel gesto riconobbi la mano di
Elrond. La notte scese nuovamente e io ero sul ponte, intento a
scrutare il cielo stellato, ma a differenza dell'ultima volta che lo avevo
fatto, le lacrime non rigavano il mio volto, anzi mi sentivo
particolarmente bene con me stesso, e dopo molto tempo anche felice. "A
che cosa stai pensando?" "A niente di particolare! Tu piuttosto perché
non sei a riposare?" "Non sono così stanco, e poi avevo voglia di
aspettarti, tutto qui!" "Molto gentile da parte tua!" Ridemmo, non
era una novità per noi farlo insieme, ma questa volta era diverso, non era
lo stesso riso scanzonato che aveva segnato la nostra amicizia, era
qualcosa di più complesso, di complice quasi, come se entrambi sapessimo
bene la vera ragione di quelle risate da cui il resto del mondo era
escluso, e per questo non avessimo bisogno di altre spiegazioni. Passò
ancora un po' di tempo prima che ci decidessimo a scendere nella nostra
cabina, eravamo gli unici a essere ancora svegli. "Non credo che
riuscirò mai a capire come possiate riposare stando con gli occhi
aperti!" Sorrisi, era da lui fare questo genere di affermazioni,
sebbene fosse stato cresciuto da Elrond in persona. "Ma come, hai
passato la tua infanzia in un regno elfico e non riesci a capire come
facciamo a riposare? Sei un caso perso ormai!" Mise il broncio, come un
bambino, ma in fin dei conti è questo che gli uomini sono agli occhi di
noi elfi, dei bambini, ma capaci di dare la loro vita per ciò in cui
credono. Ci ritiriamo finalmente nella nostra cabina, una stanza non
troppo grande, ma comoda. "Adesso è meglio che entrambi cerchiamo di
dormire…" Il suo improvviso silenzio mi sconcerta, almeno all'inizio,
non capisco precisamente a che cosa sia dovuto, ma vedo un'ombra calare
sui suoi occhi. "Per noi sarà difficile ricominciare da capo, con
abitudini e stili di vita diversi da razza a razza…Io non so se saremo in
grado di far convivere popoli così diversi tra loro, ci saranno problemi
da affrontare, leggi da dare e infine, dovremo fondare una città; tutte le
storie che ho sentito sulla fondazione di Gondolin e Numenor, solo per
fare due esempi di città delle nostre razze, parlano di
difficoltà…" "E' vero, ma parlano anche di momenti felici, di
fratellanza tra la gente che stava dentro le due cerchie murarie, e di
pace, ed è quella di cui noi abbiamo assoluto bisogno in questo momento!
Se la meritano gli uomini di Gondor, che hanno deciso di seguirti e
abbandonare la loro terra, e se la meritano gli elfi che hanno deciso di
mettersi al mio seguito, e noi come Re non possiamo privare il nostro
popolo di una situazione che manca da troppo tempo." Lui annuisce con
cenni lenti della testa, in questi piccoli gesti vedo fin troppo bene chi
è che lo ha cresciuto. Ci distendiamo sul letto e per la prima volta ci
concediamo il lusso di abbracciarci; non più come semplici amici; poi
cullati dal procedere dolce della nave ci abbandoniamo al sonno che scende
su di noi invocato da entrambi. La mattina dopo siamo svegliati dai
rumori dell'equipaggio, da quel poco che riesco a sentire capisco che
siamo arrivati in vista della terraferma, il nostro viaggio si era dunque
concluso nel migliore dei modi, ma la parte difficile doveva ancora
arrivare, ed era quella del reinizio di tutto. Nel momento in cui tutti
furono giunti sulla spiaggia, come guidati da una forza superiore ci
girammo a fissare il mare, spingendo lo sguardo fin dove la nostra natura
lo permetteva, probabilmente quella sarebbe stata l'ultima volta che tutti
noi avremmo potuto abbandonarci alla nostalgia, la nostra condizione non
ci offriva una seconda possibilità. La marcia cominciò che il sole era
alto nel cielo, e durò due giorni e due notti alla fine dei quali ci
ritrovammo in un immenso territorio pianeggiante, protetto dalle montagne
e da un bosco rigoglioso. Decidemmo che sarebbe stato questo il luogo
dove avremmo fondato la nostra nuova città, avevamo tutto quello che ci
occorreva; le pietre le avremmo ricavate dalle montagne, il legname dal
bosco, e per quanto riguardava maniscalchi, orafi e artigiani di ogni
fatta tutti eravamo in grado di dare il meglio di noi stessi in opere di
costruzione. Ci trovammo però in una strana situazione, prima ancora di
costruire la città ci trovammo innanzi al bisogno di creare un luogo in
cui le donne potessero dare alla luce i propri figli, tutti vedemmo in
questa urgenza un segno di buon auspicio. Solo le città che hanno nuovi
abitanti sono floride, e la nostra le batteva tutte da questo punto di
vista. Le donne che non avevano partorito, e che dunque erano in grado
di aiutare portavano l'acqua al rudimentale accampamento che avevamo
costruito e si occupavano della preparazione dei cibi che la foresta ci
offriva sotto forma di frutta e cacciagione. I lavori di costruzione
procedevano piuttosto velocemente, ma era indubbio che sarebbe occorso
molto tempo prima che la città fosse conclusa sotto tutti i punti di
vista. Le stagioni passavano, e all'inizio del terzo inverno potevamo
tutti avere un tetto sotto cui ripararci e delle pareti dentro cui
proteggerci dal freddo, ma i lavori erano ben lungi dall'essere
terminati. La città era stata suddivisa in quartieri, in modo che ogni
razza potesse mischiarsi alle altre o rimanere tra i propri simili a
seconda delle preferenze dei singoli. Le leggi erano state redatte e
emanate da me e Aragorn tenendo presenti le caratteristiche che
distinguevano il popolo su cui eravamo chiamati a governare. La
reggenza infatti sarebbe stata doppia, io mi sarei occupato di tutto ciò
che riguardava gli elfi e Aragorn di tutto ciò che riguardava gli uomini;
avevamo deciso che se mai ci si fosse presentato un caso in cui i
contendenti erano un uomo e un elfo, avremmo lasciato la decisione a un
collegio formato dai più importanti tra elfi e uomini, in modo tale da
assicurare una decisione equa. Al centro della nuova città che stava
andando piano piano prendendo forma c'era la reggia, una costruzione
candida come la neve, con la grande torre che ricordava Minas Thirit,
mentre le aule interne erano una perfetta unione delle architetture di
Gran Burrone, Bosco Atro e Gondor. Nella montagna era stata trovata
una vena di argento, materiale con cui erano state fatte tutte le
rifiniture della città per non parlare delle aule dove almeno una volta
per stagione si riuniva il consiglio. I lavori erano fermi, avevamo
deciso di far trascorrere il periodo più freddo, in modo tale da evitare
malattie. Io e Aragorn non avevamo ancora avuto modo di visitare per
bene il bosco che ci contornava quasi interamente, e non sapevamo dunque
quali piante medicinali potesse offrirci; dunque non potevamo rischiare
che i nostri sudditi si ammalassero. Penso che gli hobbit di sarebbero
trovati benissimo in questo luogo meraviglioso, una delle prime piante che
abbiamo trovato infatti è stata la loro famosa erba pipa. Con il
ritorno della primavera i lavori ripresero con maggiore velocità, Aragorn
decise di andare a ispezionare il bosco con un manipolo di uomini, non
solo per cercare appunto le erbe di cui ho parlato prima, ma anche per
tranquillizzare il popolo, nessuno degli uomini si fidava del bosco, da
sempre patria di quelle creature che tanta paura avevano suscitato nei
loro animi. Il mio cuore non era preoccupato, sapevo infatti che se ci
fossero state veramente creature delle tenebre sarebbero venute allo
scoperto in inverno, quando anche per loro è più difficile procacciarsi il
cibo, ma per la prima volta mi sentivo insicuro, come se il distacco mi
spaventasse; il mio sentimento per il signore di Gondor era andato
crescendo in quel breve periodo, anche oltre le mie previsioni, e devo
ammettere mi spaventava e non poco; qualche giorno di lontananza avrebbe
fatto bene ad entrambi. Mentre loro erano assenti, noi continuammo a
far crescere la città, finalmente gli orafi elfici potevano dedicarsi alle
rifiniture e agli abbellimenti, in modo da rendere la città ancora più
splendente, sia che fosse illuminata dal sole che dalla luna. Il tempo
passava e presto sarebbe arrivato finalmente il momento in cui avremmo
potuto battezzare la nuova città; in cuor mio speravo che Aragorn tornasse
in tempo per la cerimonia. Fu così infatti che una mattina, mentre
l'alba tingeva di rosa le nostre costruzioni, le vedette scorsero
all'orizzonte il ritorno del re; lo spettacolo che attendeva Aragorn e
tutti quelli che lo avevano seguito suscitò nei loro cuori la meraviglia e
lo stupore, nonché un senso di fierezza, fu in quell'alba magica che
finalmente tutti poterono vedere Minas Celeb, la nostra nuova
città. Erano passati quasi quattro anni da quando avevamo lasciato la
Terra di Mezzo, ma il tempo non ci era mai sembrato così insignificante
come in quel momento. Finalmente avevamo una città, adesso dovevamo
fare in modo che crescesse e prosperasse. La festa che era stata indetta
per il ritorno degli uomini che erano partiti si protrasse per tutta la
serata e solo molto tardi riuscimmo a ritirarci e a stare un po' da
soli. Entrati nelle aule più interne della nostra reggia gli gettai le
braccia al collo e dopo averlo attirato a me lo baciai
profondamente. Aragorn all'inizio stupito si riprese immediatamente e
ricambiò, credo che non mi avesse mai visto in quello stato, ma a dire il
vero ero una novità anche per me stesso. "Con tutto il chiasso di oggi
non sono stato in grado neppure di chiederti come è andato il
viaggio!" "Abbastanza bene, anche se non ci siamo spinti troppo in
profondità, per questo credo che servano dei Sindar!" Sorrise
dolcemente e io annuii con la testa, in fin dei conti aveva sempre saputo
che pochi tra gli uomini avrebbero accettato di seguirlo fin nel cuore del
bosco. Devo ancora capire perché diffidino così tanto della natura che li
circonda. "Avete trovato delle piante medicinali?" "Si, abbiamo
trovato dell'Atelas e altre specie che potrebbero servire!" "Questo è
un bene, non potevamo continuare a sperare che nessuno si sentisse male
perché non sapevamo come curarlo!" "Non mi sembri molto interessato a
quello che tu stesso stai dicendo, posso sapere che cosa ti frulla per la
testa?" Ero stato scoperto. "Niente di particolare, è solo
che…" Non riuscivo a capire che cosa diavolo mi stesse succedendo, non
ero neppure in grado di esprimere coerentemente i miei
pensieri. "Avanti, non sarò un elfo, ma so capire quando le persone che
mi sono accanto hanno qualcosa da nascondere!" Mentre parlava mi si era
avvicinato e aveva posto le sue mani sui miei fianchi attirandomi a sé
dolcemente. Le nostre lunghe tuniche si erano sfiorate creando uno
splendido gioco cromatico che passava dai toni blu scuro della sua ai
riflessi argentati della mia. "Non ho niente da nascondere, ho solo
voglia di…!" basta, non era possibile andare avanti così, non si è mai
visto un sire elfico che si fa prendere dal panico per una cosa tanto
ovvia e scontata. "Ho solo voglia di fare l'amore con te!" Aragorn
sorrise, uno dei più bei sorrisi che gli avessi mai visto sulle
labbra. "Anche io, non sai da quanto tempo!" Se non avessi tenuto
gli occhi bassi avrebbe sicuramente visto il rossore che si era diffuso
sul mio volto. Era da molto che il suo desiderio era evidente, ma io
non mi sentivo pronto ad accettare una responsabilità tanto grande come
quella di legare la mia vita a quella di un'altra persona; se da un lato
le parole di Elrond mi avevano dato il coraggio per confessare i miei
sentimenti, dall'altro mi avevano profondamente turbato. Non era la
differenza di razza che mi spaventava, ma la consapevolezza che se avessi
voluto, avrei potuto rendere Aragorn eterno come me; questo avrebbe però
voluto dire che non ci saremmo mai più staccati l'uno dall'altro, insieme
per l'eternità, e nel vero senso della paura. Dubito fortemente di
poter trovare una creatura che davanti ad una prospettiva del genere non
venga colta, anche se momentaneamente, dal panico. Ci dirigemmo verso
una stanza della reggia che non era ancora stata usata del tutto, la
nostra camera da letto; ognuno di noi aveva una stanza privata dove poter
svolgere i propri compiti senza il timore di essere disturbato, ma da
subito avevamo deciso di dormire insieme, era strano, in fin dei conti il
nostro poteva apparire a tutti gli effetti come un matrimonio, ma questa
parola è quanto mai sbagliata per indicare il legame che unisce me e
Aragorn, e non solo per il fatto che siamo individui dello stesso
sesso. Un matrimonio può essere celebrato anche se uno dei due membri
della coppia è in realtà innamorato di un'altra persona; noi invece
sentiamo di appartenerci, non abbiamo bisogno di legami imposti da altri
perché ciò che ci tiene uniti va oltre la normale comprensioni di uomini,
stregoni, hobbit, nani ed elfi. "Sei completamente assorto nei tuoi
pensieri, posso entravi?" "No, non puoi anche perché sono legati a
te!" "Di questo mi sento lusingato, ma non voglio vederti così
distante, non in questo momento almeno!" "Non sono distante da te, anzi
sono più vicino di quanto tu stesso possa immaginare!" Aragorn mi si
avvicinò e mi cinse dal dietro abbracciandomi dolcemente, aveva
sicuramente intuito le mie perplessità. L'abbraccio divenne intimo, le
sue mani cominciarono a vagare sul mio petto ancora coperto della stoffa e
appena ebbero raggiunto i lacci di seta che permettevano allo scollo di
rimanere chiuso cominciò ad aprirli lentamente. In poco tempo il mio
petto rimase nudo ed esposto alle sue carezze. "Non credevo che voi
elfi foste così sensibili!" lo sentii sorridere dopo aver pronunciato
quelle parole; aveva ragione, i miei capezzoli si erano inturgiditi quasi
subito al suo tocco gentile. Ormai era certo di tenermi in pugno e
commise l'errore di allentare la presa, fu allora che mi girai nel suo
abbraccio e comincia a slacciare la sua tunica, ma io non mi accontentavo
del suo petto, volevo di più, volevo vedere il suo corpo, tutto il suo
corpo e lo volevo in quel preciso istante. Senza che potesse opporre la
minima resistenza la sua tunica si trovò appallottolata ai suoi piedi, a
formare una pozza di seta scura con i riflessi argentati accentuati dalla
luce della luna che stava entrando dalle finestre. Le voci dei
commensali ci arrivavano ormai ovattate, come se si trovassero lontani da
noi mille miglia e oltre. "Non farti strane illusioni elfo, non sarai
tu a guidare il gioco, non in questa situazione!" Non so se si sia reso
conto di aver formulato quel pensiero ad alta voce, ma sono certo ci
credeva fermamente; in quell'occasione neppure io, un elfo con oltre
duemila anni di vita, mi sarei potuto opporre alla sua volontà. Fui
sollevato da terra senza sforzo, come se il mio peso fosse del tutto
ininfluente; il frusciare della seta fece fremere il silenzio di quella
stanza come neppure lo squillo delle trombe di guerra avrebbe potuto
fare. Sobbalzai, come se mi fossi reso conto solo in quel momento di
che cosa stava succedendo. "Rilassati, anche se non sono un elfo posso
capire che cosa stai provando in questo momento!" Poteva realmente
capirlo? Non lo so! Questa è una domanda che giacerà sempre nel mio
cuore, priva di risposta. Le parole del racconto di Elrond si
presentarono nuovamente nella mia mente, la consapevolezza che lui era
ancora innamorato di Isildur mi stavano spingendo a fermare Aragorn, come
se Aragorn fosse Isildur, come se Aragorn fosse Elrond. Le mani del
signore di Gondor stavano accarezzando il mio corpo, scorrevano sulla mia
pelle bianca fermandosi adesso sul mio ventre piatto, adesso lungo i miei
fianchi; la lentezza esasperante di quei gesti, la loro dolcezza
cancellarono in me ogni dubbio, mi abbandonai loro, come una nave permette
alle proprie vele di gonfiarsi al passaggio dei dolci venti estivi, e da
loro si lascia condurre nel suo cammino, così io mi affidai ad Aragorn,
sicuro che niente avrebbe potuto nuocermi fino a che sarei stato tra le
sue braccia. Le nostre labbra si incontrarono, prima timidamente, poi
sempre con maggior ardore, quella che all'inizio era stata una tenera
carezza si era tramutata in un lotta aperta per decidere chi di noi due
avrebbe avuto il controllo di quel bacio. Al pari delle nostre bocche,
anche le nostre mani si muovevano frenetiche per scoprire e accarezzare
più parti possibile dei nostri corpi. Quando ci allontanammo per
respirare negli occhi di entrambi si era accesa una luce predatoria, anche
se fosse scoppiata una guerra in quel preciso istante, noi non ci saremmo
fermati. Le labbra di Aragorn si impossessarono della pelle delicata
del mio collo, potei sentire chiaramente i suoi denti marchiarla. Anche
io avevo deciso che quella notte il signore di Gondor avrebbe avuto dei
segni che avrebbero fatto sapere a tutti a chi apparteneva. Le mie dita
scivolavano sulla sua schiena esplorando uno ad uno i suoi muscoli, e
lasciando al loro passaggio graffi che lo facevano inarcare. Quelle
schermaglie continuarono per molto tempo, fino a quando non sentii
chiaramente che stava cambiando posizione, spostandosi fino a coprire
completamente il mio corpo con il suo. Mi allargò le gambe con un gesto
deciso e molto delicatamente si fece strada nel mio corpo. Il dolore
che nonostante tutto si fece strada nel mio corpo, invadendo ogni cellula
di esso fu qualcosa che non avevo mai provato in tutta la mia lunga
esistenza. Cercai di allontanarlo da me, mi sentivo come un animale in
trappola davanti al cacciatore che prima di ucciderlo si sarebbe divertito
a vederlo soffrire. Aragorn cercò di tranquillizzarmi deponendo teneri
baci sul mio volto e sulla pelle del mio petto, mentre lo faceva cominciò
a muoversi con decisione nel mio corpo. Il dolore in un primo momento
aumentò, ma ben presto sentii che il mio corpo stava seguendo, senza che
io potessi fare niente per impedirlo, il ritmo che lui aveva
imposto. Il piacere esplose ben presto in me lasciando il luogo in cui
era nascosto e prendendo il posto del dolore. Raggiungemmo insieme
l'apice del nostro piacere, urlando per liberarci della tensione
accumulata; alla fine ci abbandonammo esausti uno fra le braccia
dell'altro, restando semplicemente abbracciati, passò molto tempo prima
che uno dei due parlasse, le parole in quel momento sarebbero state solo
di intralcio. Aragorn lasciò la sua posizione e si stiracchiò, in quel
momento mi sembrò un grosso lupo argentato. Anche io presto cambiai
posizione, mi spostai su un fianco, ignorando le proteste del mio corpo e
appoggiai la mia testa sul suo petto. Sulle lenzuola di seta vidi
spiccare una macchia vermiglia ma non me ne curai più di tanto, quella era
la ferita che avrei più amato in tutta la mia vita. Fu lui il primo a
rompere quel silenzio. "Ti amo Legolas, più della mia vita, per te ho
rinunciato a un regno, ma non me ne pento, lo rifarei mille e mille volte
ancora se il mio premio fossi tu, per l'eternità!" L'eternità, allora
non sapevo se un essere umano potesse veramente capire che cosa voleva
dire quella parola. Dovevamo parlare del futuro del nostro regno, del
nostro stesso futuro. Se io avessi rinunciato alla mia immortalità, per
rendermi simile a un uomo, entrambi avremmo avuto bisogno di un erede che
prendesse il nostro posto alla nostra morte, ma questo era impossibile,
eravamo fuggiti oltre il mare per non rinnegare i nostri sentimenti, e non
potevamo rimettere tutto in gioco una seconda volta.
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