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2. Tra le Reti Più Oscure

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“e possa la mia mano non tremare

nell’accingermi a dire quanto poi accadde.”

“Il nome della rosa”

 Umberto Eco

 

TREDICI ANNI DOPO

 

Ero nella prima fila, nell’ala destra della radura, insieme agli altri membri delle delegazioni diplomatiche, e dinanzi a me come ogni anno la Festa di Primavera era stata allestita nel Giardino dei Pomi, nel quale gli alberi da frutta si ergono orgogliosi sul verde e morbido prato, nel parco di Villa Wood, che ospita la dimora di città della famiglia regnante di Kèi-ànn. Alcune file di poltroncine erano state disposte a semicerchio nel centro del Giardino ed intorno a noi i rami degli alberi, che si andavano rivestendo dei primi fiori, formavano una cornice bruna e bianca e rosa. Vicino a me vi era il cugino dell’erede. Orlando, questo è il suo nome, mi sedeva accanto, perché mi era stato concesso l’onore di istruirlo nelle questioni relative ai rapporti diplomatici tra gli Stati e così per due anni sarei stato il suo maestro. Mi era stato affidato questo compito poiché, sebbene avessi solo trentadue anni, ero il funzionario straniero che risiedeva nella Villa da maggior tempo e che aveva dimostrato di essere affidabile, avendo a cuore la cura degli interessi del proprio popolo senza, però, per altro mai tentare di danneggiare quelli del Regno di Kèi-ànn, che mi ospitava ormai da tredici anni.

Il giovane Orlando si volse verso di me. Potevo leggere nella luce dei suoi occhi la trepidazione con cui attendeva la Cerimonia d’inizio della Festa.

“Sta per iniziare.” mi disse, guardandomi con quel suo splendente sorriso.

“È vero. – confermai – Ecco, guarda! Stanno arrivando i bambini con le fiaccole e le bambine con le sfere per l’incenso!” e nel dire così mi piegai in avanti col busto, indicandogli con il capo un lato della radura dietro la sua spalla destra.

Orlando si voltò a guardare quel cicalecciante corteo e poi rapidamente tornò a rivolgersi verso di me.

“Elijah stamattina, quando sono passato a salutarlo e a porgergli i miei auguri, era agitatissimo.” cominciò a dire Orlando.

“È normale essere emozionati.” gli risposi.

“Hai ragione. Ricordo che, anch’io, quattro anni fa, lo ero. La notte precedente non ero riuscito a chiudere occhio ed ero terrorizzato, temevo che qualcosa potesse andare storto. Guardavo fuori dalla finestra e speravo di sentir cessare il vento, ma non sembrava voler accennare a calmarsi…”

“Quella notte abbiamo avuto una vera e propria bufera, - dissi, sorridendo al ricordo - come al solito d’altronde. – aggiunsi – Qui temporali e piogge improvvise sembra facciano parte della vita quotidiana... – mi interruppi. Non era mia intenzione criticare il loro Regno. Vi era stata saggezza nella scelta dei suoi avi di stabilirsi tanto a nord, ma il clima era davvero inospitale, soprattutto per chi, come me, provenga da luoghi più temperati. Ma Orlando, come accadeva sempre più spesso col passare dei giorni ed il consolidarsi della familiarità tra di noi, sembrò leggermi nella mente. Devo ammettere che ne ero rimasto piacevolmente colpito e che non mancai di abituarmi rapidamente alla sua perspicacia, ma soprattutto che avevo ormai iniziato a aspettarmi di essere compreso, anche in ciò che non esprimevo a parole, sebbene questa sua sensibilità all’inizio mi avesse stupito, poiché dopotutto non aveva che sedici anni. Perciò, quando mi chiese direttamente e con un semplice sorriso: “Ti manca Fei, vero?” mi sentii stranamente rassicurato. Non furono le sue sole parole ad infondermi un senso di calma rassicurante ed a scacciare qualsiasi accenno di malinconia che stava per ghermirmi il petto, ma la sua calda espressione, che quasi sembrava volermi ricordare quanto fossi benvoluto in quei luoghi e tra quelle persone, tra quei nobili stranieri che mi erano ormai divenuti cari come e forse più della mia stessa famiglia, in quei lunghi anni di permanenza tra loro.

“Non più ormai.” non potei che rispondere, ed era la verità, anche se ancora non conoscevo fino in fondo l’estensione del mio legame con il Regno di Kèi-ànn e sarebbero dovuti trascorrere alcuni anni, prima che mi fosse del tutto chiaro.

“Comunque anche qui avete, a volte, delle splendide giornate, - dissi - come oggi, ad esempio.” poiché sapevamo entrambi che, nonostante le poche frasi che avevamo appena scambiato non riguardassero esclusivamente la nostalgia di un clima più mite, quello non era il momento, né tantomeno il luogo, per confidarsi su argomenti personali. Gli fui grato, quindi, quando lo sentii amabilmente rispondere con quel tono particolare, appreso dalle formalità di corte.

“Mio cugino non sarebbe potuto essere più fortunato. Il cielo splende di un azzurro intenso e non vi è traccia di nubi o di venti molesti a disturbare la sua Festa della Primavera.”

“Comunque anche tu, alla fine, sei stato altrettanto fortunato, - replicai cortesemente – niente a che vedere con quello che è successo gli altri anni!” conclusi. Questo forse era un argomento di cui si poteva discutere senza remore o timori, purtroppo. Così continuammo a chiacchierare…

“Povero Dom! – disse Orlando tra sé, cercando di non ridere – L’anno prima del mio, quando è stato Dominic a presiedere alla Cerimonia, c’era una nebbia così fitta che non si riusciva a vedere quasi nulla, per sua fortuna c’erano le fiaccole ed i bracieri intorno alla pedana!” concluse.

“Se non ci fosse stata la loro luce a guidarlo, non so come sarebbe riuscito a raggiungere il palco.” aggiunsi.

Nel frattempo le fiamme dei bracieri avevano cominciato ad ardere alte e scoppiettanti tutt’intorno al piccolo palco, che era stato posto sotto le chiome degli alberi più alti del Giardino. I bambini avevano lasciato le torce nei bracieri, che avevano appena acceso proprio con queste, e fissato gli incensieri ai pilastri che sorreggevano gli arazzi variopinti, e le decorazioni di ghirlande di rami fioriti, che racchiudevano su tre lati il palco e si erano seduti a terra, mentre noi ci voltavamo indietro, levandoci in piedi per accogliere i Maestri ed il giovane Cerimoniere, che avanzavano preceduti da musici e cantori.

“Questo è il momento più difficile – disse Orlando a voce bassissima, seguendo con le sguardo Elijah e senza voltarsi verso di me, contando sul fatto che sarei  riuscito a cogliere ugualmente le sue parole – deve mantenere il controllo e cercare di non tremare. Se gli tremassero la voce o le mani, non sarebbe uno spettacolo consono al suo rango.”

“Vedrai che andrà tutto bene, non è poi così difficile e poi il Principe è avvezzo ad essere al centro dell’attenzione, sono certo che non sbaglierà.” lo rassicurai. Pensavo tra me come la Cerimonia ogni anno suscitasse sempre le solite reazioni. Tutti noi che avevamo assistito ormai a numerose primavere osservavamo quei giovani con un sorriso di condiscendenza sulle labbra e sorvegliavamo il loro operato. Sapevamo che l’esaltazione dell’avventura rendeva febbrile ogni loro gesto e le parole concitate, ma non aveva importanza, credevamo che una volta che fosse stata controllata ogni procedura e che ci fossimo assicurati che conoscessero bene il rito tutto si sarebbe svolto correttamente e senza alcun rischio, così come era sempre stato.

“Lo so.” Mormorò Orlando e mi parve di vederlo rilassare quasi impercettibilmente le spalle, senza però perdere nulla della sua compostezza solenne. Era così diverso dal ragazzo allegro e ridente che stavo imparando a conoscere durante le nostre lezioni e ancora una volta mi sorpresi a pensare quanto sembrasse più maturo della sua età. Non mi stupii, quindi, che tornasse a irrigidirsi per la tensione che sapevo ben celata sotto il volto sereno, quando Elijah raggiunse la base della piattaforma.

La musica cessò e tutti attesero in silenzio. Il Gran Maestro, l’unico ad aver seguito il Principe fino ai gradini del palco, si volse verso il piccolo trono di legno dorato, posto al centro del palco, ove si trovava la Regina Madre. La donna chinò il capo in un cenno d’assenso e tornò ad accomodarsi sui cuscini di velluto e seta ricamati. Allora l’uomo si rivolse al Principe.

“Che la Cerimonia di Benedizione della Festa di Primavera abbia inizio!” esclamò con voce stentorea ed il giovane salì sul palco.

Elijah si fermò al centro della pedana e prese da una borsa, che portava alla cintura, sul fianco sinistro, la prima manciata della polvere dorata con la quale avrebbe dovuto creare intorno a sé il disegno del Recinto magico della Benedizione. Lasciando cadere quel baluginante pulviscolo, Elijah cominciò ad eseguire l’intricato percorso che da un anno a questa parte gli era stato insegnato, salmodiando ininterrottamente. Iniziò voltandosi verso il suo pubblico e versando un primo pizzico di quella polvere proprio dinanzi ai suoi piedi, in quello che avrebbe costituito il cuore del Recinto. Poi avanzò verso il bordo esterno della piattaforma,  che si trovava proprio davanti a lui, e ripeté il canto, mentre lasciava cadere dell’altra polvere. La sua mano raggiunse nuovamente la borsa e continuò a percorrere la superficie lignea, tracciando i bordi del Recinto e unendoli tra loro come in una fitta rete. Infine, quando il disegno del perimetro esterno del Recinto fu completato e l’energia pulsava vivacemente, scorrendo come un torrente nel suo alveo attraverso i segni dorati sulle assi levigate che lo circondavano, sentii la pelle delle braccia arricciarsi e un brivido mi percorse. Era la mia solita reazione alla magia delle Stagioni e con uno sguardo veloce, seppi che non ero l’unico a percepire l’accumularsi della magia. Orlando aveva sgranato gli occhi e assisteva con fremente emozione ai gesti del cugino, mentre un sorriso appena accennato si delineava sul suo volto eccitato. Mancava solo l’ultima parte del rito di creazione del Recinto e poi Elijah avrebbe proclamato la Benedizione per il risveglio della Primavera e, concluse le Benedizioni, avrebbe rilasciato le energie della stagione nuova lì racchiuse insieme a lui, poiché potessero tornare là da dove erano giunte e rinnovare il legame tra gli uomini ed il ciclo della natura. Mancava solo che il ragazzo prendesse un ultimo pizzico di quella polvere dorata e la lasciasse nuovamente scendere a pioggia davanti ad i suoi piedi, lì dove il rito era stato cominciato, perché il Recinto magico venisse completato. Elijah aveva teso il braccio e si appressava a ripetere un ultima volta il canto che avrebbe accompagnato la chiusura del Recinto, quando con un fragore sordo un solido ramo si spezzò dall’albero che sovrastava il palco e cadde rovinosamente su uno dei pali di sostegno dei pesanti arazzi, trascinando con sé l’intera  struttura. La stoffa si accasciò su se stessa e precipitò sulle alte fiamme dei bracieri sottostanti. Il palo continuò la sua discesa ed inesorabile andò a colpire Elijah in pieno sulla schiena. Il ragazzo, all’improvviso fragore alle sue spalle, si era voltato indietro e così l’ultima cosa che vedemmo fu la sua espressione che mutava rapidamente sul profilo del suo viso: da stupita si fece allarmata e poi essere sostituita da una smorfia di dolore, infine i teli ricamati, guizzanti delle prime fiamme, lo nascosero ai nostri occhi. Intanto l’energia, non più imbrigliata dalla coscienza dell’evocatore, danzava volteggiando selvaggiamente in cerchio, circondando Elijah e sollevandosi fino a tramutarsi lentamente in un’oscura corona.

 

…continua

Fatemi sapere chi cosa ne pensate!!

*Marea*