.|. Non Aver Paura .|.

by Aranel

Durante la lavorazione del film Troy, Orlando rincontra  un suo vecchio amico... ma dietro alla spensieratezza del gioco e dei ricordi, affiorano verità ben più profonde, che cambieranno la vita dei due ragazzi per sempre.

Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece

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“Orlando, ci sono visite per te!”

Paride si voltò alla sua destra, scrutando con curiosità fuori dalle finestre, non appena intravide il volto dell’uomo che l’aveva fatto chiamare, un sorriso comparve sulle sue labbra.

“Si, è un mio vecchio amico…” rispose all’interprete di Ettore.

“Aspettami solo dieci minuti… devo finire di girare questa scena…” disse, gesticolando, cercando di far capire all’uomo quella frase.

Questi annuì, e si allontanò dalla finestra.

La voce del regista risuonò nella sala, dove stavano girando gli interni, e tutti gli attori si concentrarono per affrontare l’ultimo atto di quel giorno.

Tutti tranne Orlando. Uno strano senso di eccitazione l’aveva colto non appena aveva intravisto quel volto familiare, non vedeva l’ora di terminare il suo lavoro, fremeva dall’impazienza… era molto difficile concentrarsi in quelle condizioni.

Tuttavia anche quei minuti trascorsero, e presto tutti gli attori si ritrovarono fuori dal set con ancora addosso gli abiti di scena.

Orlando non attese ancora… si diresse rapidamente verso il punto in cui lo aveva visto dieci minuti prima, ma quando arrivò non vi trovò nessuno…

“Ma dove si sarà cacciato…?” mormorò nervosamente, mentre quell’attesa lo rendeva sempre più insofferente.

“Gli abiti ellenici ti donano…”
Sgranò gli occhi e si voltò di scatto.

“Sei qui!” esclamò in un sospiro di sollievo “Credevo che te ne fossi andato!”

Gli corse incontro e lo abbracciò con forza.

“Non dopo diciotto ore di aereo…” rispose l’altro, ricambiando con intensità quell’abbraccio.

Orlando appoggiò per un istante la sua testa riccia contro il suo collo muovendola dolcemente.

“Mi sei mancato…” sussurrò.

“Anche tu, Orli…” rispose l’uomo, scostandolo per un istante da sé “Ti assicuro che se gli impegni non mi avessero trattenuto così a lungo negli Stati Uniti sarei venuto anche prima!”

Il ragazzo sorrise e quel sorriso contagioso sembrò per un attimo lasciare senza respiro l’altro.

“Lo so…” disse “Ma ciò non toglie che tu mi sia mancato…”

L’uomo sospirò profondamente, poi, con fare scherzoso, gli offrì il braccio.

“Vogliamo andare ora…?”

“Certo, ma… dove?”

“Ho preso una stanza d’albergo non molto lontana dal set…” gli strizzò l’occhio “…se ti va di seguirmi…”

“S..si…” rispose Orlando, sentendo le gote bruciare per il rossore che l’aveva colto.

Non doveva arrossire. Detestava arrossire davanti a lui.

L’uomo sapeva controllare alla perfezione le sue emozioni, contrariamente a lui, che le mostrava subito, nonostante la sua volontà.

“Ho la macchina dietro l’angolo…”

“Sei anche venuto a prendermi in macchina?” rise Orlando, allentando un poco la tensione che si era creata fra loro due.

“Oh si… l’ho noleggiata non appena sono arrivato… così quando sarai libero dalle riprese, potremo andare a fare qualche escursione per questa splendida isola!”

“L’hai portata la macchina fotografica?”

“Certamente…” concluse l’uomo sorridendo.

Si avviarono verso il parcheggio, attraversando il cortile esterno del set, continuarono a chiacchierare e a ridere per un po’… di tanto in tanto si guardavano intorno come se vi fosse qualcuno ad osservarli, si lanciavano rapide occhiate, ma non osavano fare di più di quel che stavano facendo… passeggiare come due buoni amici.

“E… fin quando ti tratterrai qui?” disse Orlando, non appena giunsero alla macchina.

“Credo… fino a…”

“Ciao Orlando…” echeggiò una voce alle loro spalle, interrompendo il loro discorso “…ecco perché sei fuggito così in fretta poco fa, non sapevamo che avessi visite… perché… non mi presenti questo tuo simpatico amico…?”

“Ciao Diane…” rispose Orlando, sorridendo alla collega.

La giovane ammiccò a sua volta e si fece più vicina.

“Allora…?”

“Dovresti conoscerlo… ha lavorato con me ne ‘Il Signore degli Anelli’… Viggo Mortensen”

La ragazza spalancò gli occhi e sorrise con ancor più interesse.

“Oh ma certo! Viggo! Non ti avevo riconosciuto, perché così… senza barba e capelli neri sembri tutt’un’altra persona… piacere Diane Kruger!”

“Piacere mio!” rispose l’uomo, stringendole la mano.

“Lei… invece… è l’interprete di Elena…”

“La sua donna!” si affrettò ad aggiungere la ragazza, indicando con un cenno del capo, Orlando.

“Colei che scatenò la guerra di Troia se non vado errato!” disse Viggo con un tono ironico nella voce.

“Si… in un certo senso… ma… per Paride si fa questo ed altro!” concluse Diane, accostandosi al giovane e cingendogli un braccio con il proprio.

Viggo alzò il sopracciglio e dovette trattenersi per non scoppiare in una risata.

“Bene…” disse d’improvviso Orlando “Forse è il caso che noi due andiamo… altrimenti ci chiude quel… quel…”

“…negozio…” l’aiutò Viggo.

“Si, negozio… di… di…”

“…scarpe!”

“Esattamente!”

“E dopo chi ti sente se non riesci a trovare quel paio che ti piace tanto…” si strinse nelle spalle “Ah! Inglesi!”

Orlando si staccò gentilmente dalla presa della collega e, dopo averla salutata, entrò in macchina.

Viggo mise in moto e partirono, lasciando all’asfalto le tracce del loro passaggio.

“Senti un po’…” prese a dire l’uomo dopo poco “…ma quella… dove l’avete trovata?”

 “Sapevo che l’avresti detto!” ridacchiò Orlando.

“Ma dai! Interpreta la causa della disfatta di una città e tutto quello che ha da dire è… per Paride si fa questo ed altro!” continuò Viggo, imitando alla perfezione il tono della voce della ragazza.

“Ora stai diventando cattivo…” l’ammonì bonariamente il giovane.

“Non avrà neanche mai letto l’Iliade!”

“Acido, direi!” disse ancora Orlando, prendendo in giro l’amico “Non sono mica tutti come te, che passi le ore chiuso nel tuo studio a leggere le cose più impensate, a elucubrare sulle cose più impensate e ancor peggio… a scrivere le cose più impensate!!!”

“Un tempo ti piaceva quel che scrivevo!”

“Ecco! Adesso fa l’offeso!”

“Non sono offeso, è solo che…”

“Ferma la macchina!” l’interruppe Orlando.

“Come?”

“Ferma la macchina! Laggiù in quello spiazzo!”

Viggo fece come il giovane gli aveva chiesto e portò l’auto in un piccolo piazzale.

Spense il motore e si voltò verso di lui.

“Ben arrivato amore!” mormorò Orlando, sorridendogli dolcemente.

L’uomo non riuscì ad attendere ancora… gli prese il volto tra le mani, e, lontano da sguardi indiscreti, gli sfiorò le labbra con le sue, lasciando che quel bacio diventasse istante dopo istante sempre più intenso.

 “Dio quanto mi sei mancato!” esclamò Viggo, dopo averlo assaggiato più volte.

Orlando rimase ancora per un attimo ad occhi chiusi passandosi lentamente la lingua sulle labbra per non dimenticare troppo in fretta quel sapore.

“Sono settimane che non ti vedo…” proseguì l’uomo riprendendo a baciarlo “Non sai quanto ti abbia desiderato…”

“Lo so… lo sento, perché è quello che provo anch’io…” rispose il giovane, lasciandosi trasportare dall’irruenza del compagno “Ecco perché sei venuto a trovarmi in anticipo…”

“Non ce la facevo più… non ce la facevo più… mmm Orli…”

Lo spinse dolcemente contro il finestrino, si sollevò dal sedile ed allungò un ginocchio tra le sue gambe, facendo in modo che egli le aprisse.

“Vi..Vig, ma che cavolo fai!” esclamò Orlando, scostandolo “Ma sei impazzito? Siamo in pieno giorno e… ah… mio Dio…”

Chiuse gli occhi… non appena la lingua dell’uomo si era fatta strada sul suo collo aveva perso la ragione… Viggo sapeva come farlo impazzire… egli infatti la mosse rapidamente, dalle spalle al lobo del suo orecchio, lambendo ogni frammento della sua pelle.

“Vig… Vig…” ma presto quella debole opposizione divenne un sussurro, poi un sospiro, infine un gemito…

“Ti voglio Orlando… ho atteso troppo tempo dall’ultima volta… non resisto… non resisto…” ansimò il compagno spingendosi con più forza contro di lui.

Era come un tempo, esattamente come un tempo, come l’ultima volta che si erano amati, tra una ripresa e l’altra de ‘Il Signore degli Anelli’, rendendo quei camerini incandescenti per la passione che si consumava là dentro… e Viggo… il suo Viggo era l’uomo di sempre, l’amante caldo ed attento che conosceva a perfezione il suo corpo… il sognatore che amava perdere la ragione quando entrava a contatto con il suo profumo…

Era passato più di un mese, ma il loro desiderio e la loro attrazione non sembravano essere diminuiti.

“In albergo…” ansimò Orlando, spingendosi contro di lui, ormai senza più controllarsi “Andiamo in albergo, ti prego… non qui… potrebbero vederci… andiamo in…”

“Si si, ok…” disse Viggo allontanandosi a fatica da lui e rimettendo velocemente in moto la macchina.

Entrambi rimasero in silenzio durante tutto il tragitto, quasi a contenere l’eccitazione che aveva preso possesso dei loro corpi, come se bastasse una sola parola a farla esplodere nuovamente… con furore.

“È… è quello…?” mormorò Orlando indicando un hotel dinanzi a loro.

“No… ma ci siamo quasi…”

“Ma quanto manca?”

“Ci siamo quasi ti ho detto!” rispose Viggo ridacchiando, e guardando il compagno con la coda dell’occhio “Sei quasi peggio di me!”

“No. Tu sei pessimo! Potrei ricordarti certi aneddoti sul set in assenza di Peter…!” riprese Orlando rincarando la dose.

“Forse è meglio di no… altrimenti qui, all’albergo non ci arriviamo proprio!”

Il ragazzo lanciò una rapida occhiata ai pantaloni di Viggo e con sua enorme soddisfazione notò che si erano fatti più stretti…

“Mmm… forse hai ragione!”

 

Dopo pochi minuti giunsero finalmente a destinazione, ma non fecero molta attenzione ai particolari di quella zona, assai carina… tipica maltese… loro, erano impegnati in altro.

“Buonasera signora… ho prenotato a nome di Mortensen… una doppia…”

L’anziana albergatrice indugiò un istante sui due compagni, indecisa se consegnargli la chiave o meno.

“Una doppia? Ne è sicuro?”

“Si, signora…” rispose Viggo con divertita gentilezza.

“Non c’è nessun errore?”

“No, signora…”

Dopo aver lanciato un’ultima sospettosa occhiata ad Orlando, si avviò un po’ zoppicante verso la pensilina su cui teneva le chiavi e ne afferrò una.

“Stanza 18… il bagno è all’interno della stanza… la colazione è dalle sette e mezza alle nove!” disse porgendola a Viggo.

“Grazie signora!” rispose l’uomo, ammiccando scherzosamente.

I due compagni salirono velocemente le scale e raggiunsero la tanto agognata camera… Viggo non fece in tempo ad aprire la porta che spinse Orlando con forza dentro la stanza.

Richiuse l’uscio con un calcio, facendo cadere a terra la chiave e spinse il giovane contro il muro, baciandolo ardentemente.

Il ragazzo serrò le mani sulle spalle del compagno, stringendo la sua camicia con forza crescente, mentre egli affondava con sempre più intensità la lingua tra le sue labbra.

“Mmm… questo mi ricorda qualcosa…” sussurrò Orlando, quando Viggo gli lasciò il tempo di respirare.

“Anche a me… ma allora avevi i capelli biondi…” rispose l’uomo, giocando un po’ con i suoi riccioli scuri “…avevi abiti aderenti che ti stringevano tutto, mentre ora…” proseguì sfiorandogli sensualmente il petto “…con questa casacca leggera…”

“Non parlare… continua a toccarmi…” mormorò con un filo di voce Orlando, spingendosi contro quel muro “Toccami come facevi allora…”
Viggo non se lo fece ripetere due volte, ed aprì rapidamente i lacci della casacca, passandogli all’istante una mano sul petto nudo… sentire ancora quella pelle e quel calore contro di sé… lo faceva impazzire.

“Sembra ieri che ci siamo salutati l’ultima volta… ti ricordo esattamente com’eri…”

Il ragazzo fissò il compagno nel profondo azzurro dei suoi occhi, gli afferrò ciocche dei suoi capelli castani e lo attirò a sé.

“Ti prego baciami! Ora che nessuno può vederci, ora che nessuno ci disturba… clandestini, come a Wellington!”

L’uomo dischiuse le labbra e le appoggiò sulle sue, ma non appena avvertì quel contatto, il bacio si fece più intenso… le loro lingue iniziarono a lottare disperatamente, a cercarsi, a lasciarsi andare per poi trovarsi di nuovo… smaniose di ottenere qualcosa di più.

Viggo passò le mani sotto la stoffa della casacca di Orlando, raggiungendo la schiena nuda, l’accarezzò, la strinse forte, la graffiò un poco, soltanto per sentire il compagno gemere e implorarlo di continuare… erano spasmodici i suoi movimenti, come se fosse stato colto da un raptus di follia, di delirio senza fine… lo toccava, lo baciava, desiderava strappargli gli abiti di dosso… voleva farlo suo, ritrovarlo, dopo tutto quel tempo che si erano separati.

Aveva paura che, una volta terminato l’impegno sui set in Nuova Zelanda, qualcosa sarebbe cambiato fra di loro.

Con uno scatto felino, afferrò le cosce di Orlando e riuscì a sollevarlo, sbattendolo nuovamente contro la parete… il compagno, incrociò le gambe dietro alla sua schiena iniziando a muoversi su di lui, soffocando gemiti sempre più frequenti non appena il suo corpo incontrava l’eccitazione dell’altro.

“Spogliami! Dio, Vig… spogliami e stendimi sul letto!” disse dopo poco, non riuscendo più a resistere.

L’uomo lasciò la presa sulle sue gambe e lo fece scendere nuovamente a terra… lo liberò del tutto dalla casacca bianca e lo spinse sul grande materasso matrimoniale.

“Anche i pantaloni! Anche i pantaloni, Vig…” ansimò ancora Orlando.

Viggo si mise a cavalcioni sopra di lui, e sfioratogli il petto scuro e sudato più e più volte con i palmi delle mani, scese finalmente sul ventre e con rapidi movimenti gli slacciò l’ultimo indumento.

Lo fece scorrere via dalle sue gambe e quello fu l’unico rumore che riuscì a spezzare quella costante eco di gemiti che si era diffusa in tutta la stanza… sospiri pesanti e sempre più accelerati… mormorii che non volevano più esser tenuti nascosti… l’adrenalina scorreva veloce, velocissima, e la tensione cresceva… cresceva… rasente l’esplosione.

“Spogliati tu adesso!” mormorò nuovamente Orlando.

“No, fallo tu!”

Il ragazzo si mise a sedere sul letto, trattenuto ai lati dalle ginocchia di Viggo ed iniziò a sbottonare velocemente la camicia del compagno, poi passò ai jeans, slacciando ogni bottone, e ad ogni bottone rialzava il volto per guardarlo negli occhi… gesti frenetici… impazienza da parte di entrambi.

Quando anche l’uomo fu completamente nudo, si distese sopra Orlando e nell’istante del contatto, ambedue chiusero gli occhi e sorrisero, perdendosi in un profondo sospiro.

“Dio…” sussurrò il giovane, stringendolo a sé.

Viggo iniziò a muoversi su di lui… chiaro messaggio di pretesa… il giovane aprì le gambe e le incrociò dietro alla sua schiena… poggiò una mano sulla sua guancia e gli sorrise teneramente… quello sguardo riusciva a dire molto più di tante parole…

“Vig… ti prego entra… entra… voglio sentirti ancora…”

L’uomo chiuse gli occhi, e dopo aver abituato per un poco il corpo di Orlando all’intrusione delle sue dita, si spinse completamente dentro di lui.

Il ragazzo s’inarcò con forza, poggiando le mani sulle spalle dell’amante, quasi volesse spingerlo via, ma lentamente… mentre Viggo rallentava i movimenti per poi accelerarli ancora… in quella sensuale danza… iniziò a rilassarsi e istante dopo istante a ricevere il piacere che egli gli stava donando.

 

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano amati… quante volte l’avevano fatto, da quando avevano scoperto ed accettato quella tremenda attrazione che li spingeva l’uno verso l’altro… e poi, magicamente, una notte era esplosa… in un piccolo camper, situato sul set del Fosso di Helm, mentre quella città immaginaria dormiva e la loro passione si consumava rapida e calma, piena di paure, accusando il vino di esserne stato l’artefice… ma nessuno dei due aveva trovato il modo per arrestarla.

 

“A..ah… Vig…” gemette Orlando, passando una mano tra i capelli del compagno.

“Ti… ti sto… facendo… male…?” rispose l’uomo, cercando di rallentare i movimenti… ma era così difficile.

“N..no… mi… mi… stai… ah… Dio… facendo godere da mo..ri..re…” ansimò l’altro, sussultando e aggrappandosi con braccia e gambe ancor di più a lui.

“Orli… io sono vicino…” ansimò Viggo, appoggiando la fronte nell’incavo del suo collo.

Orlando avrebbe voluto rispondergli qualcosa, chiamarlo a sé come faceva sempre, invece iniziò semplicemente a gemere più forte, appoggiando le labbra al suo orecchio, sapendo che in quel modo, egli avrebbe perso del tutto la ragione.

L’uomo affondò le unghie nella carne della sua schiena e si spinse con forza dentro il suo corpo, colpendolo più volte, sentendo infine unicamente se stesso… divorato da quella voragine dei sensi che Orlando era riuscito a creare attorno a lui.

“Vig…”
Un ultimo richiamo.

Un sospiro.

E poi… il silenzio.

Restarono così, per alcuni istanti, appoggiati l’uno sopra l’altro… Viggo continuava a respirare affannosamente, completamente pago di ciò che aveva appena ottenuto, ed Orlando gli passava, come per calmare quella foga che ancora sembrava brulicare in lui, le dita fra i capelli, dolcemente… ritmicamente… per fargli sentire che egli era là, a proteggerlo… per fargli sentire che ci sarebbe sempre stato.
D’un tratto l’uomo si sollevò e si distese dall’altra parte del materasso, portando il compagno con sé.

Orlando non attese ancora… si raggomitolò contro di lui, poggiando la testa sul suo petto e cingendogli la vita con un braccio.

Rimasero ancora in silenzio per qualche istante, cullati unicamente dai loro respiri… sorridenti…

 

“Avevo paura…” prese a dire Viggo dopo un po’ “Avevo paura, sai? Che non ti avrei più ritrovato…”

“Perché dici questo?” sussurrò Orlando, aggrottando la fronte.

“Non lo so… avevo paura e basta…Conosco bene il nostro mondo… gli impegni ci tengono lontani per mesi, ognuno di noi lavora con altre persone… magari… uomini e donne bellissimi…” sospirò “Si dimentica in fretta nella fabbrica dei sogni di Hollywood, così come la gente si dimentica in fretta di noi!”
Il giovane si rialzò un poco, tanto quanto bastasse per poterlo guardare bene in volto.

“Cos’è ora… ti è preso il tuo solito attacco di malinconia cronica…?” disse, cercando d’ironizzare.

“No, sto parlando seriamente…” gli sfiorò il mento con le dita “Ma solo per scongiurare qualcosa che non voglio che accada…”
Orlando sorrise.

“Sei forse geloso di qualcuno…?”

“Mmm… dovrei?”

“Ma no, dai…” si avvicinò lentamente alle sue labbra “Sai che non esiste nessuno bravo come te a fare l’amore…”

“Adesso mi tenti…” l’ammonì Viggo, scherzando.

“Si…? E allora…?” rispose Orlando, passandogli sensualmente la lingua sul profilo della sua bocca.
L’uomo chiuse gli occhi e si gustò quel dolce sapore, distribuito con maestria.

Voleva che niente di tutto ciò finisse, forse le sue erano paure inutili, ma qualcosa, già da quando era tornato a New York, l’aveva messo in allerta ed aveva sentito il bisogno di rivedere Orlando al più presto, e di dirgli quelle cose… quelle cose troppo a lungo taciute.

 

“Mmm… mi sa che la signora di sotto avrebbe fatto bene a non darci la chiave…” mormorò Viggo, riaprendo a fatica gli occhi.

“Se ci vedesse si sconvolgerebbe…” rise Orlando.

“Si, più o meno come quell’amica tua… Elena di Troia!” ribatté l’uomo, non riuscendo a trattenere una risata al pensiero.

Il giovane abbassò per un istante gli occhi e fece per alzarsi dal letto, ma Viggo lo trattenne per un braccio.

“Dove vai?”

“Devo… devo andare in bagno… scusami!” risolse un po’ bruscamente.

Non appena chiuso l’uscio alle sue spalle, si diresse verso il lavandino e vi appoggiò sopra le mani. Chinò la testa scuotendola debolmente.

“Cazzo…” mormorò “Non posso più continuare così…” sospirò rialzando il volto, ancora un po’ sconvolto dall’amore appena consumato “Devo dirglielo, cazzo, devo dirglielo!” strinse con forza il bordo del lavandino di marmo, come se dovesse sfogarsi, ma era con sé stesso che ce l’aveva “Dai, Orlando, calmati… in fondo… in fondo è successo solo una volta, e poi… io e lui non stiamo mica insieme! Non devo rendergli conto di nulla! Io non… merda!” sbatté il pugno contro una mensolina di legno, rovesciando il suo contenuto a terra.

“Orli, tutto bene?” gridò Viggo dall’altra stanza.

“S..si Vig, tutto a posto, mi è solo caduta della roba! Dammi un attimo che esco!”
Si sedette pesantemente sul bordo della vasca da bagno, prendendosi la testa tra le mani.

Come poteva dirglielo? Come poteva dirgli che era stato a letto con Diane dopo aver fatto l’amore con lui in quel modo?
Era vero, si era trattato soltanto di una notte, una stupida notte dopo una festa, in cui alla fine, tra l’eccitazione dell’alcool e le continue proposte da parte di lei, aveva ceduto.

In fondo le donne gli erano sempre piaciute, erano state sempre il suo debole e Diane era assolutamente bellissima.

Che male c’era aver fatto un po’ di sesso con una ragazza e poi, basta, nulla di più, nessun sentimento?! Perché avrebbe dovuto rivelarlo a Viggo e magari rovinare quel legame che c’era fra di loro?

Non l’aveva tradito! Non stavano mica insieme! Era semplicemente l’attrazione ad avvicinarli, un’attrazione e una tenerezza fortissima, ma nient’altro.
Si desideravano tremendamente, Orlando ammirava Viggo, ammirava la sua forza, la sua sicurezza, la sua sensibilità, in un certo senso aveva bisogno di lui, così come Viggo aveva bisogno della solarità contagiosa di Orlando, ma non si erano mai fatti promesse, non si erano mai detti parole d’amore, se non per scherzo, e ciò che li teneva uniti era per lo più infatuazione sessuale, curiosità, voglia di provare.

Si… tutto questo e nulla più… anche se Viggo si era fatto diciotto ore di aereo per raggiungerlo a Malta.

Orlando si alzò di scatto, come se un movimento brusco avesse potuto allontanare quei pensieri dalla sua mente.

Non voleva porsi domande, non voleva farsi venire sensi di colpa inutili… il suo più caro amico era lì, non ci sarebbe rimasto per sempre, quindi era giusto approfittare del tempo che avevano a disposizione.

Uscì dal bagno, indossando la consueta maschera sorridente sul volto, e si diresse verso il letto, su cui il compagno era ancora disteso.

“Andiamo a cena, Vig?”

 

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Trascorsero diversi giorni. La lavorazione del film procedeva molto bene, il regista era piuttosto soddisfatto per la brevità dei tempi in cui riuscivano a girare e per le interpretazioni degli attori.

Così, spesso, lasciava loro delle ore libere, da trascorrere fuori dal set.

Viggo era presente quasi tutti i giorni nelle varie ‘locations’ in cui avevano deciso di girare, per assistere alle riprese, ma anche per familiarizzare con gli altri attori, e soprattutto per stare accanto ad Orlando.

Durante i momenti di pausa e in particolar modo durante la notte, i due compagni, si ritrovavano invece da soli, a trascorrere qualche piacevole ora tra i romantici luoghi che quell’isola offriva loro, oppure si richiudevano nella consueta stanza d’ albergo, divenuta ormai una piccola alcova.

 

“Hey, Vig… che ne dici di aspettarmi in hotel per oggi? Ne avremo ancora per molto!” disse Orlando, un giorno che le riprese stavano durando molto più del solito.

Viggo si strinse con noncuranza nelle spalle…

“Io non… per me è uguale…”

“Dai… che sei qui da stamattina e non abbiamo neanche pranzato, mi sembri un po’ stanco!” insistette Orlando, cercando di convincerlo.

“Ma a me non dispiace…”

“Lo so…” l’interruppe il giovane “Ma non vorrei che dopo tutte le tue energie finissero…” gli sorrise maliziosamente “…devono restare anche un po’ per me, non credi?!”

L’uomo ridacchiò, cercando di non dare ascolto al proprio corpo, che in quell’istante aveva preso a lanciargli segnali inequivocabili.

“Vuoi proprio cacciarmi, oggi eh?” disse, raccogliendo la sua roba.

“In un certo senso… dai, non ti arrabbiare… te l’ho detto il motivo… e poi… non vorrei rischiare di trovarti addormentato stanotte quando mi ficcherò sotto le lenzuola con te!”

“Tu… tu sei…” l’additò Viggo, allontanandosi.

“Bastardo?” chiese impunemente Orlando.

L’uomo annuì ridendo, e dopo un istante scomparì dietro la porta d’ingresso del set.

 

“Mi dispiace, Vig…” mormorò tra sé e sé il giovane, abbassando lo sguardo “Ma dovevo farlo…” lanciò un’occhiata agli altri attori che in quel momento stavano girando “E se non lo faccio ora, non lo faccio più!” quindi raggiunse rapidamente la macchina da presa.

 

Viggo aveva messo in moto la macchina ed era partito, come suo solito, a tutta velocità… aprì il finestrino e respirò quella fresca e piacevole aria che proveniva dal mare.

Aveva sempre adorato i paesi del sud, forse perché le sue radici erano anche latine, in un certo senso, aveva passato molti anni in Argentina e quei paesi semplici e incontaminati gli riempivano di felicità il cuore.

D’un tratto vide una piccola strada che deviava sulla destra, portando direttamente al mare. L’imboccò e dopo poco si trovò dinanzi a quella distesa infinita che si allargava a vista d’occhio dinanzi al suo sguardo.

Spense il motore e tirò fuori dal cruscotto della macchina un block-notes e una penna… sorrise e s’ingegnò per scrivere qualcosa.

Ma ben presto tutte le parole che voleva mettere su carta si condensarono in una sola, e finì per scrivere soltanto questa… un semplice nome… Orlando.
Sorrise ancora, più intensamente, mordicchiò il tappo della penna… con la punta delle dita sfiorò quel nome, come se quel contatto riuscisse a portargli alla mente ancora la sua immagine.

“Non ne ho mai abbastanza di te…” mormorò dolcemente.

Sentì il suo cuore pulsare con forza contro il petto, si appoggiò al sedile, e, chiusi gli occhi, rimase ad ascoltare i sussurri dell’aria, in silenzio.

“Devo essere impazzito…” si disse, ridacchiando di sé stesso “Diciotto ore di volo!” esclamò, passandosi le mani sul volto “Caro Viggo, tu stai male!” concluse guardandosi allo specchietto.

Sospirò…

Le note che provenivano dal mare, da quell’infrangersi continuo della spuma marina sulla riva, si sposavano perfettamente con ciò che l’uomo in quel momento stava provando.

“Te lo dico o non te lo dico?” mormorò, come se stesse scherzando con un interlocutore immaginario. Poi, d’improvviso, il suo volto si fece serio e i suoi occhi assunsero quella profondità di chi ha già preso la sua decisione “Si che te lo dico… non sono venuto qui solo per portarti a letto, Orli…” sospirò “È da troppo tempo ormai che ci sto pensando…” rimise in moto la macchina “Stanotte, te lo dirò stanotte!”
Fece per premere l’acceleratore, ma d’un tratto, qualcosa sul sedile posteriore dell’auto distrasse la sua attenzione.

Allungò un braccio per afferrare quell’ammasso di fogli bianchi, e non appena comprese di cosa si trattava spalancò gli occhi.

“Oh cazzo! Che testa che hai! Questa è la parte che devi girare oggi pomeriggio!” ridacchiò “Sarai già nel panico, cucciolo!”

Fece marcia indietro e tornò rapidamente verso il set.

 

“Diane, posso parlarti un attimo?”

“Ah Orlando! Si, entra pure!”

“Ho approfittato di questo attimo di pausa per…”

“Hai fatto bene…” l’interruppe la ragazza “Anch’io avevo qualcosa da dirti!”

“Davvero?” sorrise Orlando “Bene… abbiamo una mezzora!”

L’interprete di Elena rispose al sorriso del collega, e si avvicinò a lui.

“Allora?”

“Beh… dunque…” prese a dire il ragazzo, visibilmente imbarazzato “Riguarda… quella notte passata insieme, ricordi?”

“E chi può dimenticarla!” ammiccò Diane, guardandolo negli occhi.

“Non so… credo… credo che sia tutto finito lì… insomma… noi non abbiamo fatto un errore, no?”

“Orlando!” esclamò la ragazza, lasciandosi sfuggire una risata “Si può sapere cosa ti prende? Quella notte… sembravi tanto sicuro di te!”

“Non abbiamo fatto un errore, Diane?” ripeté il giovane, seguendo pensieri unicamente suoi.

“No, Orlando… nessun errore…” sospirò l’altra, appoggiandosi ad una colonna dinanzi a lui “E se fosse per me… lo rifarei!”

“Diane!”

“Ma so che a te non va…” rispose lei ridendo “ Sei uno di quelli che, una volta che si è tolto la soddisfazione, nemmeno si ricorda più con chi è andato a letto!”

“Questo non è vero!”

“Ah no?” ribatté la ragazza, alzando un sopracciglio “E allora, c’è forse qualche altro motivo che ti impedisce di rifare quello che abbiamo fatto?”

Orlando rimase a guardarla per qualche istante interdetto. Non poteva certo dirle di Viggo, e inoltre Viggo non era la causa del suo turbamento!

“Non… non c’era qualcosa che volevi dirmi, Diane…?”

La giovane sorrise.

“Ma certo!”

Senza smettere di tenere gli occhi fissi su di lui, si portò le mani alla tunica, e allargatesi un poco le spalline con i pollici, lasciò che l’abito scivolasse a terra, lasciandola completamente nuda.

“Diane! Che diavolo fai?” gridò Orlando, sconvolto.

Lei sorrise ancora e a piccoli passi, lentamente, gli si avvicinò, prestando attenzione ad ogni movimento del suo corpo.

“A..avevi detto che volevi parlarmi!”

“Messaggio subliminale, Orlando!” rispose Diane, poggiandogli le mani sulle spalle.

Il giovane cercò di scostarla da sé, ma non vi riuscì, si trattava piuttosto di una volontà mentale che fisica… cercò di spingersi per quanto poteva contro il muro, per evitare quel contatto… non voleva farle sentire che l’eccitazione aveva già preso possesso del suo corpo… non voleva ricaderci di nuovo… non voleva… per lui stesso… sapeva che era un errore… per quello che si era ripromesso… per i sensi di colpa che da giorni lo attanagliavano… per Viggo… no, non per Viggo… lui non c’entrava nulla… era solo un discorso suo… solo paranoie sue… solo…

“Non ti andrebbe di rifarlo, Orlando…?” gli sussurrò sensualmente la ragazza sulle labbra.

“No… io non…”

“Sei un amante eccezionale…”

“Diane…”

“E quella notte ne è stata la prova…”

“Diane… non…”

“Galeotti… come Paride ed Elena…”

Vide quelle labbra morbide e carnose avvicinarsi alle sue, non riuscì a resistere a quel richiamo, così, senza pensarci più, assecondò quel bacio, che in cuor suo non voleva.

“Si… Orlando…”

Le sue mani scivolarono lentamente, come se mosse da una volontà non sua, sulla schiena della ragazza, carezzarono più volte quella pelle nuda e setata, mentre lei si abbandonava sempre di più a quel desiderio che voleva tenacemente realizzare.

Nessuno dei due si accorse che la porta era rimasta leggermente socchiusa, quel tanto che bastava per vedere cosa stesse accadendo là dentro.

Continuarono a baciarsi con passione per un lungo istante, ma quando Orlando riaprì gli occhi e vide attorno a sé le luci del camerino, sussultò e la staccò da lui… qualcosa gli era tornato alla mente, qualcosa di molto simile, che era avvenuto mesi addietro.

“Non possiamo!”

“Cosa?”

“Diane! Ti ho detto che non possiamo!” disse Orlando, alzando il tono della voce.

“Smettila di fare il bambino!” gridò lei a sua volta “Io ti voglio e anche tu mi vuoi, esattamente come quella notte quando mi hai portato nella tua stanza d’albergo! Non hai avuto problemi allora?”

 

Quell’ultima frase s’infranse nitida contro la stanza, raggiunse il corridoio stesso, dove echeggiò la voce della giovane attrice.

“…esattamente come quella notte, quando mi hai portato nella tua stanza d’albergo…”

Viggo si appoggiò di colpo alla parete fuori dalla porta del camerino… gli occhi sgranati… il cuore sembrava aver smesso di battere… ed uno ad uno i fogli del copione destinati ad Orlando caddero a terra sul pavimento.

 

“Non possiamo, Diane, mi dispiace!” ripeté Orlando, mantenendosi calmo.

Senza aggiungere altro si richiuse la casacca sul petto e porse alla collega l’abito di scena.

“Ci vediamo…” concluse ed uscì dalla stanza.

Non appena fu fuori, calpestò un insieme di fogli sparsi.

“Ma cosa…?” mormorò, chinandosi a raccoglierli.

Gli dette una rapida occhiata e si accorse che si trattava del suo copione.

“E questo? Da dove salta fuori?” aggrottò le sopracciglia “Credevo di…” spalancò gli occhi, gli mancò quasi il respiro “di…averlo lasciato… in macchina…Viggo…” sussurrò spaventato. E senza attendere ancora, corse fuori dal set.

 

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La stanza del piccolo albergo, era, come prevedibile, buia.

Orlando aprì la luce e per prima cosa si guardò intorno con ansia, per vedere se le cose di Viggo fossero ancora al loro posto.

“Vig…” mormorò con voce tremante, quando i suoi occhi trovarono l’amara conferma alle sue paure.

Richiuse la porta dietro di sé e si avviò stancamente verso il letto.

Sembrava un automa. Aveva perso di colpo la voglia e la forza di fare qualsiasi cosa.

Si sedette pesantemente sul materasso, che fino alla notte precedente era stato il testimone dell’amore che aveva condiviso con lui, e si prese la testa fra le mani.

Poteva sentirlo… il suo profumo… che impregnava qualunque cosa là dentro… le lenzuola… i cuscini… le pareti stesse… poteva sentire la sua voce… la sua risata, o le parole profonde rivolte a lui, pronunciate sempre in un sussurro… poteva rivedere tutto… stava rivivendo tutto.

Le lacrime si erano fermate agli angoli dei suoi occhi… faceva uno sforzo enorme per trattenerle… non voleva piangere… aveva paura di piangere, perché non avrebbe saputo definire quel pianto.

Perché si sentiva così? Improvvisamente solo e vuoto, svuotato di tutta la sua essenza vitale, impotente dinanzi al fatto che ora non poteva fare più nulla.

Se solo glielo avessi detto prima… se solo gli avessi fatto capire quanto realmente tenessi a lui…” pensò, con rammarico, stringendo con forza le lenzuola tra le mani.

Perché stava provando quelle assurde sensazioni? Lui che era sempre stato in grado di controllare tutto, di divertirsi senza porsi nessuna domanda, lui, così egoista che riusciva a vedere solo se stesso.

Per un semplice amico non si soffre in questo modo, per un amico con cui hai delle esperienze non ti trattieni per evitare lacrime a cui non sai dare un nome, lacrime che ti spaventano… ma Viggo… forse Viggo non era più un semplice amico, da molto tempo ormai…

“Eri tutto per me…” gemette Orlando in un singhiozzo, portandosi una mano sugli occhi e lasciandosi andare a quel pianto liberatorio.

Il silenzio di quella stanza, senza la sua rassicurante presenza, era diventato pregnante, insidioso, peggio del più assordante dei rumori.

“Perché? Perché devo sentirmi così?” gridò Orlando, rialzando il volto.

E fu in quell’istante che notò, sulla piccola scrivania, su cui Viggo era solito lasciare i suoi libri, un foglietto di carta strappato velocemente da un quaderno.

Lo fissò per un lungo istante, con il fiato sospeso, come se quell’oggetto dovesse prendere vita da un momento all’altro, come se fosse un nemico da affrontare, il più crudele, perché su quel foglietto c’erano probabilmente scritte delle parole e quelle parole sarebbero state il vero dolore.

Tuttavia si alzò, senza staccare gli occhi da esso, allungò una mano e lo prese tra le dita tremanti… si, c’era scritto qualcosa sopra… la calligrafia era di Viggo…

 

Ciao Orlando,

è la prima volta che fuggo come un ladro da un posto, non mi è mai successo, ma questa volta non potevo fare diversamente.

Sono felice di essere venuto a trovarti, sapevo che dovevo fare questo viaggio, sapevo che mi avrebbe portato comunque da qualche parte… certo… non proprio dove avevo sperato, ma in ogni caso mi ha aiutato a scoprire delle verità.

Non ce l’ho con te, non posso avercela con te… noi due non eravamo niente, o almeno, non abbiamo mai definito ciò che ci legava, non ce lo siamo mai detto.

Probabilmente, dentro di me l’ho sempre saputo… per quanto bella ed emozionante, la nostra storia non sarebbe mai potuta durare… te lo dissi appena arrivai qui, quando avevo così tanta paura di perderti e così tanto desiderio di averti… ‘si dimentica in fretta nella fabbrica dei sogni di Hollywood’…

Forse ti sei solo un po’ dimenticato di quel che ci univa, forse ti sei dimenticato di sperarci ancora, forse la distanza ha impresso i suoi confini tra me e te, mentre io ero lontano… ma non te ne faccio una colpa.

Non potrò mai ricordarti con rabbia o con rancore… nulla riuscirà a cancellare il tuo sorriso dalla mia mente, né tutto ciò che scaturiva da quel sorriso… sarà la mia luce nelle notti buie, che ora dovrò comunque affrontare, ma sarai tu, tu che mi hai donato la vita e poi me l’hai tolta come un bambino un po’ distratto, ad illuminare sempre e comunque la mia strada.

Ti ricorderò come sei, ricorderò la tua gioia di vivere e il tuo volto curioso, ricorderò le tue espressioni durante gli intimi attimi rubati al tempo, e spero che questo mi basterà per andare avanti.

Ho un unico rimpianto, mio piccolo cucciolo: essere arrivato troppo tardi, non aver trovato il coraggio per rivelarti il nome di questo sentimento che m’incuteva tanta paura… amore, Orlando… niente di più.

Ed io, che sono così bravo a gestire le parole, mi sono lasciato sfuggire di mano le due più semplici, che da tanto, tanto tempo avrei voluto gridarti… ti amo!

 

Vig

 

 

Orlando si lasciò scivolare a terra, come inebetito, contro l’anta dell’armadio, ripiegandosi su se stesso.

Le lacrime bagnarono rapidamente il piccolo foglio di carta… lacrime che non volevano più smettere di cadere…

Dimenticò ogni linguaggio, non riuscì a gridare, non riuscì a chiamarlo, ad invocare come in sogno il suo nome… riuscì soltanto a piangere e a stringere il foglietto nella mano come se quel contatto fosse l’unico ponte tra lui e Viggo, ormai probabilmente lontano.

Niente gliel’avrebbe riportato indietro.

Era ad un passo da realizzare ciò che aveva sempre desiderato… se soltanto avesse trovato il coraggio di rivelargli i suoi sentimenti, se soltanto gli avesse aperto il suo cuore.

Ma si era sempre considerato soltanto un avventura per molti, pensava che anche a Viggo bastasse così, pensava che egli non avrebbe mai cercato niente di più in lui, credeva che nessuno ormai sarebbe stato capace di cogliere la sua anima e i desideri taciuti dentro ai suoi occhi.

“Anch’io ti amo Vig…” disse con voce rotta, portandosi al cuore il pezzettino di carta.

Fu dolorosa e disarmante come consapevolezza, tanto più ora che l’uomo se ne era andato.

Orlando si rialzò a fatica, aggrappandosi alla maniglia dell’armadio… era senza forze, il pianto l’aveva stremato… che cosa poteva fare adesso?

Quella era la cosa che lo spaventava di più.

Uscì dalla stanza dell’albergo ancor peggio di come vi era entrato, la signora alla reception non osò neppure chiamarlo, ma lo seguì sbigottita con lo sguardo.

Raggiunse la strada. Stava piovendo.

Ma lui non sentiva nulla. Non più.

Iniziò a camminare senza meta, attraversò la piazza principale dell’isola, percorse vicoli stretti, giunse al mare, ma non se ne accorse, tirò dritto…

E su ogni strada e su ogni via, rimase indelebile il segno di quel passaggio, la scia di quei ricordi che egli aveva gradualmente perso avanzando, lasciandoli cadere come delle monete ormai vecchie dalla tasca dei pantaloni.

 

Quando alzò lo sguardo, notò che albeggiava già, la notte era scivolata via timorosa e silenziosa, ma non si era portata via il suo dolore.

Camminò ancora per un po’ e senza rendersi conto si ritrovò dinanzi all’aeroporto.

Sospirò ed entrò dentro.

Si poteva ancora percepire il profumo acido del detersivo sparso sui pavimenti. Non c’era quasi nessuno a quell’ora… una voce elettronica parlava ripetutamente da un alto parlante… forse era una voce registrata o forse si era rovinato il disco… ma lui non sentì nulla di tutto ciò…

Proseguì per la sua strada.

Raggiunse una grande sala d’aspetto, circondata da un’enorme vetrata da cui si potevano vedere gli aerei partire o atterrare… ma verso le sei del mattino ne decollavano e ne atterravano davvero pochi.

Avrebbe dovuto attendere almeno un’altra mezzora prima della nuova ondata di partenze, e poter così guardare l’affascinante flusso di mostri alati che si perdevano nel cielo.

Si avvicinò alla vetrata e rimase immobile ad osservare fuori.

Passò del tempo e d’un tratto, un aereo, terminato il rodaggio dei motori, si avviò verso la pista di decollo… Orlando lo seguì passo dopo passo, con attenzione, come se si fosse di colpo ridestato da quella sorta di ipnosi… osservò il suo profilo, la perfezione della sua forma, il muso pungente che di lì a poco avrebbe trafitto l’aria… notò la scritta su di esso… una compagnia americana.

L’aereo si apprestò al decollo, Orlando strinse tra le dita il foglietto che non aveva mai lasciato per tutta la notte… l’aereo lasciò terra… una lacrima rigò il volto del giovane…

“Addio Vig…”

 

“Non ho avuto il coraggio di prenderlo!”

Orlando si voltò di scatto. Quella voce… una scossa… il risveglio improvviso e violento da una sorta di coma profondo…

Indietreggiò di qualche passo, spaventato da quella presenza dinanzi a lui.

Cadde su una delle sedie, ma non smise di guardalo, incapace di pronunciare anche una sola parola.

“Io… io… ci ho provato, avevo fatto il biglietto, l’avevo fatto in fretta, ma… non ho avuto il coraggio… tutto qui…”
La sua voce era anch’essa tremante, e quando l’uomo fece un passo avanti, scoprendo il proprio volto alle luci dell’alba, Orlando vide che anch’esso era umido di lacrime.

Il giovane scosse la testa, balbettando qualcosa d’incomprensibile, parole senza senso, frasi senza senso… finché… un primo raggio di sole non sciolse il ghiaccio che si era formato su quelle labbra.

“Pe..perdonami Vig…”

E ad esse seguì nuovamente un violento pianto, scosso, a tratti, soltanto da forti singhiozzi.

L’uomo si avvicinò a lui, poggiando un ginocchio a terra, con un dito sollevò quel volto graffiato dalle lacrime, e con il pollice le ripulì dolcemente una ad una.

“Perdonami Vig…” riusciva soltanto a dire Orlando, chiudendo gli occhi, ormai rossi e stanchi, al passaggio di quelle dita “Perdonami per quel che hai visto… io… io ho sbagliato… io non la amo… non voglio lei… io…”

“Ti prego, Orlando… dillo…”

“Vig…”

“Ho bisogno di sentirmelo dire, ti prego…”

“Vo..voglio te…” si lasciò cadere tra le braccia del compagno che lo strinse con forza, trasmettendogli tutto l’amore di cui era capace “Voglio te, te soltanto, da tanto, da sempre… io… ti amo…”

Viggo chiuse gli occhi, e prese tra le mani il volto di Orlando, stringendo i suoi riccioli arruffati, baciandoli con ardore, tenerezza, quasi disperazione.

E Orlando appoggiò la testa contro il suo petto, lasciandosi andare ad un risposo e ad una pace che credeva ormai perduti; le dita, rese deboli dal troppo stringere, allentarono la presa e il piccolo foglio di carta cadde ai suoi piedi.

L’uomo lo intravide ma non distinse più nulla… l’inchiostro si era confuso, e le parole di addio erano state cancellate.

 

Quando entrambi rialzarono la testa, un altro aereo di una compagnia americana era appena decollato, Viggo strinse con forza a sé il compagno e sorridendo lo salutarono assieme.

Orlando appoggiò nuovamente la testa sulla spalla di Viggo… si sentiva felice, mai lo era stato come in quel momento, il suo corpo aveva riconosciuto quel calore familiare dal quale non si sarebbe più separato.

L’uomo carezzò dolcemente la sua fronte e vi posò sopra un bacio.

“Avevo solo paura di dirtelo…” mormorò.

“Ed io avevo paura di sentirmelo dire…”

Viggo si voltò verso di lui e lo guardò a lungo negli occhi, quegli occhi scuri, cresciuti troppo in fretta, in cui amava perdersi…

“Ti amo, Orlando…”

“È bello ascoltare queste parole…”

Si scambiarono ancora un altro bacio, quindi, tenendosi per mano, lasciarono l’aeroporto di Malta, sotto gli occhi incuriositi della gente.

 

The End