.|. Sei La Mia Speranza  .|.

6. Nelle Notti Senza Luna

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Legolas camminava con gli occhi fissi sulle fette di pane tostato accuratamente disposte nel piatto appoggiato sul vassoio che teneva tra le mani. Gli sembrava di avere le braccia deboli, e ad ogni passo rinsaldava la stretta delle dita intorno ai sottili manici argentei.

Osservò le proprie nocche pallide, fiocamente luminose nella penombra del lungo salone. Sorrise. Si chiese quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui si era sentito spossato allo stesso modo. Sicuramente, anni. Così… sfinito, ma da una stanchezza dolce. Come se anche il dolore che avvertiva alla contrazione di ogni muscolo fosse nulla più di una carezza decisa, o di un ricordo rimasto impresso sul suo corpo. Indelebile, fatto di sensazioni vive e ancora presenti. Perché l’avrebbe sopportata mille volte, quella sofferenza gentile, e l’avrebbe assaporata lentamente, senza stancarsene mai, pur di ritrovare sempre, con lei, ciò che gli aveva fatto provare Aragorn. Quella sera, nella caverna di luce sotto Ambalmíre.

Potesse essere così esiguo, il prezzo da pagare, si disse. Potesse essere solo questo, per sempre, il mio unico dolore…

Sospirò, ma senza che alcun suono si alzasse nell’immobilità che lo circondava. Giunse davanti all’ingresso dell’ultima stanza del corridoio, quindi si fermò. Spinse delicatamente la porta con una gamba, facendo attenzione a non urtare il vassoio, ed una volta entrato lasciò che si richiudesse alle proprie spalle. Rimase ad osservare il pane abbrustolito a pochi centimetri da sé, cercando tra le maschere che possedeva quella più serena ed insospettabile. La trovò, e dopo averla indossata rialzò lo sguardo.

“Sono qui. Ho portato qualcosa da… ”.

Si interruppe. Al di là dei drappi rosso cupo del grande letto a baldacchino troneggiante a pochi passi da lui, adagiati mollemente sugli angoli della struttura per regalarle forme più dolci, altre curve si intravedevano appena più definite. L’unica candela accesa nella stanza le illuminava infatti debolmente, brillando silenziosa su un piccolo tavolino posto accanto a quella cascata di velluto e seta. Seta grigio pallido, colore di perle rare viste solo in grandi mari lontani oltre le colline gentili di Valánen, e colore delicato per le ampie lenzuola che, quasi inconsistenti, coprivano fino alla vita il corpo dell’uomo addormentato al centro del letto, col capo sprofondato nei guanciali addossati contro la testiera. Il viso era reclinato di poco da un lato, ed il suo respiro calmo e regolare. Lunghe ciocche ondulate gli sfioravano le guance adombrate da un accenno di barba mentre, poco più in basso, il petto ampio e levigato si alzava e abbassava piano, bronzeo attraverso la luce della fiamma.

Dormiva sereno, Aragorn, e sorrideva. Una piega delle labbra lieve, ma dolce e bellissima.

Legolas trattenne il respiro per un istante, rapito da un’immagine che non avrebbe mai nemmeno immaginato, fino a poco tempo prima. Si avvicinò per posare senza far rumore il vassoio vicino alla candela, quindi tornò ad osservare il compagno. Restò per alcuni minuti con gli occhi socchiusi, vaganti sulla sua pelle ambrata, ma quando li riabbassò a terra la sua attenzione fu catturata da un fioco scintillio che prima non aveva notato. Accanto alla candela, vicino al bordo del piccolo tavolo.

Si chinò sul ripiano di legno, accucciandosi davanti alla fiamma che continuava a bruciare, vivace, guizzando di tanto in tanto investita dalla tiepida corrente d’aria che entrava dalla finestra socchiusa, dall’altra parte alla stanza. Allungò la mano. Le sue dita si chiusero intorno ad un piccolo oggetto luminoso, un bellissimo ciondolo argentato attaccato ad una sottile catenina dalla maglia incredibilmente fine. Dopo un attimo di stupore, con lentezza, lo sollevò verso la luce.

I sette cristalli che formavano il disegno floreale al centro furono subito investiti dal bagliore caldo del fuoco, frantumandolo in mille schegge iridescenti che si riflessero sul viso pallido ed assorto di Legolas, come un piccolo arcobaleno. Il ragazzo socchiuse le labbra, affascinato. Era il gioiello che aveva sempre visto al collo di Aragorn… si, ne era assolutamente certo. L’aveva notato così tante volte addosso all’uomo ma, stranamente, non si era mai fermato ad osservarlo con reale attenzione.

Inclinò la testa, attraversato d’improvviso da mille domande in merito alla provenienza del pendente. Non fece però in tempo a visualizzarne chiaramente nemmeno una perché, ad interrompere i suoi muti interrogativi, arrivò la voce roca e carezzevole del signore dell’isola.

“L’ho fatto anch’io, tante volte. E’ facile perdersi in quei colori, mentre li si osserva”.

Legolas mosse il capo, assaporando la sensazione di risvegliarsi da un sogno, intenso ed istantaneo. Aragorn, leggermente sollevato dal materasso con un gomito piegato tra le lenzuola, lo stava guardando con negli occhi l’ombra cullante del dormiveglia appena abbandonato.

“Hanno qualcosa di consolante. Proprio come i riflessi prodotti dalle pareti di mithril, giù nella caverna… ”.

Il ragazzo, a quelle parole pronunciate piano, sorrise.

“Hai ragione. E’… bellissimo”.

Tenne dolcemente stretto nel palmo il ciondolo, e rialzandosi andò a sedersi sul bordo del letto, nell’incavo tiepido lasciato dal corpo dell’uomo.

“Perdonami, credo… d’averti svegliato”, mormorò incrociando le iridi grigiazzurre del compagno e rivolgendogli una piccola, buffa smorfia colpevole. “Avevo portato qualcosa da mangiare… ”, proseguì poi, indicando il vassoio con un cenno del capo.  “… ma a quanto pare avevi bisogno più di sonno, che di cibo”.

Aragorn alzò un braccio, e con le dita prese ad accarezzagli i lineamenti del viso, sfiorandogli appena la pelle.

“Diciamo… che non ero più abituato a certe attività fisiche… ”, rispose allusivo. Attirò a sé Legolas, che si appoggiò languidamente sul suo fianco seminudo. “… ma sei tu l’unica cosa di cui ho bisogno”.

Il ragazzo allungò le labbra.

“Sono lusingato da certe dichiarazioni, signore di Ambalmíre… ma portandoti al digiuno non vorrei poi averti sulla coscienza, un giorno”, disse, mantenendo il piccolo sorriso. “Senza contare che Merry e Pipino non avrebbero più alcuna ragione di vita se non potessero cucinare più per il loro padrone… ”.

Risero, e l’uomo trascinò sopra di sé Legolas, che dopo averlo baciato più volte scese con le labbra lungo la sua pelle nuda, color sabbia bruna. Aprì quindi la mano, lasciando oscillare la catenina argentata davanti agli occhi dell’amante.

“Chi te l’ha donato doveva amarti molto… ”, aggiunse poco dopo, portando le proprie dita alla base della nuca dell’altro per chiudergli il gioiello intorno al collo. L’uomo abbassò le palpebre, poi fece un sospiro. Coprì le mani del giovane, fermatesi nuovamente sul suo petto, con le proprie.

“Come fai a sapere che mi è stato donato?”.

Legolas increspò le labbra.

“E’ evidente. Altrimenti non lo avresti così a cuore, e non lo indosseresti tutti i giorni”. Fece una piccola pausa. “Inoltre, solo un dono davvero sentito è capace di possedere un simile potere. Esser così… ”.

Non continuò la frase, ma proseguì invece ad osservare il pendente posando, nel mentre, una guancia sullan una guancia posata così, spalla di Aragorn. Questi gli circondò la vita con un braccio.

“Così… ?”.

“Non lo so. Confortante, credo. Come dicevi tu… ”.

Sfiorò le pietre levigate con le dita, poi socchiuse tristemente gli occhi.

“E’ stata… la persona alla quale somiglio a donartelo?”, chiese con un leggero timore nella voce. Non sapeva se la domanda sarebbe stata gradita all’uomo, ma non era riuscito a trattenersi. Sentiva… di doverlo sapere. Senza una ragione particolare.

Aragorn, però, non sembrò affatto infastidito. Anzi, alle sue ultime parole chiuse anche l’altro braccio intorno ai suoi fianchi, come nel tentativo di sentirlo ancor più contro di sé.

“Hai indovinato ancora”, mormorò con un mezzo sorriso. “Ti assomigliava, ed era bella quanto te. Aveva la stessa forma del tuo viso e… le sue labbra, si piegavano allo stesso modo in cui si curvano le tue. Quella persona… era mia madre”.

La risposta del padrone dell’isola sembrò rimanere sospesa tra i corpi dei due amanti. Poi Legolas la sentì scivolare sopra di sé, leggera.

“Ti sembrerà assurdo… ”, riprese con lentezza l’uomo, sollevando gli occhi verso la sommità del letto, dalla copertura foderata di raso scuro. “… ma trovò il pendente una mattina, sul fondo del lago. A pochi metri dall’argine su cui si affacciava la nostra casa. Si era appena sposata con mio padre”.

L’altro fece un piccolo cenno con la testa. Rise con dolcezza.

“Allora fu il lago a donarlo, per primo, a lei. Fu un regalo molto generoso… ”.

“Lei lo ha sempre creduto un segno inviatole dagli Dei”, disse ancora Aragorn, come se non avesse udito l’ultima frase del ragazzo. “Un simbolo di fede. E di speranza”.

Legolas tornò ad osservare il ciondolo. I suoi occhi mutarono in due sottili fessure, mentre aggrottava lievemente le sopracciglia.

Speranza… un segno inviato dagli Dei.

Già… è così che dovrebbe essere.

Serrò le labbra. Per un attimo, solo per un attimo, il suo viso venne attraversato da un’ombra di triste, dolorosa rabbia. Poi, con la stessa velocità con cui era comparsa, il giovane la ricacciò indietro.

“Speranza… per cosa?”.

Prima di rispondergli, l’uomo ebbe un attimo di esitazione.

“Per il ritorno della luce perenne”, rispose alla fine. “Per la definitiva sconfitta delle Ombre, e del Signore Oscuro”.

La corrente d’aria si fece d’un tratto più fredda, come se il solo suono di quelle parole avesse avuto il potere di abbassare la temperatura della notte. Aragorn sollevò allora le lenzuola del grande letto, tirandole verso di sé fino ad arrivare a coprire la schiena del ragazzo. Un silenzio irreale, dalla durata di un respiro, li circondò.

“Le… Ombre… ”, sussurrò poco dopo Legolas, spezzandolo, a voce bassa. L’uomo riportò le mani sulla sua vita sottile, lasciando che la seta grigia delle coperte scorresse sotto i propri palmi aperti.

“Immagino… che tu le conosca”.

L’altro assentì tacitamente, facendo scivolare le lunghe ciocche bionde sul collo del compagno.

“In effetti… credo non esista nessuno, a Valánen, che non sappia cosa siano… ”, continuò Aragorn con tono stanco. “Sono capaci di arrivare ovunque, tranne che qui. Fortunatamente, le acque sacre proteggono Ambalmíre. Quelle creature non hanno mai avuto il coraggio di bagnarsi nel lago, né di avvicinarsi troppo a Nimloth. Nemmeno in questi ultimi anni hanno mai osato farlo, sebbene l’albero abbia perso la sua luce. Questo posto li spaventa”.

Alle parole del compagno, Legolas tacque ancora. Sentiva il battito accelerato del proprio cuore risuonargli distintamente nelle tempie.

“Nimloth, quindi…”, mormorò sommessamente, accoccolandosi più stretto contro l’uomo. “… era già sfiorito quando tua madre ti donò il ciondolo?”.

Aragorn chiuse gli occhi, voltando la testa come per nascondersi allo sguardo dell’amante. Strinse le palpebre con forza.

“No… ”, rispose poi, deglutendo. “Ma il suo potere si stava già spegnendo. Allora, nessuno lo immaginava. Nessuno pensava che l’avvicinamento graduale delle Ombre oltre le colline di Valánen, nelle notti senza luna, fosse attribuibile all’indebolimento della barriera creata da sempre da Nimloth. Tutti credevano che fosse il Male, ad essersi rafforzato”.

Nonostante le coperte, e le tiepide braccia di Aragorn strette intorno a lui, Legolas percepì un brivido attraversargli il corpo.

Quindi… fu in quegli anni che iniziò.

Ma per quale motivo?

Le sue iridi blu si fermarono sul profilo sfocato del busto dell’uomo, perse in interrogativi senza risposte. Questi, invece, tornò a guardarlo, anche se il velo di tristezza dei suoi occhi non si era sollevato.

“Mia madre… era convinta che gli Dei e il lago avrebbero cacciato le Ombre per sempre, prima o poi. Così come era convinta che parte del potere dell’Albero Bianco fosse racchiuso in questo gioiello, il quale sarebbe stato in grado di proteggere chi l’avesse custodito”.

Legolas si sollevò di poco, scuotendosi dai propri pensieri ed appoggiandosi con le braccia sul petto del compagno per poterlo guardare in viso.

“E’ per questo che ha voluto che lo tenessi tu?”.

Alcuni fili dei capelli dorati del ragazzo si mossero piano, sopra il suo collo bianco. Solo per pochi secondi, mentre una delle ante della finestra oltre il letto, aperta sulla notte quieta ma ventosa che avvolgeva l’isola, incontrava la parete della stanza cozzando sulla roccia con un rumore sordo.

“Sì”, mormorò Aragorn con un sorriso tirato. Iniziò a passare le magre dita tra le ciocche del giovane. “Mi disse che a lei non sarebbe servito. E che gli Dei glie l’avevano inviato per me. Che a me, che ero la sua speranza, avrebbe affidato quella del lago. Il futuro di Valánen sarebbe stato il mio futuro”.

L’uomo si fermò. Alla luce tenue della candela i suoi occhi brillavano come gemme trasparenti, e le lunghe ciglia, abbassate su quell’azzurro pallido e liquido, lo rendevano immensamente triste.

“Me lo disse poco prima di morire. Fu… nello stesso giorno in cui morì anche mio padre”.

C’erano delle lacrime, sul volto del signore dell’isola. Lacrime invisibili, che chissà da quanti anni indugiavano, nascoste, nel suo sguardo sfuggente e lontano. Non le aveva volute far scendere, mai, per tutto quel tempo, e forse non sarebbe mai successo. Ma in quel momento, Legolas seppe che erano lì.

Il ragazzo si morse un labbro, cercando le mani dell’uomo per stringerle tra le proprie. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva. E magari aggiungere qualcosa che non risuonasse ancora una volta retorico, scontato e banale. Che lo amava, con tutto se stesso. Avrebbe voluto dirgli quello, e mille altre cose… ma non ci riuscì. Perché una strana sensazione lo bloccò. Il presentimento, netto, che ci fosse qualcos’altro.

Portò le sua dita alla bocca, e gliele baciò con un nodo in gola. Abbassò lo sguardo sui cristalli incastonati nell’argento lavorato del gioiello, osservando i riflessi della fiamma danzare lenti sulle loro piccole e perfette sfaccettature.

“Legolas… ?”.

Il ragazzo sentì due dita sollevargli il mento, ed il suo nome pronunciato in tono interrogativo. Con timore, quasi. Come per riportarlo in un luogo dal quale si era allontanato senza rendersene conto.

Rialzò la testa, e guardò confuso Aragorn. Cosa poteva dirgli?

“Siamo… ”, iniziò a scandire, sforzandosi di sorridere. “… simili, in questo. Anch’io… ho perso mia madre”.

L’uomo ricambiò il suo sguardo, leggendogli sul viso un dolore che gli sembrò di riconoscere. Poi, chiuse gli occhi. Quando li riaprì, in lui c’era una nuova tristezza. Il preludio di qualcosa che non aveva mai mostrato a nessuno.

“Se vuoi… te lo dirò”.

Legolas schiuse le labbra senza capire.

“Che… che cosa?”.

“Perché mi sono comportato così, questa mattina”.

Aragorn pronunciò quella frase cosciente del fatto che aprire il proprio cuore a Legolas avrebbe significato mostrargli ogni cosa di sé. Ogni singolo frammento di una vita relegata in un angolo della sua memoria per decenni… i lati chiari, quelli oscuri. I sentimenti che l’avevano attraversata. Le colpe.

Pensò a con quanta facilità aveva cambiato idea in poche ore. Si era ripromesso di non far conoscere a Legolas la sofferenza che aveva provato, ma dopo ciò che era accaduto tra di loro, nella grotta… dopo aver fatto l’amore con lui, capiva che non poteva più tenergli nascosto chi era. Non ne aveva il diritto. Anche se avesse avuto solo disprezzo, in risposta alle sue parole.

Perché lo amava. E perché non voleva più nient’altro, dalla vita.

… Non sarai più solo.

Se lo vorrai, io rimarrò sempre accanto a te.

Gli tornò in mente quella frase.

Il modo in cui l’aveva guardato, ed i suoi occhi sinceri. Pieni di amore incondizionato.

Sarai davvero disposto a farlo?

Dopo quello che ti racconterò, vorrai ugualmente restare al mio fianco?

Forse… sto sbagliando tutto.

Osservò Legolas. Gli stessi occhi, gli occhi di quel pomeriggio, erano nuovamente lì. Circondati da un viso di porcellana e avorio, all’apparenza così fragile, e troppo bello per essere reale. Per esser anche solo sfiorato da qualcuno come lui. Da un peccatore, come lui.

“Ti ascolterò… ma solo se tu vorrai davvero parlarmene”.

Il ragazzo gli accarezzò una guancia con la mano. Aragorn annuì.

“Lo voglio”, sussurrò piano, raggiungendo la mano del giovane con le dita e premendosela sul viso per sentirla contro la propria pelle. “Adesso, so di volerlo”.

Attese un sorriso di risposta da parte di Legolas, poi iniziò a raccontare.

“Esattamente vent’anni fa, in una buia notte di luna nuova, una viandante… arrivò al mio villaggio. Io e tutti gli altri abitanti eravamo chiusi in casa, naturalmente. Ogni volta che scendeva la sera nelle fasi di luna calante, lo facevamo”. L’uomo fece una prima, breve pausa. “Perché le Ombre… loro, avevano iniziato a scendere fra le colline anche con la mezzaluna in cielo. La sopportavano se poi, le sere seguenti, sarebbe andata riducendosi. Prima… non era così. Prima le Bestie, e i loro cavalieri… arrivavano a Valánen soltanto con il cielo completamente scuro. E credendo che sarebbe andata sempre così in molti, nel mio villaggio, persero la vita… moltissimi, in quegli ultimi mesi. L’Albero Bianco non brillava più da alcuni anni, e ora… anche la luna aveva iniziato a perdere i suoi poteri di protezione… ”.

Abbassò gli occhi. Deglutì.

“Le Ombre… cercano sempre vittime di cui cibarsi. Vagabondi senza riparo, forestieri in cammino nei boschi… e incauti rimasti all’aperto, sotto il cielo nero, nei vicoli dei villaggi. Chi non ha un’abitazione, e non vi si rifugia dentro, oltre una soglia sacra che il Male non ha il potere di valicare… non ha la possibilità di salvarsi. Quella donna era stata individuata, e inseguita dalle Ombre per un paio di miglia, probabilmente”.

Legolas socchiuse la bocca, inspirando con lentezza. Sin dalle prime parole di Aragorn aveva percepito un guanto di gelo ricoprirlo gradualmente.

Una donna… vittima delle belve. In una notte di luna calante.

Appoggiò il viso sulla spalle dell’uomo, tentando di controllare il flusso di pensieri che, veloci, si stavano facendo strada nella sua mente. I battiti del cuore gli risuonavano nitidi in gola, ma il dolore mai placato del ricordo era molto più assordante.

Esattamente… allo stesso modo. Era avvenuto così.

Lei… era morta così.

“Quindi… quella donna… ”, sussurrò, nascondendo all’uomo il tremito della propria voce.

Aragorn annuì. “Invocò aiuto, chiedendo rifugio. Bussò a molte porte, ma nessuno le aprì. Finì… ”. Legolas trattenne il respiro, durante quella breve attesa. “… sbranata… dalle Ombre. Davanti ai miei occhi”.

Fuori, il vento era aumentato. Lo si poteva udire soffiare tra le fronde degli alberi che si ergevano, alti, dinanzi alla finestra della stanza. Producevano un fruscio malinconico, che sapeva di autunno precoce. 

Il ragazzo biondo serrò i denti. Gli occhi gli pungevano. La verità era che non avrebbe mai più voluto risentire una storia come quella, ma si impose di trattenere il dolore che stava risalendogli, piano, la gola.

Aragorn aveva ricominciato, invece, a passare nervosamente le dita sulla schiena del ragazzo senza che questi se ne fosse accorto. Il signore dell’isola fu sollevato che l’amante non lo stesse guardando in viso perché, se fosse stato così, probabilmente non sarebbe riuscito a pronunciare nemmeno una delle parole che disse poi…

“Avevo… sentito le sue grida, e i suoi battiti disperati… anche alla mia porta. Lo ammetto, su un primo momento esitai per qualche istante… ma poi… poi, io le aprii”.

Sottolineò con forza la fine della frase, chiudendo gli occhi subito dopo. Non riusciva ad andare avanti se non immerso nel buio. Come se lì, nel silenzio della sua testa, nessuno potesse giudicarlo…

“Ma era… era troppo tardi. Oltre la soglia, vidi quella forestiera… a pochi passi da me, venir… trascinata via dalle zanne affilate di una delle belve. Io non… avevo mai visto una di quelle creature così da vicino, e… ”.

Si portò una mano sul viso, deglutendo. Sentendo la voce dell’uomo incrinarsi, Legolas sussultò. Si mosse un poco, ma non trovò la forza per sollevarsi.

“… tutto… finì in pochi secondi. Le urla della… donna, e quei… quei rumori, versi… gutturali, di… ”.

Dovette fermarsi ancora. Si asciugò velocemente gli occhi, per poi ritrovare a fatica il ritmo naturale del proprio respiro.

Avanti, è quasi finita, si disse. Dopo ti sentirai meglio.

Dopo, sarà finalmente diverso. E andrà bene così.

Nonostante tutto…

Andrà bene così.

Inspirò profondamente, acquistando coraggio da quei pensieri.

“Quando l’Ombra terminò il suo… il suo pasto, lei e… tutte le altre scese fino al villaggio quella notte, lo abbandonarono”, riprese allora, lentamente. “Dovevano aver fiutato un’altra preda, o forse l’alba si era fatta troppo vicina. Comunque, quando fummo sicuri che non c’era più pericolo, uscimmo per le strade. Ed in quel momento… ”.

Abbassò le ciglia sulle ciocche bionde dell’altro, e fece una pausa.

“… ogni cosa cambiò, per me”.

Solo allora Legolas riuscì ad uscire dallo stato di immobilità conservata sin dall’inizio del racconto. Si inumidì le labbra, deglutendo.

“In che senso?”, domandò. Facendo una lieve pressione sul materasso riuscì ad alzarsi quel tanto che bastava per tornare a guardare l’amante e lui, a quella domanda, cercò la sua mano. Il coraggio di prima non gli era sufficiente.

“Gli abitanti del villaggio… non mi vedevano di buon occhio. Da molti anni, in effetti, andava avanti così. Da quando avevo cominciato a vivere da solo. Isolato dagli altri, e… intrattenendo pochi rapporti”, spiegò Aragorn con una punta di amarezza nella voce, che si era fatta più bassa e controllata. “Non mi intromettevo nelle faccende di nessuno perché non volevo che gli altri si intromettessero nelle mie. Non c’era nulla di male, no? Nulla… nulla di sbagliato…”.

I suoi occhi presero a spaziare oltre il viso del giovane, lontani. Questi lo osservò senza capire, teso, rinsaldando nel mentre la stretta delle loro mani.

“No, nulla. Hai ragione. Ma perché mi stai… ”.

“Loro mi accusarono, Legolas”.

L’uomo tornò in un battito di ciglia su di lui. La fronte del signore dell’isola si aggrottò, e nei suoi occhi chiari la tristezza si unì a qualcosa di infinitamente più cupo, che il ragazzo non aveva mai scorto nemmeno durante la loro ultima, furiosa litigata. Un brivido istantaneo percorse la schiena di Legolas, con la violenza di una frustata.

“Mi accusarono… di non aver dato rifugio ad una viandante. In una delle notti dominate dalle Ombre. Di averla condannata ad una fine atroce”, sussurrò Aragorn con un tono velato da qualcosa di sinistro. “Accusarono me solo… del reato più grave che potesse avvenire davanti agli occhi degli Dei e degli uomini, quando ognuno di loro, tutte… tutte quelle dannate famiglie… non avevano mosso un dito sentendo i colpi di quella donna alla loro porta. Io fui l’unico ad aprirle. L’unico, e fui punito”.

“Punito… ?”, chiese il ragazzo. “E… da chi?”.

Dalla sua gola era uscito soltanto un filo di voce. Perché aveva fatto una domanda di cui sapeva già la risposta. A Valánen, le colpe degli uomini eran giudicate soltanto da coloro che abitavano fra le alte colline dorate a nord del lago. Nessun altro poteva arrogarsi il diritto di decidere della sorte di un mortale. E la sentenza, l’ultima parola sul suo destino poteva esser pronunciata unicamente da lui… 

“Gli Dei”. Quel sussurro uscì dalle labbra di Aragorn a stento. “Fui prelevato dagli Alti Cavalieri. Processato, e… e confinato qui, in questa prigione di terra e pietra, da Thranduil, il Primo Dio. Per sempre”.

Legolas avrebbe voluto riempire con delle parole il silenzio che seguì poi, ma non ne fu in grado. L’aveva sempre saputo, però. Sin dalle prime spiegazioni degli hobbit, aveva immaginato che c’era molto più di un’isola sacra abitata da un uomo solitario, malinconico e schivo. L’esilio di Aragorn su Ambalmíre costituiva, adesso, il primo tassello rimesso finalmente al suo posto, in mezzo a decine di altri sparsi ancora alla rinfusa nella sua testa.

Sentì un dolore acuto. Socchiuse le palpebre, portandosi una mano alla tempia. Già, mille voci avevano cominciato a urlargli interrogativi ai quali non sapeva dare risposta. Perché? Perché Thranduil aveva condannato Aragorn, se era innocente? Il Primo Dio era capace di leggere nel cuore di tutti i mortali. Non avrebbe mai punito un uomo giusto, né lasciati liberi i suoi accusatori, forse gli unici veri colpevoli della tragedia. Ma se anche l’uomo fosse stato il diretto responsabile di quello che era accaduto… perché una condanna così insolita quando le leggi sacre prevedevano, per colui che si era macchiato di omicidio, la stessa fine alla quale aveva destinato la sua vittima?

Le domande di Legolas si addensarono anche intorno ad Ambalmíre. L’isola proibita… l’isola dell’Albero Bianco. Il posto dove lui non avrebbe dovuto mai mettere piede…

Perché Aragorn era stato esiliato proprio in quel luogo?

Scostò le dita dal viso, raccogliendole nel palmo e abbassando la mano sul proprio petto. La sua mente avrebbe continuato a cercare a lungo un senso tra tutta quella confusione, se l’uomo non avesse ripreso a parlare.

“Ed è… per questo motivo che non posso lasciare l’isola”, disse, posando ancora lo sguardo sul ragazzo. Aveva una rabbia stanca nella voce. “L’intero perimetro di Ambalmíre è protetto da una barriera che mi impedisce la fuga, eretta da Thranduil. Non posso oltrepassarla, né infrangerla. Sono vent’anni che non vedo nient’altro che queste mura di pietra, i rami nudi di Nimloth e… le foglie degli alberi intorno al castello mosse dal vento. Sono vent’anni che guardo Valánen da qui. Che sconto una pena… ingiusta”.

L’ultima parola sembrò uscirgli dalla gola con fatica, ma subito riprese.

“Io… so perfettamente di aver contribuito alla fine terribile di quella donna, ma… ”. Deglutì, spostando per un attimo gli occhi lucidi da quelli di Legolas, che lo stava fissando, triste, con le labbra socchiuse. “… non volevo… che finisse a quel modo. E io non meritavo di finire così. Non meritavo tutto questo”.

Le iridi dell’altro indugiarono per qualche secondo su una ciocca bruna di Aragorn, sospesa a pochi centimetri dal suo mento. La prese tra le dita, per poi spostarla delicatamente dietro l’orecchio dell’uomo.

“E’ vero, non lo meritavi”, mormorò il ragazzo con dolcezza, sperando di alleviare, seppur di poco, la pena dell’amante. “Ma anche gli Dei, purtroppo, a volte commettono degli errori… ”.

“Mi sono stancato dei loro errori!”, sbottò però d’un tratto Aragorn, con tono furente. Legolas ebbe un sussulto e l’altro, vedendo quella reazione, riprese piano dopo un lungo sospiro.

“E’ che… in passato, ne hanno commessi troppi. Ed io… io sono stanco di pagarne sempre le conseguenze”.

Pronunciò quella frase con infinita amarezza. Strinse il labbro inferiore fra i denti, e il ragazzo lo guardò confuso. Aragorn gli passò allora una mano sulla schiena, invitandolo a stendersi nuovamente con lui tra le coperte.

“La notte il cui Nimloth si spense definitivamente… sì, io c’ero”, disse a voce bassa, gli occhi puntati sul soffitto. “E… vidi cosa accadde. Lo sentii. Perché il mio villaggio era quello di Êlar, e in quella notte di trent’anni fa… le Ombre, senza più alcuna barriera a tenerle lontane, lo invasero. Massacrando donne, uomini e… bambini”.

A quel nome, così tristemente famoso in ogni angolo del lago, il sangue si gelò nelle vene di Legolas. E lui, in un attimo, capì ogni cosa.

“Tu… tu sei… sei sopravvissuto a… ”, sussurrò contro la pelle dell’uomo, sentendo improvvisamente la propria voce venire a mancare.

Aragorn contrasse dolorosamente la fronte.

“Fui uno dei pochi a salvarsi”, mormorò tenendo gli occhi chiusi e le mascelle tese. “Mia madre mi fece scendere in una botola, nascosta nel soggiorno della nostra casa. A quel tempo nessuno sapeva che le Ombre non sarebbero state comunque in grado di oltrepassare la soglia sacra delle abitazioni. Nemmeno… mphf, nemmeno gli Dei ne erano a conoscenza. Altrimenti ce lo avrebbero detto. Avrebbero informato in tempo il loro amato popolo dell’unica possibilità di salvezza esistente… ”, puntualizzò con astio amaro, velenoso. “Non erano preparati alle emergenze. Non avevano mai preso nemmeno in considerazione l’evenienza che un giorno il Male avrebbe potuto invaderci, che l’Albero Bianco avrebbe potuto perdere la sua luce in una notte di Luna Nuova… e che i loro preziosi Cavalieri avrebbero potuto cadere in una sciocca trappola, spingendosi oltre i confini di Valánen lasciandola, così, vulnerabile a qualsiasi attacco… ”.

Rise.

“E pensa, i pochi Cavalieri rimasti nel lago andarono a schierarsi intorno alle colline dorate, per difendere il regno dei loro sporchi Dei… pur sapendo perfettamente che le Ombre avrebbero prima puntato sui villaggi, facendo di ogni mortale carne da… da macello… ”.

Fece una pausa, ed un sospiro esasperato fu seguito da un’altra, cinica risata.

“… ma la verità è semplice, sai? Per tutti gli anni seguenti lo si è bisbigliato per i villaggi… Thranduil ha usato Êlar come scudo. Per far ritardare la marcia dell’armata del Male verso le sue terre. Per prendere tempo, per permettere agli Alti Cavalieri di rientrare, ha pensato bene di… di sacrificarci… ”.   

Il tono dell’uomo era sprezzante, sdegnato, addolorato. Rabbioso. Legolas udiva la sua voce incrinarsi ad ogni parola, ed il respiro farsi più veloce per la sofferenza bruciante che il ricordo di quella terribile notte stava risvegliando in lui. Ma il ragazzo percepì quelle stesse fiamme attraversare anche il suo corpo, divorandolo accompagnate da un dolore cento volte più logorante di quello dell’amante. Non era capace di muoversi. Non ne aveva più la forza. Perché anche se l’uomo non aveva ancora terminato il suo racconto, Legolas già sapeva cosa avrebbe detto…

Ed in quel momento, lui avrebbe desiderato soltanto non essere mai giunto su Ambalmíre.

“Tutti… tutti gli abitanti di Êlar… si armarono di asce, lance, archi, spade… ”. Il timbro tremante di Aragorn riempiva solitario l’aria. “Decisero di uscire, di lottare. Di… di difendere le loro case. Nonostante sapessero di avere poche possibilità, loro… non si vollero arrendere passivamente al Male. Combatterono fino alla fine, come veri… veri guerrieri… fino… alla morte… ”.

Un singhiozzo soffocato. Una pausa lunghissima, ed estenuante per entrambi.

“… i miei genitori… erano tra loro… ”.

Da sotto le ciglia abbassate di Legolas scesero due lacrime. Scivolarono piano, in silenzio. 

… perché?

“E’ per questo che odio gli Dei. Che li odierò per sempre, in eterno. Mi hanno… mi hanno portato via, mi hanno… strappato tutto quello che avevo… ”.

… perché questo fato crudele si accanisce contro di noi?

“… gioia, libertà, amore… io… io per tutto questo tempo… ho dimenticato cosa fossero… ”.

perché esistono colpe che non avranno mai espiazione?

“… e l’unico responsabile è Thranduil. Lui e la sua… puah, casata immortale. Non avranno mai il mio perdono. Possono prendersi la mia vita, annullare la mia dignità, la mia… esistenza, tenendomi qui fino a che non morirò in una di… di queste stanze gelide, completamente pazzo per la solitudine… e possono prendersi tutto ciò che rimane del… del ragazzo che ero, ma il mio perdono… no, quello non l’avranno mai… ”.

Aragorn strinse le labbra. Si coprì la fronte con il palmo di una mano, massaggiandosi gli occhi e asciugandoli delle lacrime rimaste imprigionate tra le ciglia. Li tenne chiusi per un po’, e solo in quel momento si accorse dei singhiozzi deboli del ragazzo biondo, steso contro di lui.

“Legolas… ?”, lo chiamò con tono preoccupato. “Mi… mi dispiace, io… in realtà non volevo farti ascoltare questa storia terribile, ma… ”. Sospirò. “… sentivo di non poter più tenerti nascosto il mio passato. Non sarei riuscito a tacere un’altra volta. E a farti soffrire ancora”.

“No, no… ”, bisbigliò subito lui con un sorriso forzato, posando una mano su quella dell’uomo, ferma sul suo fianco nudo. “Hai… fatto la cosa migliore, e ti ringrazio. Non preoccuparti, sto bene. E’ solo che non ero preparato a un… racconto del genere”.

Socchiuse gli occhi umidi.

“Se potessi, io… ”.

“Lo hai già fatto”, lo anticipò Aragorn. “Anche se nessuno ha il potere di cambiare il passato, tu hai migliorato il mio presente. La solitudine è stata terribile fino al tuo arrivo… ”.

L’uomo chiuse gli occhi con un sorriso lieve. Sentiva il sonno avvicinarsi. Il calore del corpo dell’amante lo stava facendo cadere in un piacevole torpore, o forse il merito era solo del suo cuore, finalmente più leggero dopo tanti anni. Sapeva di aver fatto la scelta giusta, nonostante le conseguenze che quella verità avrebbe potuto portare…

“… ma adesso che sai tutto, Legolas… ”, sussurrò ancora, sfiorando la guancia del giovane col dorso della mano. “… potrai anche scegliere il tuo futuro. Eri libero di andartene il primo giorno, e lo sei ancora”.

Aragorn risollevò un poco le ciglia.

“Io non voglio… condannarti a una vita di reclusione… ”.

Il ragazzo mandò giù il nodo che aveva in gola, restando in silenzio.

“… ti amo troppo… per chiederti una cosa simile… ”.

Un altro, proprio in fondo al palato. Legolas sentiva la propria bocca diventare sempre più arida. L’uomo non poteva sapere quanto male gli stessero facendo quella parole…

Si sollevò dal materasso. Le sue sopracciglia fini erano incurvate su uno sguardo vitreo, adesso, e lontano. Con la schiena contro la testiera, spostò piano la testa di Aragorn per farla appoggiare tra il proprio petto e il guanciale, quindi gli circondò il capo con un braccio in modo da poter accarezzare il viso del signore dell’isola con le dita.

“Shh… non preoccuparti di questo, adesso”, gli bisbigliò con dolcezza triste, passando i polpastrelli sulla sua barba rada. Si chinò per baciargli piano le labbra. “Non pensare a nulla, e dormi. Ne hai bisogno…”.

Il respiro dell’uomo si fece in pochi minuti regolare e la stanza, avvolta da un silenzio caldo, sembrò di colpo vuota senza più i loro sussurri nell’aria. Legolas stette a lungo a guardare il viso sereno dell’amante, poi levò gli occhi verso la finestra.

Il vento aveva smesso di soffiare.

 

***

 

Erano poche le luci che, di notte, si riflettevano sulle acque del lago. Guardando verso le colline dall’isola se ne contavano soltanto pochi gruppi, concentrati perlopiù nei grandi villaggi appena sopra gli argini.

Il ragazzo biondo restò, in piedi, ad osservare quell’orizzonte debolmente luminoso con gli occhi socchiusi e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Indossava solo la calzamaglia grigia, mentre il petto nudo appariva pallido e quasi opalescente sotto i raggi gentili della luna che, quella sera, era poco più di un sottile spicchio.

Spostò gli occhi lungo la scia di puntini luminosi, alla ricerca di qualcosa. Per un po’ vagò indeciso, quindi si fermò. Chiuse gli occhi, e scosse la testa.

Alla fine, sarebbe così semplice.

Andare alla spiaggia, slegare la barca… spingerla in acqua.

Posò di nuovo lo sguardo sul nugolo di luci davanti a sé.

La piazza della cittadina di Valánen. La piazza da cui era partito.

Sì, avrebbe potuto riportare la barca lì, e poi…

Poi, ritornare a casa.

I lineamenti del suo viso rimasero distesi, indifferenti, muti. Dopo qualche istante, però, l’aria ormai immobile ma fredda iniziò a pungergli piano la pelle e allora, nel momento in cui un brivido lo attraversò, il giovane abbassò le ciglia sulle proprie braccia. Le incrociò contro il petto, con forza.

Quando rialzò la testa, i suoi occhi blu erano pieni di lacrime.

Accasciandosi sull’erba umida, Legolas scoppiò a piangere. I suoi singhiozzi riempirono improvvisamente il silenzio del giardino mentre un uccello notturno, con un frullo d’ali, si librava sopra gli alberi per poi allontanarsi veloce nel cielo nero. Il ragazzo seguì la sua sagoma con lo sguardo fino a che non fu più in grado di distinguerla. Tornò a fissare l’erba, poi il lago. Dopo essersi passato il dorso di una mano sulle guance bagnate cercò di calmare il proprio respiro accelerato.

“So che sei lì, Frodo. Puoi anche uscire”.

La voce di Legolas era ancora rotta dal pianto, ma il tono era dolce. L’hobbit fece subito la sua apparizione scostandosi dal cespuglio dietro il quale si era nascosto. Avanzò verso l’amico con timore, chiaramente imbarazzato.

“Allora… te n’eri accorto?”, gli chiese il mezz’uomo, incassando un poco la testa nelle spalle.

“Che mi avevi seguito? Impossibile non accorgersene”, replicò l’altro con un sorriso divertito. Fece una piccola risata, ritrovando per un attimo la serenità. “Alla caverna ho temuto che ti saresti fatto scoprire anche tu… ”.

“Oh!”. Frodo si portò le mani alla bocca, diventando d’un tratto rosso in viso. “Legolas, ti posso assicurare che poi sono andato via! Non sono rimasto fino alla fine… voglio dire, non sono restato a guardare tu e lui che… ”. Si bloccò, rendendosi conto di ciò che stava per dire. “Cioè, ehm… non che io volessi rimanere a guardare quello che stavate facendo, sia chiaro… ”.

Il ragazzo biondo si portò due dita alla fronte, iniziando a grattarsela con le palpebre abbassate.

“Frodo… lascia stare, ho capito”, disse, cercando di non immaginare fino a che punto l’amico li avesse spiati. “Non importa, davvero”.

L’altro roteò gli occhi, mormorando dispiaciuto e impacciato qualcosa in risposta. Dopodichè, notando che Legolas era tornato a fissare malinconicamente il lago, andò a sedersi accanto a lui.

“Ti ho seguito perché ero preoccupato. Dopo la vostra litigata di oggi a pranzo non sapevo cosa avessi intenzione di fare… ”, spiegò, piegando le corte gambe sul terreno. Fece una pausa.

“Avevo paura… che te ne volessi andare”, aggiunse poco dopo, a bassa voce.

Nell’udire quelle parole il ragazzo voltò la testa verso l’amico. Sorrise appena.

“Sai… a dire il vero, stavo pensando di farlo sul serio… ”.

Frodo lo fissò, allarmato.

“No!”, esclamò, afferrandogli un braccio. “Legolas, vedrai che parlandone sistemerete le cose! Lui alcune volte è un po’ brusco, ma… ”.

“Non è per quello che è accaduto oggi”, disse ancora il giovane. “Questa sera abbiamo chiarito ogni cosa. E adesso va… più che bene, fra di noi”, continuò sommessamente. “I motivi sono altri… ”.

“E quali?”.

Frodo lo guardò senza capire, triste. Legolas, allora, fece un profondo sospiro. Sollevò gli occhi per cercare nella volta notturna lo spicchio di luna e, prendendo ad osservarlo, riprese a spiegare. 

“Ho soltanto capito che per me e Aragorn non potrà esserci… alcun futuro”.

L’hobbit corrugò la fronte. Scosse piano la testa, inclinandola.

“Perché dici così?”.

Il ragazzo si morse l’angolo di un labbro, e la sua bocca assunse una piega amara.

“Perché sono stati gli Dei a imprigionarlo qui, ingiustamente. E perché, a causa loro… ha perso tutto ciò che aveva di più caro. Non solo una famiglia, ma la sua stessa vita. Gli hanno impedito di essere felice”.

Lentamente Legolas si girò di nuovo, per tornare ad incrociare le grandi iridi blu dell’amico che si erano fatte, improvvisamente, lucide.

“Thranduil. E’ stato Thranduil a farlo. Per tutti questi anni, Aragorn ha covato un profondo odio per lui”, sussurrò ancora, con un filo di voce. “E odierà anche me, presto o tardi… il giorno in cui scoprirà che sono il figlio del suo carceriere, il Dio più potente della stirpe immortale di Lórien… ”.

 

To Be Continued…