.|. My Hope .|.

Non chiedetemi perché scrivo questa storia, non saprei rispondervi, sinceramente. E’ nata così, già perfetta e doveva essere solo fermata sulla carta. Ma so che se non avessi avuto degli stimoli, non l’avrei mai fatto. E’ solo una mia fantasia, non pretendo che sia verità. E’ una sfida che voglio vincere, ma devo ringraziare chi mi ha dato la voglia d’affrontarla. Quindi, grazie alla nostra Dama della Luce, alla maestra Enedhil e a tutte le autrici che hanno saputo farmi sognare;questo racconto è dedicato a tutte voi!

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“In te, percepisco tanti colori. Sono colori caldi e preziosi…ma anche tristi.

Sono i colori del tramonto…

Sono i colori del tramonto, che ardono fino all’ultimo sfidando il buio che si avvicina”

               

                 Fuyumi Souryo, “Mars”.

 

Prima Parte

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Il vento soffiava forte.

Fischiava maligno e i suoi ululati riecheggiavano per l’intera cava abbandonata, coprendo il rumore metallico delle ultime gru che si affannavano a rimediare ai danni portati al grande set dalla tempesta della notte scorsa.

“Un disastro, un disastro!”

Era quest’imprecazione il ritornello di quelle ore di lavoro febbrile. La ripeteva Richard Taylor, direttore del Weta Workshop e tutti i suoi tecnici, elettricisti, operatori ed aiutanti non si facevano pregare per riprenderla nelle sfumature più svariate e pesanti.

Mai come adesso Wellington, la capitale della Nuova Zelanda, pareva lontana e non solo geograficamente.Solo Dio sapeva quando i nuovi teloni sarebbero arrivati…sempre che il tempo si dimostrasse clemente con la troupe, una volta ogni tanto. Intanto, il desolante spettacolo dei padiglioni della produzione riempiva gli occhi stanchi di comparse, stunt e attori: la pioggia e la grandine li avevano divelti da terra, inzuppati e sforacchiati, lasciando scoperti i costumi di scena.Con esiti prevedibili e tremendi.

“Un disastro!”

Lo aveva urlato, colma d’esasperazione, persino Ngila Dickson, il capo del settore costumi e vedere una donna così pratica e sempre energica in preda allo sconforto aveva gettato l’umore di tutti ben oltre sotto i classici tacchi. Ci sarebbero voluti giorni solo per recuperare i costumi degli Uruk-ai, fatti quasi interamente di gomma piuma per simulare le protesi di gambe e braccia.

Di punto in bianco, l’intero cast de “Il Signore degli Anelli”, l’epica saga tratta dal capolavoro fantasy di J.R.R. Tolkien si era trovato libero. Libero, ma con un set inutilizzabile, una stanchezza data unicamente dalla rabbia e un regista sull’orlo di un collasso nervoso:una pausa non prevista, anche se breve, era sempre un contrattempo decisamente irritante, specie se si verificava nei mesi di ripresa più difficili ed impegnativi. Le scene per la colossale battaglia del Fosso di Helm, uno degli episodi cruciali del secondo film, si giravano lontani da centri abitati degni di questo nome e negli orari più impensabili; ormai, chiunque aveva smesso di tenere conto delle estenuanti levatacce  compiute a notte fonda, quando il freddo mordeva la carne e il caffè preparato a fiumi non scaldava più nemmeno le dita rattrappite delle comparse indolenzite sotto armature e scudi. Il brutto tempo poi aveva contribuito a dare un tocco di drammatico realismo alle riprese: la pioggia che decine di migliaia di spettatori avrebbero visto sugli schermi, molte volte sarebbe stata pioggia vera…sempre che la cosa interessasse davvero i fans!

Un uomo dai lunghi capelli scuri stava passeggiando lungo il cammino di ronda delle mura ricostruito esattamente come era stato descritto nel libro. Il suo abito era nero, una casacca di pelle conciata che lasciava vedere la maglia d’armatura e sotto la tunica rossa. Anche i calzoni erano dello stesso colore; solo gli alti stivali, logori e sbiaditi, erano più chiari. Alla vita portava con studiata noncuranza una cinta di cuoio a cui era assicurata una lunga spada e un pugnale dall’elsa lavorata da ricami in oro. Gli occhi azzurro chiaro erano seri, e nonostante fossero ridotti a due fessure spiccavano sul quel volto di una bellezza fiera e singolare. Fissavano con aria critica l’orizzonte ingombro di nuvole grigie e minacciose, squarciate esattamente al centro per lasciar vedere il cielo prossimo al tramonto. La luce che ne penetrava era  pesante, vermiglia e non lasciava vedere il sole.

Sotto di lui, il rombo dei camion appena arrivati spezzò il velo di depressione collettiva in cui la troupe era avvolta. Finalmente era giunto il materiale tanto atteso da Wellington e subito un nugolo di operai prese a scaricare nuove tende e persino alcune macchine da presa.

“Accidenti!” esclamò una voce calda e vivace alle sue spalle. “Possibile che siano già qui?Di questo passo, domani ci tocca lavorare!”

L’uomo scoppiò a ridere e si voltò verso il ragazzo che lo stava raggiungendo. Si aspettava di vederlo vestito con uno dei folli accostamenti di colori e capi che lo avrebbero fatto saltare all’attenzione anche in una folla da concerto, ma si dovette ricredere; stavolta indossava un sobrio paio di jeans e una maglietta nera dalle maniche lunghe, lo scollo a v,molto attillata e che disegnava con scrupolosa attenzione il suo fisico asciutto e snello. Sotto braccio teneva un fascicolo rilegato, con tutta probabilità una parte del copione che ogni giorno veniva modificato, ampliato, tagliato. Due occhi castani, indagatori e sempre colmi di un brillio che sconfinava nella malizia lo squadrarono severamente.

“Viggo, santo cielo! Hai ancora addosso quei tuoi pulciosi costumi di scena?Oggi eravamo in libertà…libertà, la capisci questa parola?Potevi tornare a metterti qualcosa di civile addosso!” concluse sogghignando, soddisfatto della sua punzecchiatura.

“Oh…quindi il nostro Elfo noto per articoli d’abbigliamento eleganti come una camicia azzurra tutta pizzi e svolazzi vorrebbe darmi lezione di stile?” ribatté pronto, ormai abituato a rintuzzare l’ironia scherzosa del giovane collega. Almeno, in tutti quei mesi, qualcosa aveva imparato…ovvero come zittire quella lingua lunga di Orlando Bloom, l’interprete di Legolas, l’ Elfo membro della Compagnia dell’Anello.

Touchè,vecchio mio. Mi rendo conto che se vorrò stenderti a parole dovrò darmi più da fare…stai diventando troppo bravo!”

Nonostante le schermaglie tra lui e l’attore che impersonava Aragorn, Orlando non aveva mai fatto mistero di provare un’ammirazione sconfinata per Viggo Mortensen. Si poteva forse non provarla per un interprete che pur di comprendere fino in fondo la maschera del proprio personaggio girava sempre con gli abiti di scena, dormiva nei boschi, si occupava personalmente delle armi e dei rammendi da fare ai vestiti?

Tra gli addetti ai lavori giravano molte “ leggende metropolitane”, ma quella che più lo aveva colpito riguardava proprio l’attore americano. Era stato scritturato da Peter Jackson in fretta e furia, dopo la defezione del giovane Stuart Townsend. Una telefonata a Los Angeles, e dopo quella Viggo aveva avuto due giorni per decidere di passare l’avventura di una vita dall’altra parte del mondo, a tempo pressoché indeterminato. Avrebbe avuto il primo ciak subito dopo il suo arrivo e per ovviare al fatto di essere “l’ultimo arrivato” in terra neozelandese aveva deciso di capire Aragorn nell’unico modo possibile per lui, che non aveva molta dimestichezza con la trilogia letteraria: vivendo come il Ramingo a cui dava volto e vita.

Per un tipo originale e vitale come Orlando, alla sua prima esperienza importante della carriera, una cosa del genere bastava ed avanzava per suscitare simpatia ed attrazione e questo nonostante gli amichevoli battibecchi che facevano morire dalle risate colleghi e operatori.

“Cosa stai leggendo? Il manuale dell’Elfo perfetto?” gli chiese con un’aria sarcastica.

“Non ne ho bisogno, misero mortale…io sono già perfetto!E’ solo la sceneggiatura per domani…rimaneggiata per l’ennesima volta.”

Viggo sospirò e si passò una mano nervosa tra i capelli ondulati che gli sfioravano le spalle. “E cosa hanno stravolto, stavolta? Dovremmo affrontare l’esercito di Isengard in volo su aquile giganti?”

“Nulla di così esagerato…hanno aggiunto delle battute in elfico.”

“Oh!” Di colpo, la rassegnazione di Viggo divenne vivo interesse. Gli era piaciuto studiare il Sindarin, e persino Tolkien sarebbe stato fiero del livello d’apprendimento di questo allievo. “Bene, e dove?”

“Nella scena della vestizione dell’eroe” rispose pomposamente “Quando decidi di farti massacrare da diecimila Orchi…e un Elfo partito di senno ti segue nell’impresa!”

Nonostante stesse scherzando, entrambi sapevano che una volta sentito “Action!” e fosse partita la macchina da presa, Orlando avrebbe smesso di essere Orlando per essere Legolas. Sarebbe stato aiutato dalla fluente parrucca bionda, dalle lenti a contatto blu, ma la maschera che aveva saputo creare per il personaggio sarebbe rimasta per sempre sua. Sua, e del suo innato talento. Il suo ruolo non richiedeva molte battute, ma il vero ostacolo era rappresentato dall’impegno fisico e mentale richiesto. Anche quando doveva stare immobile, il giovane doveva rimanere un Elfo; una creatura immortale, fiera e sempre pronta a scattare, vigile come un gatto selvatico. Fanciullesca ed antica contemporaneamente; dover danzare su due realtà così opposte richiedeva bravura e totale dedizione al ruolo, perché in caso contrario anche un semplice spettatore si sarebbe accorto di aver di fronte qualcuno che fingeva di essere un altro.

Orlando era fuoco ed energia, ed all’occorrenza sapeva tramutare questa forza per rendere il suo lavoro eccellente, da professionista consumato. Era giovane, solare, pieno di sogni e stava iniziando a trasformarli in realtà con la tipica, inebriante incoscienza di chi ha solo da guadagnare qualcosa.

“E dopo quel nostro dialogo, cosa ci aspetta?” chiese ancora avvicinandosi a lui.

Il ragazzo borbottò qualcosa, aprì il copione a una data pagina. Viggo si mise alle sue spalle, e fissò il dito che indicava una data frase.

“Oh no…” disse ridacchiando “Riprendiamo a combattere!”

“Bhe, qualche scena l’abbiamo già fatta” rispose in fretta. Adesso, sentiva il respiro dell’amico sul collo e il brivido che gli stava scorrendo lungo la schiena non sapeva come classificarlo.

“Ti stavo imitando” disse sorridendogli. “Tu avresti risposto così, no?”

“Forse…o forse no . Non mi piace quando credi che io sia un bambino capriccioso!”

“Scusami, hai ragione. Faccio così per non pensare a che inferno dovremo affrontare ancora.”

All’improvviso, l’aria scherzosa dell’incontro venne spazzata via dal vento sempre più pungente. La rossa ferita tra le nuvole si era ampliata, quella luce sanguigna sarebbe stata perfetta per una lunga panoramica, atta a mostrare il piccolo esercito di Rohan che andava verso la morte contro diecimila Uruk senza pietà. Eppure…il panorama era di una bellezza selvaggia da togliere il fiato. E lì, loro avrebbero dato vita alla fantasia, al dolore, alla morte e al trionfo finale. Era un potere incredibile.

“…Ci pensi mai?” domandò a un certo punto Viggo.

Sei troppo vicino a me per poter pensare a qualcosa…ma cosa diavolo stava pensando? E poi perché Viggo continuava a stargli così vicino, le mani sulle spalle?…calma, respirala tua mente pazzoide viaggia per conto suosmetti di fare il cretino!

“…A cosa?”

“Vedresti mai un tramonto del genere a Londra?”

La risata di Orlando scese nelle sue orecchie come una melodia. Era strano…qualsiasi cosa quel ragazzo facesse, trasmetteva calore, piacevole e dolce. I colori che poteva associare a lui erano tutti sui toni caldi: amaranto, oro, scarlatto…abbagliava col suo sorriso, col suo fascino a volte sfacciato, a volte semplicemente irresistibile. Sarebbe stato ore a contemplarlo, a bere la bellezza del suo viso dai tratti di una delicata perfezione, ma allo stesso tempo fieri. Era un pittore, oltre che un attore, un artista sensibile a ciò che era bello…e Orlando lo era.

“Ha parlato Vig l’artista adesso…cosa ci vedi di così commovente in un tempo che preannuncia tuoni anche per domani?”

L’attore americano strinse le labbra e con un gesto deciso e inaspettatamente tenero voltò la testa  di Orli davanti, mentre una mano gli sfiorava il fianco destro. Una carezza non voluta, ma che gli causò un nuovo brivido…quelle mani grandi e forti sapevano essere così gentili…

“Chiudi gli occhi, scettico di un Elfo.”

“Cosa vuoi fare?”

“Farti pensare, una volta ogni tanto. Avanti, li chiudi questi occhi sì o no?”

Poté solo obbedire e un attimo dopo, la ricostruzione del Fosso di Helm sparì davanti a lui. Il rumore del vento, fino a quel momento ritenuto fastidioso, fu l’unica cosa che rimase del mondo circostante. Pochi minuti…il respiro di Viggo che gli sfiorava la nuca…era ancora dietro di lui, e il calore del suo corpo lo sfiorava a fior di pelle…sarà stato perché adesso non vedeva e quindi gli altri sensi avevano il sopravvento, ma ora…percepiva ogni cosa più intensamente, le sensazioni erano più profonde e lo colpivano più intensamente…i lamenti del vento non erano più lamenti. Erano un canto dolente, rabbioso ed intenso e sulle sue ali invisibili avvertiva il profumo dell’uomo che lo cullava, dicendogli silenziosamente di fidarsi…e di Viggo si sarebbe fidato ciecamente. Nel corso della loro lunga, avventurosa permanenza in Nuova Zelanda, l’istintiva ammirazione nata tra loro due era maturata lentamente. Avevano caratteri completamente opposti, e anche la storia del loro lavoro, della passione che li aveva portati a essere ciò che erano, procedeva su binari paralleli.

L’americano, voltandosi indietro, poteva vedere i ricordi di molti film girati, delle decine di maschere indossate per divenire di volta in volta qualcuno di nuovo, sconosciuto. Conosceva bene il sapore di sentimenti non suoi, eppure vissuti come se gli fossero appartenuti: amore, odio, gelo, passione.

Il giovane londinese, arrivato a Wellington da una prestigiosa scuola di recitazione, era tutto quello che Viggo era stato all’inizio. Assaggiava la vita con coraggio e sfacciataggine, lui che era sopravvissuto a un incidente terribile…ardeva di gioia e di voglia di mettersi in gioco, senza compromessi. Brillava, e non avrebbe mai smesso di farlo.

La musica del vento intanto continuava a tener compagnia ad Orlando.

…Sì…adesso gli piaceva…perché era l’unica cosa che poteva quasi toccare, in quell’isolamento.

“Non è bellissimo?” gli domandò qualcuno vicinissimo a lui. “Anche questa è libertà, Orli…non dimenticarlo mai. Ora puoi tornare a guardare.”

Socchiuse le palpebre, pentendosi subito del gesto; la luce di un rosso soffocante che sgorgava dal cielo grigio ardesia gli ferì le iridi, accecandole di bagliori vermigli…ma quando riaprì gli occhi, per un attimo sembrò che l’intero mondo fosse stato ricavato dal rubino più puro e prezioso. La sensazione svanì presto, e allora le gru, i gruppi di fonici ed elettricisti, le grida degli operai tornarono per ricordargli dove era e cosa stava facendo.

“E’ così, che un artista vede?” sussurrò con fare sognante. Viggo scosse la testa in un “no” leggero, il viso spazzato dalla brezza fredda.

“Tutti possono vedere così…solo che molti di noi non hanno più tempo per farlo…o hanno paura.”

“Comunque è stato…strano. Adesso mi sento leggero, come una di quelle nuvole.”

“Così domani sarai più ben disposto a sgobbare, caro mio! E forse, Peter ci farà ripetere meno volte il nostro dialogo, quello che hanno modificato.”

Il ragazzo stavolta non aggiunse nulla di velenoso. Tenendo il capo chino, sperava di non far vedere il leggero rossore che gli aveva dipinto le guance, ma il senso di vergogna rimaneva immutato. Sapeva cosa volevano dire quelle parole…erano la sua debolezza.

Era sempre stato convinto di dare vita a un Legolas impeccabile, originale ed unico…e l’unico momento in cui quella saldissima convinzione si scioglieva fino a svanire era quando lui doveva sostenere lo sguardo del Ramingo. Non gl’importava che a fine giornata, quando i membri del cast si riunivano per visionare i filmati, molti gli dicessero che era stato bravo…lui sapeva che non era vero. Quando doveva parlare con Aragorn, il suo Elfo perdeva di genuinità. Diventava nervoso, rigido…impacciato. Il suo essere attore veniva come schiacciato dal magnetismo di Viggo, da quell’aura di autorità e regalità che sapeva mettere in ogni gesto, anche quello più banale. Subiva interamente il fascino della sua recitazione.

Perché non riusciva a ribellarsi, a scrollare quella passiva contemplazione?…forse era per questo che dopo, nelle pause, nei giorni di libertà, non faceva altro che ingaggiare duelli verbali con lui?Per riscattarsi in qualche strano modo? Avrebbe mai avuto il coraggio di confessargli questa sua paura?

“…Lo spero. Per me, non è una situazione facile.” Ammise sovrappensiero.

“Che intendi dire?”

“Io?…”…Cazzo! Ma che mi prende?! “No, nulla. Lo sai che sparo sempre cosa senza senso,Vig!”

“A me non sembrava una cosa insensata” replicò seriamente, osservandolo…ecco, adesso lo avrebbe fatto…sì!Si era passato una mano dietro il collo, come faceva sempre quando era nervoso, o agitato!…era un suo tic, e si stupiva di notare anche cose piccole come quella, in lui…perché faceva parte sempre del suo modo di essere, del suo…ritratto.

“Non preoccuparti, vecchio mio. E’ colpa di questo tempo del cavolo, mi fa sentire…sballato. Bhe, vado a leggermi le nuove battute, ci si vede domani!”

Scese la ripida gradinata a rotta di collo, sparendo quasi subito. Viggo s’appoggiò a uno dei merli delle mura, sorridendo divertito. Succedeva sempre così: quando era sicuro di aver finalmente capito il suo amico, interveniva sempre uno strano imbarazzo a distorcere il suo quadro d’insieme:spuntava fuori un nuovo colore da aggiungere alla gamma di rossi, ori e arancioni che rappresentavano Orli. Quel ragazzo, più di tutti, era simile a un’opera d’arte…pensava a solo a cose belle e piene di grazia, quando pensava a lui…e la cosa si stava facendo sempre più frequente. Forse, nemmeno Orlando si rendeva pienamente conto del fascino che possedeva, del suo carisma ancora acerbo ma appassionato…sarebbe mai riuscito a renderlo in un quadro? Quale pittore avrebbe colto tutto questo?

 

 

La notte per fortuna non portò il temporale tanto temuto.

Sul piccolo accampamento di roulotte cadde solo una pioggia leggera, il vento si era placato. Peter aveva fatto sapere agli attori che domani le riprese sarebbero iniziate nuovamente, fosse anche esplosa la fine del mondo e quell’annuncio aveva gettato Orlando in una situazione di panico. Non aveva timore di dimenticare le sue battute, le conosceva a memoria…ma era proprio questo, il problema. Le sapeva solo ripetere. Se per un istante s’immaginava di aver di fronte Viggo, anzi no, Aragorn, quello che doveva dire si trasformava in un inutile, rigido cantilenare…la voce non gli usciva col tono giusto, le pause non venivano rispettate. Un disastro…eh già, un vero disastro, come ripeteva Richard Taylor.

Buttò irosamente il copione sul piccolo divano al suo fianco, e bevve quasi d’un fiato il bicchiere pieno d’acqua posto sul tavolino. Desiderava uscire, divertirsi, non pensare ad altro che alle nuove pazzie da fare con la banda degli Hobbit. Elwood, Sean, Billy e Dom adesso erano impegnati con delle riprese in studio. Lo avevano chiamato sul cellulare il giorno prima e il coro di voci allegre e pazze che gli avevano riferito di come andava la vita a Wellington era stato sufficiente a fargli pensare di voler essere di nuovo in città, a bere qualcosa in un pub, chiacchierando…ridendo…oppure parlando, come era accaduto l’ultima volta.

C’erano stati solo lui e Viggo, in una sera fredda. Era giugno, ma laggiù, all’altro capo del mondo, tutto funzionava alla rovescia, incluse le stagioni. Avevano semplicemente…parlato. L’alcol aveva contribuito ad abbassare difese e diffidenze, si erano detti cose che nemmeno si sarebbero sognati di confidare ad altri…vicini, uno accanto all’altro, voci basse e piccole risate da innamorati…

Innamorati?…

Il giovane contrasse le labbra in una smorfia sottile e posò immediatamente il bicchiere vuoto prima che l’impulso di scagliarlo a terra prendesse il sopravvento. Che questo gli servisse di lezione: a furia di pensare e dire cose pesanti, di provocare a suon di parole, la sua mente non riusciva più a districarsi in un dedalo di fantasie più o meno volute, più o meno eccitanti.

Sei ancora un ragazzino…un ragazzino che non sa tenere a bada i suoi ormoni, maledizione!

“Avanti!” sbottò furioso quando qualcuno bussò alla porta.

“Orli, tutto bene?”

Viggo entrò prudentemente, mentre il leggero impermeabile di pelle nera lasciava cadere a terra piccole gocce. I suoi capelli portavano l’odore sottile della pioggia. Sotto braccio, aveva una borsa di tela nera. Per un lungo attimo, l’attore inglese lo fissò; vestito con dei jeans neri e una camicia dello stesso colore lasciata aperta su una maglia bianca dal collo alto era semplicemente…splendido. Dio, ma perché non riusciva ad usare altri aggettivi per descriverlo?…

“Oh, ciao Ramingo. Sì, va tutto bene, più o meno.”

“So che per un tipo come te non è facile stare in questo posto dimenticato da tutti…anch’io vorrei essere con gli altri a passare una serata piacevole.”

“Già…dai, siediti…se riesci a trovare un buco decente! Dovrò decidermi prima o poi a mettere un po’ d’ordine qua dentro…posso offrirti qualcosa?”

“Mi basta un buon caffè.”

“Allora vedrò di non farlo troppo annacquato in tuo onore.”

Prese a trafficare nell’angolo cucina, cercando caffettiera e tazze; iniziò a fischiettare un brano con leggerezza, e in effetti si sentiva più sereno di prima…come quel pomeriggio in cui gli era stato insegnato quanto fossero belli il vento e i colori di un tramonto portatore di tempesta. Trovare il bello in ogni cosa…era un aspetto della filosofia di Viggo che gli era sempre sfuggito e adesso arrivava a chiedersi se lo applicasse anche alle persone, oltre al resto.

“Allora” disse dopo aver bevuto un sorso “Ti senti meglio di oggi pomeriggio?”

I suoi quieti, ammaglianti occhi azzurri sembravano voler leggere la risposta in lui prima ancora che parlasse…e Orlando vide riflesso nello sguardo celeste dell’amico la stessa tenerezza inconscia che gli riservava, nascosta sotto le sue battute pungenti.

“Non era nulla, non devi essere così apprensivo!” buttò lì con divertita indifferenza. “Vedrai che domani me la caverò egregiamente, e Peter avrà ben poco da ribattere!”

“Lo spero. Anch’io desidero non dover ripetere all’infinito una scena. Ho qualcosa da fare, quando saremo in pausa…e avrei bisogno anche di te.”

Posò davanti a lui la piatta borsa che aveva portato, tirando fuori un album da disegno; la copertina blu, di pelle rigida, era macchiata da sbaffi di colori ad olio.

“Sono le tue opere?” domandò con tono reverenziale. Sapeva quanto valeva come artista, tutto il cast non faceva altro che dirglielo, vedendo le sue foto, i suoi quadri. Anche una semplice istantanea, se scattata dall’attore, assumeva il connotato di capolavoro…bastava un’angolazione particolare, un filtro di quel dato colore…e un viso, una mano, divenivano vive anche su semplice pellicola.

“Guardale, avanti.”

Il primo foglio che prese rappresentava il viso di una ragazza colpito da un raggio di sole. C’era solo il suo volto, i suoi capelli scuri, e la luce che giocava con l’azzurro dei suoi occhi.

“Ma questa è Liv!”

“Vai avanti…scoprirai che ci siete tutti.”

Aveva ragione: Elwood, Sean…persino il regista, o uno dei responsabili del settore artistico…schizzi, poche pennellate di colore e tanta, tanta luce che trasfigurava, esaltava, colpiva. Persone colte in gesti da nulla, come bere e leggere…e per questo ancora più vivi. Mancava solo una persona…

“Scusami, e io?Non compaio nemmeno in uno scarabocchio?” sospirò Orlando senza nascondere la sua delusione.

“E’ per questo che sono qui, Elfo. Ti andrebbe di posare per me?”

Glielo aveva proposto con una naturalezza elegante, tipica del suo modo d’essere. “Ti assicuro che non te ne pentirai.”

“E…con che colori mi vedresti?”…Diomi fissa come se fossi già davanti a lui, con un foglio bianco dove…mi catturerà…e io non sarò capace di dire no…

“Coi colori del tramonto. Squillanti d’energia e vita” rispose. “Dai, non dirmi che ti senti scandalizzato da una proposta simile! Capisco che nessuno ti abbia chiesto di fare il modello, ma nemmeno Lij ha trovato nulla da ridire quando ho chiesto la sua collaborazione…”

“…Sì.”

“Cosa?”

“Ho detto sì, misero, sordo mortale…quand’è che iniziamo?”

“Anche domani, se vuoi. Ti garantisco che non sarà pesante. Fidati di me.”

“Lo sai che mi fido, risparmiate queste uscite da film romantico!” ribatté ridendo. “Sei uno dei migliori amici che possa desiderare, ormai mi conosci meglio tu che la mia famiglia…sai che non ti direi mai no.”

“Oh, parla quello che mi ha convinto a provare il surf, con risultati disastrosi!Anch’io non potrei negarti nulla, sei capace di convincere chiunque.”

Gli occhi di Orlando risero per lui; il marrone delle sue iridi reagiva empaticamente a luci diverse ed a emozioni diverse…ora scintillavano di riflessi d’ambra, sembravano trasparenti e puri come quelli di un bambino. Un angelo che poteva essere malizioso, sarcastico, adorabile anche quando si cacciava nei guai.

“Grazie, Orli.” Gli allungò una pacca sulla spalla, poi lo abbracciò. Il profumo del dopo barba di Viggo lo avvolse. Non era la prima volta che s’abbracciavano, era un gesto come tanti altri per la loro amicizia…ma ogni volta che si ripeteva, il contatto sembrava essere più lungo, e profondo…e nessuno dei due si era mai accorto che lo facevano solo per sentire, anche per qualche istante in più, il proprio reciproco calore.

“Ti aspetto domani dopo le riprese.”

“Sempre se saremo ancora vivi…”aggiunse prima di chiudere la porta con una risata.

L’uomo si trovò al buio. Fuori, aveva smesso di piovere; l’aria era umida, sapeva d’erba bagnata e stagnava nella cava. Alla luce delle grandi lampade alogene, il set nel suo silenzio notturno aveva un tocco spettrale. Mura morte che aspettavano l’azione degli attori per rivivere sulla pellicola.

Viggo si diresse lentamente verso la sua roulotte, accendendosi una sigaretta.

Avrebbe potuto parlargli domani, della sua intenzione di ritrarlo. Invece non aveva resistito alla voglia di vederlo, per tentare di capire da dove fosse venuta la paura che lo aveva imbarazzato poche ore prima. Ormai ne era sicuro: il problema era lui, e Orli faceva di tutto per non darlo a vedere.

Paura…tutto voleva, tranne che il ragazzo, il suo migliore amico, lo temesse senza ragioni. Non quando era anche lui lo temeva alla stessa maniera. Temeva il suo istinto, che inibiva la ragione quando se lo trovava davanti. Temeva le domande che di notte lo assalivano pensando alla loro amicizia. Temeva tutto del giovane; il fascino, la bellezza, il suo brio…lo avevano stregato e immerso in una situazione confusa, buia, fatta di rimorsi inspiegabili e contraddizioni. Forse tutto si poteva spiegare col fatto che era lontano da casa, in un luogo che solo per la sua lontananza da ciò che conosceva assumeva connotati magici, da avventura fantastica…ogni cosa lo incantava, la viveva intensamente, anche i rapporti con quelli che adesso considerava la sua nuova famiglia…ma sentiva che non bastava. Rimaneva un vuoto, un perché senza risposta…e lo aveva anche Orlando. Il suo stesso senso di terrore latente e delizia che li prendeva quando stavano vicini.