.|. Prigioniero di un Incubo .|.

Nota dell’autrice: perdonatemi, non sono molto esperta con i dialoghi, mi impegno, ma non sono mai soddisfatta dei risultati, vi prego fatemi sapere che cosa ne pensate…

Buona lettura!
 

2. Minacce

~

 

“poserò su di lui la mano lieve e forte;

e, simili a quelle delle arpie, le mie unghie

troveranno la strada del suo cuore.”

Charles Baudelaire

 

 

Ogni volta che la sua mente si avventurava a sondare l’oscurità, Legolas si ritrovava a lottare contro il terrore figlio delle tenebre più profonde e alla fine tornava ad emergere da quell’estenuante battaglia, accolto dal suono profondo e regolare del respiro di Aragorn, che gli sfiorava al mente come una carezza rassicurante e al contempo come un richiamo. Le ore indugiavano e non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando aveva ripreso conoscenza, tanto più che né la luce del sole né quella della luna avrebbero potuto indicarglielo, perché non vi erano finestre nelle pareti scavate nella roccia viva. Nulla c’era che potesse suggerirgli dove si trovassero. L’unica cosa di cui era certo era la sensazione che il peso della terra gravasse su di loro e che il soffitto avvolto nell’ombra ne fosse come schiacciato. Tuttavia nelle mappe, che più volte aveva consultato con Aragorn, non ricordava traccia, nelle terre di Rohan, di edifici che potessero penetrare tanto in profondità nel suolo, tranne forse per la vicina Torre di Isengard, ove risiedeva quel traditore di Saruman. Eppure non credeva che si trovassero prigionieri dell’Istari rinnegato. No, in qualche modo i suoi sensi gli suggerivano che avevano a che fare con qualcosa di diverso, anche se non meno pericoloso. Comunque era inutile arrovellarsi su ciò che potrebbe essere, si ammonì, perché ben presto avrebbero scoperto quale fosse la loro reale situazione. Quindi, Legolas tornò a rivolgere la sua attenzione ad Aragorn e, come aveva già fatto innumerevoli volte in quelle ore, chiamò il suo nome, sperando di ottenere una risposta che, però, purtroppo ancora non venne. Aragorn, però, ancora era perso chissà dove e incosciente giaceva a pochi passi da lui, vicino ma irraggiungibile.

E così continuava la sua spossante veglia solitaria, in attesa di un qualche cambiamento, che giunse, quando infine udì dei suoni in lontananza. Passi e voci si avvicinavano e presto, davanti a lui, una porta con sinistri stridori ruotò sui cardini arrugginiti. La cella s’illuminò dei rossastri bagliori di alcune torce, ma l’elfo non poté scorgere che forme indistinte, perché l’esposizione improvvisa alla luce ferì i suoi occhi. Le palpebre scesero a proteggere le pupille dilatatesi nell’oscurità e un moto involontario gli fece inclinare il capo, nel tentativo di sottrarsi alla luce. Ma ben presto tornò a voltarsi verso la porta e si sforzò di mantenere fermo lo sguardo, direttamente sugli Orchi che erano sopraggiunti. Stavano sistemando le fiaccole in degli anelli infissi nel muro e poi, senza una parola, grugnirono un maldestro inchino, appena accennato, alla persona la cui figura si era profilata nel vano ombroso dell’ingresso della cella e che si fece avanti con fare autoritario, portandosi là dove arrivavano i bagliori fiammeggianti delle torce. L’uomo, abbigliato con vesti di pesante velluto nero, si volse intorno, esaminando il contenuto di quella stanza.

Legolas cercava di rimanere impassibile e di mostrare un’austera fierezza, nonostante la posizione in cui era costretto non permettesse certo uno sfoggio di dignità, ma a quell’individuo sembrava non interessare. Senza proferir verbo, l’uomo levò la mano destra, ricoperta da morbidi guanti di velluto nero, e con un gesto delle dita inanellate d’oro e rubini, nei quali danzavano barbigli di fiamme voraci, congedò i suoi mostruosi servitori. Alle sue spalle la porta si richiuse con un tonfo sordo, serrandolo insieme ai prigionieri.

“Ecco un’inaspettata sorpresa e un gradito diversivo dalla noiosa monotonia di queste giornate.” esordì.

Legolas non accennò la minima reazione a quelle parole che, pronunciate in uno strano accento, erano inequivocabilmente l’ironico preludio ad uno spiacevole e scontato incontro. Intanto cercava, senza darlo troppo a vedere, di studiare colui che li aveva catturati. Era giovane. Sembrava che fosse troppo giovane perché potesse essere un avversario davvero potente. Comunque non osava formulare alcun tipo di giudizio su quell’uomo, né avrebbe mai voluto correre il rischio di sottovalutarlo e quindi continuò ad esaminarlo. Era sicuro di sé, questo era evidente e teneva sottomessi a sé numerosi servi del Nemico. Quegli Orchi gli obbedivano, in qualche modo doveva tenerli legarli al suo servizio, ma al momento ciò non lo preoccupava affatto. Guardava il viso elegante e regolare del loro nemico. Gli occhi neri rilucevano di bagliori screziati e di faville che saettavano nell’oscurità del suo sguardo, per spegnersi dopo averlo illuminato d’infinita e remota malizia. La carnagione era appena un po’ troppo scura per poter essere di un uomo del nord o di Gondor e i lunghi capelli corvini, lisci e lucidi come seta filata, completavano lo sconcertante ritratto di un uomo raffinato, il cui aspetto sarebbe parso più adatto a un cortigiano che a un severo e perverso uomo di Mordor.

“Quando le mie spie – continuò a dire l’uomo - sono venute a riferirmi che avevano avvistato un uomo, un elfo e un nano, quasi non mi sembrava possibile. Ma quelli mi hanno giurato e spergiurato di non essersi sbagliati.” la sua voce suadente accarezzava l’orecchio e s’insinuava melliflua e furtiva nella mente. Ma Legolas vi opponeva resistenza, un muro s’innalzava intorno ai suoi pensieri ed ogni perversa malia si stemperava contro la sua ferma volontà. Tutto ciò che rimaneva era solo l’eco infranta dei vuoti suoni delle parole dell’umano e come per gli inutili frammenti di uno specchio creatore di sogni illusori, i cui pericoli erano ora resi evidenti e mai avresti cercato di tendere la mano verso quei vetri taglienti, così per Legolas erano chiari il veleno e gli inganni celati in quel tono pacato e rassicurante.

“Non c’era stato errore. Eppure era una strana coincidenza che le tre razze fossero insieme in cammino. In questo credo che sarai d’accordo con me, non è vero?” disse e tacque, come se attendesse un cenno, una risposta o una reazione qualsiasi, che però non venne. L’ostinato silenzio nel quale l’elfo si era chiuso sembrò turbare per qualche istante l’uomo, indispettirlo o irritarlo. Ma già poco dopo un rinnovato sorriso di falsa indulgenza gli era sorto sulle labbra. Legolas si chiese se avesse deciso di adottare un’altra strategia, se avesse infine scelto di condurre un diverso “gioco” e si preparava a combatterlo, qualunque fosse. Eppure con trepidazione mista a timore attendeva il momento in cui quell’uomo avrebbe lasciato cadere ogni finzione, per poter finalmente vedere il vero volto del suo nemico e conoscere le sue intenzioni e sospettava che presto sarebbe stato accontentato.

“Capisci, non potevo assolutamente permettere che mi sfuggisse una simile opportunità. Dovevo sapere che cosa stava succedendo. Ed è per questo che siete qui.” concluse, sfoggiando un infido sorriso.

Perché si dilungasse tanto, non era chiaro a Legolas, che in ogni caso aveva deciso di lasciarlo fare, ma al contempo di non assecondarlo. Presto l’attesa sarebbe terminata e sarebbe giunto il momento del confronto. Intanto cercava di comprendere quale fosse la reale portata della minaccia che rappresentava quell’individuo e contemporaneamente, non distogliendo mai lo sguardo dal suo viso, continuava a tendere l’orecchio al suono del respiro di Aragorn, purtroppo senza notarvi mutamenti.

“Il tuo compagno non si è ancora ripreso. – parlava con noncuranza, quasi stesse intrattenendo una conversazione amichevole e non si stesse, invece, preparando ad interrogare i suoi due prigionieri e forse anche a tentare di estorcergli con ogni mezzo informazioni sulla loro missione - È normale. – commentava – Il veleno di cui erano impregnate le armi dei miei Orchi indebolisce il corpo e la mente. È sorprendente che tu ti sia già ripreso. Voi elfi avete delle capacità fisiche veramente notevoli. - proseguì con fare disinvolto - Sarà interessante studiarle più approfonditamente.” terminò, mormorando come fra sé e sé.

Poi si volse nuovamente verso Legolas e, con un viso completamente mutato e un tono duro e perentorio, affermò “Ma non sono sceso in queste fetide segrete soltanto per udire la mia voce. Vedi di riacquistare in fretta l’uso della parola, perché potrei cominciare ad innervosirmi.” e poi tacque.

Legolas lo fissava con le mascelle serrate, le mani strette a pugno ed il corpo teso nello sforzo di non rispondere alle insulse follie che quell’uomo andava proferendo, anche se a quel punto lo sfiorò il pensiero di scoppiargli a ridere in faccia, giusto per dimostrargli in quale conto tenesse le sue minacce. Ma non ne ebbe la possibilità, poiché improvvisamente l’uomo si mosse e si portò dinanzi ad Aragorn e con voce crudele e irata soggiunse, spostando lo sguardo dall’uno all’altro prigioniero.

“Forse hai solo bisogno di essere spronato. Ti aiuterò a trovare un motivo valido per rispondere alle mie domande…  – disse, poi il suo tono mutò ancora e scese fino a farsi quasi un sussurro, pervaso di feroce cupidigia – e sono certo che quest’uomo potrebbe fornircelo.”

Legolas percepì immediatamente la minaccia, per nulla velata, rivolta ad Aragorn. Il pensiero che potesse ferirlo ulteriormente, proprio ora che era inerme e privo di conoscenza, cancellò ogni altra cosa.

“Non toccarlo!” gridò.

“Vedo che hai ritrovato la voce, elfo! - costatò compiaciuto l’uomo e tese una mano verso il capo di Aragorn, che era chino in avanti, abbandonato sul petto. Intanto continuava a parlare. – E che questo inatteso miracolo ti ha dato alla testa. Ora osi addirittura darmi ordini.” Il sarcasmo era evidente nelle sue parole, ma Legolas l’ignorò.

“Non osare avvicinarti a lui!” gridò ancora, ma fu inutile. Il mago aveva già sollevato il viso di Aragorn e sembrava intento a studiarlo.

Legolas, con tutto il suo essere, si ribellava al solo pensiero di dover assistere mentre quell’individuo minacciava Aragorn di ulteriori torture. Aveva iniziato a cercare di scagliarsi con furore contro di lui. Si divincolava selvaggiamente, come un animale rabbioso, reso folle da un orrore indicibile che gli annebbia la mente. Ma non riuscì ad allontanarsi. Lunghi ganci in metallo profondamente infissi nella roccia lo inchiodavano inesorabilmente al suo posto. I neri anelli delle pesanti catene stridevano ad ogni torsione, ad ogni nuovo colpo, sempre più insistente del precedente e sempre più disperato, ma non cedettero.

Il mago si voltò nuovamente verso di lui e Legolas poté leggergli un’espressione di morboso interesse sul viso.

“Quest’uomo m’intriga davvero. È strano che di questi tempi un elfo abbia così a cuore la sorte di un uomo…”

“Che tu sia maledetto, se gli farai del male.” sibilò con odio Legolas.

“Ma io sono già maledetto! – esclamò il mago – Non lo sai?” gli domandò beffardo. Legolas non rispose.

“Tu non sai nulla. Come potresti?” continuò a blaterare e Legolas era contento di essere anche solo per qualche istante riuscito a distrarlo, sebbene fosse consapevole che così non sarebbe comunque riuscito a cambiare la situazione, solo a prorogare l’inevitabile. Ma nulla era inevitabile e non tutto era prevedibile. Proprio per questo motivo non si sarebbe arreso, sapeva che nessuno di loro avrebbe mai abbandonato la Missione, né voleva già cominciare a disperare, perdere la speranza che un improvviso evento potesse migliorare la loro situazione, così come un altrettanto inaspettato attacco li aveva condotti a quella disfatta.

Non gl’importava cosa dovesse fare o dire, avrebbe tentato di tutto per tenerlo il più lontano possibile da Aragorn.

“Sono maledetto e ne godo! – esclamò – Traggo forza dall’oscurità e la divorante bramosia di nuovo nutrimento mi affliggerà per sempre ed io sempre la soddisferò. Presto capirete cosa voglio dire, è anche per questo che siete qui!”

“Tu sei pazzo…” mormorò Legolas con voce severa.

“Pazzo? No, pazzo è colui che parla senza capire nulla di ciò che dice o che non riconosce la reale essenza di ciò che osserva. Ed io invece so.” concluse con enfasi.

“No, uomo tu credi di sapere.”

“Taci! Come osi apostrofarmi con tanta arroganza? Non vedi in quale stato ti trovi? Sei mio prigioniero e non puoi fare nulla che io non voglia. Eppure cerchi ancora di sfidarmi!” la voce gli tremava per l’ira e lo sdegno.

“Adesso e sempre: io non ti obbedirò mai!”

“Questo è quello che dici tu.”

“Non sono solo parole, uomo. Io” ma Legolas ancora una volta fu interrotto dalla furiosa replica dell’altro.

“Basta così! È il momento di mettere in chiaro alcune cose. Innanzi tutto con chi stai parlando. Non sono un tuo servo – Legolas osservava con soddisfazione l’uomo perdere il controllo. Non pensava alla propria incolumità, fintanto che fosse riuscito a proteggere Aragorn, non c’era nulla che lo avrebbe potuto far indietreggiare, nulla di cui si sarebbe mai potuto pentire in futuro – che ti permetti con me tanta sprezzante superiorità. No, sono un mago. Un mago come pochi nel passato. Il mio potere non ha eguali nella mia terra, ma ormai lì non vi è più nulla che possa essere per me di qualche interesse. Ed è per questo che sono giunto qui, per perfezionare le mie arti. E così Saruman il Bianco, per qualche tempo, è stato il maestro di Notkèron il Nero, ma ben presto anche lui ha dovuto ammettere che nulla più c’era che potesse insegnarmi! Non sono secondo a nessuno. Lo capisci? Anche l’antico Curunir ha dovuto riconoscere la mia potenza. Ora so che mi teme. Mi osserva e medita in quella sua Torre e pensa di potermi ancora dominare. Ma si sbaglia e quando questa guerra sarà terminata glielo dimostrerò! Nessuno sottovaluterà mai più il potere delle genti del sud. Ma tu che fai, inutile elfo? Vorresti sfidarmi? Te lo leggo negli occhi. Pensi ancora di poter fare qualcosa? Di poterti difendere o di difendere quest’uomo? Guardati! Quando avrò finito con te, cosa pensi resterà di questo tuo orgoglio? Non molto, ti assicuro. Forse ti troverò una destinazione che ti si addica. Potrei darti alle mie guardie, da troppo tempo non hanno nulla con cui trastullarsi. Ma ora basta, comincio veramente a stancarmi.”

Legolas sorrideva sprezzante a quelle parole e continuava a mantenere lo sguardo fisso negli occhi del mago e così accadde tutto troppo in fretta perché potesse proteggersi. Vide bruscamente mutare l’espressione sul suo viso e un lampo di potere avvampargli negli occhi scuri, che si accesero come brace ardente nella notte, sfiorata dal soffio del vento. Improvvisamente si trovò sperso in quell’oscurità, che lo aveva avviluppato e avvinto in legami invisibili eppure indissolubili. Era doppiamente prigioniero. Non era più padrone del suo corpo, solo la sua volontà non era stata soggiogata dall’incantesimo dell’uomo. Ora tutto ad un tratto comprese quale grave errore avesse commesso. Si era detto di non sottovalutare quell’uomo, ma invece, spinto dal desiderio di proteggere Aragorn, proprio quello aveva fatto e ora doveva pagare le conseguenze della propria leggerezza.

“Come vedi ora sei in mio potere e ti posso assicurare che questo è solo l’inizio. Sento che cerchi ancora di resistermi. Ma non potrai continuare a lungo! Verrà il momento in cui cederai e sarai mio, completamente mio! Ti piegherai ad ogni mio comando, ma non temere, non sarai solo. Anche lui asseconderà il mio volere e ti condurrà a me e vedervi precipitare insieme nell’abisso sarà ancora più piacevole, perché sarete stati ognuno la causa della dannazione dell’altro!”

Legolas non poteva far altro che ascoltare e a quel punto si chiese se con il suo atteggiamento non avesse reso la situazione ancor più disperata. Doveva scacciare i dubbi che gli attanagliavano il cuore, perché sapeva che quello era il modo in cui le arti del Nemico s’insinuano nelle menti indebolite dal terrore e dallo sconforto. Doveva mantenersi lucido e non colpevolizzarsi, il male non era in lui, ma solo fuori di lui. Il nemico era quell’uomo e accanirsi contro se stesso a causa di un errore commesso per lealtà e amore non avrebbe avuto alcun esito positivo sul suo futuro.

Sebbene l’uomo avesse continuato a parlare, Legolas per alcuni istanti non aveva più udito la sua voce, poiché si era smarrito nei suoi pensieri, ma ora si costrinse a concentrarsi sulle parole che stava pronunciando. Era tutto ciò che poteva fare di utile per sé e per Aragorn e non si sarebbe permesso di distrarsi un’altra volta ancora, per quello che poteva valere in quel momento quel suo sforzo, pensò amaramente. Con fatica scacciò dalla mente tutti i pensieri che potessero indurlo a scoraggiarsi e si preparò a lottare per la sua anima.

“Dicono che un atto d’amore – stava dicendo l’uomo con evidente sdegno per l’argomento, che peraltro non sorprese Legolas, quando capì di cosa stesse parlando – possa infrangere le stregonerie più potenti, - s’interruppe per sogghignare malevolmente – ma io non ci ho mai creduto. Sono solo favole per far dormire i bambini, ecco cosa sono. Tutte storie! Create da gente che non osava guardare in faccia la verità e ammettere che il vero potere è nelle mai di coloro che osano rischiare tutto, non in dei pezzenti come voi elfi, né in quelle dei Nùmenoreani dei miti, i grandi Re degli Uomini! Il vostro tempo è finito e non sarà mai troppo tardi quando vene accorgerete! Lasciate che siamo noi a governare la Terra di Mezzo, noi che ne abbiamo gli strumenti. È nostra di diritto e non potete più togliercela! Ormai i tempi sono cambiati e saremo noi che vi sopraffaremo e ridurremo tutte le ultime vestigia della vostra gloria in polvere, così come le abbiamo cancellate dalle nostre terre. Sì, perché i Dùnedain non ci sono sconosciuti. No, li conosciamo fin troppo bene, purtroppo. Sono giunti con grandi navi, così dicono le storie. Vennero dal mare e come tiranni si insediarono nelle nostre terre e lì, sulle verdi alture dinanzi al mare, hanno costruito i loro castelli.”

Legolas a questo punto lo fissava con gli occhi sgranati, un lieve tremito scuoteva le sue membra, ciò che stava udendo, l’odio e lo scherno nelle parole di quell’uomo s’insinuavano striscianti oltre le sue difese e un nero pensiero cominciava a profilarsi in lontananza, ma ancora non l’aveva raggiunto. Temeva che si avvicinasse, che quell’orribile sospetto lo aggredisse e soprattutto disperava che sarebbe riuscito a riprendersi dalle ferite che avrebbe potuto infliggere alla sua anima.

“Oh, si. I loro castelli! Rilucevano di marmi colorati e le alte torri s’innalzavano orgogliose tutt’intorno alle mura possenti. Si credevano invincibili, troppo superiori a noi, popolo di barbari, incivile e indifeso, con le nostre misere armi di legno e pietra. Ma sono state le semplici armi di quegli uomini vessati e ignominiosamente umiliati che hanno bevuto il sangue di quei grandi signori del passato. Stavano festeggiando e non si accorsero che le sentinelle cadevano avvelenate l’una dopo l’altra. Non si accorsero che il ponte veniva calato sul fossato e che, solo quando tutta la folla ondeggiante e silenziosa era entrata nel cortile, veniva rinchiuso, rinserrandoli tra quelle loro mura, baluardo di nulla!”

Gli occhi di Notkèron brillavano minacciosi ed un sinistro ghigno di sozza crudeltà gli incurvava le labbra. L’uomo non aveva ancora terminato il suo monologo, ma Legolas avrebbe preferito non ascoltare. Desiderava poter distogliere lo sguardo e perdersi nei vaghi sentieri della sua mente di elfo, ma non poteva muoversi. Gli occhi erano incatenati al volto del mago, che godeva enormemente di quella dimostrazione del suo potere.

“La rabbia esplose sotto le volte dipinte delle sale e le crudeli, limpide candele hanno rischiarato vermiglio sangue e membra divelte e corpi lacerati! No, mio giovane elfo, – una vampata d’odio scosse Legolas. Mai sarebbe stato suo. Mai avrebbe ceduto: torture o lusinghe non avrebbero potuto in alcun modo incidere nella sua determinazione. Era prigioniero nel corpo, ma libero nello spirito, nella mente e nel cuore! – a nulla poterono la loro magnificenza e la loro superbia. Quella notte segnò la fine del maggiore dei feudi dei Signori di Nùmenor nella nostra terra, anche se forse non della loro arroganza. Comunque non sono più tornati. Avevano altro a cui pensare a quei tempi, stavano per muovere guerra alle Potenze dell’Ovest e i miserabili popoli del Sud, – e il rancore gli faceva sibilare malignamente le parole tra i denti convulsamente stretti – gli uomini di Ursel, non erano che un’insignificante distrazione a cui avrebbero potuto attendere in un altro momento, che per nostra fortuna non venne mai! – esclamò ridendo – Il resto è storia. Per noi come per voi. Vedi? Come ti avevo detto, – sussurrò. Improvvisamente aveva nuovamente cambiato tono, suadente, eppure per questo ancora più velenoso – non dovreste essere così fieri della vostra memoria, perché in essa vi è così tanto, ricordi che altri rammentano e che voi avete, invece, perso tra le pieghe del tempo!”

Se avesse potuto parlare, se avesse potuto agire, fare qualsiasi cosa, Legolas non sarebbe rimasto lì, immobile, ad incassare tutti quegli insulti. Vi erano zone oscure nel passato di ogni popolo, ma loro non erano quei loro avi corrotti e la loro malvagità era stata punita. Il loro onore era integro ed era certo che mai avrebbe potuto incontrare un uomo più degno di Aragorn. Non voleva e non poteva accettare impassibile quegli insensati dileggi. Eppure, nonostante l’ira gli turbinasse nel petto, nulla poteva fare, solo sperare di mostrargli tutto il suo odio e la sua furente ma muta ribellione con uno sguardo infuocato. Non poteva volgere via il viso. Che, per lo meno, in quei suoi occhi chiari, fiammeggianti per il disprezzo, leggesse i suoi sentimenti e la palese minaccia che avrebbe inesorabilmente messo in atto, qualora ne avesse avuto l’occasione.

“E sai perché ricordano? Ma non puoi saperlo. Cosa ne sapete voi di ciò che accade al di fuori delle vostre belle foreste dorate? Niente! Perché nn c’è niente che vi interessi veramente degli uomini, a meno che non possano esservi utili a qualcosa…” aveva alzato nuovamente il tono della voce. Sembrava tremare di collera repressa, quasi come se stesse per perdere il controllo. Legolas ora l’osservava ad occhi stretti, cercando di scoprire i suoi punti deboli, di trovare qualche cosa che, più in là, lui ed Aragorn avrebbero potuto usare contro di lui e nello squilibrio delle sue emozioni violente e destabilizzanti credeva di poter trovare ciò che cercava. Il mago nel frattempo aveva recuperato un po’ di compostezza. Il respiro gli si era fatto nuovamente regolare e gli occhi non erano più dilatati all’impossibile, ma erano tornati a socchiudersi sulle nere pupille. Si passò con calma una mano tra i lunghi capelli neri e le lucide ciocche ondeggiarono mollemente, quando li spostò con un gesto fluido e sicuro dietro alle spalle, facendo tintinnare i pendagli d’oro, simili a tonde monete forate al centro, intorno ai quali era stata ritorta e annodata l’estremità di ogni ciocca. Il giovane mago tornò a rivolgersi a Legolas e, ancora una volta, un subdolo sorriso gli era apparso sulle labbra.

“Sai una cosa? No, certo che non la sai. Come potresti? No, - continuava a ripetere frasi sconnesse – eppure è un’informazione così importante. È ancora lì!” Legolas non capiva di cosa stesse parlando e il dubbio di trovarsi intrappolato in un terribile incubo lo sfiorò per un attimo, ma poi l’abbandonò, quando il Sudrone incrociò nuovamente gli occhi con i suoi e poté scorgere un’espressione di perfida e calcolatrice malizia, nella viscida luce di quello sguardo di falcone.

“Si! Non è mai rovinato al suolo e le sue mura di solida pietra ancora si ergono sulla nostra verdeggiante collina.”

Legolas cominciò a capire a cosa si stava riferendo: al castello dei Signori di Nùmenor. E un gelido sentore di paura gli ghermì il petto. Perché era così importante? Temeva la risposta, eppure si rendeva conto che doveva sapere. L’incubo era solo appena cominciato.

“Ma non solo. – continuò con voce vibrante – Ci è stato lasciato molto più di qualche muro rivestito di seta o di bizzarri dipinti e di qualche bella statua di marmi colorati o di bronzo lucente. – disse, con una smorfia che gli contorse il bel viso e si avvicinò a Legolas – Non indovini cos’altro ci hanno lasciato in eredità?” chiese schernendolo e allungando una mano guantata verso il viso dell’elfo immobilizzato.

“Molto, - sussurrò – molto più di quanto immaginassero. – sfiorò il viso di Legolas – Molto più di quanto tu stesso possa immaginare! – ed improvvisamente lo strinse intorno alla mascella in una morsa febbrile. Le dita penetrarono profondamente nella carne, agganciando le eleganti ossa dell’elfo – L’hanno lasciata lì, - gli sollevò il volto – e non si aspettavano certo di farlo!”

A quel punto la tensione esplose e l’uomo si lasciò andare ad un’assurda, sonora risata, che inspiegabilmente, però, alle orecchie di Legolas, parve ancora più minacciosa del tono velenoso di poco prima. Poi la risata terminò nel nulla, così come aveva avuto inizio con un ansito grottesco e rauco.

“Avresti dovuto vederla. – mormorò con voce tremante – Era una così bella biblioteca. Mobili di legno pregiato. Scaffali e scaffali fino al soffitto e libri e libri e libri, – pareva perso in paludose memorie, quasi che la sua mente lontana vi affondasse con insana voluttà – ovunque volgessi lo sguardo, pesanti volumi rilegati e rotoli dai bordi ben levigati erano stati sistemati metodicamente l’uno accanto all’altro, – gli occhi gli rilucevano con fervore – sembrava non avere fine, perdersi nella volta arcuata. Era più di quanto un solo uomo potesse mai aspirare a possedere.” il respiro era tornato affannoso e la mano stringeva ancora più crudelmente il viso di Legolas.

“Leggerli tutti in una sola vita? Neanche ai loro antichi padroni sarebbero bastati tutti i giorni di una  di quelle loro vite, così innaturalmente lunghe. Ma non ci pensarono neanche, perché allora non c’era nessuno in grado di capirli. Ma non li distrussero, però! No. Chiusero solo le porte dietro di loro, dopo aver preso ciò che a quel tempo poteva essergli utile, e lasciarono che la polvere calasse ad invecchiarli, così come invecchiava il mondo.” avvicinò il proprio volto a quello di Legolas, che ora ribolliva d’indignazione. Non sopportava quelle luride mani su di sé, ad insozzarlo con il solo contatto con esse.

Nell’aria gelida della cella il respiro dell’uomo aleggiava condensandosi dinanzi al suo volto e subito si disperdeva in pigre volute.

“Ci hanno fatto un grande dono, ma di certo non era loro intenzione. – sogghignò – No, non potevano immaginare quanto sarebbero tornati utili, quando secoli dopo abbiamo iniziato ad addentrarci nelle più oscure pratiche della magia e abbiamo scoperto con crescente meraviglia che potevamo usare ciò che era rimasto della loro sapienza per piegarlo ai nostri scopi. Ma ciò che più ci stupì fu scoprire in noi e in loro un interesse comune: sconfiggere la morte. Il mio maestro ha consultato quei vecchi tomi ingialliti per quasi tutta la sua vita, eppure, nonostante i suoi studi, non era riuscito ad ottenere  molto più che imparare a separare da un corpo l’energia vitale, ma non poté mai farne nulla. Vorresti saperne di più? Non so se te lo dirò, mi sto annoiando a parlare con te. Il tuo compagno, quell’umano, chissà, potrebbe essere più interessante e io conosco un mezzo molto efficace per farlo risvegliare.” concluse, voltandosi verso il corpo inerte di Aragorn con un infido e maligno mezzo sorriso. Lo fissò per qualche istante, poi tornò a rivolgersi verso Legolas e stette immobile a contemplarlo, con quell’espressione distorta, quasi stesse cercando di indovinare come avrebbe potuto reagire a quanto di lì a poco sarebbe avvenuto al suo compagno. Il corpo di Legolas, suo malgrado, a quell’inaspettato mutamento d’umore e d’interesse nel mago, suo malgrado era stato scosso da un brivido.