.|. Schegge di Follia - take 2 .|.
10.
Una Luce nel Buio ~
It's
like I'll disappear as soon as I close my eyes
I feel like I've turned into
someone that even I don't recognize
Sadly, I've become so small
I want to be rescued, but
instead of sighing
I vomited up my loneliness,
and just lay there, measuring it all up
My heart is drowning and
writhing
These lies that make me dizzy
I took them and tore them up
And with that, I became lost
In a world of thin darkness.
For the sake of those whom I
should trust
I chose to come here, a cage
into which I've locked myself, and now
there's no escape.
Deep inside my parched throat
Lies the reason for this
growing impermanence
Scared of the approaching
tomorrow
I cower and collapse
But it seeks me out and
whispers to me
This voice of thin darkness.
-Witch Hunter Robin OST – traduzione
Inglese di “Shell”
La Torre era la più alta
di tutto il Palazzo Bianco. Si ergeva sopra l’intera cittadella, ritta
come una spada conficcata nel terreno ed altrettanto scintillante, ornata
di rossi vessilli fluttuanti. Spiando dalle finestre a ogiva che si
aprivano a spirale lungo tutta la sua slanciata mole si vedevano stanze di
un bianco pallido, bianchi pavimenti lucidi, bianche mura, bianchi letti
soffici, bianchi catini e tavolinetti. Era la Casa di Guarigione della
Città Nascosta.
Turlos spinse lievemente
la porta della stanza più alta della Torre ed entrando disse:
“E’ tempo che noi
parliamo.”
Seduto su una sedia di
fianco al letto Aragorn rispose senza voltarsi:
“Si.”
La stanza era di un
candore tenue e immacolato, e traboccava di un permeante senso d’intimità,
con i bracieri accesi di morbide fiammelle arancioni, ed il caldo profumo
insinuante dell’athelas che aleggiava sopra ogni cosa. Un vago sentore
speziato, legno scoppiettante nel fuoco d’inverno, deliziose bevande
calde, fiori esotici e suadenti; un profumo rilassante, accogliente -
profumo di cose amate.
Turlos osservò la schiena
curva di Aragorn, i muscoli delle spalle muoversi mentre bendava
attentamente i polsi martoriati del vecchio che aveva salvato, steso sul
letto sotto l’effetto di droghe soporifere. La luce calda delle fiamme
brillava sulla sua pelle e gli occhi scuri, una carezza di intenso
arancione e giallo fiammante. L’Elfo poteva sentiva senza sforzo il rumore
lieve e cadenzato del suo respiro.
Turlos scivolò accanto al
Ramingo e raggiunse la finestra come se non avesse peso. Abbandonò la mano
bianca sul davanzale di pietra. Il suo respiro non aveva forma né suono.
Nonostante fosse impossibile, il suo petto sembrava immobile.
“Sarei dovuto venire prima
da te, nel momento stesso dal mio ritorno, ma non potevo. Era mio dovere
andare dalla mia gente. E il mio dovere viene prima di tutto.”
Al suono della sua voce
mormorante il vecchio mugolò qualche frase senza senso. Aragorn gli passò
una mano sulla fronte, sussurrò qualche parola dolcemente, ed il corpo del
vecchio si rilassò all'istante, sprofondando nel letto come fosse fatto
d’acqua. Aragorn annuì, sebbene Turlos gli desse ancora la schiena, e si
alzò in piedi.
“Avevano bisogno di te,”
concordò. “Ma se il tuo primo pensiero è stato per me, e non per loro,
allora tu volevi venire da me? Desideravi vedermi come io desideravo
vedere te? Se la tua gente è il tuo dovere, questo cosa fa di me? Un
piacere negatoti per via del dovere?” Turlos lo guardò da sopra la spalla
senza espressione.
“Non un piacere,” precisò.
“Un bisogno.”
Aragorn fu così colpito da
quell’ammissione sussurrata che per lungo tempo rimase immobile con lo
sguardo fisso alle bianca schiena dritta e i lunghi capelli sfavillanti di
Turlos. Poi si scosse e andò alla finestra.
Nel suo eterno crepuscolo
azzurro la città era vestita di bianco, come una donna a lutto che giura
fedeltà eterna al lugubre spirito funebre del suo sposo**. Strati di gelo
e pioggia la facevano lampeggiare e scintillare e tremolare come se le sue
pareti fossero costituite di vetro, candido vetro trasparente che gettato
nelle fauci di una terribile fiamma azzurra non ne era consumato ma anzi
ne era miracolosamente abbellito.
Il rumore della pioggia li
avvolgeva, giungendo da ogni dove. Rumore di gocce che picchiettavano
gentili ed insistenti sulle pareti di pietra, lo sciabordio dell’acqua che
defluiva sulle strade, gli schizzi echeggianti di acqua che cadeva su
altra acqua.
Inspirando l’aria umida e
densa Aragorn immaginò di stare sorbendo lo zampillo di una fonte. Spinse
il viso verso la frescura esterna, e immaginò di esserne purificato. Acqua
purificante. Gelida acqua consacrata che monda il corpo da ogni peccato.
Quel pensiero lo turbò. Unì le sopracciglia in un’espressione costernata.
Girandosi a guardare Turlos vide l’Elfo annuire lentamente.
“Si,” disse Turlos. “E’
proprio come pensi.” Lasciò spaziare lo sguardo sulla distesa sfocata di
edifici sfocati e rilucenti, e con voce fioca aggiunse: “Guarda: guarda
come l’acqua circonda e unisce ogni cosa, senza distinzione alcuna tra ciò
che degno e ciò che non lo è, tra ciò che è vivo e ciò che non lo è mai
stato. Guarda come la sua carezza gelida e dolce porta via ogni traccia di
ciò che impuro, foss’anche invisibile, lasciando immutato e bellissimo ciò
che tocca.”
“E’ per questo che passavi
intere giornate in quel lago. Per purificarti.” L’Elfo non rispose. Si
limitò a inclinare la testa così che i capelli candidi gli scivolarono
contro la guancia e sul collo come il velo della vedova – o il suo
sudario.
“Possibile che tu non
veda?” Gli chiese allora Aragorn, facendosi più vicino. “Non c’è macchia
su di te. Chi ti ha violato e ferito si è macchiato mani e anima oltre
ogni speranza di purificazione, ma tu, tu, sei immacolato come sei sempre
stato.”
Turlos restò immobile, lo
sguardo perso lontano. Luce azzurra e luce gialla si mescolavano sul suo
viso, bianco e rigido come sempre. Ma nei suoi occhi era apparsa
un’opacità innaturale e dura. Le labbra schiuse sembravano supplicanti e
tenere. Guardandolo, Aragorn sentì il polso accelerare. Turlos forzò un
sorriso amaro nel percepire le reazioni del corpo di Aragorn alla sua
bellezza.
“Che importanza ha?”
chiese. “Immacolato, impuro, non fa alcuna differenza. L’acqua non lava
via il passato, né le sue memorie. Dà solo l’illusione di farlo. Ma una
volta che si asciuga e scivola via dalle mie membra esse sono dure e
bellissime e oscene come lo sono sempre state, ed anche se mi immergo
ancora ancora e ancora nell’acqua consacrata esse non cambiano mai.”
“Ma il tuo cuore è
cambiato, non è più morto, o congelato. Esso vive. Altrimenti come
potrebbero esserci lacrime nei tuoi occhi, o rassegnazione nella tua
voce?”
“E questo che ti sembro?
Vivo?” Aragorn si limitò ad annuire. “Nessun’altro lo crede.” Allungò la
mano, e con la punta delle dita, così dure e fredde, sfiorò la fronte di
Aragorn, le palpebre chiuse, le labbra, il mento. Per un momento il suo
viso si fece estraneo e spaventoso, sfavillante nella sua lucida
levigatezza.
Poi Turlos tornò a fissare
all’esterno, lasciando ricadere la mano lungo il fianco, e sembrò di nuovo
sé stesso.
“Quando sei tornato?”
“Due notti fa.” Chiudendo
gli occhi, Aragorn non poté non pensare che il Sogno era scomparso
nel momento stesso in cui Turlos era tornato. O forse non c’era mai stato
alcun Sogno, e quello che aveva amato in quelle notti appassionate
e struggenti era proprio l’Elfo che aveva davanti. Turlos sembrò percepire
quel pensiero, ma non vi rispose. E forse Aragorn gliene fu grato.
“E volevi – no, avevi
bisogno di vedermi?”
“Dovevo parlarti.”
“Ma non potevi.”
“Non subito. L’agonia della mia gente era
straziante – mi risuonava nelle orecchie come un coro infernale, una
confusione assordante in cui solo il mio nome aveva forma. Dovevo andare
da loro.”
I suoi occhi grandi
studiarono il Ramingo, dalle sue labbra immobili parvero sgorgare suoni
melodiosi, come cantilene a lungo sopite, ma era solo la mente di Aragorn
a creare quell’illusione e a darle forma. Sentì nitidamente la voce di
Legolas e quella di Turlos nelle orecchie, pensò che era impossibile, ed
esse sparirono. Scosse la testa.
Guidato da un istinto più
profondo della coscienza prese Turlos tra le braccia, lo strinse a sé,
mentre gli riuniva i capelli in una splendido fascio e glieli spingeva
dolcemente su una spalla, premendo le labbra sulla pelle fredda e levigata
di una gota. Desiderò scaldarlo. Desiderò ardentemente, come mai aveva
desiderato nient’altro prima d’allora, di sentire le membra rigide di
Turlos farsi morbide e tiepide di vita nella sua stretta. Non accadde
nulla. Gli sfuggì una risata amara.
“Il mio Signore della
Neve. L’Elfo fatto di luna e ghiaccio. Qualsiasi cosa io faccia il mio
amore non ti tocca.” Sfiorò con la bocca la punta del suo orecchio. Turlos
chiuse gli occhi. Non si sottrasse alla languida carezza, ma non ne sembrò
nemmeno affetto.
“Non provarti a giocare
con me, Dùnedain: non vinceresti mai. Cosa vuoi farmi dire? Ho ammesso io
stesso che la tua presenza mi turba. E’ la ragione stessa che mi ha spinto
a partire.”
“La mia presenza ti
turba, esatto. Non il mio amore.” Abbassò il volto fino a premere le
labbra contro la vena che pulsava nell’incavo del collo di Turlos. Un
battito lento e dolce, come le onde del mare. Con le mani percorse
lentamente in su e in giù la superficie rigida della sua schiena.
“Tu non credi che ti amo,
non è così?”
Turlos sospirò.
“Non ami me, non ami
Legolas, né l’amavi allora. Tu ami solo lei.”
“Perché non guardi nel mio
cuore, allora? Se sei convinto di ciò che troverai, cos’hai da perdere?
Oppure questo è un dubbio che non vuoi dissipare? Tu temi che non ti ami,
ma temi anche il contrario. E non sopravvivresti a nessuna delle due
verità. Perché?” Lo prese dolcemente per le braccia e si staccò da lui per
poterlo guardare in volto. “Cosa provi per me, dimmi! Cosa è cambiato
rispetto a ciò che provavi allora?”
Di nuovo non ricevette
risposta a quella domanda. Turlos si sciolse dal loro abbraccio, così,
semplicemente, e raggiunse il grande camino freddo dall’altra parte della
stanza. La legna al suo interno sfrigolò, e in un attimo le fiamme
crepitarono, saltellando, creando luci e ombre sul viso abbassato di
quella bianca e fredda creatura. La sua ombra si fece lunghissima e corse
incontro ad Aragorn, lo lambì, danzando sul suo corpo come mani tenere e
audaci.
Con gesto indolente Turlos
fece cenno al Ramingo di raggiungerlo, cosa che il Ramingo fece
immediatamente, sebbene a passo lento.
“Nemmeno queste fiamme
possono scaldare il mio corpo,” disse Turlos in tono meditabondo. “Anche
se mi gettassi al loro interno non succederebbe nulla. O forse il mio
ghiaccio spegnerebbe anche questo fuoco.”
Allungò le dita verso la
fiamme ardenti e Aragorn, temendo per lui, afferrò quella mano e se la
portò al petto. Turlos lo guardò che ansimava a occhi sgranati, ma non
disse nulla.
Una volta che si fu
tranquillizzato, Aragorn lasciò andare la mano di Turlos; poi, dopo un
attimo di esitazione, lo trasse di nuovo a sé, facendo aderire al petto la
schiena dell’Elfo e posando il mento sulla sua spalla. Come al solito,
Turlos non ebbe alcuna reazione. Non si scostò, né si lasciò andare. Si
limitò a rimanere immobile, lo sguardo fisso al fuoco nel camino.
“Non mi chiedi nulla?”
disse poi. “Non mi chiedi perché me ne sono andato?”
“L’hai fatto per liberarti
dalla mia presenza.”
“Allora perché non mi
chiedi come mai sono tornato?” Aragorn sembrò confuso.
“Perché volevi vedermi.”
“Oh.” Turlos emise un
suono come una risatina sommessa. “Come al solito, senti la mia voce, ma
non le mie parole. Ti sembra un comportamento coerente, rifuggire qualcosa
che ci turba per poi correre tra le sue braccia, persi nel desiderio di
rivederlo?”
Il viso di Aragorn si fece
pensoso.
“Perché sei tornato
allora?”
“Te l’ho detto. Ma come
sempre, le mie parole non ti raggiungono. Dimmi, se me ne sono andato per
liberarmi della tua presenza, cosa potrebbe avermi spinto a tornare? Uhm?”
Aragorn deglutì a vuoto. Nel suo petto ci fu uno spasmo violento. Rifiutò
di tremare, e stringendo l’elfo possessivamente gli sussurrò, così che le
sue labbra gli sfiorassero l’orecchio ad ogni lettera:
“Perché hai trovato il
modo di liberarti di me.”
“Oh, si. Si, l’ho
trovato.”
“Vuoi uccidermi?” Non
c’era paura nella sua voce, né tristezza. Solo un genuino bisogno di
sapere. Eppure un peso sembrò levarsi dal suo stomaco quando Turlos scosse
la testa.
“Perché mai? Perché, dopo
che ho fatto in modo che nulla di male ti accadesse mentre ero via?”
Turlos si voltò nel suo
abbraccio per guardarlo negli occhi. Lo stupore di Aragorn fu grande
quando, invece di allontanarsi, Turlos si strinse di più a lui,
passandogli le braccia sotto le sue e chiudendogli una mano su ogni
spalla. Nascose il volto per un attimo contro il suo collo, poi lo alzò
verso quello abbassato del Ramingo.
“No, Aragorn,” gli
sussurrò quasi contro le labbra. “Voglio che tu te ne vada, si, ma non ti
voglio morto.”
“Mi esili? E’ questo che
vuoi fare?”
Turlos scosse la testa. La
sua candida chioma ondeggiò e sfavillò nella luce del fuoco.
“Ancora non capisci?
Voglio che questo tormento finisca. Voglio che finisca per entrambi. E per
Gimli. E per tutta la Terra di Mezzo. Aragorn--” la sua voce era poco più
di un sussurro ora, un suono cristallino che ben si sposava con la
sinfonia della pioggia. “—voglio che tu torni a casa. Nel tuo mondo. Nel
tuo tempo.”
Aragorn scartò
all’indietro.
“Come potrei? Lo specchio
è perduto! La colonna è spezzata, la brocca scomparsa, e l’acqua! Non vi è
più acqua per alimentare la magia, né una Dama per guidarla!” Turlos lo
fissò senza espressione.
“E’ bastato che io
guardassi la colonna perché essa si risanasse, levandosi dal fango per
riunirsi in un unico pezzo scintillante. La brocca e il catino, Aragorn,
trafugati da secoli, nascosti nell’ombra di Dol Guldur e guardati da un
esercito di creature blasfeme… perché credi che io me ne sia andato per
così tanto tempo? Li ho ripresi, li ho ripresi entrambi, ed ho ucciso chi
si frapponeva tra me e loro. Ho ripulito quelle reliquie di un tempo
perduto col sangue di coloro che le avevano profanate e le ho riportate a
casa. E l’acqua, l’acqua di Elbereth, è la stessa acqua che perpetuamente
s’increspa nel mio lago sotterraneo.” Si mosse all’indietro, ma fu come se
scivolasse sul pavimento senza muovere i piedi. La porta dietro di lui si
spalancò. Un vento gelido mosse i suoi capelli in turbini confusi davanti
al suo viso spettrale.
“E la Dama… la Dama! Lo
specchio ti ha mandato qui, non lei. Lei non poteva controllarlo. Io si. E
lo controllerò, e ti riporterò indietro, dove tu appartieni.”
Era dall’altro lato della
porta ora, una figura evanescente nell’ombra nera del corridoio. Un
sorriso gli increspò le labbra. Manto e capelli sembravano svolazzare in
una tempesta invisibile ma, come quelle di una statua, non si muovevano
affatto. Nel riverbero della luce che l’Elfo stesso emanava, Aragorn
credette di scorgere segni insanguinati e tondi sulla superficie levigata
dei suoi palmi e dei suoi piedi. Aprì la bocca per urlare, e scoprì che
non poteva.
“Presto. Presto.” Ripeté
l’Elfo. Poi la porta si chiuse sbattendo su quella scena da incubo. La
stanza, che per un attimo era sembrata gelida e scura, un ricettacolo di
ombre affamate e mostruose, ritrovò tutto il suo calore e la sua luce.
Aragorn barcollò all’indietro fino a sentire la pietra dura del camino
premergli nella schiena, e il calore lambirgli i polpacci. Da qualche
parte attorno a lui, il vecchio emise un brontolio e si mosse nel letto.
Aragorn continuò a fissarsi le mani come se non le conoscesse.
C’era un solo pensiero
nella sua testa, che si ripeteva vorticando come una foglia catturata in
un uragano.
Rivedrò Legolas.
Legolas! Legolas! Legolas!
Eppure, sebbene tentasse
di negarlo, fermo al centro di quell’uragano come una colomba candida vi
era Turlos. E tutt’intorno a lui aleggiava la consapevolezza che, tornando
indietro nel tempo, Aragorn l’avrebbe perduto.
Perduto per sempre.
** SE non mi
sbaglio, e ripeto SE, nell’antichità in Oriente c’era una consuetudine
simile: se una vedova indossava un abito bianco al funerale del suo sposo,
questo indicava che ella non avrebbe preso nessun’altro come consorte. Nel
caso (molto plausibile) che la mia memoria abbia fatto cilecca, fate finta
che l’abito bianco da lutto sia una consuetudine della Terra di Mezzo. =)
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