.|. Tourniquet .|.

2. Loralyalinque (L'Acqua del Sonno)

~  

 

Plic… Plic…

Legolas lasciò che il contenuto della fialetta d’alabastro gocciolasse lentamente nel bicchiere di vetro chiaro, colorando l’acqua che vi era di un viola scuro. Il liquido si dissolveva in tanti arzigogoli che somigliavano ad artigli arcuati o foglie accartocciate dal forte vento. Chiuse la fialetta e la ripose nella sua sacca di tela verde scura, che poggiò con cura accanto al suo giaciglio, vicino a quello di Aragorn. Si sedette sopra il mucchio di pelli ordinate col bicchiere in mano, osservando con dedita attenzione il luogo ove l’uomo dormiva.

Aragorn, oh… quanto vorrei non doverlo fare…ma sarebbe pericoloso. Questa notte saremo obbligati a stare vicini. Ed è bello, lo so, ma.. tu potresti desiderarmi ancora.. ed io già ti bramo.. non.. non sarebbe sicuro.

Abbassò lo sguardo verso il bicchiere: l’acqua ora presentava un colore uniforme.  L’ultima volta che l’aveva bevuta era stato anni prima… per non sopportare il continuo dolore che lo stare nel suo palazzo a Boscoverde il Grande gli procurava. Suo padre, i suoi tre fratelli.. il silenzio di sua madre… Era stato mandato a Granburrone perché…

Perché se i Valar richiamassero la mia anima, se il nemico mi facesse prigioniero o se non dovessi mai più tornare… probabilmente mancherei solo a mia madre. In silenzio.

Fissava ancora il bicchiere, una lacrima leggera gli scivolava lentamente giù lungo la guancia color avorio. Boscoverde era bellissimo. Un tempo. Poi erano arrivate le Liante, (Ungoliante a piacere) erano state sconfitte, ma avevano lasciato alle loro spalle morte e distruzione e Legolas era sicuro che non se ne fossero andate del tutto. Ne sentiva gli sguardi affamati addosso, udiva i loro movimenti saettanti e fruscianti tra gli alberi…mentre passeggiava… bramose di uccidere…

Schifose e traditrici creature nere, gonfie d’orrore ed ombra, il loro sangue era veleno e il loro grido terrore, il loro essere come una malattia che se ne sta in disparte per poi colpire quando tutto è debole, nel mondo.

Boscoverde.. guardando le sperdute pianure di Rohan gli mancava così tanto… Alberi, alberi ovunque, verdi ed imponenti; e le foglie dolci, l’erba soffice sulla quale distendersi, il tronco solido delle piante.. il piccolo lago.. quello sulle cui rive viveva il vecchio traghettatore, una creatura che non era né elfo né Istari, ma immortale e saggio. Un vecchio che nessuno conosceva.. Nessuno a parte Legolas, che si era avventurato fino alla sua capanna. Egli aveva il volto bruciato dal sole, ed i capelli scuri e sottili legati in una crocchia dietro le spalle. Teneva calato fin sopra il naso un vecchio cappello di pelle di daino e s’avvolgeva nel mantello di piume d’aquila per non avere freddo. Diceva che era un dono di Radagast il bruno, enorme gigante del nord. Passava le sue serate davanti ad un fuoco precario, fumando la pipa e dormiva nella sua capanna,mentre d’estate preferiva trovare rifugio tra le grandi radici sporgenti di un enorme Ontano. Era stato proprio il Traghettatore a donargli quella fialetta. Conteneva una sostanza estratta dalle radici del Niphrodel, bianco fiore della neve.

Ancora lo sguardo verso il bicchiere, con la consapevolezza di dover poggiare le labbra a quel bordo e buttare giù tutto d’un fiato.

Per il nostro bene, stanotte…

E lo sapeva benissimo che stava andando contro natura. Lo sapeva benissimo che la sua stirpe era fatta per seguire la luce, sia del sole che della luna. Ma soprattutto quella delle stelle. E allora, era peccato chiudere gli occhi ad esse, che vegliavano dalla coperta blu del cielo. Ma doveva farlo. Per una notte, le stelle non avrebbero sentito la sua mancanza.

I meles le… I uu ta an le.. (Ti amo.. lo faccio per te)

E con questo pensiero consolante, avvicino il freddo vetro alle labbra e bevve tutto il liquido d’un fiato. Il sapore non era affatto malvagio, anzi, sapeva di zucchero. Rimase col bicchiere a mezz’aria, non sapeva nemmeno lui il perché. Credeva di dover aspettare, e invece…

Il bicchiere cadde a terra e s’infranse in mille cristalli che catturavano l’ultima luce del sole morente, risplendendo anche del blu della notte che avanzava su zoccoli di cavallo d’ombra.

Legolas cadde riverso sul proprio giaciglio, quasi senza vita mentre un pallore atavico gli si dipingeva in volto. Teneva gli occhi socchiusi e le labbra dischiuse, in un continuo e lento respiro pesante. Le braccia aperte e le mani coi palmi rivolti all’insù gli davano un’aria abbandonata.

Non ricordavo.. facesse… così.. male…

Aveva la mente annebbiata, a fatica riusciva a pensare ed a fatica riusciva a vedere, la stanza intorno a lui divenne un’ombra indistinta. L’altra volta era stato tutto così… veloce. Aveva assunto il liquido e si era ritrovato a riposare beatamente nel suo letto, angelico e felice di quel sonno. Ora no. Ora tutto gli pesava, il suo stesso corpo era gravoso sulla sua anima…

-Aragorn…

sussurrò piano. Come un incantesimo. L’ultima parola prima di cadere. E quel nome si perse nell’aria con ali d’uccello di nebbia, morendo con il sole dietro l’orizzonte.

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Nel grande camino il fuoco ardeva gagliardo, emanando bagliori di luce rossastra par tutto il salone. Davanti ad esso stava seduto un uomo, accoccolato ben bene sullo scranno di legno coperto di pelle. I capelli castani ed ondulati gli ricadevano sul volto, coprendo con qualche ciocca due occhi socchiusi del colore del ghiaccio sotto un cielo che risplende. Aveva le labbra dischiuse in un sorriso,il pollice della mano destra appoggiato sul mento mentre il braccio sinistro gli teneva stretto il gomito. Teneva i piedi sollevati da terra, rannicchiati contro sé stesso e premuti su un bracciolo. Se ne stava ben coperto dal mantello nero e sembrava un grosso gatto sornione. Ma dietro quel volto calmo e chiuso, stava un uomo che a fatica tratteneva le proprie emozioni. Chiuse gli occhi lentamente e davanti a lui apparve il bellissimo volto di un’altra persona, seduta accanto a lui, ma voltata dall’altra parte. Una cascata di capelli biondi come il grano e fini quanto l’oro filato ricadevano sulle spalle di una casacca color delle stelle, che mollemente gli avvolgeva le braccia ed il petto, le mani raccolte in grembo.

Legolas…

La figura di sogno si girò, fissandolo con due occhi color del mare e sorridendo amabilmente, sollevando un angolo della bocca sottile.

Le na maar ve Finwe, el-ion… loralya minna in enyalie…sisiila ve Nierninwa. I meles le, haryu o Wenyataure. Nunquerna amba in sarku… nunquerna amba… uundume… (Sei bello quanto Finwe, figlio delle stelle… assopito nella mia memoria, splendente quanto Sirio. Ti amo, principe di Boscoverde. Disteso sul mio corpo.. disteso su… sull’abisso..)

L’ultima parola gli mise quasi paura. Perché disteso sull’abisso? C’era qualcosa che non andava? Stava succedendo qualcosa a Legolas? Fece per alzarsi, irrequieto del proprio pensiero, sperando di starsi preoccupando invano.

Ma proprio in quel momento arrivò lady Eowyn, stretta in un mantello color della pece, i lunghi capelli ondulati ricadenti sulle spalle, lo sguardo illuminato dalle fiamme del camino.

-Sire.. Aragorn. –

lo salutò pronunciando il suo nome quasi con imbarazzo. Si sedette sullo scranno accanto a lui e fu presa da un fremito. La prima volta che s’innamorava di un uomo. Di solito, tutto a Medusel era cupo, tetro.. un ambiente per nulla accogliente per una giovane donna come lei. Ed era sempre stata circondata di uomini che conosceva benissimo e che reputava suoi fidati protettori, ma non si era mai innamorata di nessuno di loro. E questo le sembrava così scontato… Ma Aragorn, lui era.. diverso. Tenebroso e charmante,con quell’aria sicura e decisa, il collo alto e lo sguardo fiero, dritto su sé stesso come un albero secolare che sa dove tira il vento e come opporsi per non essere sradicato. E da giovane ragazza quale era, Eowyn si sentiva così terribilmente imbarazzata nello stargli vicino, ma anche così contenta.. Lui e gli altri due suoi compagni di viaggio, il nano e L’Elfo, erano arrivati tre giorni prima al palazzo con notizie portate dal mago bianco, fido consigliere viandante. Ma lei non aveva portato attenzione alle parole profetiche dello stregone. Da subito aveva alzato lo sguardo verso Aragorn, ed aveva sentito qualcosa di stranissimo impossessarsi di lei. Lui incarnava tutti gli ideali in cui le credeva: forza, tenacia, destrezza, decisione, capacità, magnanimità, coraggio…

E così lo aveva amato. Subito e senza perché. Lui era.. sembrava fatto apposta per lei. E allora aveva desiderato ardentemente d’esser sua, la sua dama, di offrirgli il calice dal quale bere, di fargli bere sé stessa in quella cerimonia, sentirsi unita a lui dalla fiducia, dalla stima. Lo voleva. Voleva il suo amore, ma non negava a sé stessa di volere anche il suo corpo. Una volta l’aveva toccato, di sfuggita, mentre gli passava la casacca scura, e le piaceva paragonare la pelle abbronzata dell’uomo alla sua, così chiara… Avrebbero potuto essere.. albero e foglia, la colomba che si aggrappa alla quercia per proteggersi dal vento… Sentire le sue mani forti sulle sue spalle, il suo calore tra le coperte… un altro eventuale modo per non dover restare raggomitolata in quel letto così grande…

S’immaginava tutto così bene come se il sogno già fosse realtà… l’unico problema era dirglielo. Ma non aveva il coraggio per farlo direttamente. Quell’uomo veniva da una terra lontana e la sua bellezza chissà quante donne gli aveva fatto amare…

-Arde il fuoco nel camino di Medusel…-

iniziò sottovoce.

-Arde lo spirito nei Rohirrim di ferro vestiti –

continuò Aragorn afferrando subito il filo del discorso e della canzone, che però suonava atona in quelle pareti di roccia.

-Arde la passione di coloro che lottano per amore. –

concluse Eowyn arrossendo. Aragorn non rispose. Rifletté per un poco e poi disse:

-Il fuoco dona a chi lo sa leggere una visione del futuro. Il fuoco dona visioni di quello che succede ora. Bisogna solo avere coraggio. –

il tono della sua voce era fondo e sensuale,come sempre. Ma dentro la sua gola vibrava anche una certa irrequietezza. Sarebbe stato da maleducato piantare Eowyn lì, da sola, dopo aver saltato l’appuntamento con lei. Sperava solo che il presentimento per Legolas fosse sbagliato e che tutto procedesse per il meglio. Magari stava riordinando il suo zaino, pettinando le morbide piume delle sue frecce o lucidando i suoi elfici pugnali.

E se invece si fosse ferito per sbaglio? Se fosse scivolato sull’alabastro liscio dei pavimenti? Se qualcuno lo avesse spinto giù dalla grande scala che dava accesso al palazzo? Subito dopo, ragionando a mente lucida si diede dello sciocco da solo: Legolas era un Elfo, ed era il più abile, bello e capace che avesse mai conosciuto.. I suoi movimenti erano così calcolati e perfetti che nulla sarebbe potuto accadergli…

I suoi movimenti…

Sul corpo di Aragorn c’erano ancora i segni del loro amore. Della passione di quel pomeriggio… i suoi movimenti… gli ansiti di piacere.. quella figura così perfetta…

La domanda di Eowyn arrivò improvvisa:

-Cosa vedete nel fuoco,sire Aragorn? –

-Il mio destino. Confuso. –

Mentì spudoratamente,tanto che le parole quasi gli uscirono di bocca per loro volontà. Ora voleva solo lui. Perse lo sguardo nel rosso delle fiamme, assopito nei propri pensieri, cadendo lentamente in un torpore piacevole. E lo vide così nitido,steso accanto a lui… il suo corpo nudo e caldo.. Stava con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi sornionamente socchiusi, facendo finta di riposare.Gli passò una mano sul petto,facendola scivolare fino al ventre, sotto l’ombelico. L’Elfo fremette a quelle carezze, schiudendo le labbra. Svestito e meraviglioso, Aragorn ne accarezzò la bella curva del collo, baciandolo all’attaccatura dell’orecchio destro. Lasciò che la sua mano scivolasse lungo la spalla, mentre l’Elfo lo accarezzava con le nocche delle dita.

-Le na kalwa… (sei bellissimo)

gli sussurrò. Lui sorrise.

-Aragorn….

Sussurrò ancora, ma questa volta era in un tono preoccupato, quasi un richiamo d’aiuto, inconsolabile…

Aragorn si svegliò di soprassalto, saltando in piedi come una molla. Lady Eowyn lo guardò stupita, ma lui non le badò, anzi, per lui lei non era nemmeno lì. Corse come un pazzo fino alla sala del dormitorio, sperando, pregando che…

Trovò Legolas abbandonato sul suo giaciglio, il volto girato dall’altra parte, verso il muro; le braccia aperte come in una preghiera, le mani rivolte all’insù ed un respiro lento ed affannato che gli sollevava il petto. La luna oramai sorta gettava sul suo volto madido di sudore una pallida luce argentea.

-Legolas!

e si precipitò da lui, disperandosi ed ammonendosi allo stesso tempo d’esser rimasto a scambiare quelle maledette due frasi con Eowyn davanti al fuoco invece d’essere accorso subito non appena quell’orribile presentimento si era fatto più pungente. L’Elfo girò il viso, dischiudendo gli occhi e sorrise affaticato. Sulle sue labbra sorse un’espressione di gioia.

L’uomo lo prese per le spalle, bene attento a non fargli male, carezzandogli il volto con apprensione e preoccupazione, stringendolo a sé per scaldarlo, come se fosse servito a qualcosa…

-I wen ne ten le… nan I uume enyala yana ta kol va sina unquale… (L’ ho fatto per te.. ma non credevo mi avrebbe procurato una tale agonia…)

Aragorn sbarrò gli occhi color ghiaccio, stupendosi delle parole dell’Elfo. Lo attanagliò il terrore che avesse assunto del veleno. Magari qualcuno era venuto a sapere di loro e lo aveva terrorizzato con menzogne e malelingue.. gli aveva donato proprio la fiala assassina… Non avrebbe mai accettato che Legolas si spegnesse a quel modo e se davvero le cose stavano così, allora non sarebbe bastato il sangue del colpevole ad impregnare la sua spada per la vendetta…

-Cosa.. Legolas.. cos’ hai preso? Non dirmi che era vel…

L’Elfo ridacchiò per quanto quel malessere gli permetteva e posò due dita sulle labbra dell’uomo.

-Ilu..! Ne a er loralyalinque… I uume laume wanya vahaya ho le… (No! Era solo un sonnifero… Non potrei mai allontanarmi da te..)

Aragorn tirò un sospiro di sollevo e lasciò che Legolas gli asciugasse dolcemente una lacrima.

-I meles le… I aniron le… I uume  (Ti amo…ti desidero.. non potrei…)

-Ma allora… allora perché?

-I wen ne ten le… naa le ko aniron in.. si-moore… I tintiila yal er tarya…. (L’ho fatto per te… se tu mi avessi desiderato.. stanotte.. tremo al solo pensiero..)

-Le tintiila ten…man? (Tremi per.. cosa?)

sussurrò dolcemente fissandolo negli occhi. Legolas abbassò lo sguardo. Trasse qualche lento respiro. In quel momento, Aragorn lo sosteneva come se, senza di lui, l’Elfo non potesse respirare. Quello stare così vicino a lui, l’essergli così indispensabile lo gratificava. E gli piaceva. Se solo Legolas avesse alzato gli occhi… si sarebbero trovati così vicini… Mentre parlava, prima, il suo respiro gli lambiva sensualmente le labbra… se non avesse abbassato lo sguardo… se avesse trovato la forza di lasciarsi andare… Alzò lentamente la mano che non sorreggeva il corpo caldo dell’Elfo e la portò sul suo viso, pettinandogli teneramente una ciocca che era sfuggita alla coda. Poi gli carezzò lo zigomo e scese fin sotto il mento. Legolas ebbe un fremito e si avvicinò ad Aragorn, chiudendosi le mani sul petto.

-Ten… faare an quaaree le an in amba... le miquili... le lauka… le… anto…  (Di.. sentire le tue mani sul mio corpo…i tuoi baci.. il tuo calore.. le tue.. labbra..)

E così dicendo allungò due dita sulle labbra di Aragorn, guardandolo con quegli occhi come stelle. In essi, vegliava uno sguardo di dolcezza pura, un qualcosa di così forte da cancellare ogni dubbio, ogni paura… Sul suo viso si dipinse il più bello dei sorrisi. Aragorn lo accarezzò, fremendo lui stesso della gioia di essere accanto a lui, di poterlo stringere, di fare parte di quella sua vita così lunga… splendente esistenza elfica. Tra le sue braccia stava accoccolato il tesoro più prezioso. Se ne rendeva conto solo ora. Un sorriso di Legolas valeva giorni e giorni di vita sotto il sole, un suo respiro era gioia.. un suo bacio…

-Miguil in.. ata, Aragorn. (Baciami ancora, Aragorn…)

 

Dal canto suo, Eowyn si era stancata di stare accanto al falò da sola. Perché Aragorn si era allontanato a quel modo? Perché non le aveva detto nulla, non l’aveva nemmeno guardata.. Forse.. Forse voleva essere seguito. L’idea si dipinse radiosa nella mente della ragazza, che si alzò e si accomodò i capelli dietro le orecchie, si strinse nel mantello e si diresse verso la stanza dove Sire Aragorn dormiva. Non le venne neanche in mente il fatto che, entro quelle mura,dormissero altre due persone. Pensava.. insomma, il nano era sicuramente a fare manbassa in cucina e l’elfo.. molto probabilmente era a guardare le stelle. Qualcuno le aveva detto che gli Elfi erano fissati con le stelle. Quel qualcuno non sapeva quanto si sbagliava.

Col suo passo leggero, Eowyn raggiunse presto il dormitorio, ma preferì non irrompervi dentro, bensì s’accostò allo stipite della porta per osservare meglio chi c’era dentro la stanza.

E il cuore le si ruppe nel petto.

Seduto su un giaciglio, stava il suo uomo, Aragorn, che teneva tra le braccia il suo compagno di viaggio; l’Elfo stava dicendo qualcosa a bassa voce. Erano così dannatamente vicini… ed Aragorn sembrava così inebriato da quella vicinanza.. non aveva occhi che per l’Elfo. Questi aveva smesso di sussurrare ed ora guardava Aragorn.. poi.. altre tre o quattro parole veloci. Dette con tono così basso e pieno di desiderio che Eowyn ebbe quasi paura di quello che stava per accadere. E dentro di sé pregava perché si stesse sbagliando.

Purtroppo, i fatti non andarono come lei desiderava.

 

Aragorn si avvicino ancora al volto di Legolas, le labbra dischiuse nel profondo desiderio di obbedire a quel dolce comando, talmente desideroso che quasi non riusciva a baciarlo davvero. Avrebbe voluto stringerlo forte, spogliarlo di nuovo, averlo ancora… mai si sarebbe stancato di quella pelle così dolce e già il suo corpo sembrava essere freddo e doveva essere nutrito ancora di quel calore meraviglioso…

Le mani di Legolas gli carezzarono dolcemente il volto, scivolando lungo gli zigomi, giù fino al collo, tirandolo a sé.

Fu il loro bacio più dolce. Aragorn assaporò le morbide labbra di Legolas, stringendolo a sé per le spalle, mentre le mani dell’Elfo scivolavano sul suo petto, sopra i bottoni argentati della casacca. Aragorn aprì le labbra di Legolas con le proprie, bramando di sentire la lingua calda dell’Elfo contro la sua e piegò leggermente il volto sporgendosi in avanti. Socchiuse gli occhi per vedere quale espressione era dipinta sul volto del suo amante. Le sopracciglia dell’Elfo erano distese, gli occhi chiusi… Le mani di Aragorn scivolarono sui fianchi di Legolas per farlo curvare all’indietro e questi portò le proprie mani sulle spalle dell’uomo, coperte dal mantello nero. Poco dopo, Legolas era disteso sul giaciglio mentre le labbra dell’uomo gli lambivano il collo.

L’Elfo aprì gli occhi e girò lentamente il viso verso l’arco d’entrata.. e s’irrigidì, spaventato e fremente. Aragorn se ne accorse subito e, con preoccupazione, prese il volto dell’amante tra le proprie mani e lo fece voltare verso di sé.

-Che hai.. Legolas?

domandò. Poi aggiunse in tono rattristato

-Non ti piace?

Legolas lo guardò, allargando leggermente gli occhi per vedere meglio oltre la nebbia che velava il suo sguardo.

-I kena ..e mordo… e halda tinwe… et-sambe… Ta kenih llen…! Weo kenih llen! Ara.. oh... (Ho visto.. un’ombra.. una scintilla coperta d’ombra.. fuori dalla stanza… Ci ha visti! Qualcuno ci ha visti! Ara.. oh…)

Ed interruppe qui la frase preso da uno spasimo di dolore, piegandosi su un fianco. Aragorn lo tenne stretto per le spalle, lo sollevò stringendolo a sé cercando di calmarlo e quando lo spasimo ebbe breve termine, gli carezzò dolcemente il volto, lisciandogli i capelli ed asciugandogli la fronte. Appoggiò la sua guancia a quella dell’Elfo per dargli conforto. Poi, guardò a sua volta fuori dall’uscio, ma non vide nulla.

Legolas aveva preso a respirare affannosamente, e si fece più pesante tra le braccia di Aragorn, che lo credette sul punto di svenire.

- I na seeree… hyarya in kaita… (Sono stanco.. lasciami riposare…)

 Sussurrò l’Elfo socchiudendo gli occhi.

-Kai le na sinome, iire I am-oro, artuile? (Sarai qui quando mi sveglierò,domattina?)

Aragorn sorrise e baciò dolcemente le labbra dell’Elfo, che sorrise.

-Io ci sarò sempre. Anche domattina. –

lo rassicurò.

-I meles le, Aragorn… in haran… in Melindo… (Ti amo, Aragorn… mio re, mio amore)

Per tutta risposta, Aragorn si alzò e trascinò le pelli che formavano il suo giaciglio accanto a quello di Legolas e vi si distese, stringendo la sua mano dalla pelle chiarissima.

-Se non posso averti… posso starti accanto?-

chiese. Legolas non rispose. Si era addormentato profondamente. Aragorn lo osservò mentre riprendeva a respirare lentamente, il petto s’alzava e s’abbassava piano e il rumore dei suoi respiri sembrava lo sciacquio delle onde sulla battigia la mattina presto, quando il sole ancora cerca di vincere il sonno della notte per spuntare a nuova alba. Con lo sguardo, Aragorn accarezzò il dolce profilo dell’Elfo, scivolò lungo la bella curva del collo e camminò ramingo sul suo petto, risalendo poi la collinetta delle gambe per arrivare fino alla cima dei piedi. Si soffermò ancora sul suo viso che sembrava del colore della luna che oramai regnava nel blu della notte, spartendo ordini alle stelle. Sulle sue labbra ancora il sapore di quel bacio. E il calore del loro amore, l’abbraccio di prima, il desiderio oramai perenne. Si alzò  puntandosi sul gomito destro mentre con la mano sinistra carezzava le labbra dischiuse di Legolas. Scese fino al suo mento e poi percorse dolcemente il collo. Gli slacciò un bottone della casacca, poi un altro e un altro ancora finché non arrivò a metà. Gli accarezzò il bel petto nudo, sul quale stava disteso il fiore di cristallo di Evenstar.

La Stella del Vespro è simbolo del mio amore. Chi la porta, occupa il posto più importante nel mio cuore di ramingo. Ora che la possiedi tu, sono felice di poter dire a me stesso che sei tu l’unico per me. Ora che tu riluci del mio dono, splendido erede di Finwe, io ti amerò per sempre. E, forse, anche oltre.

Pensò poggiando la mano sopra al petto dalla pelle chiarissima, seguendo il respiro di Legolas, adeguandovi il proprio per poter essere in simbiosi con lui. Gli baciò il collo, poi più giù, fermandosi trattenendo il respiro quando l’Elfo emise un gemito sommesso nel sonno. Gli richiuse la casacca e gli diede un ultimo bacio sulla guancia. Si distese sul suo giaciglio guardando il soffitto e, per la prima volta dopo una lunga fila di giorni, si sentì felice.

-Wa.. wanwa… oh, Ilu... (Pe.. perso... oh, no..)

mormorò Legolas, sospeso nel proprio inconscio ed Aragorn rise tra sé e sé. Non avrebbe mai nemmeno pensato che Legolas potesse parlare nel sonno. Socchiuse gli occhi e sentì la stanchezza mista a beatitudine che s’impossessava del suo corpo e della sua mente. Si girò su un fianco per dormire col viso rivolto a Legolas e chiuse gli occhi, mentre la luna tesseva una scia di pizzo argentato sulla striscia dentata di monti che circondavano Rohan e la sua steppa infinita.

 

Steppa brulla e continua verso nord e sud. L’erba gialla e secca che a tratti cresceva sul terreno arido era illuminata dalla pallida luna e sembrava rilucere come neve. La terra, invece, rimaneva scura, più scura anche di quanto non lo fosse di giorno. Di notte,la steppa di Rohan sembrava un campo di stelle. Stelle sopra e stelle sotto: quelle di sopra piangevano le loro sorelle precipitate sulla terra e quelle sulla terra desideravano riunirsi alle altre.

Maledette stelle. Maledette stelle e maledetti figli delle stelle. Dannatissimi Elfi. Dannatissimi elfi e dannatissima bellezza elfica. Dannate stelle, dannato amore, dannato.. bacio…

Eowyn si strinse tra le coperte del suo letto a baldacchino, dalle quattro colonne di legno intarsiato e screziato d’oro. Si fece piccola piccola, acquattata contro il muro, nascosta tra le lenzuola ed il cuscino. La parte di stoffa che le copriva il viso era umida di pianto. Lacrime amare ed aspre che le scivolavano lungo le gote ed andavano a morire sulle sue labbra strette in una smorfia di dolore e rancore. Rabbia. Perché? Come aveva potuto Aragorn preferire quell’Elfo a lei? Non l’aveva mai guardato attentamente in volto, ma sicuramente non era per l’aspetto ch’egli veniva amato. Quell’ignoto qualcuno le aveva raccontato che gli Elfi possiedono un fascino magico e meraviglioso, capace d’incantare ogni creatura sulla terra che può provare sentimenti. Alcuni sono persino arrivati a promettersi la morte se non fossero riusciti a guardare negli occhi un ultima volta l’elfo che amavano. Molti uomini sono stati incantati. E molti altri ne saranno.

Pianse. Ancora. Non le venne neppure in mente della natura pazza dell’amore tra Aragorn e Legolas, due uomini, destinati ad essere guardati di sbieco oppure a nascondere i loro sentimenti fino alla fine del sole. Perché secondo le leggi di quel mondo, un amore del genere non andava bene. Non era contemplato dal Padre della Terra, Eru, l’Uno.

Ma, si sa com’è. I figli finiscono sempre col superare i propri genitori.

Eppure lei ancora ribolliva di rabbia e delusione, giurando a sé stessa che sarebbe riuscita a strappare un sentimento dal cuore del ramingo, una sensazione da rubargli, una volta sola, da tenere per sempre con sé, nascosta agli occhi di tutti. Una gioia da nascondere in uno scrigno d’ebano per poi guardarla e rimirarla da sola, la notte. Un bagliore caldo solo per sé…

D’altronde cosa chiedeva di male se non l’essere dannatamente amata? Essere al centro dell’attenzione di qualcuno, regina dei suoi pensieri e dei suoi desideri… non credeva di pretendere poi chissà cosa.

Avrebbe potuto vestirsi da uomo e combattere a fianco del futuro regnante di Gondor, oppure avrebbe potuto attenderlo con ansia al suo ritorno, gettandogli le braccia al collo e baciandone il bellissimo volto…

Come uno specchio che s’infrange, i suoi sogni le caddero addosso in mille, scintillanti pezzi, ferendole le mani e il cuore, spargendosi ovunque nella stanza, inondando le coperte bianche e fredde di quel letto tanto grande.

E lei.. era così sola…

Maledisse la prima volta che Aragorn aveva messo piede a Medusel, poi cancellò quella maledizione e benedisse quell’attimo in cui si erano guardati. Con l’elsa della spada della freddezza, fece a pezzi l’immagine di vetro di quel loro amore probabile e dolcissimo, ne calpestò i frantumi riducendoli a polvere di stelle e di rubino, prendendoli a manciate e gettandoli al vento perché ne colorasse l’aria e li portasse il più lontano possibile dal suo cuore deluso.

Amareggiata e con le guance ancora umide si strinse tra le lenzuola, si alzò avvolta da quella coperta bianca, girò smarrita per la sua stanza, coprì lo specchio che stava sulla parete opposta con un mantello e poi si sedette a terra, si rialzò, tormentata e straziata da quella visione… Loro due.. quel bacio dannato tra la luce e la notte, giorno ed ombra, l’uno chino sull’altro, inebriato,ammaliato, ebbro di quella sensazione così densa che impregnava l’aria.

Poi.. le mani di Aragorn scivolare lungo i fianchi dell’Elfo, stenderlo, volerlo.. le sue labbra che gli lambivano il collo, bramanti il sapore afrodisiaco di quella pelle…

Un brivido le percorse la schiena al solo pensare a quello che sarebbe potuto succedere dopo.. e le mani di Aragorn.. le sue labbra.. e l’Elfo…

Nascose la testa sotto il cuscino, pigiando con entrambe le mani come per schermarsi da quei pensieri molesti che le saltavano addosso e le graffiavano il cuore. Ed intanto ancora piangeva, le pareva di sentire le parole mormorate da Aragorn all’orecchio dell’amante, i gemiti sommessi per non farsi sentire, ignari di essere stati visti…

..da lei.

Poteva usare quel segreto. Poteva incatenare un uomo con la verità… non sapeva se sarebbe riuscita a manovrare le situazioni a suo piacimento, ma ci avrebbe provato comunque. Con la spada sapeva fendere l’aria e farla vibrare, perché con le parole non poteva far vacillare un uomo?

Si rilassò e posò la testa sul cuscino, stringendolo forte e raggomitolandosi tra le coperte per farsi caldo. Guardò per un ultima volta fuori dalla finestra schermata dalle pesanti tende di feltro. In un angolino spiccava un pezzo di cielo blu come una pietra screziata, ombre di nero venavano la sottile e scivolosa superficie della notte, puntellata da stelle chiare e fredde. Le montagne appuntite  graffiavano la volta celeste e desideravano strapparle le stelle. Tutto tremolava lentamente, come scosso dal vento che, stranamente, si era calmato.

E il vento rimase così per tutta la notte, adagiato sulla parte stepposa di Rohan, che camminava svogliato lungo il corridoio di monti. Ogni tanto accelerava la corsa perché credeva d’aver visto una stella cadere, ma quando scopriva l’illusione dettata dal sonno, allora ritornava a poltrire e carezzava pian piano con le mani fredde qualche ciuffo d’erba intorpidito e giallastro, tinco sotto un cielo che gocciolava meraviglia.

La notte trascorse così, nel torpore totale della terra e del cielo. Sembrava che tutto avesse sonno.

Il sole, invece, lambì energico il primo orizzonte, premendo con forza le spalle della notte per spingerla via e lasciare lo spazio ad un alba radiosa.Si diffuse su ogni cosa una chiara luce bianca.

Una notte è passata, e tu mi sei stato accanto, amore mio. Sapevo che l’avresti fatto. Non dimenticherò mai.. quel bacio. Della guisa più dolce, caldo il tuo abbraccio, ieri notte. Mi sono addormentato col tuo profumo addosso, la mia mano stretta nella tua ed ora non vorrei fare altro che guardarti dormire e carezzarti i capelli.. e sentire il tuo respiro caldo, seguire il profilo del tuo viso… E se quest’alba t’aprirà gli occhi voglio esser io la prima persona che vedrai… il tuo primo sorriso vorrei fosse per me…

Legolas si fermò un poco. Chinò leggermente il volto per scrutare quello dell’uomo che poggiava la testa sul suo ventre. Dormiva dolcemente, abbandonato alla persona che amava. E Legolas, con delicatezza, ne carezzava i capelli, passandovi le dita in mezzo, dividendone le ciocche scure e ogni tanto arrestandosi per socchiudere gli occhi e ritornare con la mente alla notte prima. Sembrava tutto un quadro. Il bel principe dai capelli color dell’oro che teneva in grembo il volto dell’uomo venuto dal sud, ne carezzava i lineamenti e sognava d’intraprendere con lui uno dei lunghi viaggi raminghi in giro per le pianure e le foreste del mondo. Lo sguardo del giovane perso sul petto dell’uomo, le mani ancora calde di quel tocco, mentre l’alba di vetro tintinnava sulla valle.

-Aragorn… koiva, Aragorn. Anar na oore… (Aragorn.. svegliati, Aragorn. Il sole è sorto…)

L’uomo aprì lentamente gli occhi e sorrise assonnato, strofinandosi l’occhio sinistro con la mano.

-Legolas… le… (Legolas.. tu…)

L’Elfo gli posò due dita sulle labbra con un sibilante “shhh”.

-Non parlare… nonostante io ami la tua voce, adesso desidero solo il tuo silenzio. Ed il rimirare il tuo volto… -

Aragorn si alzò seduto e prese il volto di Legolas tra le mani. Lo rimirò come si potrebbe fare con uno specchio, adorando l’immagine riflessa.

-Non posso tacere di fronte a te…

-Faresti meglio a farlo. Lo sai… meno ci vedono o sentono, meglio…

Quel bacio arrivò all’improvviso, un bacio “nessuno-sa-perché-sta-succedendo”. Un bacio tale che nessuno dei due sa com’è cominciato e che il mondo intorno s’annulla tutto e chi si sta baciando non sa più vedere che il buio del proprio sangue che pulsa. In quel preciso istante, si svegliava una stella.

 

Giusto un barlume lontano di luce, nascosto tra le fronde degli alberi. Il rumore di quello scintillio è nascosto dal fragore di piccole cascate d’acqua fresca che scivolano lungo il pendio di una montagna. Un luccichio nascosto dalle belle pareti di pietra di un palazzo, alto e maestoso, che svetta sui tetti di una città deserta ed addormentata. Un brillare lontano perso tra i grossi volumi di una biblioteca antica..

La stella del Vespro attende, ad Imaldris.

 

Intanto, a sud, nascosti dalle montagne, i cittadini di Rohan finiscono di caricare i loro destrieri e di riempire i piccoli carretti di legno per poi mettersi in coda. Un popolo speranzoso che segue il suo Re, verso il Fosso di Helm.

Aragorn montò sul suo cavallo e si sistemò fieramente sulla sella, il busto dritto e la mano sinistra stretta intorno alle redini. Non aveva tanto bisogno di quella forza, poiché il cavallo era suo fedele compagno di viaggio e lo conosceva benissimo e semplicemente un respiro sarebbe bastato per indicargli la retta via.. ma perché voleva semplicemente.. fare bella figura. Voleva mostrarsi fiero come un Re, deciso come un governatore agli occhi.. ai suoi occhi azzurri. Quegli occhi che lo fissavano dolcemente da lontano,timidamente consapevoli ed imbrigliati nella conoscenza di non poter avere ciò che bramavano davanti ai visi di tutti gli altri. Legolas stava dietro, osservando Aragorn, in silenzio. Doveva trattenersi il più possibile, faceva fatica a respirare, perché ogni suo respiro denotava il suo desiderio…

Per distrarsi, osservò Gimli con la sua ascia in mano che zampettava cercando di non farsi travolgere dai cavalli, poi scelse un carretto e vi ci si issò sopra con fatica, sistemandosi sul bordo.

Ad un tratto, Gamling suonò il pesante corno di Rohan e la carovana si mise in moto. Legolas osservava tutto con estrema minuzia quando.. prese di mira Eowyn, nipote del re. Teneva un cavallo color paglia per le briglie e camminava con lo sguardo puntato a terra, avvicinandosi ad Aragorn.

L’Elfo sorrise: una donna.. un’altra si era innamorata di Aragorn. Scherzando tra sé e sé s’immagino che lui fosse nettare e le giovani fanciulle uno sciame d’api. Poi, però, gli sovvenne alla mente di quando lui stesso amasse il dolce sapore del miele,il profumo di zucchero e la consistenza vischiosa di quella dolcezza… e il calore di quella pelle…

Vi era caduto ancora. Stava pensando a lui. Ma era un così dolce dolore…

 

Aragorn scese da cavallo. Voleva poggiare i piedi a terra, poiché si sentiva come sopra una nuvola. Sentiva ancora tra i capelli le dita di Legolas e desiderava non dover nascondere a tutti il battere frenetico del suo cuore quando si trovava in sua presenza, il sangue bollente che gli scorreva nelle vene…

Ancora una volta si trovò immerso in quei pensieri e ancora una volta venne interrotto da una persona.

-Ve ne siete andato così in fretta,ieri sera.. cosa vi premeva?

Chiese Eowyn in tono di rammarico. Aragorn si trovò con le mani nel sacco: cosa avrebbe dovuto risponderle? Non poteva certo dirle d’essere corso tra le braccia del suo uomo… Ma se mentire era così difficile, come sarebbe stato dire la verità? Non tutta.. parziale…

-Ero stato colto da un cattivo presentimento, e quando ciò succede è meglio ch’io corra, mia signora.

Eowyn sorrise. Un sorriso un po’ beffardo, cattivo…

-Un presentimento a proposito di cosa..?

infierì. Poi fece una pausa ed aggiunse sottovoce, con tono di chi sa qualcosa che non doveva essere conosciuto:

-… o di chi?

Aragorn alzò il volto, spaventato. Cosa voleva dire con quel “di chi” ? Forse….

E gli venne alla mente in un lampo, il grido di Legolas, sebbene febbricitante…

“-I kena ..e mordo… e halda tinwe… et-sambe… Ta kenih llen…! Weo kenih llen! Ara.. oh... (Ho visto.. un’ombra.. una scintilla coperta d’ombra.. fuori dalla stanza… Ci ha visti! Qualcuno ci ha visti! Ara.. oh…)”

Doveva mantenere la calma, doveva fare finta di nulla, non dare a vedere che quella era la verità..

-A proposito di un mio tesoro. Una cosa che conservo con gelosia. Temevo di averlo lasciato incustodito. –

Mentire non era mai stato così atroce. E se poi lei gli avesse chiesto di mostrargli quel tesoro? Se gli avesse chiesto di cosa si trattava? La scusa di Evenstar non poteva più reggere perché.. Evenstar… pendeva brillante sul bel petto di Legolas…la casacca sbottonata.. il respiro lento…

Aragorn scrollò la testa con violenza come per svegliarsi da quel sogno torbidamente bello.

-Qualcosa non va, sire?

Indagò Eowyn. Sapeva che doveva insistere.

-Mosca! Era.. una.. mosca, sì.

Si giustificò. Magari fuorviando il discorso sarebbe riuscito a…

-Potreste mostrarmi il vostro tesoro? Se non è chiedere troppo, intendo.

Continuò Eowyn con tono baldanzoso. Ha-ah! Lo aveva colto con le dita nella marmellata! Aragorn non avrebbe certo potuto girarsi a chiamare Legolas a gran voce per poi dire “Ecco il mio tesoro”. Aspettò con ansia morbosa la risposta dell’uomo.

Dal canto suo, Aragorn sentiva il sangue pulsare alle tempie, le mani sudate scivolavano dalle redini del cavallo.

Trova una risposta, sciocco… una cosa stupida… falla stare al suo posto.. NON – DEVE – SAPERE.

-Essendo un tesoro prezioso voi capirete che non posso mostrarlo a chicchessia.

Troncò gelido. Sperava di essere riuscito a farla finita con quel discorso imbarazzante.

-O magari perché esso è una cosa che non può essere vista.. che non volete dire..che non potete far vedere… un segreto, sire?

Aragorn montò su tutte le furie. Quella ragazza, dal primo momento che l’aveva vista aveva pensato a lei come una dama rispettosa, una di quelle “donne che sanno stare al proprio posto” di quelle che se dici loro “taci” sigillano le labbra. Adesso gli sembrava sfacciata, ficcanaso e.. e.. non lo sapeva neanche lui, ma lo infastidiva da morire.

-Se state cercando di darmi del bugiardo avete fallito, mia signora. Io non vi nascondo nulla e non vi mostro il mio tesoro poiché mi trovo sotto giuramento. Semmai VOI avete per caso qualcosa da confessare… o mi SBAGLIO io?

A quel paese il rispetto. Basta coi convenevoli. A coloro che s’interessano dei fatti altrui bisogna sempre parlar chiaro. Eowyn si ritrasse, come un gatto ferito che ha capito quando è il momento per smettere di soffiare ed agitarsi. Basta. Se avesse premuto oltre probabilmente si sarebbe ritrovata legata al cavallo per i piedi. Meglio evitare. Non ci era riuscita. Non aveva saputo usare quel suo segreto. Una volta poteva provare. Aveva fallito? Allora basta. Avrebbe comunque continuato ad amare quell’uomo così perfetto. In silenzio. Com’era dedita a fare prima di quella notte.

-Chiedo perdono, mio sire. Scusate la mia lingua lunga.

Mormorò.

Mi dispiace, Aragorn. Ma volevo provare. Se è … LUI quello che vuoi, allora mi adeguerò. Ti amerò in silenzio.

Il viaggio continuò in silenzio, come una lenta cerimonia di anime che volgono il viso alla speranza. Ognuno coi suoi pensieri, ognuno con quella solita speranza nel cuore, che risuonava come una preghiera, un canto muto e lento

Salvateci o Signori

Salvate le nostre anime

Salvate il vostro popolo

E i figli del vostro futuro

Tutto era accompagnato da una lenta melodia dettata dai pesanti ansiti dei cavalli da tiro e dalle ruote dei carri, dai sospiri delle donne e il pestare di piedi di tutti i pellegrini. Re Theoden stava a capo del corteo, alto sul suo cavallo. Ma dietro la sua fierezza stavano tanti dubbi e rimorsi, così stancanti, gravosi sulla sua anima stanca.

Così, ognuno pensava e sperava. Ma c’era anche chi rimuginava delle parole appena udite…

Cosa significava… quel suo tono? Quelle parole… Non vorrei spaventarmi a vuoto, ma… Quella sua improvvisa curiosità, quella sua aria d’intesa.. il cattivo presentimento che Lei sappia qualcosa mi terrorizza…

Aragorn fece tacere i suoi pensieri, ma d’improvviso la verità gli trafisse la mente come una lama gelida.

LEI SA.

Non è possibile! Come può… Che mi abbia seguito ieri sera? Che mi abbia visto mentre sostenevo Legolas? Mentre… lo baciavo? Mentre lo volevo? Cosa devo fare,ora? Se cercassi di spiegarle la verità, ma invece lei non sapesse nulla e la sua fosse solo mera curiosità, finirei col rivelarle il mio segreto… il NOSTRO segreto…

Se invece lei davvero sapesse, potrebbe dirlo per sbaglio, o per voluta corruzione… costrizione…

D’un tratto, l’uomo alzala testa di scatto. Gli era parso di avvertire uno strano odore nell’aria. Probabilmente un’illusione dovuta alla preoccupazione.

Il corteo dei cittadini di Rohan passava adesso lungo le rive frastagliate del fiume. Il Fosso non era lontano. Tra loro e le montagne stava solo una linea di verdi colline coperte da un soffice tappeto d’erba verde come lo smeraldo. Il passaggio dalla steppa brulla a quella bella piana lo aveva stupito. Avevano attraversato piane aride, paludi fangose popolate da rane gracidanti e adornate da lunghi e secchi fili d’erba verdognola, distese di roccia simili agli Emin-Muil e costeggiato enormi montagne dalle aguzze cime canute.

Legolas rizzò la testa d’improvviso, interrompendo i suoi pensieri.

Cos’è.. questo odore fetido? Liante? Qui? Non può essere…è troppo.. animalesco.

Ed ebbe una visione che solo gli elfi possono avere, una specie di avvertimento a proposito della bestia che stanno per incontrare.

Zampe. Tante zampe, ma non di ragno. Iene, no, lupi.. grossi ed affamati, impazziti nella corsa… avidi di sangue.. il lungo pelo imbrattato di fango e sozzura. Denti lunghi quanto pugnali…

Spronò il cavallo coi talloni per raggiungere Aragorn.

-Aragorn! I kenih llen! Nauroe! I kenik llen! Na.... (Aragorn! Li ho visti! Mannari! Li ho visti! Man….)

Non fece in tempo a finire la frase che uno dei soldati d’avanscoperta corse incontro al gruppo urlando ed agitando le mani come per dire che non si poteva passare.

-MANNARI! MANNARI!

Gridava con la voce smorzata e spezzata dalla fatica della corsa.

-HANNO PRESO BRET! L’HANNO DIVORATO!

E così cadde, magari inciampando, ma non si rialzò. Aragorn rivolse un sguardo veloce a Legolas. Dal canto suo, re Theoden comandò a sua nipote di condurre donne e bambini per le pianure. La strada sarebbe stata più lunga, ma piuttosto sicura e gli uomini con quello che restava dei Rohirrim avrebbero tentato di arginare l’attacco delle bestie. La dama bianca aggrottò le sopracciglia, ma dovette obbedire suo malgrado ed iniziò a radunare la popolazione. Aragorn guardò la piccola carovana allontanarsi velocemente, più in giù e più oltre di loro. Il rimasti continuarono a marciare per arrivare davanti al nemico con l’impeto giusto e lui spronò il cavallo, voltandosi per fare un cenno a Legolas, ma non lo vide.

Questi aveva spiccato la corsa prima di tutti ed ora si stagliava sopra la collinetta, in piedi, senza cavallo, con l’arco teso ed una freccia in cocca. I Rohirrim accelerarono il passo. Legolas ancora mirava con precisione. La corsa si fece galoppo. Fu un attimo, uno scatto d’ebano nero e piume, la corda vibrò con violenza, l’Elfo non fece una piega, ma si limitò ad incoccare ancora una volta, riprese la mira e scagliò ancora, con la calma veloce di un esperto che sa dove vuole andare a parare. Mentre i Rohirrim lo raggiungevano, scagliò una terza volta, e questa volta il suo gesto fu seguito da un lungo guaito di una gola straziata, un mannaro caracollò a terra, travolgendo anche il compagno a fianco e finendo disteso sul suo cavalcatore.

Aragorn sguainò lo spadone dal manico pesante e si preparò all’urto di quell’orda di belve a quattro zampe. Legolas spiccò un salto tornando alla guida del suo cavallo, avvolse le redini l polso sinistro e riprese l’arco, incoccando ancora.

Da quel momento, gli sguardi che si scambiavano erano veloci e sparuti, giusto per assicurarsi che l’altro stesse bene e non fosse stato colpito. Il piccolo esercito si raggruppò, poi si disperse urlante, accerchiò, falciò e si riaprì, come uno stormo di uccelli nel cielo azzurro. Le grida e i guaiti dei mannari riempivano l’aria, gli uomini indietreggiavano e poi attaccavano con la velocità della vipera. Ma gli orchetti avevano raggiunto il loro obbiettivo. L’armata esigua degli uomini si trovava ora tremendamente vicina all’orlo del baratro, sotto il quale il fiume Acquaneve gorgogliava in piena.

Aragorn roteava lo spadone, abbassandolo per infierire mortali ferite alle schiene dei mannari o fare incetta di teste d’orco, quando s’accorse del piano di quelle creature nefande. Il suo cavallo s’impennò e cadde, sotto i morsi di un mannaro senza cavaliere. Mentre la bestia s’alzava dolorante, Aragorn montò in groppa all’animale peloso e grondante sangue, riprendendo il suo destriero per le briglie. Tese quelle due corde di cuoio verso il collo di un orchetto che s’avvicinava in groppa alla sua cavalcatura e lo sbilanciò. Con la spada ferì a morte la propria cavalcatura e risalì sul bruno cavallo. Provò a spiccare una corsa, ma l’orchetto al quale aveva tolto l’equilibrio s’era aggrappato ad una zampa del destriero e cercava di rimettersi in sella al proprio mannaro. Il cavallo imbizzarrito s’impennò nuovamente, l’orco non mollava, anzi, rafforzava la presa e riacquistava la schiena del mostro in corsa. In un ultimo, disperato tentativo di scrollarsi quell’ammasso di schifo da dosso, Aragorn alzò un piede dalla staffa, puntandolo contro la testa dell’orco. Questi, decisamente sfinito, mollò la presa mentre la sua bestia incespicava in una sporgenza, caracollando a terra senza vita. Felice della propria riuscita, Aragorn volse il viso avanti a sé, ma non fece in tempo a frenare il cavallo che sentì la terra mancare sotto gli zoccoli. L’animale precipitò tra le braccia spumose dell’Acquaneve mentre l’uomo s’aggrappava disperatamente al terreno, cercando di issarsi. La terra friabile franò sotto i suoi stivali, provò a chiamare aiuto, ma le parole erano sorde a chiunque. Un ordine gli risuonava nella testa:

Tira con quelle braccia e torna su!

Provò ad obbedirvi con tutta la volontà possibile , ma la terra franò ancora.

Chiuse gli occhi mentre l’aria lo abbracciava tutto, trascinandolo giù, nei gorghi del fiume.

Combatterono ancora e ancora, Legolas metteva mano alle sue frecce sempre con maggiore decisione e velocità. Finalmente, quei pochi orchi rimasti a cavallo delle loro belve, si decisero per la ritirata e filarono a zampe levate. Legolas trasse un lungo sospiro di sollievo, poi si guardò in torno per trovare Aragorn.

Il cuore gli saltò in gola: non c’era da nessuna parte.

-ARAGORN!

Gridò in preda all’angoscia, movendosi con frenesia per riuscire a trovarlo… Che fosse rimasto schiacciato da un mannaro? O magari era solo un po’ più in là… Il petto rotto dal respiro affaticato, le labbra semichiuse in un continuo lamento, cercò e cercò ancora. Un orchetto che stava disteso vicino al bordo del precipizio con la colonna vertebrale spezzata e numerose ferite su quel suo brutto muso si mise a ridere. Una risata accavallata e spasmodica, intrisa del sangue che gli sgorgava dalla gola. Legolas gli piombò addosso, scotendolo.

-Mammen ne Aragorn? (Dov’è Aragorn?)

L’orco fu scosso da fremiti convulsi e continuò la sua risata. Pronunciò qualche parola nella sua lingua nera ed indicò il precipizio alle sue spalle. Legolas non ragionò più. Gli si avventò contro con la furia di un assassino, scotendolo ancora più forte.

-Le furue! MAMMEN NE ARAGORN? (Tu menti! Dov’è Aragorn ?)

Ma lo scosse troppo forte e quello chinò la testa di lato, mentre un rivolo di sangue gli si dipingeva sul mento. Finalmente cosciente di sé stesso e dell’accaduto, Legolas mollò repentinamente la presa sull’orco e si allontanò da lui come se lo temesse. No, non temeva la creatura in sé, temeva le parole che aveva mormorato.

Alzò il viso verso il precipizio e vi si avvicinò, rimanendo in piedi sull’orlo. Perse lo sguardo tra le onde azzurre e bianche del fiume, ne seguì il corso con lo sguardo, alla ricerca di un indizio.. di…

Nel suo cuore prese il sopravvento un forte desiderio di lasciarsi andare, muovere un passo in avanti.. l’aria l’avrebbe accolto come fratello, non avrebbe sentito alcun dolore.. solo la gioia di riunirsi a colui che… aveva perso.

Non pianse, no. Non doveva piangere, doveva.. essere forte.. anche per lui… Sentì il petto scosso dai singhiozzi, quando all’improvviso avvertì il pesante calore di una mano sulla propria spalla. Si voltò, il cuore colto da un barlume di speranza…

Re Theoden gli era accanto, ed osservava anche lui il baratro. Il sangue ed il sudore sul suo viso misti a quell’aria sconsolata sembrava lo rendessero più vecchio. Alzò lo sguardo grigio verso gli occhi dell’Elfo.

-Mi dispiace.

Mormorò, Poi si rivolse con voce tonante ai suoi guerrieri superstiti.

-Lasciate i morti. Ce ne andiamo. –

e tornò a parlare a Legolas:

-Vieni, ragazzo.

E s’allontanò. La tristezza di Legolas gli sussurrò all’orecchio.

Avanti, piccolo ragazzino indeciso.. buttati! Segui colui che ami, scendi con lui nel gelo del fiume e riunisciti alla sua anima! Nulla sarebbe più facile di così! Devi solo fare un passo… un passo solo… in avanti… verso di lui… Vedi, ti tende la mano..

E vide, sfocato nel cielo avanti a sé, il volto fiero di Aragorn, sentì un formicolio alla gamba destra..

Un passo solo. La gravità farà il resto e ti trascinerà in un battibaleno tra le sue braccia… calde… Ti attende…

-Legolas.. andiamo…

grugnì tristemente Gimli, bloccando l’aspirante suicida. Legolas lo guardò e gli fu infinitamente grato di quelle due parole. Iniziò così a credere che Aragorn era ancora vivo, e che sarebbe tornato. Sentiva quel pensiero pulsargli nelle vene e donargli nuovo vigore. Montò a cavallo e fece salire Gimli con sé.

Avvertì le mani guantate di cuoio sui suoi fianchi, e colpì il cavallo coi talloni, raggiungendo il gruppo di guerrieri in marcia verso le loro famiglie.

Durante quell’ultima parte di viaggio, ebbe molteplici volte il desiderio di voltarsi all’indietro, ma ogni volta che stava per farlo, si tratteneva per non dare a vedere nulla a Gimli.

-Puoi voltarti indietro, se vuoi. Non me ne stupirei.

Gli disse Gimli come se gli avesse letto nel pensiero. A volte i nani hanno un tempismo perfetto.

-Lo amo.

Replicò Legolas. Le parole gli uscirono di bocca per loro volontà e s’accorse solo dopo l‘averle pronunciate quanto stupido fosse stato quel gesto.

-Lo so, Legolas.

Rispose il nano. L’Elfo s’irrigidì. Come lo sapeva? Allora era lui l’ombra che aveva visto la notte prima fuori dalla porta del dormitorio? No.. si ricordava poco di quella visione, ma era.. troppo.. alta, per essere di Gimli.

-Anche lui ti amava… Eravate la migliore coppia.. di amici che io avessi mai visto. Vi amavate molto. Mi dispiace.

Legolas si rilassò. Gimli intendeva un altro tipo di amore, quello quasi fraterno che s’instaurava tra due amici strettissimi. Beh.. anche quello era amore. Lo pervase un senso di gioia. Gimli avrebbe continuato ad essere ignaro di tutto, un caro amico inconsapevole. Ed era bello così.

Ora, però, all’Elfo premeva di sapere CHI era stato a vedere lui ed Aragorn la notte scorsa.

Oltrepassarono le mura del fosso di Helm circa mezz’ora dopo e si ritrovarono accolti come vincitori sui mannari. Gli uomini si riunirono alle proprie mogli e figli e si diedero da fare per sistemare frattaglie e coperte calde per la notte.

Legolas aiutò Gimli a smontare da cavallo e quando si voltò, incontrò lo sguardo gelido di Eowyn. Lei non volle guardare Legolas. In una certa, arcana maniera, lo odiava. Si rivolse a Gimli.

-Sire Aragorn.. dov’è?

Tremolala sua voce acuta e sottile.

-E’ caduto.

La informò tristemente il nano. Dopo queste parole, Eowyn tornò ad alzare lo sguardo verso gli occhi di Legolas. Forse desiderava trovarci dentro una qualche conferma, vedere il dolore in quel mare azzurro…

Vi trovò solo fiducia. Fiducia che il Re sarebbe tornato sano e salvo,di lì a poco. Non la rincuorò per nulla. Semplicemente, se ne andò.

Legolas scelse un angolino tutto suo, sulle mura che proteggevano il fossato. Da lì, da quell’angolo scavato nella roccia, poteva vedere la valle avanti a sé in tutta la sua angusta maestosità. La nebbia sospirava canzoni tristi alle cime delle montagne del Dunclivo Nord ed il sole sembrava andato a dormire. Ogni cosa era immobile, fuori dalle mura. Ogni cosa lo induceva a pensare a lui. E al Passato.

Si ricordò d’improvviso quella volta che, da piccolo, si era ferito ad una mano perché aveva giocherellato con disattenzione col suo pugnaletto nuovo di zecca. Il regalo di suo padre, Thranduil. Alcune gocce di sangue erano gocciolate sul marmoreo pavimento della stanza e lui s’era messo a piangere,spaventato. Era ancora un bambino, dopotutto.

Al sentire quei singhiozzi,suo padre era arrivato come una benedizione, col suo lungo mantello che strisciava a terra e un sorriso dolce dipinto sulle labbra. Lo aveva stretto tra le braccia, con quel suo meraviglioso profumo di vaniglia ed aveva poggiato la guancia alla sua. Con dolcezza gli aveva stretto la mano in un panno verde smeraldo

-Con la speranza che presto guarirà…

ed aveva riposto il pugnale nel suo fodero. Poi si era seduto lì, per terra. Lui, il re. Si era seduto sul pavimento e teneva adorabilmente il figlio tra le braccia. Il piccolo Legolas ancora singhiozzava e dei grossi lacrimoni gli sgorgavano dagli occhi color cielo.

-Senti tanto male?

Gli aveva chiesto il padre, amorevole. Lui aveva annuito facendo un gran cenno con la testa. Allora, il grande Thranduil lo aveva stretto con tenerezza, carezzandogli la fronte.

-Chiudi gli occhi, piccolo mio… ogni volta che senti dolore… chiudi gli occhi… ed io sarò lì… sempre con te..

-Sempre sempre, papà?

-Sempre sempre.

Ed erano rimasti lì, padre e figlio, finché il piccolo non si fu addormentato tra le calde braccia del Re padre.

Avanti con gli anni, il loro rapporto era piuttosto cambiato. Dopo l’attacco delle Liante a Boscoverde il grande, lui era diventato più freddo e distaccato, e la sua attenzione andava maggiormente al figlio maggiore, futuro successore quando Thranduil avesse deciso di partire.

-Padre, io non esisto per te!

-Non dire queste scempiaggini, figlio! Tu esisti, ti vedo, ma non posso stare sempre dietro i tuoi pensieri! Tu non sei l’Erede. Non puoi pretendere che tutto il mio tempo vada a te!

-Mi accontenterei anche di un’ora…

-Basta! Questo discorso è più che inutile. Ora vai nelle tue stanze, ch’io ho ben altro da fare!

Dolore.. quanto dolore, nel cuore del giovane Elfo… e allora chiuse gli occhi. Li strinse forte, buio… vedeva solo il nero del suo sangue pulsare all’impazzata.

-E tieni aperti quegli occhi quando mi rivolgo a te! Ora vai!

Aveva tuonato infine. Ed ancora dolore. Vuoto. Lo stesso vuoto che sentiva ora nel sapere Aragorn lontano. Ramingo chissà dove, magari anche lui affranto da quella lontananza.. e in quel dolore lo sentiva vicino.

Tu sei con me… mi basta solo pensarti e tu mi stai accanto. Mio padre mi aveva detto di chiudere gli occhi, quando avrei sentito dolore, ma ora… in questo istante non posso. Eppure il dolore c’è. Ed è straziante, ma…

L’essere stato sveglio, prima dell’alba, il sentirti respirare e l’osservare il tuo sorriso mentre dormivi ed eri lontano a sognare… Avrei potuto trascorrere la mia vita in quell’istante, perdermi in quel momento dolcissimo… Ti ho dormito accanto, vicino a te, ho sentito il tuo cuore battere ed ho immaginato cosa stessi sognando, se tu stessi vedendo me, nei tuoi pensieri. Ogni  bacio che mi dai io ringrazio i Valar perché mi hanno donato te…

No, non posso chiudere gli occhi su questo.

Non mi perderò un bacio, non mi perderò un sorriso. Voglio stare solo con te, come ieri. Voglio solo stringerti e sentire il mio cuore accanto al tuo.. e rimanere con quel caldo.. per il resto dei miei giorni…

Non posso chiudere gli occhi su questo.

E, chissà. Magari Aragorn aveva sentito questo suo pensiero, magari pensava anche lui la stessa identica cosa… magari era ancora vivo e stava tornando da lui… e lui l’avrebbe aspettato. Non avrebbe chiuso gli occhi.

 

Il fiume lo aveva trascinato per lungo tempo, gli aveva fatto raggiungere il cavallo, atterrito ma ancora miracolosamente vivo. Come lui, d’altronde. Un’onda violenta li scaraventò in un’insenatura secca del fiume, dove i ciottoli tondi si mischiavano alla sabbia fine. Ma quando l’uomo si svegliò, non si trovava sulla sabbia umida.

Attorno a lui stavano le note e care pareti di pietra lavorata della città di Imaldris (Granburrone). Sotto di sé il morbido divanetto sul quale lui soleva sedere a parlare con…

-Arwen…

mormorò con la voce rotta dallo stupore angoscioso nel rivederla. Lei era bella. Quel nome era fatto per lei e le stava addosso come un velo, coprendone i dolci lineamenti del viso con sensuali trasparenze di luce. I capelli castani le ricadevano sulle spalle scoperte dal lungo vestito color della nebbia. Lei sorrise e con quel sorriso illuminò la stanza, gettando il cuore di Aragorn nell’ombra più cupa.

Pura, semplice.. ancora innamorata perché.. ignara.

-Non ti avvicinare a me, Arwen.. ti prego, io…

-Aragorn…

sussurrò lei in tono dolce, quasi da mamma che rimprovera il figlio d’aver fatto una scorpacciata di biscotti. Più che pieno di biscotti, Aragorn si sentiva come se avesse rotto il vaso più prezioso della madre ed ora cercava di nasconderne i cocci dietro la schiena. Lei gli rivolse uno sguardo felice e tranquillo. Aveva dimenticato quando amasse quella donna. Ma era un amore lontanissimo. Non provava più quell’attrazione fisica che spesso, in passato, cercava goffamente di nascondere ed il cuore gli batteva all’impazzata. Ora no. Il suo corpo era indifferente a lei. Solo una cosa pulsava forte:il rispetto. La tenerezza per quel viso dalla pelle color della luna.. quella palese fiducia… La amava col rispetto, col suo senso di fedeltà, ma ad un'altra persona aveva donato cuore, corpo e anima. Ed Arwen non ne era a conoscenza. Davanti a lei si sentì sporco, piccolo. Si strinse nel suo mantello sdrucito e sporco di polvere.

- Ken-an-In, Aragorn.. (Guardami, Aragorn...)

non poteva obbedirle. Si sarebbe ucciso,piuttosto.

- Ken-an-In, Estel… (Guardami, Estel)

Quel nome lo risvegliò. E sentì come davvero stavano le cose. Dentro di lui vi erano due persone: Aragorn ed Estel. Aragorn smaniava per Legolas, lo voleva, l’aveva avuto e ancora lo avrebbe. Senza di lui non v’era aria. Estel, invece, amava Arwen Undomiel, splendida figlia di Elrond. L’amava col cuore. Ma l’uomo non poteva essere due persone. Un uomo è un uomo solo.

Avvertì sulle sue guance il dolce tocco delle mani tiepide di lei che gli sollevavano il viso per guardarlo e lui subito si ritrasse.

-I hanya ya le uu.. (So cos’ hai fatto…)

Ma quelle parole vennero dette in un tono così dolce che non parvero nemmeno una minaccia. Piuttosto un invito alla verità.

-Non puoi guardarmi, Arwen… non vedresti quello che vuoi.

Si scusò. Lei gli prese il volto di nuovo tra le mani e lo sollevò, fissandolo. E fu dolcissimo.

-Io ti guardo, e vedo l’uomo che amo..solo… un po’ sporco. Ed è quello che voglio.

E così dicendo si sedette accanto a lui.

-Hai appena detto.. che sai quello che ho fatto.. allora.. dovresti…

Lei gli prese le mani e le strinse nelle sue, così piccole e chiare a confronto. Quel tocco solo era tenerezza.

-So cos’ hai fatto e non te ne do colpa. Ricordi? Io ti ho sempre detto di agire col tuo cuore…

e gli posò la piccola mano sul petto, spostata verso sinistra. Aragorn tremò un poco.

-… e tu hai agito secondo lui. Non hai colpe. Anzi. Hai solo seguito il mio consiglio.

Così dicendo si avvicinò ancora e si lasciò andare, tra le sue braccia. Aragorn sentì il cuore caldo di lei battere, piano. Tirò un lungo sospiro.

-Quando piangevo mi hai asciugato le lacrime, hai messo a tacere ogni mio timore, mi hai tenuto la mano per tutti questi anni… Io ti ho ripagata in questo modo e tu… tu ti dai ancora a me?

Chiese sommessamente. Arwen  si rimise a sedere e lo guardò ancora. Prese il volto dell’uomo, lo indusse a chinarsi e gli stampò un grosso bacio sulla fronte.

-Sì. Mi do ha te perché ho fiducia. Tu mi hai tutta.

Rispose. Le sue parole sembrava seguissero una melodia tutta loro.

-Hai fiducia di un uomo che…

-..che ne ama un altro? Sì, ho fiducia in lui. Ho fiducia in tutte le persone che amano. Qualsiasi persona esse amino.

Aragorn abbassò lo sguardo. Quelle parole gli stavano risanando le ferite che aveva al cuore. Erano come la pioggerellina sottile del mattino dopo che le fiamme hanno divorato la foresta. Luce dopo le lunghe ore della notte.

-Aragorn… sono sempre rimasta qui… scaldata dalla luce che hai lasciato dietro di te. Il dolore che ho provato nel vederti partire è una cosa che il tempo non può cancellare. Ma sei rimasto con me ed io sono rimasta con te. Ho visto ed ho sentito. Ma tu non mi hai abbandonata. E se mai mi lascerai, vorrei tu lo facessi col tuo ultimo respiro. Tu resterai sempre con me. Perché io ti amo e perché… perché la Terra di Mezzo ne ha bisogno.

-Cosa intendi dire?

-Io ho visto..nello specchio di mia nonna, la Bianca Galadriel, e nella mente di mio padre… ciò che accadrebbe se io smettessi di amarti. Per Gondor ci sarebbe un Re, ma non un Erede,e la stirpe degli uomini si dilanierebbe ancora.

E con queste parole fece una pausa, si alzò in piedi davanti ad Aragorn, bellissima e sottile come un giunco.

-Se continuerò ad amarti e tu continuerai a.. volermi bene… Questo mondo non finirà.

E si allontanò da lui, andando ad appoggiarsi alla porta che dava sul giardino delimitato dal lungo corridoio di pietra dal quale pendevano lanterne di guisa e colore diversi, ancora spente. Aragorn la raggiunse e si mise in piedi accanto a lei.

-Ti voglio bene.

Mormorò. Non sarebbe mai riuscito a dirle “Ti amo”. Si era ripromesso di non mentire. E nonostante quella non fosse stata una vera menzogna, preferì trattenersi. Lei sorrise.

-Sono contento di essere venuto qui. Sono contento che tu mi abbia chiamato. Il tuo viso e le tue parole chiariscono i miei dubbi e le mie paure. Sono felice che tu sia mia.

-Anche se questo è solo un sogno?

La domanda arrivò dolcemente improvvisa alle orecchie dell’uomo.

-Sì, anche se è solo un sogno, perché rispecchia la realtà.

-La nostra realtà.

Aggiunse Arwen gettandogli le braccia intorno al collo.

Si svegliò di soprassalto, quasi scosso da due forti mani, ma si ritrovò solo. Il suo cavallo stava accucciato poco più in là ad aspettare, vigile, il risveglio del padrone. Come lo vide muoversi, si rizzò sulle quattro, agili zampe e gli si avvicinò. Aragorn provò ad alzarsi, ma sentì un dolore lancinante ad una gamba. Alzò lentamente il busto e vide una grossa ferita lungo il polpaccio sinistro. Allora il cavallo, furbo animale, capì la difficoltà del padrone e gli si accucciò a fianco, scotendogli il braccio col muso come per dire “aggrappati qui, che ti tiro su io!”. Aragorn obbedì al consiglio del cavallo e si issò in groppa, mentre quello partiva senza neanche il bisogno di essere spronato. Cavalcò sotto il sole impietoso che batteva violentemente le mani sulle rocce e sull’erba ingiallita. Seguì il corso del fiume ritornando alle paludi che avevano oltrepassato la mattina, poco dopo Rohan e riprese la collinetta dove vi era stata la battaglia. Le carcasse ancora giacevano, putride nella calura, ma le sorpassò senza darsi troppa pena. Una cosa sola lo spingeva a tornare. Veramente erano due le domande che gli rimbalzavano in testa.

Merito davvero la fiducia così cieca di Arwen?

Si chiedeva. Poi:

Avrò il coraggio di guardare Legolas negli occhi dopo il mio incontro con lei?

Ma come pensò a Legolas lo prese qualcos’altro. Un indicibile desiderio verso di lui, una folle bramosia, qualcosa che sgusciò nella sua mente a spargere zizzania. Il sangue accellerò la sua corsa nelle vene al solo pensiero di poter ritrovare la calda pelle dell’Elfo, una volta arrivato. E ancora la sua mente macchinò cose che non si possono scrivere per rispetto alla decenza, dettate da un’inconscia voglia di sfogarsi. Spronò il cavallo ancora e ancora, incurante della gamba ferita. L’unica cosa che voleva era lui, lui, lui soltanto. Nonappena l’avesse visto, gli sarebbe volentieri saltato addosso.

Sei mio.. mio.. solo per me è il tuo essere ed io ti avrò senza bisogno di chiederti nulla. Voglio toccarti, voglio farti gemere come esattamente un giorno fa.. Bello, nella mia mente, sotto di me ancora il tuo corpo nudo, avrai di che gridare, Legolas e non ti lascerò andare fino a quando non mi sarò soddisfatto di te. Sei la mia droga, la mia dolce dannazione, devo averti e baciarti e…

Davanti a lui si aprì la sottile valle del Fosso di Helm. Nell’aria, come un cane da tiro, fiutò il profumo vanigliato dell’Elfo che bramava e lanciò il cavallo al galoppo.

Arrivo…

 

Legolas scorse una sagoma nera e saettante scendere per la valle, con la furia di una valanga. Il cuore accellerò i battiti. Sapeva che era lui, Aragorn era tornato! Lo sapeva, se ne compiaceva e moriva dalla voglia di gettargli le braccia intorno al collo e baciargli il viso, piangendo di gioia e riempiendogli la testa di risate contente. Il dolore e la disperazione si dileguarono dalla sua mente e corse giù per le mura, pronto per accoglierlo. Dovette spingere in mezzo alla folla di gente che stipava ancora coperte ed armi in ogni angolino ed arrivò ad Aragorn quando questi era già entrato e stava salendo le scale per entrare al torrione centrale. Lo prese un senso d’imbarazzo ed impazienza, chiedendosi come lo avrebbe trovato, l’espressione che avrebbe fatto…

-Aragorn!

L’uomo si fermò di botto, il petto scosso dai battiti tumultuosi del cuore al suo nome gridato da quella voce. Si voltò e lo vide. Ne rimase abbagliato e dimenticò tutto in un baleno: Arwen, la fiducia ed il rispetto. Ora aveva lui e sarebbe stato da folli dire di no ad una figura così bella. Stavano in piedi l’uno di fronte all’altro,indecisi se saltarsi addosso in un abbraccio o meno.

-Sei in ritardo…

scherzò l’Elfo per rompere il ghiaccio. Aragorn si avvicinò a lui.. così vicini…

-Le mere miguil in? (Vuoi baciarmi?)

lo provocò con voce sommessa, sicuro di non essere capito da nessuno. Molto probabilmente una persona su mille conosceva l’elfico tra i paesani. Per tutta risposta, Aragorn alzò una mano al volto dell’Elfo e col pollice gli strofinò via un po’ di terra dalla guancia. Poi, con l’indice, gli lambì le labbra sensualmente e gli rivolse uno sguardo penetrante.

-Devo parlarti.

Lo afferrò per un polso e lo trascinò dentro il torrione.

Lì, gli si parò davanti Eowyn, con un’aria di gioia stupita in viso. Aragorn la liquidò con un sorriso, ma lei insistette.

-Avete una brutta ferita… non dovreste riposarvi?

-Stavo appunto cercando la stanza dell’inf…

ma non finì la frase che Eowyn lo precedette

-La vostra stanza è per di qua. Se avete bisogno di un’infermiera… ci sono …

-Io!

Spuntò Legolas con un gran sorriso. Aragorn,dentro di sé, tirò un gran sospiro di sollievo. Mollò un altro sorriso accondiscendente alla ragazza e trascinò via Legolas. Eowyn, ovviamente, ricondusse il pensiero alla notte precedente, poi scosse le spalle ed andò chissà dove.

Aragorn spinse con vigore l’Elfo dentro una stanza non troppo grande, con un giaciglio all’angolo formato da (miracolo!) un materasso foderato di paglia. Una parete era tagliata da una feritoia ampia abbastanza da far passare l’aria necessaria e nell’angolo posposto a quello del letto stava un lavabo di ceramica con una mensola; ovvero una tavola di legno fissata al muro.

-Rimpiango la dolce accoglienza elfica…

sospirò Legolas pensando al comodo letto di casa. Ma i suoi pensieri furono bloccati dal caldo respiro di Aragorn sul suo collo. Gli aveva scostato una ciocca di capelli ed ora le sue mani gli premevano sulle spalle, come un massaggio. All’Elfo piacque molto, tanto che sporse la testa all’indietro poggiandola sulla spalla dell’uomo e si fece morbido sotto quelle mani, sciogliendo i muscoli del corpo e lasciandosi andare. Quando Aragorn fece scivolare le mani sul suo collo, Legolas emise un gemito sommesso di piacere, poggiando una mano sul gomito dell’altro. Questi avvicinò le labbra all’orecchio dell’Elfo e gli sussurrò

-Helta le… (Spogliati…)

Ma Legolas gemette ancora.

-Ilu… I ve si tuusarku… (No… mi piace questo massaggio…)

-I quett-le helta le.. (Ti ho detto spogliati..)

Insistette e prese Legolas per le spalle, voltandolo verso di sé. L’Elfo lo guardò stupito. Perché era così indelicato? Il suo pensiero fu interrotto dal bacio improvviso di Aragorn, che lo strinse con forza contro di sé, avvolgendolo nel suo calore carico di desiderio ardente e prese a slacciargli la cinta della casacca, poi sbottonò il mantello lasciando che la spilla di Lothlorien cadesse a terra, gli sfilò il giacchetto verde senza bottoni e gli strappò letteralmente di dosso la maglia color argento. Legolas rimase pietrificato dalla voglia così dirompente dell’amante e non reagì. Solo una cosa pensava. Non gli andava. No,non aveva voglia di spogliarsi ed unirsi ad Aragorn in quel modo.. voleva solo.. era in vena di tenerezze, non di…

L’uomo lo spinse quasi di peso sul giaciglio, sciogliendogli i capelli che si sparsero come raggi di sole all’alba sul cuscino di pelli arrotolate. Legolas gemette e cerco di fermarlo, ma quello continuò imperterrito, slacciandogli gli stivali di cuoio ed i polsini di pelle nera e dura. L’Elfo gemette nuovamente, un gemito così disperato che pregava di smettere.

-Che è, già ti piace? Dammi il tempo…

lo schernì l’uomo prendendogli le mani e portandosele sui bottoni della palandrana. Legolas si ritrasse, con un gemito acuto e sottile. Perché? Perché non smetteva? No.. non voleva…

Lasciami Aragorn, ti prego… non ho voglia di…

- Cos’ hai stavolta? Non ti piaccio più? Avanti… hai paura?

Insistette l’uomo spogliandosi da solo e lanciando i vestiti poco lontano, per terra. Così fatto, finì con lo spogliare Legolas, facendogli scivolare giù i calzoni di stoffa pesante.

-No! No, Aragorn ti prego no…oh…

e si ritrovò a gridare, sentendo le labbra di Aragorn in un posto in cui non aveva mai immaginato. Gridò ancora in un misto di piacere e disperazione, pregandolo di smettere. Gli occhi gli si annebbiarono di lacrime. Si ritrovò gemente e grondante sudore, abbandonato sul giaciglio con le braccia all’insù e le mani strette a pungo accanto al viso, voltato di lato. Sentì il corpo caldo di Aragorn avvicinarsi e un braccio lo cinse alla vita.

-I aniron le… (Ti voglio…)

-Ilu, Aragorn! I kyer le… ilu….(No, Aragorn! Ti prego… no…)

ma l’uomo non badò ancora alle parole dell’amante, anzi, la cosa sembrava lo eccitasse maggiormente. Gli carezzò con la mano il petto e si fermò poco sotto l’ombelico.

-Vuoi?

Mormorò malizioso all’orecchio appuntito del compagno.

-No….

Ma la mano di Aragorn scese comunque. Non gl’importava di nulla. I “no” che ora Legolas gemeva si sarebbero presto tramutati in “sì” convulsi e spasmodici. Con un braccio, l’uomo tirò a sé il corpo dell’Elfo, che gemette ancora, chiudendo gli occhi. Aragorn, invece, godette di quel contatto e si girò di scatto, facendo in modo che Legolas gli stesse seduto sopra.

-Avanti…

lo esortò a mezza voce poggiandogli le mani sui fianchi. Legolas non reagiva. Stava testa bassa, i capelli come una cascata bionda che scendevano dalle sue spalle davanti al viso,nascondendo le lacrime che gli inumidivano le guance. Teneva le mani poggiate sul petto dell’uomo e la schiena curva, come se stesse sostenendo un peso troppo gravoso. Evenstar pendeva dal suo collo, nascosta dai capelli biondi che sembravano quasi bianchi per il riflesso della luce. Aragorn alzò una mano e gli carezzò il viso, scostando qualche morbida ciocca.

Lo sentì piangere. Sentì sotto la sua mano la guancia bagnata dell’Elfo ed ebbe un brivido

-Oh, Valar, Legolas!

Gli sussurrò scivolando da sotto il suo corpo ed inginocchiandosi davanti a lui. Continuò a carezzargli al guancia, sollevandogli il viso e guardandolo bene.

Sembrava un angelo caduto su quel giaciglio per errore e che ora piangesse per un’ala spezzata. Aragorn gli mise le braccia intorno al collo, sporgendo il busto ed il viso in avanti per dargli un bacio sulla guancia umida.

-Perché piangi..?

sussurrò a mezza voce. Le spalle dell’Elfo si alzavano e s’abbassavano convulse e tremanti dai singhiozzi sommessi.

-Mi fai male, così. Quando non voglio… è dolore.

E la sua voce pareva provenire da così lontano… Aragorn lo fece voltare di spalle ed appoggiare la testa a suo petto, poggiandogli le proprie mani sulle spalle e ricominciando a massaggiarlo piano. Ma Legolas ancora gemeva, come un bambino. Smise solo dopo un po’ e si fece silenzioso mentre il suo ventre prendeva un respiro lento, quasi ipnotico.

-Ti sei calmato, ora?

Legolas fece un lieve cenno con la testa.

-Allora ti va di….

E completò la frase facendo scendere le proprie mani fino all’inguine dell’Elfo, provocando un altro gemito sconnesso, forte e chiaro. Un altro “no”. Aragorn poggiò le labbra sul collo di Legolas, assaporando la sua pelle come fosse miele, lasciando che le sue mani carezzassero le gambe piegate dell’amante. Lo stese e riprese a baciarlo, scendendo lentamente con la bocca, sentendo le mani di Legolas sulle spalle, che cercavano di fermarlo. Ma la sua presa era così debole, che Aragorn non vi badò e fu ancora sopra di lui, ansante e caldo. La pelle gli bruciava come mai dal desiderio e curvò la testa sulla spalla sinistra dell’Elfo. Questi non faceva una piega. Sembrava una vecchia bambola di pezza in balia del desiderio di un uomo. Non reagiva in nessuna maniera, nemmeno ai gemiti convulsi di piacere che rompevano il silenzio della stanza.

Non sentiva nulla. Dolore, voglia, piacere… nulla. Solo il calore opprimente di Aragorn, un calore estremamente piacevole, certo, ma non in quel momento. Avrebbe voluto essere ovunque tranne che sotto di lui. Era immensamente felice del fatto che fosse tornato, ma non vedeva il perché di quei gesti. Non era obbligatorio trascinarlo a letto per “festeggiare” il ritorno sano e salvo.

- E’ bello, no?…. Perché non… perché non parli?

Lo spronò l’uomo premendo contro il suo corpo accaldato. Legolas non sapeva cosa fare. Non avrebbe certo potuto dirgli “No, non mi piace” perché sarebbe stata una menzogna. Gli piaceva,sì, ma non ora. Per tutta risposta gli poggiò le mani sulle spalle, allargando leggermente le gambe ed emise un lungo gemito,fingendo spudoratamente di godere.

Fare l’amore contro il volere di un altro era.. porre violenza…? No,non era possibile. Aragorn non avrebbe mai potuto… Ma anche se questa non era la verità, lo spaventò a tal punto che iniziò ad agitarsi, irrigidì i muscoli delle spalle e si aggrappò con forza ad Aragorn per paura di sprofondare in quel pensiero terrificante.

In questo modo iniziò a sentire dolore. Un dolore lancinante in ogni parte del corpo, un male così forte da soffocarlo.

Gridò all’uomo di smettere, ma questi sembrava non potesse sentirlo. La paura si fece sempre più forte, lo rese debole come un panno abbandonato, steso sul giaciglio come senza vita, semicosciente eppure all’oscuro di ciò che gli stava intorno, lo indusse a gemere con forza nonostante i suoi non fossero gemiti di piacere. Poi si riabbandonò sul giaciglio, mentre Aragorn ancora lo stringeva a sé.

Non seppe con esattezza quanto tempo passò in quello stato, ma quando sentì il calore di Aragorn abbandonarlo si sentì come sollevato, eppure nudo.

Ebbe freddo. Allora si girò su di un fianco e si raggomitolò su se stesso.

Chiudi gli occhi, piccolo bambino indeciso. Chiudi gli occhi e taci. Hai solo paura. Passerà. Piccolo bambino indeciso, non puoi fare in modo che il mondo vada per conto tuo. Chiudi gli occhi…

-Sei strano, oggi.

La voce di Aragorn era tanto carezzevole quanto amara, in quel momento. Legolas si portò le braccia allo stomaco e si strinse ancora di più nel suo angolo.

-Non sei contento che sia tornato..?

si rammaricò l’uomo. Il cure di Legolas accellerò i battiti per il dispiacere. Non era vero. Lui era al settimo cielo per il ritorno dell’amante, ma…

-I meles le…

disse con un filo di voce. Aragorn sorrise.

-Quando sono caduto.. mi ha svegliato Arwen.

Pausa, un lungo respiro. L’uomo poggiò una mano sulla spalla dell’Elfo.

-Lei sa tutto.

Legolas non diede segni di emozioni. Ma aveva ben udito quelle parole. Non gl’importava. Aragorn si alzò e si rivesti, poi andò a sciacquarsi i viso e le ferite con l’acqua del catino. Ad un tratto, sentì Legolas accanto a sé e voltò il viso gocciolante. L’Elfo si era quasi rivestito, ma teneva la maglia argentata aperta sul petto, sul quale spiccava il fiore di cristallo. Portò due mani dietro il collo e ne slacciò la catenella sottile. Se lo tolse e lo poggiò sulla mensola, accanto ad Aragorn. Questi lo guardò con aria stupita mista ad una certa tristezza. Non è mai bello, vedere il proprio dono restituito.

-Non posso più tenerla io, ora.

Sussurrò Legolas. Aragorn abbassò lo sguardo verso il catino ed osservò attentamente il fiore di cristallo. Sembrava che avesse acquisito una nuova luce, stando al collo del principe. Sentì l’Elfo che prendeva la giacca, la casacca e la cintura. Finì di rivestirsi ed inforcò la porta, ma prima di scomparire rivolse un ultimo sguardo all’uomo, che lo colse con la coda dell’occhio.