.|. L'Ombra di un Sorriso .|.

by Calime

Cosa si nasconde negli infiniti spazi di Internet? Viggo lo scoprirà presto e, suo malgrado, questo gli consentirà di far luce dentro al proprio cuore. Ma sarà abbastanza per non perdere Orlando?

Sentimentale | Slash | Rating NC-17 | One Piece

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Questa fanfic è un regalo per la mia amatissima Venu. Tesoro:

BuonCompleanno!!!!!!!!!

Per dirti quanto ti ammiro, ti stimo e quanto ti voglio bene.  Sei una persona stupenda che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. Grazie per esserci sempre e comunque, per le tue parole, i tuoi consigli, la tua forza e il tuo coraggio e per l’allegria che riesci sempre a comunicare.

Viggo e Orlando non mi appartengono per mia disgrazia, anzi non li conosco neppure….. e soprattutto non so niente di un certo tatuaggio… ^____-  idem per Dominic ed Elijah, di conseguenza tutto quello che ho scritto qui è frutto della mia fantasia e dei miei desideri. Ispirata a certe foto che hanno girato tempo fa in mailing…….

 

-

 

Viggo fissava lo schermo del pc davanti a sé senza vederlo realmente. Non sapeva come cazzo avesse fatto ad arrivare fin lì, sapeva solo che man mano che la pagina si caricava la sua bocca si apriva sempre di più, in un muto grido e i suoi occhi si spalancavano.

 

La prima foto l’aveva lasciato senza fiato, la seconda era stata un vero colpo al cuore. Ad ogni nuova foto che si caricava, Viggo si allontanava un po’ di più dallo schermo del computer. Avrebbe voluto chiudere quella pagina, scollegarsi, far finta che quelle terribili immagini fossero solo un altro dei suoi incubi, ma non riusciva a scollarsi di lì.  Era come bloccato e continuava a far scorrere su e giù la pagina, quasi non credendo ai propri occhi. Eppure era così: Orlando e Kate erano a spasso insieme, come in milioni di altre foto, ma a differenza delle altre volte, all’improvviso eccoli abbracciati che si baciavano.

 

Per la prima volta, Viggo permise al suo cuore di gridare, urlargli la verità che era stato costretto a tenersi stretta. Amava Orlando, lo amava davvero. E Orlando lo aveva amato profondamente. Non aveva mai creduto realmente alla storia con Kate, ma ora sapeva perché non aveva voluto crederci.

 

Ora, in un barlume di comprensione, capiva le telefonate di Orlando, i suoi strani silenzi e il tono rassegnato dell’ultima volta che lo aveva sentito, un paio di mesi prima.

 

….

 

“Ho perso un sogno, Viggo…” gli aveva detto. Viggo, non Vig. Si era chiesto perché avesse sentito una dolorosa stretta al cuore nel sentire pronunciare il suo nome per intero, non l’aveva mai fatto prima.

 

“Un sogno meraviglioso, che per me era tutta la vita, ma ora…. È finita.” Aveva concluso Orlando. Il ragazzo aveva dovuto mordersi le labbra per soffocare i singhiozzi, mentre le lacrime gli scorrevano copiose sulle guance.

 

“Che sogno, Chico?” gli aveva chiesto Viggo in un sussurro.

 

Chico… quanto adorava sentirlo chiamare così…. Anche questo doveva finire, basta, non ce la faceva più. Orlando era stanco di stare sempre così maledettamente male per… niente. Assolutamente niente. Aveva sospirato lievemente, cercando di calmare il tremore nella voce.

 

“Un sogno stupendo, sai, come quelli che si fanno da ragazzini. Ma Viggo, non sono più un ragazzino ormai. Non posso più vivere di sogni. Insomma” aveva continuato, poi, cercando di assumere un tono scherzoso, “lo dici sempre anche tu che viviamo nella realtà e dobbiamo accettarla così com’è, no?” gli aveva chiesto poi, con una nota quasi disperata nella voce.

 

Viggo era sempre più perplesso, non capiva il suo discorso, e perché aveva quel tono così dannatamente triste?

 

“Certo, Orli. Ma dico sempre però anche che si deve lottare per ciò che si vuole. Per i nostri ideali.” Aveva ribattuto, convinto.

 

“Ma se non dipendesse più da noi? Se nonostante i nostri sforzi non avessimo ottenuto niente?” gli aveva chiesto allora Orlando con urgenza.

 

“Allora, bhé potremmo dire di averci comunque provato.” Aveva concluso sorridendo.

 

Orlando aveva sospirato e un piccolo singhiozzo gli era sfuggito dalle labbra.

 

“Cosa c’è Elf-boy? Posso fare qualcosa per aiutarti?” Viggo aveva sentito che Orlando era triste e stava soffrendo per qualcosa. Avrebbe davvero voluto aiutarlo, levargli quel peso che sembrava gravargli sul cuore e sentirlo nuovamente ridere. Ridere, era diverso tempo che non sentiva più una risata lasciare le belle labbra dell’amico. Anche l’ultima volta che si erano visti non l’aveva mai sentito ridere. Eppure si erano sempre divertiti così tanto assieme.


”Orlando?” lo aveva esortato con gentilezza, Viggo.

 

“Non c’è niente Viggo, davvero.” Gli aveva detto infine il ragazzo “Assolutamente più niente ormai.”

 

Viggo era stato sul punto di ribattere, ma Orlando lo aveva preceduto dicendogli che doveva tornare sul set, visto che lo aveva chiamato durante una pausa, poi l’aveva salutato velocemente. Da allora non l’aveva praticamente più sentito, escludendo quando l’aveva chiamato qualche giorno dopo per invitarlo alla presentazione del suo nuovo cd. Viggo c’era rimasto malissimo non perché avesse declinato l’invito, ma perché il tono che Orlando aveva usato era quello con cui ci si rivolge a sconosciuti non particolarmente graditi. Viggo si era offeso incredibilmente e aveva giurato a sé stesso che se Orlando voleva dimenticare e buttare all’aria tutti quegli anni di amicizia, bhé non c’era alcun problema. Cosa se ne faceva di un ragazzino viziato che evidentemente si credeva una star? Quasi non lo riconosceva più.

 

Ma una vocina dentro di lui continuava a dirgli che c’era sicuramente un motivo più che valido se si era comportato così. Che doveva parlargli di persona, costringerlo a spiegargli questo cambiamento nei suoi confronti.

 

E intanto erano passati già due mesi.

 

Due mesi durante i quali Viggo aveva cercato in tutti i modi di non pensare a lui.

 

Due mesi durante i quali aveva volutamente ignorato quel senso di vuoto che sembrava lacerargli l’anima e che non capiva.

 

Due mesi durante i quali non aveva vissuto.

 

Ma quel giorno aveva ceduto alla tentazione e si era messo al pc per scoprire cosa faceva Orlando in quei giorni e dove si trovava. Inutile dire che non era stata una grande idea. O forse sì. Forse era un bene che avesse visto quelle foto. Il suo cuore si era così riempito di dolore e rabbia che semplicemente non aveva retto più: aveva dovuto liberarlo.

 

All’improvviso Viggo si alzò dalla sedia, mollando il mouse come se fosse diventato rovente. Fece qualche passo indietro,  poi, preso da un’ansia improvvisa, corse per la casa, fino a raggiungere una porta chiusa a chiave. La aprì febbrilmente e accese la luce. Come aveva potuto essere così cieco? Eppure era tutto lì, in quella stanza. Orlando era ovunque: ogni foto, ogni quadro, anche quelli in cui non c’era soggetto umano. Ogni colore, ogni riflesso, ogni ombra parlavano di lui, lui soltanto. Quello era il tempio di Orlando Bloom.

 

Viggo si lasciò cadere a terra, coprendosi il volto con le mani e lasciando libero sfogo ai singhiozzi.

 

…………………

 

Il cielo era limpidissimo quel giorno, Viggo si era dovuto infilare gli occhiali da sole, per riuscire a distinguere qualcosa. Eccolo qui: dopo ore e ore di un lunghissimo viaggio in macchina, finalmente era riuscito ad arrivare sul set di ElizabethTown dove il suo amico, il suo confidente, il suo compagno d’avventure, il suo amante… stava girando un altro film che avrebbe decretato il suo successo, e che l’avrebbe allontanato un po’ di più da lui……

 

Si era riscosso da quei pensieri con una scrollata di spalle, avrebbe dovuto essere contentissimo per Orlando. Tutto quello che il ragazzo aveva sempre sognato e di cui avevano parlato in tutti quegli anni di amicizia, si stava finalmente avverando. E allora perché si sentiva così angosciato? Cos’era quel senso di oppressione che avvertiva, a volte così forte da non lasciarlo neanche respirare?

 

Non riusciva a capire, eppure… era come se avesse una paura folle di perdere Orlando…. Di arrivare un giorno a non godere più di quel sorriso che pareva illuminare le notti più buie. Aveva paura quasi di non poter passare più tutte quelle notti a camminare sotto le stelle, perdersi nei boschi, rincorrersi a perdifiato sulla spiaggia, fino a crollare esausti l’uno sull’altro. Aveva paura di non poter più perdersi nel loro mondo privato, fatto di baci, di carezze, di sospiri.

 

Ma no, cosa andava a pensare? Loro sarebbero rimasti sempre amici. Tutto il resto, quello che oltrepassava la loro amicizia, era solo… sesso. Sì, sesso. Nient’altro. Assolutamente nient’altro. Solo un modo in più per divertirsi insieme e se avessero smesso di farlo, bhé, non sarebbe stato certo un problema. Va bene, ma allora perché anche il solo pensiero di una simile eventualità lo faceva stare così male?

 

Ma tutti quei pensieri erano svaniti nello spazio del luminoso sorriso che Orlando gli aveva rivolto non appena l’aveva visto. Era arrivato proprio durante una pausa tra una ripresa e l’altra. Aveva chiesto ad una ragazza, una costumista forse, qual’era la roulotte di Orlando, e lei gliel’aveva indicata subito, riconoscendolo. Viggo le aveva sorriso e aveva salito i pochi gradini che lo separavano dalla porta, poi aveva bussato, paziente.

 

Orlando aveva aperto quasi subito ed era rimasto paralizzato dallo stupore quando si era trovato l’uomo davanti. Poi aveva sorriso e oh, cielo!!! Com’era possibile avere un sorriso del genere? Doveva esserci una legge che lo vietava perché era più luminoso di qualsiasi giornata di sole, più caldo di qualsiasi fuoco, più eccitante di qualsiasi altra cosa al mondo. Viggo si era sentito rapire da quel sorriso, come sempre.

 

“Vig!!!” aveva sussurrato Orlando, con uno strano tremore nella voce.

 

Viggo gli aveva sorriso e aveva alzato le spalle, con fare noncurante, poi gli aveva detto, con quel tono dolcissimo che era solo per lui

 

“Sono qui.”

 

Orlando si era scostato per lasciarlo entrare, poi aveva chiuso la porta dietro di lui e lo aveva fissato negli occhi, quasi a volersi sincerare che fosse davvero lui e non un altro dei suoi sogni. “Vig…” aveva ripetuto, in un soffio.

 

“Sono contento che ti ricordi ancora come mi chiamo, Orl…” aveva scherzato Viggo, prima di essere interrotto da un abbraccio fortissimo che gli aveva letteralmente tolto il fiato.

 

“Oh, Vig, quanto ho desiderato che tu fossi qui!... mi sei mancato da morire!.. volevo vederti, sentirti… toccarti...”

 

Ogni parola di Orlando era accompagnata da un bacio, sempre più profondo, sempre più esigente. Le dita sottili del ragazzo avevano lavorato con foga sui bottoni della camicia di Viggo e quando era riuscito ad aprirla, gliel’aveva sfilata completamente, senza mai smettere di baciarlo.

 

Quando Viggo aveva sentito troppo forte l’esigenza di respirare, si era staccato a fatica da quell’abbraccio ed era rimasto a fissarlo, ansante. Non l’aveva mai visto così. Gli aveva accarezzato la fronte, e Orlando aveva chiuso gli occhi per un attimo, immergendosi in quella carezza. Poi li aveva riaperti e Viggo era annegato in quelle pozze scure infiammate dal desiderio.

 

Oh, come li ricordava chiaramente ora: erano ombra e fiamma, desiderio e passione, innocenza e amore. Amore, ora lo capiva. Ora, che l’inutilità del suo agire si era rivelata appieno. Ma Viggo non voleva più pensare a questo. Voleva solo immergersi ancora in quei ricordi. Annegare in essi. Nutrirsi dell’ultimo piacere che Orlando, il suo Orlando gli aveva regalato.

 

“Orli…” aveva sussurrato, con una tenerezza che aveva sorpreso lui per primo. “Ciao, Chico…. Mi sei mancato” aveva sentito se stesso confessare.

 

A quelle parole il volto di Orlando, se possibile, si era illuminato ancora di più. Si era spinto nuovamente in avanti, cercando le sue labbra. Questa volta il bacio era stato meno feroce dei precedenti, ugualmente intenso, ma dolce e sensuale. Con le labbra aperte che si sfioravano, le lingue che si cercavano appena, le mani che accarezzavano i volti.

 

Un deciso bussare alla porta li aveva bruscamente riportati alla realtà e si erano staccati in fretta, senza tuttavia riuscire a smettere di fissarsi negli occhi.

 

“Orlando, in scena!” aveva urlato una voce di uomo.

 

Orlando aveva sorriso, un po’ triste. Poi si era staccato dal suo abbraccio e si era avvicinato alla sua giacca in pelle, abbandonata sopra una sedia. Viggo lo aveva visto frugare nelle tasche e, poco dopo, il ragazzo era tornato da lui e gli aveva messo qualcosa in mano.

 

“Appena finisco qui ti raggiungo. Poi, ti prometto, sarò solo per te.” Gli aveva sussurrato sulle labbra, prima di baciarlo ancora.  Viggo non era riuscito a rispondere. Quelle parole continuavano a risuonargli in testa come un bellissimo mantra colmo di promesse…. ‘sarò solo per te’….. Quando si era risvegliato da quella trance, Orlando era già tornato sul set, aveva abbassato lo sguardo e si era ritrovato in mano la tessera magnetica della sua stanza d’albergo. Aveva sorriso tra sé: sarebbe stata davvero una bella serata.

 

Oh, e lo era stata. La più bella della sua vita.

 

Orlando era tornato presto, quella sera. Prima di cena. Aveva aperto la porta con impazienza e l’aveva sbattuta dietro di sé. Viggo gli era andato incontro. Non lo aspettava così presto, era appena uscito dalla doccia e indossava solo un candido asciugamano attorno ai fianchi, che creava un eccitante contrasto con l’abbronzatura della sua pelle. Era ancora bagnato e piccoline goccioline d’acqua gli scendevano dai capelli, sulle spalle, lungo il petto, andando ad infrangersi nel bordo dell’asciugamano.

 

Viggo aveva sentito Orlando rabbrividire, aveva sentito distintamente il suo sguardo di fuoco percorrere ogni centimetro del proprio corpo semi nudo. Gli sembrava quasi di sentire le sue mani su di sé. Allora non aveva resistito: aveva allungato una mano, chiamandolo silenziosamente. Orlando aveva percorso in fretta i pochi metri che li dividevano, liberandosi delle scarpe e della maglietta.

 

Gli era arrivato addosso, in un lampo, caldo e terribilmente eccitato. Viggo si era sentito rapire da quel calore, aveva stretto a sé quel corpo asciutto e infuocato, in delizioso contrasto con la freschezza del proprio. Non aveva potuto soffermarsi a lungo in quelle sensazioni, perché Orlando gli aveva allacciato le braccia dietro il collo e l’aveva trascinato in un bacio che sembrava volerlo divorare. Aveva esplorato la sua bocca con la frenesia e l’eccitazione di un bimbo con un nuovo gioco, e quando si era ritenuto soddisfatto era passato alle sue labbra, giocandoci, mordicchiandole e poi lenendo quelle lievi ferite con dolci carezze della lingua. Cielo, quel ragazzo poteva farlo venire solo con un bacio!

 

A quel punto Viggo non aveva resistito più. Lo aveva sollevato di peso, riassumendo il controllo, senza smettere per un solo istante di baciarlo, e l’aveva deposto sul letto. Si era staccato, ansante, e gli aveva sfilato i pantaloni e i boxer in un colpo solo, lasciandolo completamente nudo sopra le candide lenzuola, in una languida posa. Immagine perfetta della passione e della lussuria.

 

Orlando aveva allungato le braccia verso di lui, cercandolo, chiamandolo, invitandolo ad amarlo ancora una volta. A portarlo in quel mondo che era solo loro.

 

“Vieni…” gli aveva sussurrato, con la voce arrochita dal desiderio.

 

E Viggo non aveva saputo resistere a quel richiamo. Si era adagiato su di lui, provando all’improvviso una gran tenerezza. Voleva proteggerlo da tutti i mali del mondo, regalargli quella serenità e quella spensieratezza che meritava. Gli aveva accarezzato a lungo il volto, e gli sembrava che fossero rimasti a fissarsi per un’eternità. Quell’ambra riflessa nel cristallo.

 

Poi finalmente era sceso a sfiorargli le labbra e oh, quale portentosa magia. Quelle labbra morbide, fresche, così provocanti, lo avevano rapito portandolo verso le vette dell’estasi. Gli sembrava di essere nato solo per quelle labbra, solo per quella miriade di brividi che gli percorrevano il corpo ad ogni sfioramento, ogni tocco, ogni pressione più decisa. Poi Orlando aveva socchiuso la bocca, la sua lingua che cercava quella dell’uomo. La sfiorava appena, poi subito si ritraeva, dando vita ad un gioco di seduzione che in breve aveva fatto rimontare in entrambi l’urgenza della passione.

 

Viggo aveva iniziato ad accarezzare quel giovane corpo con foga sempre maggiore, muoveva le mani su di lui allo stesso ritmo con cui muoveva la lingua dentro la sua bocca, ora che aveva riacquistato il controllo del bacio. Voleva Orlando, lo voleva con tutto se stesso. Voleva fare l’amore con lui, con tutto il suo corpo. In quel momento voleva che fosse molto più del sesso, voleva che fosse la completa unione di corpi e anime. E lo voleva in quel preciso momento.

 

La consapevolezza di questo lo aveva attraversato come una scarica elettrica. Si era allontanato ansante da quelle labbra di fuoco, e di nuovo si era perso nello sguardo di Orlando, offuscato dal desiderio. La sua mano era scesa lungo il suo ventre, segnando per l’ennesima volta un percorso che conosceva a memoria e che non era mai stanco di riseguire, di riscoprire. Aveva raggiunto il suo membro eretto, e l’aveva sentito tendersi ancora di più contro il suo palmo aperto, in cerca di maggior contatto.

 

Orlando si era completamente inarcato all’indietro, la bocca spalancata, ansimante, i morbidi ricci che ricadevano sul cuscino. Quanto adorava vederlo così, Viggo se ne rendeva conto solo in quel momento.

 

Adorava il modo in cui tutto il corpo di Orlando riusciva ad esprimere ogni minima sensazione che provava.

 

Adorava quando quel corpo sottile ma muscoloso si tendeva sotto le sue mani, come fremeva impaziente, quando il piacere in lui raggiungeva i picchi più intensi.

 

Adorava vederlo scuotersi sotto le onde dell’orgasmo.

 

Continuò la sua lenta tortura, mentre Orlando gemeva ormai senza freni, arcuando disperatamente il bacino e stringendogli le gambe attorno alla vita, per costringerlo ad avvicinarsi ancora di più. Quando aveva sentito le prime gocce del seme di Orlando tra le dita, Viggo aveva chiuso all’improvviso il pugno su di lui e aveva iniziato a muoverlo con decisione. Aveva iniziato a muoverlo con forza. Aveva iniziato a muoverlo con perfetta maestria. Sapeva esattamente di cosa avesse bisogno Orlando.

 

Orlando aveva lanciato un grido, sopraffatto dall’ondata improvvisa di piacere che gli era arrivata. Aveva faticosamente rialzato la testa e Viggo aveva potuto vedere le lacrime nei suoi occhi. L’aveva sorretto. Aveva stretto con forza quel corpo che ancora tremava di piacere. Aveva sorretto Orlando come aveva sempre fatto, in ogni occasione. In quel momento aveva giurato a se stesso che mai e poi mai avrebbe fatto mancare al ragazzo quel sostegno.

 

Viggo aveva accarezzato a lungo i capelli di Orlando. La testa ricciuta abbandonata contro il suo petto. Il caldo respiro che gli trasmetteva brividi lungo tutto il corpo. Poi, lentamente, il ragazzo era sembrato riprendersi. Le braccia, che giacevano abbandonate sulle spalle di Viggo, si erano abbassate. Le mani carezzavano il petto ora, e Viggo poteva sentire finalmente quella bocca bollente su di sé.

 

Orlando aveva gli occhi chiusi, era concentrato nel dare piacere all’uomo. Era il suo unico pensiero. Era il suo unico scopo. Era il suo unico desiderio…..

 

Con la lingua, seguiva ogni minimo muscolo scolpito in quel corpo forte. Si era fermato a giocare con i capezzoli, accarezzandoli, stuzzicandoli con la lingua, sfiorandoli leggermente con i denti. Viggo si era sentito morire. Scariche elettriche nascevano a quel contatto e si diramavano in ogni parte del suo corpo finché gli era parso che ogni singola cellula fosse incendiata dal piacere e dal desiderio.

 

Quando si era ritenuto soddisfatto, Orlando era sceso ancora di più, aveva segnato il contorno dell’ombelico, facendoci scivolare poi dentro la punta della lingua. Era sceso ancora, fino al punto in cui la lieve peluria del ventre si infoltiva, per celare forse il suo tesoro. Lì, Orlando aveva incontrato il tatuaggio di Viggo. Il tatuaggio che sanciva la sua appartenenza alla Compagnia. Orlando si era soffermato su di esso, facendo scivolare sopra la pelle sensibile la punta della lingua. 

 

Viggo era rabbrividito e minuscole goccioline di sudore avevano preso a scivolargli dalla fronte. Era vicino, molto vicino. Si era chiesto per quanto ancora avrebbe resistito. Avrebbe voluto sollevare Orlando, girarlo, sbatterlo sul materasso e prenderlo, con forza, con passione, con… amore. Sì, solo per questa volta avrebbe permesso che ci fosse quello tra loro. Quella era una notte magica, lo sentiva. Una notte in cui erano solo due uomini che si amavano. Non c’era altro. Nessun Viggo Mortensen. Nessun Orlando Bloom. Nessuna complicazione.

 

Ma non aveva fatto niente di tutto questo. Aveva spinto in fuori il bacino, in un chiaro invito. Orlando aveva riso. Quella risata roca e sensuale di quando facevano l’amore. Quella risata gli era entrata dentro. Viggo l’aveva sentita penetrargli nelle vene, fondersi col suo sangue e scorrergli nelle vene, lasciandolo spossato ed eccitato allo stesso tempo. Orlando non aveva bloccato la sua avanzata e aveva deposto un bacio sulla punta del suo membro, provocandogli un urlo di piacere. Aveva riso ancora, sollevando uno sguardo malizioso ad incontrare i suoi occhi semichiusi. Senza smettere di fissarlo aveva cominciato a passare la lingua per tutta la sua lunghezza, piano, percorrendo ogni centimetro, senza trascurarne alcuna parte.

 

Viggo aveva seriamente pensato che sarebbe morto lì, in quel preciso istante se Orlando avesse continuato. Aveva chiuso gli occhi con forza, mentre si abbandonava all’indietro. Quasi leggendogli nel pensiero, Orlando aveva all’improvviso chiuso la bocca su di lui,  accogliendolo completamente.

 

Viggo aveva inarcato il bacino, perso completamente nel proprio desiderio. D’un tratto, quel calore avvolgente era scomparso. Viggo si era rialzato di scatto sui gomiti e quello che aveva visto gli aveva provocato un’altra potente scarica di brividi lungo la spina dorsale. Orlando aveva raccolto con le dita le prime gocce del suo seme e si stava lentamente preparando per lui. Viggo non era riuscito a levare gli occhi di dosso da quella splendida creatura che aveva di fronte. Ancora una volta si era chiesto, dubitando, se Orlando fosse davvero un essere umano. Aveva una grazia ed una sinuosità nei movimenti, che sembravano estranei alla natura umana. Pareva piuttosto l’incarnazione di un Elfo…. Da tempo Viggo era convinto che in realtà la natura di Orlando fosse elfica.

 

Orlando, senza smettere di fissarlo, l’aveva spinto di nuovo contro il materasso. Poi, con un movimento talmente dolce a aggraziato da far venire le lacrime agli occhi del poeta, era sceso su di lui. Viggo aveva visto Orlando chiudere gli occhi per un istante. Solo uno. E una espressione di dolore passare fugace su quel viso da angelo. Ma era stato un attimo. Quegli occhi di ambra si erano riaperti, incatenando i suoi, e Orlando aveva preso a muoversi sopra di lui, con foga sempre maggiore. Viggo aveva cercato la sua mano e l’aveva stretta forte, intrecciando le loro dita, come se non dovessero lasciarsi mai. Orlando aveva sorriso e, davanti a quel sorriso, Viggo si era irrimediabilmente perso ed era venuto all’interno del suo corpo.

 

Orlando era crollato tra le sue braccia, esausto. E Viggo l’aveva accolto e sorretto. L’aveva stretto a sé, aveva aspirato il dolce profumo dei suoi capelli e gli aveva posato un bacio delicato su una tempia.

 

Si erano addormentati così, stretti l’uno all’altro. Viggo si era fermato per quattro giorni. Quattro splendidi giorni. Orlando passava le giornate sul set, ma quando la porta si chiudeva dietro di lui,la sera, tutto il mondo veniva cancellato. Rimanevano solo loro due: Orlando e Viggo. Si erano amati, oh sì, era stato davvero amore. Viggo non aveva potuto ammetterlo fuori da quella camera, ma lì, tra quelle quattro mura, in quei giorni, c’era stato amore.

 

Era stato tutto perfetto. Viggo non aveva mai visto Orlando così disteso, così felice, così diverso dalle foto che circolavano ultimamente. A Viggo piaceva pensare di essere la causa di quella felicità, anche se gli faceva un po’ paura. All’improvviso, gli stava venendo un gran panico. La consapevolezza di poter determinare la felicità o la tristezza di una persona… no, non una persona, ma lui, Orlando. Questo gli faceva paura.

 

Si era accorto di aver passato quei giorni in impaziente attesa di rivedere il suo volto, di fargli leggere una nuova poesia creata per lui, di fargli scoprire un nuovo angolo di quella città che li ospitava. Tutto questo non era normale, si era detto. Non aveva mai provato queste cose per un amico prima. Una vocina insistente aveva continuato a ripetergli di smetterla di fare l’ipocrita. Davvero poteva dire ancora che Orlando era solo un amico? Si era risposto caparbiamente di sì, che era solo quello. Che quello in più che c’era tra loro era solo sesso.

 

Una mattina, si era svegliato da solo. Orlando era già uscito, ma gli aveva lasciato un messaggio sul cuscino. L’aveva preso, e se l’era portato al volto. Odorava di miele e cannella. Odorava di Orlando.

 

‘Buongiorno amore mio.’ Aveva letto, a voce alta ‘il più bel regalo che potessi farmi anche oggi era averti al mio fianco, al mio risveglio, e così è. Ancora una volta sono costretto a sgattaiolare via all’alba. Ma la consapevolezza che sarai qui al mio ritorno mi dà la forza di sopportare l’attesa. Sono dei giorni bellissimi e non ti ringrazierò mai abbastanza della magnifica sorpresa che mi hai fatto venendo qui a trovarmi. Credo sia l’inizio di una nuova vita per me e lo devo a te. A te, che mi dai la forza e il coraggio di affrontare ogni giornata con energia sempre nuova. A te, che sei il mio sole e la mia luna. A te, che sei il mio Amore.’

 

Viggo aveva sentito, improvvisa, un’ondata di felicità travolgerlo. Aveva chiuso gli occhi e stretto al petto quel biglietto. Poi, altrettanto improvvisa, una fitta lancinante di paura gli aveva trafitto il cuore. Si era messo a sedere di scatto, tremante, gli occhi sbarrati. Aveva riletto il biglietto, con le mani che tremavano. Che aveva fatto? Santo cielo, cosa diavolo aveva fatto a quel ragazzo?

 

Doveva porre subito fine alla cosa. Come aveva fatto a farlo innamorare? No, no, era tutto sbagliato. Non poteva. Orlando non poteva innamorarsi di lui. E lui… non poteva, non doveva innamorarsi di Orlando. Si era alzato in fretta, infilandosi i vestiti e correndo in bagno, preso da un’improvvisa nausea che non era riuscito a controllare. Aveva preparato la sua sacca da viaggio, mettendo tutto quello che aveva. Controllando di non aver dimenticato niente. Poi aveva chiuso la porta dietro di sé, portandosi dietro le chiavi, e si era diretto verso il set.

 

Oh, non avrebbe mai dimenticato quei momenti. Aveva raggiunto Orlando nella sua roulotte durante una pausa, come pochi giorni prima. Orlando gli aveva aperto la porta e gli aveva rivolto lo stesso sorriso sorpreso e felice.

 

“Sentivi già la mia mancanza?” gli aveva chiesto Orlando, con una punta di malizia nella voce.

 

‘Non immagini neanche quanto’ aveva pensato Viggo. Ma aveva rinchiuso dentro sé quel pensiero, il suo volto aveva assunto una maschera di freddezza e noncuranza.

 

“In realtà sono passato solo per salutarti.” Gli aveva risposto, invece, in tono gelido.

 

Orlando si era appoggiato pesantemente alla porta, come se stesse per svenire. Aveva avvertito sicuramente il cambiamento in Viggo e doveva essergli venuta una paura improvvisa.

 

“Ma- ma Vig, cosa succede? Parti? Non mi avevi detto niente, pensavo…” gli aveva detto, veloce, con la voce che gli tremava.

 

Viggo aveva indurito ancora di più il suo cuore. La sua voce era diventata ancora più tagliente.

 

“Orlando, “aveva sbuffato, spazientito “non devo per forza dirti tutto! Devo tornare a Los Angeles, ho delle cosa da fare là. Ho perso già abbastanza tempo qui.” Aveva concluso, sentendo, anche attraverso quella breve distanza il cuore di Orlando che andava in mille pezzi.

 

“Co-come… perso tempo… io… pensavo che fossimo stati bene. Non siamo stati bene, Vig?” gli aveva chiesto, con uno sguardo supplichevole. Uno sguardo che chiedeva solo spiegazioni. Uno sguardo che urlava tutto il dolore che Orlando stava provando in quel momento.

 

Viggo aveva temuto un attimo di non farcela, aveva desiderato stringere forte a sé quel corpo che tremava di paura, ma… non poteva. Non doveva. Lui non voleva tutte le complicazioni dell’amore. Doveva mettere subito in chiaro le cose, prima che la cosa andasse troppo oltre.

 

“Orlando, certo che siamo stati bene.” Gli aveva risposto, più gentilmente che poteva “Ci siamo divertiti. Come le altre volte. Ma ora devo andare.”

 

Orlando era sbiancato a quelle parole. Le lacrime avevano preso a scorrergli sulle guance, incontrollabili, inarrestabili.

 

“Le altre volte, Vig?” gli aveva chiesto, col panico nella voce “È stato solo come le altre volte? Io pensavo…” la sua voce si era spenta. Aveva abbassato gli occhi, incapace di leggere ancora la freddezza negli occhi dell’uomo che amava. Ma si era fatto coraggio, Viggo aveva visto i suoi pugni chiudersi e quando aveva rialzato la testa c’era decisione nei suoi occhi, e forza. Tanta forza. “No Vig” aveva continuato Orlando “Non è stato come le altre volte e tu lo sai. Sai che non è stato solo sesso. Non è stato solo divertimento. In questi giorni noi ci siamo amati. In questi giorni noi abbiamo fatto l’amore. In questi giorni noi ci siamo donati l’uno all’altro.” aveva concluso, poi, a voce alta.

 

Viggo si era sentito come stretto in una morsa. Perché Orlando doveva rendere tutto così difficile? Possibile che non capisse che non poteva esserci quello tra loro? Che avrebbe pensato la gente? Eppoi lui era più vecchio di quasi vent’anni, che futuro potevano avere assieme? Aveva sbuffato ancora, il suo tono aveva una nota di derisione ora, e quasi si odiò per quello, ma era necessario.

 

“Orlando, può anche essere come dici tu, ma… qualsiasi cosa sia accaduta tra noi in questi giorni è stata solo una parentesi. Tu non sei davvero innamorato di me e io.. non ti amo. Siamo solo amici” aveva continuato poi, più gentilmente, mentre Orlando era impallidito sempre di più e aveva stretto forte i pugni. “Siamo due ottimi amici che condividono qualcosa in più delle solite esperienze. Non farti fuorviare dalla magia che abbiamo vissuto in questi giorni. È stata solo un sogno.” Aveva concluso poi, con un sospiro.

 

Orlando aveva provato a ribattere, il respiro sempre più pesante, il corpo teso che tremava per la rabbia, ma Viggo non gliel’aveva permesso. L’aveva stretto all’improvviso in un abbraccio, aveva baciato quelle labbra ora fredde ed era svanito.

 

Viggo non aveva avuto il coraggio di voltarsi indietro. Sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe riuscito ad allontanarsi. Era salito veloce in macchina e non si era più fermato finché non aveva messo diverse centinaia di miglia tra sé e Orlando. Quando era tornato a casa, si era buttato sul letto ed era rimasto parecchi giorni in uno stato semicosciente. Gli era venuta la febbre e si era detto che era la normale reazione a quel lunghissimo viaggio. Come era stato ingenuo. Solo ora capiva che in realtà era il suo corpo che si ribellava alla lontananza dal suo amore, dall’altra metà della sua anima.

 

A poco a poco, era riuscito a riprendersi, grazie alle amorevoli cure di suo figlio Henry. Un mese più tardi aveva sentito nuovamente Orlando, sembrava stesse meglio e avesse accettato che le cose tra loro non erano cambiate. Si erano anche rivisti in diverse occasioni ma sempre per breve tempo e non erano più andati a letto. C’era qualcosa che impediva a Viggo di farlo, benché lo desiderasse con tutto se stesso. Di certo avrebbe ceduto se Orlando avesse fatto il primo passo, ma… Orlando non l’aveva fatto. E loro erano tornati ad essere due semplici amici, due compagni di avventure che avevano condiviso qualcosa per un certo tempo.

 

………………….

 

Quando Viggo riemerse dal limbo di ricordi in cui era sprofondato, era già notte. Si rialzò faticosamente dal pavimento freddo e si diresse verso la camera da letto. Voleva solo sdraiarsi e dormire. Sognare ancora quei bellissimi giorni in Oklaoma. Gli unici giorni in cui aveva davvero vissuto.

 

Accese la radio, non sapeva neanche lui perché, ma non sopportava più il silenzio di quella casa. La melodia lenta, struggente, invase la stanza. Viggo la riconobbe subito, era una canzone dei Corrs. Sorrise, deridendo se stesso. Esprimeva esattamente il suo stato d’animo. Quasi senza rendersene conto, iniziò a canticchiarla, col volto sprofondato nel cuscino, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le lacrime che ancora una volta scorrevano libere sulle sue guance.

 

It doesn’t really matter now you’re gone

You never were aroun that much to speak of

Didn’t think that I could leave without you, baby

It couldn’t be that hard to live alone

 

Come aveva anche potuto solo immaginare che sarebbe riuscito a vivere senza di lui? Come era potuto essere così cieco ed egoista? Ora Orlando non c’era più. Non faceva più parte del suo mondo, non sarebbe più tornato. E lui era solo. Solo, ancora una volta.

 

But I’m all, all alone again

Thinking you will never say

That you’ll be home again

 

I singhiozzi ormai lo scuotevano completamente, ancora e ancora. Pensava di aver ormai versato tutte le sue lacrime, su quel pavimento freddo, ma si accorse che non sarebbero mai finite. La luce della luna filtrava debolmente dalla finestra, ma Viggo non riusciva quasi a vederla. Era notte. Era buio. Non ci sarebbe stato più il sole per lui, perché l’aveva scacciato, allontanato. Aveva scelto le tenebre di una vita senza amore, senza passione. Non poteva più tornare indietro.

 

And it’s gonna gonna be a long night

And it’s gonna be cold without your arms

And I’m gonna get stagefright

Caught in the headlights

It’s gonna be a long night

And I know I’m gonna lose this fight

 

Aveva freddo, troppo freddo. Il corpo era scosso da brividi e singhiozzi. Il petto gli faceva così male che gli pareva dovesse scoppiargli il cuore. Ora che l’aveva liberato, non riusciva più a contenere tutto il dolore che provava.

 

Once upon a time  we fell in love

And I thought that I would be the only one

 

But I know I’m on, I’m on my own again

Thinking you will never show

You won’t be home again

 

Viggo cercò di calmarsi. Respirò profondamente, stringendosi le braccia attorno al petto, nel vano tentativo di scaldarsi un po’. Si raggomitolò su se stesso, e si coprì con il lenzuolo, mentre i singhiozzi si calmavano. Fissava un punto imprecisato davanti a sé, mentre le parole della canzone risuonavano ancora nella sua mente.

 

And it’s gonna be a long night

And it’s gonna be cold without your arms

And I’m gonna get stagefright

Caught in the headlights

It’s gonna be a long night

And I know I’m gonna lose this fight

 

Lost in your arms baby

Lost in your arms

 

Sentì un piacevole calore invaderlo lentamente. Gli sembrava quasi di sentire le braccia di Orlando cingerlo gentilmente. Quel corpo asciutto stringerlo a sé. Come gli mancava quel rassicurante tepore che solo lui riusciva ad infondergli. In quel momento pregò. Viggo pregò tutti gli dei conosciuti di poter sentire ancora quel calore. Pregò di aprire gli occhi e trovarsi accanto l’altra metà di sé. Orlando.

 

Lentamente, Viggo aprì gli occhi, credendo per un attimo che fosse reale. Aprì gli occhi e si trovò ancora una volta solo.

 

Now I’m all on my own again

Thinking you will never show

You won’t be home again

 

And it’s gonna be a long night

And it’s gonna cold without your arms

And I’m gonna get stagefright

Caught in the headlights

It’s gonna be a long night

And I know I’m gonna lose this fight

I’m gonna get stagefright

Caught in the headlights

It’s gonna be a long night

And I know I’m gonna lose this fight

 

I’m lost in your arms baby

Lost in your arms

 

Viggo chiuse gli occhi, con un sospiro. Si addormentò, finalmente senza sogni.

 

Lo squillo insistente del telefono lo svegliò all’improvviso. Viggo si mise a sedere di scatto sul letto, col cuore che batteva all’impazzata. Guardò l’orologio, erano le quattro del mattino, chi mai poteva essere? Pensò per un attimo ad Henry, che gli fosse successo qualcosa? Alzò la cornetta e rispose, spaventato.

 

“Pronto?”

 

“V-viggo?... sono Lij.” Gli rispose una voce tremante. Viggo si rilassò un attimo, Henry stava bene.

 

“Lij, che c’è? Un’altra notte brava?” chiese, cercando di scherzare.


”Viggo…. Orlando…” la voce di Elijah tremò e poi si spezzò, mentre il ragazzo scoppiava in lacrime. Viggo smise di respirare. ‘O dio, dio, no… ti prego, no. Tutte le colpa che io abbia commesso… me, colpisci me… Orlando… ti prego dio, fa che stia bene’ pensò, nello spazio di un sospiro. Sentì che qualcuno toglieva di mano il telefono a Lij e un’altra voce gli spiegò cosa era accaduto.

 

“Vig, sono Dom…. Siamo a New York, avevamo degli impegni per delle interviste e ne abbiamo approfittato per vedere Orlando…”

 

“Dom… come sta? Che è successo? Santo cielo, non girarci attorno.” Lo aveva interrotto, a voce sempre più alta. Con la paura che gli dilagava in tutto il corpo, il fiato che si rifiutava di tornare, il cuore che non voleva battere.

 

“Lui... siamo usciti ieri notte e… abbiamo fatto baldoria, sai come siamo.” Si interruppe, soffocando un singhiozzo. Sì, Viggo sapeva esattamente come era quando facevano baldoria. Cominciava a intuire qualcosa ora. “L’abbiamo lasciato al suo albergo.” continuò Dom, cercando di racimolare il coraggio “questo pomeriggio siamo andati da lui perché avevamo appuntamento, ma… non rispondeva in camera, eppure non era uscito, strano. Non rispondeva al telefono o al cellulare. Abbiamo pensato che stesse male, forse avevamo esagerato troppo… abbiamo chiamato il portiere, che ci ha aperto e…”

 

Dom si interruppe, non riusciva a continuare, non riusciva a rivivere quei momenti.

 

“E? Cielo, Dom. cosa cazzo è successo a Orlando?” Viggo non riusciva più a resistere, doveva sapere, subito.

 

“Lui era lì… sul letto… si era spogliato, aveva solo i boxer addosso. Era sopra le lenzuola, con le mani sul petto e.. stringeva una foto. Cielo, sembrava che non respirasse più… abbiamo chiamato un’ambulanza, non riuscivamo a svegliarlo. Abbiamo tentato, in tutti i modi, ma… “ Dom scoppiò a piangere. Viggo continuava a fissare un punto imprecisato davanti a sé, il suo cervello si era inceppato a quelle parole ‘non respirava più… non respirava più…’ continuavano a rimbombargli nella testa, insistenti, terribili, strazianti. Cercò di respirare e si accorse che non ci riusciva.

 

Dopo qualche minuto Dom riprese il discorso

 

“Ora… siamo al New York General Hospital. L’hanno visitato ma ancora non ci hanno detto niente. Vig…”

 

“Arrivo.” Lo interruppe Viggo, senza neanche pensarci su. “Prendo il primo volo e sono lì.”

 

Sentì un sospiro di sollievo e riagganciò, senza dare a Dom il tempo per rispondere.

 

Chiamò l’aeroporto e fissò subito un posto sul primo volo. Si fece una doccia veloce e chiamò un taxi. Uscì di casa così, senza portarsi niente dietro, neanche un cambio. Non riusciva a pensare a nulla di razionale. Continuava a vedere il corpo di Orlando, nudo, abbandonato su un letto d’albergo, da solo. Si maledì. Maledì la propria testardaggine, la propria paura, il proprio egoismo. Pregò e pianse, fino a non avere davvero più lacrime o parole.

 

Quando atterrò all’aeroporto, trovò Dominic ad aspettarlo. Elijah era rimasto all’ospedale, spiegò. I medici non avevano detto niente ancora e loro  avevano preferito aspettare lui. Non sapevano cosa fare. Non avevano avvisato nessuno, solo lui.

 

Viggo lo fissò, posandogli una mano sulla spalla. “Grazie” gli sussurrò, con voce rotta. Gli occhi ancora cerchiati e gonfi dalle lacrime, il volto segnato dalla stanchezza e dal dolore. Presero un taxi e si diressero all’ospedale. Viggo cercava di mettere a fuoco quello che aveva attorno, ma il suo unico pensiero era Orlando, il suo cucciolo. Aveva bisogno di lui e non l’avrebbe abbandonato. Non ancora, non adesso. Si accorse a mala pena di Elijah, seduto su una panca nel corridoio bianco.

 

Dom gli indicò una porta chiusa, poi si avvicinò a Lij, che si era alzato in piedi al loro arrivo, e gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo a sé. Viggo fece loro un debole cenno col capo ed entrò.

 

Chiuse piano la porta dietro di sé e avanzò di qualche passo. Solo allora si permisi di alzare los guardo verso il letto e il cuore gli si fermò ancora. Lì, abbandonato, pallidissimo, troppo piccolo per quel grande letto, c’era Orlando. Gli occhi chiusi, il volto sofferente, la fronte aggrottata. Le mani erano abbandonate lungo i fianchi, fuori dalla coperta bianca. Sembrava ancora più magro e fragile e Viggo sentì una stretta al cuore. Come aveva potuto ridursi così? E perché lui non se n’era accorto? Perché aveva permesso che si allontanasse così tanto da lui? È vero, aveva rifiutato il suo amore, ma gli aveva sempre assicurato la sua amicizia.

 

Si sedette accanto al letto e prese la mano di Orlando tra le sue. La ammirò: quanto era bella. Tutto in lui era perfetto e aggraziato, perfino nell’abbandono della malattia. Le dita lunghe e sottili tradivano una forza insospettabile. Viggo le accarezzò a lungo, poi se le portò alla bocca e le baciò lievemente una ad una. Quanto desiderava sentire ancora su di se quelle mani. O vederle muoversi senza sosta mentre Orlando parlava, stringersi a pugno quando si arrabbiava, distendersi in una carezza delicata quando lo baciava.

 

Si poggiò la mano aperta sulla guancia, cercando di scaldarla e bagnandola con le lacrime che, ancora, avevano ripreso a scivolargli sul volto. Con calma ora, senza disperazione, senza singhiozzi ad accompagnarle. Sempre tenendo stretta la mano di Orlando tra le sue, Viggo poggiò la testa sul letto, vicino al suo petto, per sentire un po’ del calore di Orlando e assicurarsi che respirasse ancora. Si addormentò, vinto dalla stanchezza e dall’angoscia.

 

Un tocco leggero, una carezza delicata sui capelli, lo riportarono alla realtà. Riaprì gli occhi, non riuscendo per un attimo a capire dove si trovasse. Ma gli avvenimenti di quella giornata gli apparvero improvvisamente chiari nella mente e si rialzò di scatto. Viggo si voltò verso Orlando, con una silenziosa preghiera in mente. ‘Oh, dei’ pregò tra sé, ‘vi ringrazio’. Orlando, il suo Orlando, era sveglio. Era il suo tocco che l’aveva svegliato, la carezza incredula e gentile sui suoi capelli arruffati. Viggo vide incredulità negli occhi di Orlando, stupore e… paura. D’un tratto gli si strinse il cuore. Perché aveva paura di lui? Forse… non era felice di vederlo lì? Ma un attimo dopo quella morsa si dileguò, allo spuntare di un tremulo sorriso sulle labbra del suo amato.

 

“Vig…” sospirò Orlando, con la voce che gli tremava.

 

Vig! Oh, quanto adorava sentirlo chiamare così. Sì, lui era Vig, sempre e solo Vig per lui. E Orlando… Orlando era il suo Orli, il suo Elf-boy, il suo cucciolo, il suo Raggio di Sole.

 

“Sono qui, Elf-boy” disse, con la voce carica di dolcezza. Gli prese nuovamente la mano tra le sue e ne baciò il palmo, con delicatezza. Sentì un brivido scuotere il corpo di Orlando e vide i suoi occhi sgranarsi, increduli, felici.

 

In quel momento si aprì la porta, ma Viggo non lasciò la sua mano, la tenne ancora stretta. Non gli importava proprio niente di quello che avrebbe pensato la gente. Era stato troppo vicino a perdere il suo amore per curarsi degli altri. Non poteva dire di aver risolto le cose tra loro, ma ora sapeva che avrebbe fatto di tutto per riconquistarlo. Entrò un medico, seguito da Dom ed Elijah, che si misero dall’altro lato del letto, sorridendo felici alla vista del loro amico di nuovo sveglio.

 

“Salve, sono il dott. Carter.” Si presentò, l’uomo “Allora, signor Bloom, ci ha fatto prendere un bello spavento, eh?” scherzò

Orlando sorrise, imbarazzato, e abbassò lo sguardo. Viggo lo guardò con tenerezza, scostandogli un ricciolo dalla fronte. Poi si voltò verso il medico e chiese

 

“Come sta, dottore? Che gli è successo?”

 

“Sta bene. È solo un  po’ debilitato” lo rassicurò il medico. Poi si voltò verso Orlando, fissandolo negli occhi, con fare inquisitore e un’espressione grave “Mi dica. Da quant’è che non fa un pasto come si deve?”

 

Orlando divenne ancora più rosso e cercò di balbettare una scusa. Dom ed Elijah lo fissavano stupiti e Viggo non riusciva a credere a quello che aveva chiesto il dottore. Ecco perché gli era sembrato tanto magro. Evidentemente non si nutriva abbastanza, non era solo lo stress del lavoro.

 

“…deve capire che il suo organismo ha bisogno di nutrirsi, e bene. Non può continuare a bistrattarlo così. E ricordi che l’alcool a stomaco vuoto non è mai una buona idea” continuò il dottor Carter “Ha avuto un piccolo collasso, dovuto certo anche alla stanchezza. Scommetto che non dorme molto, vero? E quando lo fa il suo sonno è agitato.” Chiese, ancora. Un breve cenno di Orlando confermò che era proprio così.

 

Viggo sentì un’ondata di tenerezza travolgerlo. Desiderò stringerlo forte e dargli tutta la protezione che gli aveva negato in quei mesi. Si volse verso il medico, che ora scherzava con Dom e Lij.

 

“Dottor Carter… posso riportarlo a casa?” chiese, speranzoso, mentre un piano si andava formando nella sua mente.

 

“Certo, direi che è la soluzione migliore.” Approvò il medico “Mi raccomando, lo faccia mangiare e riposare. Ha bisogno di almeno dieci giorni di riposo assoluto.” Concluse, strizzando l’occhio all’uomo. “Preparo il foglio di dimissione” annunciò e uscì dalla stanza.

 

Dom ed  Elijah rimasero un po’, scherzando con Orlando e ricordandogli che non era più un Elfo e che il lembas da solo non poteva bastargli. Orlando stette allo scherzo, gli occhi che brillavano di nuovo, il sorriso che veniva alle labbra sempre più facilmente. Viggo lo fissava, in contemplazione. Quasi non si accorse dei ragazzi che dopo un po’ uscirono dalla stanza, per tornare al loro albergo.

 

Orlando si voltò finalmente a guardarlo. Arrossì come un fanciullo, sotto al suo sguardo indagatore e abbassò il proprio. Ma Viggo non voleva questo. Voleva guardarlo e perdersi ancora una volta nei suoi occhi. Ma non era il momento. Sospirò, alzandosi in piedi.

 

“Vieni, ti aiuto a vestirti, Elf-boy. Così potremo tornare al tuo albergo.” Gli disse, tendendogli la mano.

 

Quando arrivarono alla sua camera, Viggo prese Orlando in braccio, era ancora debole e i pochi passi dall’ascensore alla camera lo avevano sfinito. Orlando si aggrappò alle spalle dell’uomo, come se fossero la sua unica ancora di salvezza. Lasciò andare la testa contro il suo petto, sospirando. Viggo lo strinse un po’ di più. Non poteva credere di averlo ancora tra le braccia. Lo portò sul letto e lo depose delicatamente. Gli tolse i vestiti, lasciandolo con i boxer colorati, e lo infilò sotto le lenzuola.

 

Si chinò per dargli un bacio sulla fronte e vide qualcosa accanto al letto, sul pavimento. Lo raccolse, era una fotografia. Gli mancò il fiato, come se avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco. L’enormità di quello che aveva fatto, di tutto il dolore che aveva causato al suo amore gli piombò addosso all’improvviso, tutta assieme. Era la loro foto… la loro…..

 

 

dopo tutto quel tempo, Orlando ancora aveva quella foto. Ormai era vecchia, stropicciata, con gli angoli consumati, e per questo ancora più preziosa agli occhi di Viggo. Forse…..

 

Viggo sentì un mormorio dal letto, alzò lo sguardo verso Orlando e vide che era sveglio, lo fissava, con quegli occhi profondi che lo chiamavano. Orlando allungò una mano verso di lui e Viggo la afferrò, continuando a tenere la foto nell’altra.

 

“Non voglio dormire ancora solo, Vig. Non ci riesco.” Gli disse, Orlando, in un sussurro “Ti prego, resta con me” supplicò con la voce che gli tremava.

 

Viggo non seppe resistere alla dolcezza e alla disperazione in quella voce. Si levò in fretta le scarpe e i vestiti e si infilò anche lui sotto le lenzuola. Abbracciò stretto a sé il corpo di Orlando, che finalmente iniziava a rilassarsi. Gli fece appoggiare la testa sul suo petto e lo cullò, dandogli dolci baci sulle tempie, sulla fronte, sui capelli.

 

“Ti amo Vig” sussurrò ancora Orlando, prima di cadere finalmente in un sonno profondo.

 

“Ti amo Orli” rispose l’uomo, sulla sua pelle.

 

***

 

Qualche settimana dopo, Viggo sedeva tranquillamente davanti al computer nella sua camera d’albergo.  Per la prima volta, dopo tanto tempo, non aveva più paura di curiosare su internet. Guardò la pagina che si caricava lentamente pensando distrattamente che Toronto era proprio una gran bella città. Quando le prime foto iniziarono ad apparire sorrise soddisfatto. Iniziò a salvarle, ridacchiando tra sé e dicendosi che si comportava come un ragazzo alla sua prima cotta.

 

Viggo sentì delle braccia forti scivolargli lungo il collo, sul petto e arrestarsi lì, mentre delle dita lunghe e sottili giocherellavano con noncuranza sui bottoni della sua camicia. Sentì una fresca carezza sul volto e minuscole goccioline d’acqua scivolare lungo il suo viso, sulla gola, sulle spalle. Scoppiò a ridere, felice e si voltò. Orlando era appena uscito dalla doccia, ancora bagnato, con un asciugamano legato in vita. I lunghi capelli che gli circondavano il volto in una carezza gentile.

 

Lo afferrò alla vita e lo fece sedere sulle sue gambe. Con la bocca, iniziò ad asciugare tutte le goccioline d’acqua sul corpo del suo amore. Il suo volto, la gola, le spalle, il petto. Ovunque passasse lasciava scie di fuoco e i muscoli di Orlando si tendevano per il piacere. I suoi gemiti diventavano sempre più frequenti e incontrollati.

 

Viggo sorrise ancora, gli era venuta un’idea. Si alzò in piedi, prendendo in braccio Orlando che si aggrappò a lui, sorpreso.

 

“Vig, ma cosa..?”

 

Venne interrotto da un bacio infuocato. Viggo incollò le labbra alle sue, premendole forte, sfregandogliele con i denti, come se volesse divorarle. Quando la lingua dell’uomo penetrò nella sua bocca, con forza, Orlando sentì una scarica elettrica attraversare tutto il suo copro e concentrarsi infine al ventre. Fu preso da un ansia febbrile e strinse ancora di più le gambe attorno ai fianchi di Viggo. Le braccia attorno al suo collo, mentre passava frenetico le dita tra i suoi capelli e con l’altra mano si afferrava forte alla camicia.

 

Viggo gli tolse in un colpo solo l’asciugamano, godendo di quel corpo ora caldo e completamente nudo contro il suo, ancora  vestito. Per un attimo gli venne voglia di giocare, di portare Orlando fino al limite estremo dell’eccitazione, ma si rese conto che l’unico ad uscirne sconfitto sarebbe stato lui. Cielo, ma cosa aveva quel ragazzo? Com’era possibile che gli facesse perdere così tanto la testa che non riusciva a resistere un attimo lontano da lui? Fuori dal suo corpo?

 

Orlando intanto aveva abbandonato la sua schiena e cercava di slacciargli i bottoni della camicia, con un gemito di frustrazione, gliela strappò. Viggo interruppe il bacio e scoppiò a ridere, fissandolo con uno sguardo malizioso. Si sfilò l’indumento, senza perdere la presa sul corpo del ragazzo e sentì le mani di Orlando che erano scese sulla cintura dei jeans, la sua lingua che gli lambiva il collo, raggiungeva il punto che lui adorava e leccava con forza. I suoi denti sfiorare la carne, lasciandovi un marchio. Sì, era suo anima e corpo. Viggo apparteneva ad Orlando. E Orlando apparteneva a Viggo. Per quanto potessero fare o dire tutti gli altri questa era l’unica verità che c’era. L’unica verità che contasse.

 

Viggo depose per un attimo Orlando a terra, ignorando il suo gemito di protesta che gli arrivò dritto all’inguine, facendo aumentare l’urgenza e il bisogno che già sentiva forti. Si spogliò in fretta, il corpo scosso dai brividi, mentre Orlando lo fissava voglioso, leccandosi le labbra. Quando finalmente fu nudo, Orlando gli saltò nuovamente in braccio, all’improvviso, costringendolo ad indietreggiare per ritrovare l’equilibrio e ad appoggiarsi contro la parete.

 

Orlando incollò le labbra alle sue, baciandolo con una passione che lo lasciava ogni volta senza fiato. Viggo si voltò, facendo aderire la schiena del giovane alla parete e iniziando a muovere il bacino su di lui, ora con foga, ora più lentamente. Orlando piegò la testa all’indietro, sotto quell’assalto improvviso. La bocca spalancata in un gemito di piacere, gli occhi sgranati. Poi riabbassò la testa di scatto, poggiando la fronte su quella di Viggo, ansimando, fissandolo negli occhi brucianti dal desiderio.

 

“Vig….” sussurrò solo, in una preghiera.

 

Viggo non resistette a quell’implorazione. Non resistette a quello sguardo di fuoco. Non resistette alla passione in quella voce e a quelle labbra che con forza ancora succhiavano le sue. Lo abbassò leggermente e, con un colpo solo, lo penetrò, soffocando con un bacio impetuoso il grido di dolore. Viggo iniziò a muoversi dentro il corpo di Orlando, spingendo forte e sempre più a fondo. Orlando ormai non si controllava più, gemeva con forza, la testa completamente abbandonata all’indietro, la gola esposta ai baci che Viggo continuava a regalargli.

 

Quando si sentì vicino, Viggo insinuò una mano tra i loro corpi e la chiuse sul membro di Orlando, anch’egli pronto ad esplodere. Aumentò la forza delle spinte e il ritmo, muovendo all’unisono il bacino e la mano. Orlando non resisteva più, la mente ottenebrata completamente dal piacere, i pensieri scomparsi. Era solo senso, solo emozione. Poteva sentire con tutto il corpo, con ogni più insignificante cellula del suo corpo e tutto ciò che sentiva era lui. Soltanto lui. Viggo.

 

Vennero insieme, ancora una volta, ognuno col nome del suo amore sulle labbra. Viggo si appoggiò contro il corpo di Orlando, sulla parete. In un ultimo sforzo, uscì da lui e portò entrambi sul letto, a pochi passi da loro. Depose Orlando, delicatamente e si lasciò cadere accanto a lui, sospirando.

 

Orlando si voltò verso Viggo, abbracciandolo stretto e lasciando che l’uomo lo stringesse a sua volta a sé. Sorrise e quel sorriso illuminò il cuore di Viggo di una felicità che lo commuoveva sempre. Viggo gli baciò piano una tempia, poi cercò la sua mano e la strinse forte, portandosela al petto. ‘per sempre’ pensò. Accarezzò ancora una volta quei morbidi ricci ancora umidi e si addormentarono così, stretti l’uno all’altro. Felici, certi del loro amore. Erano di nuovo insieme e questa volta niente e nessuno li avrebbe separati.

 

 

The End

 

 

 

Ringraziamenti: allur… prima di tutto ringrazio la mia amatissima Elf che anche stavolta ha realizzato un bellissimo video che ha fatto da sfondo ad una scena di questa fic. (O meglio… la canzone del video… hihihihihi ndCal) quale??? Ma Long Night dei Corrs ovviamente ^________^

Perché, come dice lei, questa canzone fa inevitabilmente pensare a loro (o almeno a prima di Toronto, ora chissà… :PPP) inoltre la ringrazio per aver passato con me ben due serate deliranti in chat discutendo su Orli/Vig e Vig/Orli e su questa fic… grazie tesorina, sei meravigliosa come sempre!!! ^______^  poi, vorrei ringraziare quella santa donna di Margherita, che ogni volta si sobbarca l’onere di sopportarmi e leggere frammenti di tutto quello che scrivo….. carissima… non ho abbastanza parole, ma tu sai…..  ^___-