.|. The Night Before You Die .|.

 

3. Lettera di Haldir

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Mio diletto Lùmian,

mentre ti scrivo queste parole, siedo in una stanza nella fortezza di Helm. Attendendo la fine della notte – una notte che in molti desidererebbero rendere infinita.

Immagino che l’arrivo di questa lettera fosse ciò che temevi; poiché sta a significare che io sono rimasto qui, ad affrontare questa battaglia, anziché ripartire come avrei potuto.

Ma non ti ho mai mentito, non è così?

Né ho intenzione di cominciare ora. Le mie ultime parole, se questo sarà il fato, non saranno di menzogna.

Sono ormai secoli che cammino su questa terra. E per millenni, eoni perfino, potrei seguitare a camminarvi. Dunque, perché rischiare questa eternità che mi è concessa? Perché azzardare questo passo, se avrei la possibilità di andarmene da qui, senza macchia e senza smacco?

Numerose sono le risposte che mi sono presentato. Per onore; perché il mio orgoglio non mi consente di rifuggire una battaglia; perché la mia lealtà mi lega alle antiche alleanza; perché sono legato a questa terra, in quanto suo abitante; perfino perché la mia volontà di difendere uno in particolare fra questi guerrieri mi impedisce di abbandonarlo.

Ma la verità è un’altra.

Come tu ben sai, la mia sete di ricerca e conoscenza mi ha accompagnato durante i lunghi anni della mia esistenza. Ricorderai i miei studi, le mie ricerche, gli sforzi del mio raziocinio al fine di comprendere e motivare ogni fenomeno che stuzzicasse la mia curiosità.

Ebbene, è questa la sfida più grande, il più grande mistero: la morte.

È questa la ricerca ultima, la più fondamentale e più impossibile nella quale io mi sia mai cimentato.

Non credermi un pazzo, non è così. O forse sì… a ben riflettervi, è assurdo quello che sto facendo. Ma è con scientifica meticolosità che mi sono applicato a questa indagine – ed è con la freddezza ed il distacco di un alchimista che mi appresso ad osservare gli effetti di questo ultimo, fondamentale passo della mia sperimentazione.

Ricorderai, forse, quei druidi di cui ti parlai, una volta. Quei druidi antichi – folli, magari – che su se stessi sperimentavano le loro misture e pozioni, che si tramutavano in cavie per i loro stessi, orribili esperimenti. Ed ora capisco che non era né per rispetto verso le altre creature, né per perseguire deliri di onnipotenza: semplicemente, volevano capire. Volevano provare. Volevano sentire, essi stessi, nella loro pelle e nelle loro ossa, le segrete magie, i sottili cambiamenti – o le tremende mutazioni – che i magici fluidi provocavano.

Volevano comprendere a fondo a cosa la mente può giungere, cosa la mente può diventare, se sottoposta essa stessa al trauma di una mutazione, lo sconvolgimento del fisico e quello della psiche che ne deriva…

Mirate. Io ho camminato nelle irte valli della follia, e da esse sono tornato.

Nessun resoconto, nessuna analisi può eguagliare il potere dell’esperienza diretta. Nel nostro cuore, nessuno di noi realmente crede ai maghi od agli spiriti dei morti – fintanto che, in qualche remota maniera, non riesce a sperimentare una frazione di queste presunte realtà sulla propria pelle. Ed allora – solo allora – cominciamo davvero a convincerci che c’è forse qualcosa di vero, in ciò che abbiamo udito narrare…

È questo il mio scopo. Non confido in racconti, miti o leggende, come quelli che accompagnano Glorfindel di Gondolin. Non confido nei miti degli uomini, nelle storie dei vecchi, che narrano di Mandos e delle sue Aule. Né confido nella fede degli uomini – una fede di cui hanno bisogno, per trovare riparo dalla loro orribile realtà di malattia, vecchiaia e morte.

Ed allora, che io stesso possa scoprire cosa si nasconde al di là dei neri cancelli del non ritorno. Che io stesso possa avventurarmi nell’oltremondo, possa scoprire cosa accade quando il cuore cessa di battere, questo nostro cuore immortale, quando il nostro antico sangue cessa di scorrere, ed il nostro cervello si disfa. Quando la sede della nostra memoria – secoli e secoli, un tale patrimonio di memorie quale un essere umano non potrebbe mai figurarsi – scompare, e si riduce a polvere, e nutrimento per muschi e formiche.

Mentre scrivo questo, la mia vecchia paura riguadagna la superficie, attanagliandomi.

Io non riesco realmente a credere che possa esistere qualcosa – che io possa percepire qualsiasi cosa, quando ogni mio organo atto alla percezione è dissolto! È follia, questa, pura follia! Ma dunque –

Dunque cosa sto facendo io qui. Cosa sto cercando?

Cerco la definitiva smentita a queste mie credenze.

Cerco una prova inconfutabile che mi riveli che ciò in cui ho creduto per tutti questi secoli altro non è che falsità.

Niente più.

Ma concedimi ora di abbandonare queste aride dissertazioni filosofico-scientifiche, delle quali ho già colmato rotoli su rotoli di pergamene.

Se ti ho scritto questa lettera, è innanzitutto perché penso di doverti alcune reali spiegazioni. E, forse, anche alcune scuse.

Mi sei stato al fianco per tutti questi secoli, Lùmian. Lùmian. Quante volte questo tuo nome ha lasciato le mie labbra. La mia mente è piena di te; ogni mio senso conserva il ricordo di un tuo aspetto.

Il tuo volto – i tuoi occhi, così gelidi e terribili – i tuoi capelli, del colore delle querce a primavera.

Il profumo che hanno, quando li strizzi dopo averli bagnati di olii.

Il modo in cui scivolavano fra le mie dita, quando li carezzavo, mentre ti stringevo…

Non ti ho mai detto che ti amavo. Non volevo scadere nella banalità di tutti i miseri, comunissimi amanti. Non te lo dirò neanche ora, mio diletto. Poiché non so se sia in effetti così.

Ti sono molto affezionato, Lùmian, ed ho tratto infinito piacere dal tempo trascorso in tua compagnia. Non insozzerò questa lettera con menzogne.

Non ti ho mai nascosto di amare Legolas, figlio di Thranduil. Egli è qui, stanotte. Ma non è per lui che rimarrò. Non l’ho eletto a mio carnefice, Lùmian, non portargli alcun rancore: non è a causa sua che accadrà ciò che deve accadere.

Ti imploro, Lùmian, trova qualcuno che possa amarti come meriti di essere amato. Il mio affetto infinito, la mia passione, non possono eguagliare ciò che un amore significa.

Ti ringrazio per avermi offerto il tuo, di amore. Ti ringrazio per questi secoli che mi hai donato. Ti ringrazio per essere rimasto al mio fianco, ti ringrazio per avere accettato i miei compromessi. Dovrei forse vergognarmi per come mi sono comportato.

Ma io ti ho voluto bene, mio diletto. Non ti ho amato come mi amasti tu, ma mi sono ritrovato legato a te. Ed è questo un legame che non posso negare.

Ti chiedo perdono, poiché non è ciò che avresti voluto.

Ecco, sento suonare il corno. È giunta l’ora di andare.

Addio, Lùmian. Addio, mio amico. Mio amante. Mio affetto.

Ovunque mi capiterà di risvegliarmi, spero mi sia concesso di conservare un tuo ricordo.

 

Sinceramente,

Haldir