.|. Prigioniero di un Incubo .|.

Nota dell’autrice: Purtroppo questi giorni, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per carenza d’ispirazione, sto lavorando pochissimo alle mie ficcine, quindi mi vedo costretta a compiere un’ingrata scelta: o farvi aspettare almeno altre due settimane o postare il cap.3 di “Prigioniero” dividendolo in due parti e ho deciso per questa seconda opzione, come potete vedere… sperando che la narrazione non risulti troppo discontinua, spezzettata com’è in due capitoli più brevi del solito!

Buona lettura!
 

3. Legami

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“… pareva ai Numenorean di star prosperando […] con l’aiuto e il consiglio di Saruman […] Ed eccoli ora far vela, potentemente armati, alla volta della Terra-di-mezzo, né più vi giungevano come latori di doni, o anche solo quali dominatori, bensì in veste di feroci uomini di guerra. E davano la caccia alla gente della Terra-di-mezzo, si impossessavano dei loro beni e li riducevano il schiavitù, e molti spietatamente ne sgozzavano sui propri altari. […] e la gente li temeva, e la memoria dei gentili re degli antichi giorni scomparve dal mondo, oscurata da tanti e tanti racconti di orrore.”

  Il Silmarillion

 

 

“Il veleno che ha nel sangue normalmente richiederebbe ancora molte ore prima di terminare il suo effetto. Ma io non ho alcuna intenzione di attendere tanto a lungo.” affermò il mago, sfoggiando un sadico e gelido sorriso. Un sorriso di ghiaccio e quel ghiaccio si chiuse tutt’intorno a Legolas, che ne fu sommerso.

Ghiaccio e oscurità senza fine l’attorniavano. La notte aveva risucchiato ogni suono ed il suo spirito vagava in quei luoghi desolati. In quel mare immoto e silente, privo di ogni orizzonte, senza sole né stelle, perso nel vuoto, in balia della cieca disperazione, Legolas lottava strenuamente contro la propria debolezza. Mai prima di allora si era trovato in uno stato di così totale incapacità di agire. Mai aveva sperimentato una così completa sensazione di disfatta, come quella che stava vivendo in quel momento, nell’assistere impotente mentre Notkèron sfiorava la foglia di Lorien che chiudeva il mantello di Aragorn.

“Squisita fattura elfica.” costatò l’uomo con voce atona, poi insinuò le dita sotto la fibula e la fece scattare. Il mantello cadde dalle spalle di Aragorn, scivolando a terra con un sibilante sospiro.

Legolas lo guardava disfarsi uno dopo l’altro degli indumenti di Aragorn. Bastavano un tocco e poche oscure parole ed anche la stoffa più resistente cedeva e si lacerava. Al mago non restava che afferrare i lembi degli abiti del suo prigioniero e strapparli via, strato dopo strato.

In brevissimo tempo sul petto di Aragorn non rimase che la gemma donatagli da Arwen. Il gioiello riposava sul suo cuore, fragile ed imperitura memoria di un sacro legame e la sua luce candida e pura fendeva le tenebre anche in quell’ora, quando ogni speranza sembrava smarrita.

Quella vista parve annullare il tempo nella mente dell’elfo. Null’altro esisteva per lui, solo il laido sguardo indagatore del mago, che si posava con avida lascivia sul limpido cristallo per poi scorrere sul corpo dell’uomo e la soverchiante angoscia di non potersi ergere tra quell’infida minaccia ed il corpo indifeso di colui che non solo era per lui un compagno di viaggio in questa Missione, ma molto, molto di più.

Ma non fu grazie ad uno sforzo di volontà che si riscosse dallo stato nel quale era sprofondato, bensì a causa delle parole che il mago proferì poco dopo.

“Sarà un piacere somministrargli l’antidoto. – disse, caricando volutamente di minacciose allusioni le ultime parole – Il tuo compagno ci offrirà uno spettacolo veramente interessante, vedrai!” e a quel suo tono vibrante di un’inequivocabile malevolenza una gelida ansia ghermì Legolas. Le successive affermazioni del mago non lasciarono adito a dubbio: ciò che temeva stava per avverarsi e nulla vi era che potesse fare per impedirlo.

Con gesti rapidi e decisi Notkèron si era sfilato i guanti e li aveva posati appaiati sulla borsa che portava alla cintura, intessuta di fili di rame e d’argento, che gli circondava la vita sottile.

“Il suo corpo reagirà alla mia magia e gli ultimi residui del veleno verranno consumati in una splendida agonia.” continuava  a dire e Legolas era certo che lo facesse solo per il perverso divertimento che traeva dal tormentarlo.

Quindi Notkèron tese le mani e le posò sul viso di Aragorn e poi, con esasperante lentezza, le fece scorrere verso il basso, verso il petto deturpato da lacerazioni e livide contusioni. Le dita del mago, nel percorrere la pelle nuda del suo prigioniero, indugiarono sulle ferite e Legolas sentì un’ondata di nausea travolgerlo e l’odio crescere ancora più accecante, poiché era costretto ad assistere alla torbida soddisfazione con la quale quell’uomo toccava la carne viva, arrossata ed ancora sporca di sangue rappreso.

L’uomo iniziò ad intonare un canto in una strana lingua oscura e tagliente. L’oscenità di quei suoni feriva atrocemente i sensi dell’elfo, nonostante vi fosse esposto solo di riflesso, come se a lui giungesse solo l’eco della ignobile magia nera evocata dalla voce del mago. Mentre questi proseguiva nel tessere l’incantesimo, Legolas vide con orrore dei segni vermigli, simili a scritte, apparire sul petto di Aragorn, a partire da dove il mago l’aveva toccato. Li vide risalire sul collo e proseguire dietro alle spalle e lungo le braccia e contemporaneamente scendere sul petto, verso l’addome. Un graffiante terrore si faceva strada nella mente dell’elfo. Quei segni rossastri continuavano a formarsi e, come vergati da un acuminato stilo rovente, s’incidevano in profondità nella carne. Proseguivano nella loro macabra danza allacciati gli uni agli altri sulle membra di Aragorn, avviluppandolo nel loro mirabile maleficio, penetrando oltre l’inutile protezione dei pochi abiti che ancora indossava. Legolas continuava a seguirli nei loro contorti percorsi. Li vide scomparire all’altezza della vita, celati dai pantaloni e poi inevitabilmente ricomparire sulle sue caviglie nude, ricoprirne la pelle e terminare infine sui piedi, fermandosi all’attaccatura di ogni singola falange, in attesa di compiere il  loro perfido sortilegio, come belve in caccia, pronte a balzare sull’ignara preda.

La stridente cantilena s’interruppe di colpo, come tagliata con un improvviso fendente da una lama affilata.

“Solo una mia parola – sghignazzò compiaciuto il mago – ed il tuo amico sperimenterà il più perfetto dolore che si possa infliggere ad un essere vivente. Io comanderò al suo corpo, ad ogni sua singola cellula di accendersi come una pira e quelle obbediranno alla mia arte, perché questo è ciò che porta tracciato su di sé, il marchio della mia volontà sul suo corpo.” concluse e una folle esaltazione brillava nei suoi occhi scuri come le acque dell’oceano in una notte senza stelle.

“Il suo corpo si tenderà nello spasimo, i muscoli saranno attraversati da fitte lancinanti e gli sembrerà che la sua mente sia squarciata dalla sofferenza nell’istante stesso in cui riacquisterà coscienza di sé e allora desidererà tornare nell’oblio! Ma non potrà. Perché niente e nessuno può resistere al potere che lo circonda e che s’infiltrerà in lui, penetrando le scarne difese del suo corpo e della sua debole mente. – proclamò con sozza voluttà - Eppure dovrebbe essermi grato, perché in questo modo ho dissipato tutto ciò che rimaneva del veleno nel suo sangue, l’ho purificato come la mia arte!” terminò con turpe compiacimento.

Ogni pensiero coerente aveva lasciato la mente di Legolas ed era stato sostituito da un’oscurità pulsante, quasi che il solo pensiero di assistere alla tortura cui Aragorn stava per essere sottoposto avesse dissipato ogni suo pensiero cosciente. D’un tratto gli parve che nulla più non fosse, poiché le tenebre erano piombate su di lui e solo un’infinita notte scorgevano i suoi occhi ancora spalancati. Le sue orecchie non udivano più quali altre meschine parole stesse pronunciando quell’essere immondo, perché il rombo del suo sangue le aveva rese sorde ad ogni altro suono.

Legolas pareva essere diventato un corpo senza vita né volontà. Svanita era ogni speranza dal suo cuore, ma, quando il primo gemito di Aragorn fendette la nebbia che gli ottundeva la mente, l’oscurità che l’aveva sommerso si dileguò.

Il mago ora gli dava le spalle e la sua schiena sussultava per le crudeli risa d’infame soddisfazione, il cui disgustoso suono riecheggiava tra le possenti pareti di umida roccia della cella.

Il corpo di Aragorn era scosso violentemente da frequenti contrazioni e pareva quasi cercare di piegarsi su se stesso, nell’inutile tentativo di sfuggire all’impietoso assalto che sembrava stesse devastando tutto il suo essere. Eppure apparentemente nulla stava accadendo. Non aveva versato neanche una goccia di sangue, né si erano aperte nuove ferite. Solo quelle maledette scritte che ricoprivano il suo corpo emanavano un fievole bagliore intermittente.

Infine Aragorn urlò. Il sortilegio era compiuto.

Un’unica lacrima cristallina rigò la guancia di Legolas, brillando per un istante prima di cadere e perdersi nella plumbea oscurità che neanche i bagliori solferini delle torce raggiungevano.

In quel momento il rancore s’impossessò di Legolas, cosicché il furore arse in lui consumando ogni altro sentimento e fu in quell’istante che giurò a se stesso che tutto ciò che Aragorn aveva e avrebbe patito per mano di Notkèron, ogni sofferenza che gli sarebbe stata inferta, l’avrebbe fatta pagare al mago. Estremamente care gli sarebbero costate le sue perversioni, non appena Legolas l’avesse avuto in suo potere. E non dubitava che un giorno questo sarebbe avvenuto. Avrebbe resistito. Era determinato a sopravvivere a qualsiasi cosa per giungere a vedere avverarsi la sua terribile vendetta.

Aragorn emise un debole gemito. Il suo volto rimaneva ancora reclinato, eppure su di esso ancora si poteva scorgere il segno lasciato dal dolore che fino a pochi secondi prima l’aveva tormentato. I suoi occhi erano stretti ed il corpo, mollemente abbandonato sulle catene cigolanti che lo sostenevano eretto, a tratti era scosso da un tremito indistinto.

Il mago gli si avvicinò lentamente, come se fosse indeciso, se stesse meditando come utilizzare un nuovo balocco appena scoperto. Eppure pareva ci fosse qualcosa di più profondo nel modo in cui i suoi occhi nerissimi come quelli del falco si assottigliavano, mentre il suo sguardo dardeggiava tra il volto stremato del suo prigioniero e la gemma elfica che gli splendeva sul petto, la cui luce per nulla era stata offuscata dall’ordalia a cui era stato sottoposto Aragorn.

Legolas se scoprì a pensare che forse, nonostante tutto ciò che era accaduto, il vero orrore fosse ancora di là da venire.

“Il nostro ospite si sta svegliando. – disse il mago, costatando l’ovvio, ed esibendosi in un ennesimo, istrionico mutamento d’umore, aggiunse – Sono lieto che tu ti sia finalmente unito a noi.” Un velo d’ironia gl’inacidiva la voce.

Le sue parole fecero rabbrividire Legolas. Quanto sarebbe durato stavolta quel gioco insano? Per quanto avrebbe procrastinato il momento in cui avrebbe sfogato su Aragorn tutte le sue folli frustrazioni? Avrebbe voluto avvertire Aragorn, metterlo in guardia sui poteri di quell’uomo, ma non poteva. Eppure non disperava, poiché era certo che Aragorn sarebbe stato in grado di affrontarlo. Sentiva che avrebbe saputo fronteggiare insidie ben più temibili di questa e quindi, mescolata all’apprensione per la loro sorte, all’angoscia e al rancore per la tortura cui era stato costretto ad assistere, vi era anche una vaga aspettativa, quasi che in fondo al cuore credesse che Aragorn avrebbe sistemato ogni cosa.

Intanto Notkèron attendeva in silenzio che la sua vittima si riprendesse.

Aragorn mosse con fatica il capo, lo sollevò, ma subito gli ricadde in avanti e poi tornò a rialzarlo. Cercò di aprire gli occhi più volte prima di riuscirvi del tutto. Le sue pupille erano dilatate e vitree e, come uno specchio dimenticato in un angolo buio, in esse si riflettevano solo debolmente le fiamme delle torce lontane, attaccate ai muri ai lati della stretta porta incassata nella roccia. Un rantolo gli sfuggì dalle labbra riarse e finalmente mise a fuoco la figura che gli si parava dinanzi. Legolas vide la consapevolezza affiorare sul suo volto ed insieme ad essa il suo sguardo incupirsi e la linea della bocca serrarsi in una morsa severa e tenace. Si stava preparando a lottare.

Tutto ad un tratto anche sul viso del mago comparvero nuove espressioni, quasi che l’avesse raggiunto un’improvvisa consapevolezza. Il suo sguardo si era fermato sulla mano dove Aragorn portava l’anello di Barahir e lo fissava con insistenza e con inusitata intensità. Qualcosa aveva suscitato in lui un interesse sorprendente, tale da fargli abbandonare il desiderio di condurre quel suo iniziale, subdolo gioco. Il confronto stava per cominciare, si disse Legolas, sperando che Aragorn fosse pronto per ciò che stava per venire. Ma anche lui fu sorpreso dal modo con cui il mago si rivolse ad Aragorn.

“Ma quale fortuna! Quale inaspettata fortuna è averti qui tra queste mura!” esclamò e proruppe in una convulsa risata, che parve strappargli il fiato. Inframmezzate a quello scoppio d’incontrollata ilarità vi erano delle parole, spezzate e confuse, delle quali Legolas riuscì a comprendere solo: “Oh, sì… quasi non posso crederci neanch’io” e poi più nulla d’intelligibile fu pronunciato da quell’individuo.

Legolas si chiese se il mago non avesse smarrito la ragione o se quello spettacolo non fosse che un’altra espressione della sua mente deviata. Ma così non era, purtroppo.

Terminato che ebbe di ridere sguaiatamente, Notkèron riprese a parlare.

“Ora ti riconosco, uomo dell’Ovest! Quale ironia della sorte averti qui. Lo stesso sangue scorre nelle nostre vene. – la sorpresa bloccò ogni reazione in Aragorn, lasciandolo senza parole - Questo ti stupisce, vero? Ma è così. Oh, si, se lo è! In me e in te. Da generazione in generazione ha inquinato la mia razza! Il sangue di condottieri brutali e corrotti, che violentavano le donne che osavano resistergli. Alcune si sono uccise, tagliandosi il ventre, aprendoselo per estirpare il seme velenoso di Nùmenor. Altre più scaltre hanno preferito attendere, per togliere la vita solo a quegli inutili, miseri esseri che sarebbero usciti dal loro corpo. Ma altre più deboli o forse solo più sciocche e sentimentali hanno preferito allevare i figli dei Nùmenoreani e così il vostro sangue si è mescolato a quello dei miei antenati.”

Legolas era stordito dall’orrore, gli pareva di avere davanti agli occhi visioni immonde di braccia ricoperte di sangue e di corpi mutilati, corpi che non ancora avrebbero dovuto vedere la luce del sole e che mai l’avrebbero vista. Gli occhi annebbiati dalle lacrime, che copiose scivolavano lungo le sue guance portando con sé l’agonia di un passato che tornava a ripresentarsi con il suo carico di orrori intatto, Legolas assisteva a capo chino, mentre Notkèron continuava a narrare una mostruosità dietro l’altra, a narrarle con un infinito malevolo piacere ad Aragorn, che assorbiva tutte quelle velenose parole, incatenato come un corpo inerte. Le uniche cose dalle quali si potevano indovinare le sue reazioni erano la sua mascella serrata, i muscoli contratti sulla gola ed un tremore quasi impercettibile, che aveva iniziato a scuotere le membra dell’uomo.

Quali pensieri tormentavano il suo spirito? Legolas non poté fare a meno di chiederselo. Quali amari dilemmi si insediarono nell’animo di Aragorn?

Legolas giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per sostenerlo. Per lealtà, ma soprattutto per amore aveva deciso di affidargli la sua vita, sicuro della propria scelta e certo di voler essere con lui ovunque il destino le avrebbe condotto. In questo riconosceva che non vi era solo l’espressione della fiducia che nutriva in lui, ma il desiderio di mostrargli quanto questa fosse profondamente radicata nel suo cuore e con la sua presenza  e dedizione assicurarlo dell’incontrovertibile ed incrollabile legame che si era instaurato tra loro.

Infine Aragorn incrociò il suo sguardo con quello del mago e determinazione e pietà risplendevano nei suoi occhi, come uno scudo lucente intorno al suo cuore.

 

Nel Cap. 3b: Urla nell’oscurità: il confronto tra Aragorn e Notkèron

 

Marea