.|. Schegge di Follia - take 2 .|.
8.
L'Amante Fantasma ~
Set
me free
From
chains of the physical
O
free me, O free me!
The
mirror melts
I'm
somewhere else
Inside eternity
Where you on
Outstretched wings
Sing
within
The
Garden of Everything
Where memories
Call
to me
Backward dreams?
Or
phantom reality?
Call
to me, they call to me
And
so here we are
Lovers of Lost Dimensions
- Rahxephon Movie Single Song – “The Garden of Everything”
A
shadow from another time is waiting in the night
–
October Project – “Bury My Lovely”
And
you see me crying again
And
you hold out your little hand
Lead
me shaking to his room
I
thought I'd never see again
Now
you're stepping back towards me
Till
the room is bathed in light
And
the answer there before me
There's no ending when we die
-
Toad the Wet Sprocket - "Begin"
Una notte, due
notti.
Per le strade, la
gente mormorava concitata. Come sempre, Turlos era partito per la
superficie senza una parola. Ma le testimonianze di coloro che l’avevano
visto partire fecero sorgere indicibile scalpore: c’era stata
un’espressione sul suo volto, mentre cavalcava via nelle tenebre.
Un’espressione. E, sebbene nessuno potesse crederci, nessuno dubitava.
Tre notti.
Quattro.
L’organismo di Aragorn,
che aveva reagito alla presenza Turlos come ad una droga, reagì alla sua
scomparsa come di fronte ad una crisi di astinenza. Smania e desiderio lo
tormentavano, lo consumavano, facevano di lui un malato ed uno schiavo, e
non c’era attimo nella sua follia che non fosse consacrato al pensiero di
Turlos.
Cinque notti. Sei. Sette.
I primi freddi scesero
sulla superficie martoriata, il ghiaccio ricoprì le strade sotterranee con
avide dita viscide, mentre l’anniversario funesto della morte di Aragorn
in quel mondo si avvicinava inesorabilmente. La gente mormorava. Spavento.
Preoccupazione. Dubbio. Bisogno. Turlos non tornava. Turlos non tornava.
Una settimana. Due.
I primi sintomi di terrore
nelle strade. Atti di violenza ad ogni angolo. Grida. Pianti. La debolezza
che dilagava nel corpo forte di Aragorn. Vampe di calore e gelo lo
lasciavano zuppo di sudore gelido e in preda a tremiti convulsi. Il sonno
che si faceva scarso, tormentato. La mente che perdeva contatto con la
realtà, brancolava nella foschia, allucinazioni che lo facevano urlare e
tendere le braccia a figure d’effimero fumo.
Come gli sembrava naturale
ora che mille e mille prima di lui erano morti perché Turlos non li
degnava di uno sguardo! Forse sarebbe morto anche lui. Forse nella morte
l’avrebbe rivisto.
Tre settimane. Un mese.
Nella sua debolezza,
l’unica cosa di cui Aragorn era conscio era il bisogno che aveva di
Legolas e di Turlos (che nella sua mente erano uno e doppio, come le due
facce di una medaglia, come immagine e riflesso nello specchio, uguali e
contrapposti).
Quel volto, quegli occhi,
quella voce, quelle mani! Aragorn ne era ossessionato. Lo voleva - voleva
quella creatura, quale fosse il suo nome. Ed ogni momento che passava
acuiva il suo desiderio, sempre, fino alla morte.
Due mesi.
Neve e ghiaccio iniziarono
a riversarsi dalle fenditure nella montagna invece che luce. Gelo nel
corpo. Gelo nell’anima.
E Turlos ancora non
tornava.
Violenze e misfatti erano
aumentati in maniera vertiginosa nelle viuzze buie e desolate, perché
nessuno vi era più a punire le mani dei colpevoli. Le celle sotterranee
furono stipate fino a traboccarne di persone in attesa di giudizio, ed
esse ridevano isteriche, quasi sull’orlo del pianto, perché nessuno
sarebbe giunto a punirli. Fuochi ad ogni angolo, sangue, grida. Tumuli e
pire funerarie furono erette a decine, e mentre vedove e orfani si
accasciavano al suolo strappandosi i capelli, l’aria s’ammorbava di gemiti
strazianti: un suono come lo sciabordio del mare, che cala e risale e
trabocca e recede, all’infinito. Pazzia e sgomento travolsero e
ricoprirono la Città Nascosta come le acque di un fiume in piena; nuove,
terrificate voci si levarono dalla folla, e nelle tenebre della
disperazione germogliarono i miti più inquietanti e oscene profezie di
distruzione.
“Non tornerà più! Ci ha
abbandonati, vi dico, abbandonati!”
“Il Signore Turlos prova
di nuovo amore, e non è noi che ama! Noi non siamo nulla per lui, e senza
la sua protezione saremo spazzati via come foglie d’autunno nel vortice di
un uragano!”
“Il suo cuore di ghiaccio
si è sciolto, e tutte le sciagure degli Antichi Libri si abbatteranno su
di noi!”
“Nessuno più ci protegge,
nessuno più si cura di noi! Soli, siamo soli!”
“Che senso ha combattere
ora, o solo vivere? Verremo distrutti tra sofferenze indicibili, finché di
noi non resterà che polvere! Non c’è più speranza per chi viene
abbandonato!”
“Valar abbiate pietà di
noi, Manwe delle Alte Brezze, Elbereth Madre di Stelle, Ulmo del Mare
Azzurro…”
Inaspettatamente, in
quella cappa di terrore psicopatico Aragorn andava avanti come se non ne
fosse toccato. Oh, si: egli ben vedeva gente derelitta strisciare
piangendo per le vie, o abbandonarsi come morta in cantucci fangosi e
viscidi. Vedeva i misfatti e l’orrore. Allo stesso modo gli giungevano
all’orecchio le implorazioni strazianti. Eppure egli restava a contemplare
incurante quella massa lamentosa che brulicava sotto le sue finestre, e
senza struggersi.
Si stava operando un
cambiamento fondamentale in lui, una disintossicazione dalla passione
morbosa ispirata da Turlos. E questo senza che Aragorn se ne rendesse
conto. Anzi: se di una cosa era certo, era di aver perduto del tutto ogni
contatto con la realtà, ogni parvenza di senno. Il suo mondo, che prima si
era incentrato completamente su Turlos, -un essere reale e nitido, per
quanto insensibile- adesso ruotava attorno ad un'altra fonte d’estasi
–vaga e intangibile- che lui chiamava Olórë, Il Sogno.
Il Sogno era andato
da lui per la prima volta all’incirca un mese dopo la scomparsa di Turlos,
ed era ormai tutto ciò che tratteneva insieme le fragili vestigia della
sua mente. Una mera illusione, ma abbastanza reale perché Aragorn si vi
perdesse, come un naufrago che dopo ore di strenue lotte inutili si
abbandona al dolce oblio, e lascia che i flutti si chiudano su di lui e lo
cullino.
Persino in quel momento,
steso supino sul suo letto, gli occhi fissi alle tenebre brulicanti sul
soffitto, il Ramingo attendeva che il Sogno venisse a prenderlo, lo
avvolgesse nelle sue voluttuose spire, e lo trascinasse in quell’abisso di
estasi che ormai ogni notte l’ospitava.
Oh, ma eccolo che giunge!
Il dolce oblio, l’estasi sognante!
Un sussurro leggero gli
echeggiò nella testa – non un suono; una vibrazione come le onde che
increspano la superficie lunare di un lago. Un richiamo senza suono, che
lo chiamava per nome. Le candele, decine e decine di lucine sparse nella
camera trasandata, tremolarono e morirono ad un vento inesistente. Nella
stanza rimase ad aleggiare solo uno spettrale bagliore azzurro, come se
l’aria fosse acqua, e la terra il fondo dell’oceano. Poi giunse alle sue
narici una fragranza
(Vaniglia, incenso,
miele, la sua pelle, il suo profumo)
indefinibile. Aragorn sentì il torpore
inondargli corpo e mente; come per un incantesimo, avvertì l’ingannevole
sensazione di stare galleggiando. Poi, attraverso i confusi veli di luce
vide quella splendida figura camminare verso di lui,
prendendo corpo mentre avanzava, facendosi più reale, i suoi contorni più
nitidi.
Prima vennero gli occhi, luccicanti al pari
di due gemme incandescenti. Poi il vago contorno del petto, l’ondeggiare
sinuoso dei capelli, la veste vaporosa che filtrava la
luce come una coltre di candida nebbia.
Il
desiderio che si allargava nel corpo di Aragorn era tale, e tanto intenso,
che ogni attimo si fece sofferenza, ogni respiro un gemito.
Miele, incenso, vaniglia.
Legolas si chinò su di lui. La luce inondò
gli angoli
incantevoli del suo volto, gli zigomi alti, la curva forte del mento;
sembrò modellarli dalla penombra cangiante.
Aragorn sentì le mani invisibile che avevano cercato di ucciderlo
lambirlo, accarezzarlo, aprire lentamente le sue vesti e farle scivolare
via dal corpo madido.
Vaniglia, miele, incenso.
Le mani fantasma
sparirono. Lentamente, le dita di Legolas sfiorarono il suo corpo. Erano
fresche contro la pelle umida e ardente; e morbide, sebbene sembrassero
candida pietra. Le labbra rosee si sciolsero in un sussurro che Aragorn
non udì. I capelli candidi scivolarono lungo il petto del Ramingo come
carezze d’amante.
Incenso, miele, vaniglia.
Il bagliore celeste era
una ghirlanda attorno al suo capo. La luce danzava in mille riflessi
d’argento nei suoi occhi. Dolore; ecco cosa traspariva sul suo volto in
quel momento. Si stese sul corpo di Aragorn, coprendolo come un manto.
Morbida pietra. Neve calda. Reale. Illusorio. Vivo. Senza dubbio.
Miele selvatico, incenso
pungente, fior di vaniglia.
Estasi pura, non più
morte.
Strinse le cosce attorno
ai fianchi di Aragorn, lo sfiorò in punta di dita. Quando le loro bocche
s’incontrarono, quella dell’Elfo era bagnata di lacrime.
“Io non sono qui, non
posso essere qui,” gli ripeteva Legolas sussurrando. “Io sono morto, e non
posso venire da te.”
“Questo è solo un sogno,” mormorò Aragorn,
ammirando la pelle bianco latte e
la bocca, che sembrò così dolce quando sorrise.
“Solo un sogno.” Legolas annuì.
“Ricordalo: solo un
sogno.” Dita gelide scesero tra le gambe di Aragorn, ma la sua eccitazione
non diminuì. Lasciò scivolare le mani sui fianchi stretti dell’Elfo che
brillava sopra di lui. “Questo è l’unico luogo in cui posso essere ancora
vivo. E in cui posso essere tuo. Questo è un sogno.”
“Si…” mormorò Aragorn nel
momento in cui i loro corpo si univano. Gettò indietro la testa, gridando;
e Legolas, l’amato, caldo Legolas che lo guardava da dentro il corpo di
Turlos gridò con lui, mentre iniziavano a muoversi insieme.
Chiudendo gli occhi, Aragorn vide miriadi di
fiori di sangue fiorire e morire dietro le palpebre chiuse, gli stessi
fiori visti nello specchio, e conobbe passato e futuro, e lo dimenticò. E
l’estasi ancora saliva, echeggiante come un coro, traboccante come la
marea; estasi del corpo, con
l’incenso e i fiori che
avvolgevano il suo spirito;
estasi dell’anima
mentre fissava la pupille nere nei profondi occhi pallidi. Estasi che
saliva ancora, finché egli sentì di non potersi più trattenere, e si mosse
più veloce, eppure più dolce, perché l’amava.
Glielo disse; gli
disse: “Ti amo,” e Legolas divorò le sue parole in un bacio ardente, e la
fiamma della loro passione fu rianimata e fatta esplodere nel sapore
triste delle lacrime. Le loro mani si cercarono, pelle umida e luccicante
che scivolava, caldo contro gelo, e le loro dita si strinsero. Fecero
l’amore negli abissi marini che non erano altro che stanze inondate dalla
luce della luna alta, altissima sopra la città, sopra il Monte che la
custodiva.
Fecero l’amore in sogno, eppure,
al culmine
dell’estasi, Aragorn si domandò,
come decine e decine di altre
notti prima, se non fosse tutto
reale.
Come
decine e decine di altre notti prima, non trovò risposta.
Come decine e decine di altre notti prima, si
risvegliò solo e scosso da tremiti convulsi, in preda a un gelo impossibile
da definire.
Come
decine e decine di altre notti prima, tutto era di nuovo al suo posto -
vestiti, candele e lenzuola.
Come
decine e decine di altre notti prima, nell’aria aleggiava stuzzicante il
vago profumo di Turlos.
*sorrisetto* Son
cattiva, lo so… secondo voi è tutto reale o tutto un sogno? No, davvero,
mi piacerebbe sapere le vostre impressioni…
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