.|. Ithiliest .|.

Capitolo Due

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Il colore della notte aveva invaso tutto.

Era scivolato all’interno della stanza. Dovette accendere delle candele.

Subito lo specchio ne carpì la luce.

Il silenzio aveva impregnato il luogo. Tanto l’aveva avvolto che non si accorse dei rumori che provenivano fuori dalla finestra.

Il vento soffiò dolcemente, scuotendo verso l’interno le tende bianche e trasparenti.

Si osservò, scrutandosi. Qualcun’altro al di là del vetro lo stava guardando. Ma la sua immagine riflessa non gli piacque. Non si piacque. Aveva la sensazione che gli mancasse qualcosa. La fiamma delle candele ondeggiò accanto a lui, creando delle sfumature sul suo corpo, che si stagliava chiaro contro l’oscurità della parete. I capelli brillarono di un oro ancor più intenso.

Ma il suo volto sembrava restare opaco. O almeno questa era la sua impressione. Aveva bisogno di luce, una luce nuova. Sentiva questa necessità bruciargli dentro da molto tempo.

Ma dove trovarla?

Nei confini, ormai delimitanti di Bosco Atro oppure fuori, in terre ancora a lui sconosciute?

Cercarla dentro di sé, oppure nell’anima di qualcun’altro?

A lungo aveva meditato su queste cose. Ma la risposta sembrava non arrivare. Non ancora.

Mentre nel suo cuore cresceva l’ardore...

 

Si portò le mani sulla tunica che aveva appena indossato e con un gesto lento, quasi meccanico s’intrecciò i lacci, nascondendo, istante dopo istante, il petto nudo allo specchio.

Li legò, infine, tra di loro con una forte stretta. Dopodiché sollevò dal collo i capelli ancora umidi e li lasciò ricadere morbidi sulle spalle.

Sospirò. Chiuse gli occhi. E guardò nuovamente la sua immagine riflessa.

Gli sembrava ancora di provare le sensazioni vissute poche ore prima nel bosco. Le sentiva sulla pelle. Profumi e immagini scorrevano veloci come linfa nel suo corpo. Non cessavano d’inebriarlo.

"Lùnithien..." mormorò scuotendo la testa in un sorriso.

Ancora sentiva su di sé le dita rapide e delicate della compagna, le sue labbra, i suoi baci a fior di pelle, tremanti di desiderio.

Rivide per alcuni istanti il loro inseguirsi tra gli alberi, ne provò l’ebbrezza, la tunica di lei scomparire dietro i tronchi per poi ricomparire d’improvviso e rapirgli lo sguardo.

Chiuse gli occhi. Li riaprì di colpo, "Il Dunédain!" esclamò.

Delle immagini gli rotolarono nella mente.

Si... Lùnithien, ma anche... l’Uomo!

L’aveva colpito, era rimasto sorpreso da quell’arrivo, si era divertito a giocare con lui, a catturarlo quando meno se lo aspettava, a tentare di intimorirlo, a veder brillare nei suoi occhi una scintilla di complicità. Anch’egli, infatti, sembrava voler condividere quel gioco.

Sembrava ci fosse stata intesa fin da subito fra di loro.

Chissà com’era approdato a Bosco Atro… Chissà dove si stava dirigendo… Chissà come sarebbero andate le cose se lui e la sua compagna non si fossero trovati nei paraggi in quel momento… Chissà se... li aveva davvero visti mentre...

Abbassò gli occhi a quel pensiero, ma l’immagine nello specchio tradì un sorriso.

«Dove si troverà ora?» si chiese, tentando di scacciare altri pensieri.

Forse Menïsyr e gli altri Elfi lo avevano condotto in qualche stanza a riposare, oppure gli avevano indicato la strada migliore per uscire dai confini di Bosco Atro.

Sperò che non si trattasse di quell’ultima possibilità.

Si meravigliò di quel pensiero.

Ma gli sarebbe dispiaciuto se gli avessero chiesto di andarsene, come allo stesso tempo, in segreto, coltivava nel cuore il desiderio di poterlo rivedere ancora.

L’Uomo doveva avere molto da narrare. L’Elfo lo sentiva. E voleva conoscere.

"Basta…" mormorò, "…è da troppo tempo che a Bosco Atro non giungono stranieri, e troppo spesso sono stati visti con diffidenza. Sono stanco..." s’interruppe, "...ma perché ...?" sussurrò, "...perché…?" disse spalancando i grandi occhi azzurri come in una preghiera, "Vorrei che le cose potessero andare diversamente..."

 

Rumori di voci confuse, schiamazzi e trambusto, lo destarono dai suoi pensieri. Solo allora si accorse della grande luce che proveniva da sotto il suo palazzo.

Si affacciò alla finestra e vide che un grande chiarore di candele illuminava una lunga tavola imbandita a festa, ricoperta da una tovaglia bianca. Sopra vi erano, sistemate con cura, stoviglie e brocche colme di vino. I bordi erano intrecciati a fiori freschi, alcune candele erano posizionate ai due estremi del tavolo, mentre al centro, in un recipiente di metallo, bruciava un grande fuoco che s’innalzava scoppiettante verso il cielo.

Un via vai frenetico di Elfi, che si affaccendavano a sistemare le ultime cose, calamitò il suo sguardo…

Si perse in quel movimento.

"Deve esserci un motivo importante se mio padre ha disposto le cose così in grande...!" commentò, "...un’altra delle sue cene..." aggiunse ritirandosi.

I suoi occhi brillarono di una luce tenue.

Si aggiustò un’ultima volta il vestito su di sé. Un velo di malinconia gli attraversò lo sguardo.

Si sentiva solo in quegli istanti. Da un po’ di tempo le luci e l’allegria della festa sembravano non appartenergli più.

Avrebbe preferito di gran lunga restare nel bosco assieme a Lùnithien, condividere con lei la notte, fin quando ce n’era, fin quando volevano, cacciare qualche animale e cuocerlo sul fuoco, mangiare velocemente, il tempo di rigenerarsi, per poi perdersi nuovamente tra le sue braccia. E dopo l’amore stendersi accanto a lei, contro il cielo, e così addormentarsi con la benedizione delle stelle. Senza pensare a niente.

Si guardò nuovamente allo specchio. La sua pelle diafana brillò al rossore delle candele, la luce ne evidenziò i tratti perfetti e delicati.

Si passò un dito sulle guance, tracciò il contorno delle sue labbra, scivolò sul collo nudo.

"Ma io non posso permettermelo..." disse con rammarico, "...sono il principe!" esclamò quasi deridendosi.

Si toccò ancora.

"Sembro fatto di cera... ma non lo sono!"

Una luce ribelle, quasi selvaggia brillò nei suoi occhi.

"Lui... " mormorò, "...almeno lui non conosce limiti... niente lo trattiene, nulla lo costringe, é libero come l’aria, forte, imperfetto... intenso..." continuò perdendosi nuovamente tra i suoi pensieri.

 

"Principe Legolas!" gridò qualcuno fuori dalla porta.

"Già… non un Ramingo…" sussurrò destandosi.

"Principe Legolas!" insistette la voce.

"…sono un principe, io…"

"Aprite la porta, vostro padre ha chiesto di voi!" gridò ancora.

Legolas si mosse in direzione dell’uscio. Lo aprì.

"Cosa sta succedendo stasera, Coran?" domandò.

"Oh principe! È un gran giorno oggi, sapete?!" rispose l’Elfo visibilmente elettrizzato.

"Visite?"

"A quanto pare si! Vostro padre desidera che scendiate a cena al più presto, anche subito se siete pronto!"

"Ditegli pure che scenderò tra un attimo, Coran." Rispose Legolas accommiatandosi dall’Elfo con un sorriso.

Una volta chiuso l’uscio, si avvicinò nuovamente alla finestra e guardò giù.

La luce che emanava il fuoco delle candele e delle fiaccole brillava intensamente, andando ad illuminare gli angoli più remoti di Bosco Atro.

Alzò gli occhi. Le stelle risplendevano nel cielo. Il vento taceva. L’aria era calda. La luna spezzava l’oscurità con la sua falce. Era una serata magnifica.

Legolas fu contagiato dall’atmosfera di quella notte, anche se il suo cuore continuava a restare muto.

"Visite ufficiali…" mormorò, "…la luce a Bosco Atro brilla ormai soltanto in queste occasioni…"

Si avvicinò alla porta, "Chissà quale ospite questa volta…?", l’aprì, uscì, e la richiuse dietro di se.

 

Quando uscì da palazzo, alcuni Elfi lo osservarono da lontano salutandolo, senza avvicinarsi, chinando un poco la testa.

Legolas sorrise.

Si diresse verso la tavola imbandita. Ancora non era giunto nessuno.

Ne approfittò per allontanarsi un poco. Si appoggiò al tronco di un albero che dava sulla foresta oscura. Si concentrò sul silenzio del bosco che si scontrava con il trambusto dei preparativi dietro di se. Contemplò la notte.

D’un tratto sobbalzò. Inaspettatamente qualcuno gli aveva messo una mano sulla spalla.

Si voltò lentamente e i suoi grandi occhi chiari andarono ad incrociarsi con quelli austeri del sovrano.

"Padre…" mormorò.

L’Elfo sorrise, e il suo volto si ammorbidì in un’espressione di tenerezza.

"È da molto che sei qui?" domandò.

"No, sono appena arrivato!"

"Bene. Ti ho mandato a chiamare prima, così potremo approfittare per parlare un po’…" s’interruppe, "…non siamo riusciti a stare molto insieme in questo ultimo periodo…"

Legolas annuì.

"…e me ne dispiace. Sai quanto tengo a te, Legolas…!" disse il re, "Vorrei tanto poter seguire la tua vita più da vicino, vederti crescere istante dopo istante, vederti partecipe alle cose del regno. La tua presenza si fa sempre più importante qui a Bosco Atro…"

Legolas continuava a guardare il padre, ma non rispondeva.

"…un giorno tutto questo sarà tuo!" esclamò facendolo voltare verso il palazzo illuminato dal chiarore del fuoco, "Ma c'è tempo, molto tempo..." continuò, notando un velo di malinconia e confusione sul volto del figlio "... ed hai tante cose da vivere ancora Legolas, prima che giunga il tuo giorno…"

Legolas accennò un sorriso. Il padre proseguì.

"Sei fortunato, il tempo è stato conciliante e benevolo con te, sei nato in un’era non travagliata…"

Il suo sguardo si perse d’un tratto lontano.

Legolas capì a cosa stava pensando suo padre. Gli si fece vicino appoggiandogli una mano sulla spalla.

L’Elfo abbassò gli occhi su quelli del figlio. Il suo sguardo trasudava tenerezza mista a paura.

"Ma niente è per sempre, Legolas. Sembra strano che una creatura immortale dica questo, ma non dobbiamo comunque approfittarci del Tempo. Questa è un’era pacifica… per il momento, ma ancora tante cose sono rimaste irrisolte nella Terra di Mezzo…" sorrise, "…tuttavia, ora basta parlare di questo. Scacciamo i pensieri tristi e le malinconie. Oggi è un giorno di festa!" esclamò.

Legolas vide lo sguardo del padre trasformarsi. Una nuova luce sembrò brillare nei suoi occhi. Il giovane Elfo lo fissò incuriosito.

Qualcosa di diverso sembrava occupare l'aria quella notte.

Poteva sentirlo.

"Ti andrebbe di camminare un po’ per il bosco con me?" domandò il re.

"Si... ma la cena?" chiese Legolas stupito.

"Abbiamo ancora tempo, inoltre devo dirti una cosa importante, per questo ti ho fatto chiamare anticipatamente. Voglio restare solo con te!" concluse l'Elfo guardandosi intorno.

Legolas iniziò ad essere sempre più perplesso e a capire sempre meno le parole del padre.

Sembrava così enigmatico quella sera.

Così lo seguì.

S'incamminarono nell'ombra, lasciando alle spalle i fuochi della festa, potevano sentire il fruscio delle loro vesti solleticare l'erba.

Restarono in silenzio per qualche istante.

"Oggi il Destino sembra averci voluto inviare un segno!" prese a dire improvvisamente il re.

"Di che si tratta?" domandò Legolas.

Il volto del padre s'illuminò in un radioso sorriso.

"La prova che le nostre speranze non sono state spezzate, che non tutto è perduto nel passato. Esiste ancora qualcosa che potrà unire ciò che è stato a ciò che sarà, colmando il vuoto del presente!" continuò quasi parlando a se stesso.

"Cosa intendete dire, padre? Non vi capisco..." disse confuso Legolas.

"Oh quale gioia! Oggi i miei occhi hanno potuto vedere ormai uomo forte e vigoroso, colui che ho visto nascere molti anni fa!" esclamò

"Uomo…?" mormorò Legolas, trasalendo a quella parola "... avete visto nascere un Uomo, padre?"

"Si, ventitre anni fa. Mi recai nella terra di Gondor, anche se dopo l'Ultima Alleanza, Uomini ed Elfi vivevano ormai separati, ignari e disinteressati delle reciproche esistenze. Mi fu comunque concesso di oltrepassare i cancelli del palazzo reale e vedere pochi istanti dopo la nascita, nella culla, il futuro erede al trono di Gondor..." s'interruppe, "...io e il padre del bambino ci conoscevamo , non avevamo mai spezzato i nostri rapporti , e tantomeno la speranza di vedere un giorno i due regni nuovamente uniti. Mi trattenni molto poco, purtroppo. Dovetti ripartire quasi subito. Ma ciò bastò a rinnovare la fiducia nel mio cuore. La generazione di Isildur avrebbe perdurato. E con essa una nuova possibilità del suo riscatto! ...Sai a cosa mi riferisco, vero Legolas...?"

"Voi... avete visto nascere l'erede di Isildur?" esclamò meravigliato il giovane Elfo.

"Si... " sorrise il re "...e il Fato ha rinnovato ciò in cui credevo ancora una volta, concedendomi di vederlo ancora, conducendolo qui a Bosco Atro, oggi ..."

"Oggi...?" sussultò Legolas.

Pensò al Ramingo. Pensò a quel giovane ironico e scanzonato. Pensò a quel combattimento che avevano intrapreso nel bosco.

No. Non poteva essere lui.

"Legolas..." soggiunse il re distraendolo dai suoi pensieri "...è proprio questo ciò che desideravo dirti. Volevo che ti unissi a noi stasera a cena e potessi conoscerlo..."

"Co... conoscerlo?" balbettò l'Elfo.

"Anch'io dovrò conoscerlo meglio. Non so molte cose di lui, in verità, lo vidi da bambino poi ne persi completamente le tracce a causa di questo isolamento dietro cui ci siamo barricati. Ma ora, è nuovamente qui e se il Fato ha permesso che raggiungesse il nostro regno non l'ha certo fatto per caso..."

"Come... si chiama...?" domandò Legolas titubante.

"Ho potuto parlare con lui solo per pochi istanti, non ama rivelare la sua identità, tuttavia ..." sospirò, "...il suo nome è Aragorn, figlio di Arathorn, ed ultimo erede al trono di Gondor!" concluse il re con un fremito di commozione nella voce.

"Aragorn..." ripeté Legolas, scrutando incantato la notte "...dunque lui è ..."

"...un re!" l'interruppe emozionato il padre.

"Un re..." gli fece eco Legolas.

"Il re nelle cui mani si trova parte del destino della Terra di Mezzo. Ho visto i suoi occhi oggi, e in quei brevi istanti ho potuto leggere nel suo sguardo la forza e l'orgoglio degli Uomini di Gondor..." s'interruppe, "Non di tutti però, soltanto di coloro che hanno saputo conservare il loro cuore puro...!"

Legolas ascoltava rapito le parole di suo padre.

"Per questo l'ho riconosciuto..." proseguì il re, "...ho subito capito chi fosse. Non poteva essere altrimenti...! Aragorn...!" mormorò rivolgendosi al figlio con occhi carichi di tenerezza, "...un re, ancora non consapevole del grande compito che il Destino gli ha affidato, proprio come te Legolas..."

"Come... me?" mormorò interdetto il giovane Elfo.

"Come te!" ripeté il sovrano carezzandogli la testa "Ed ora credo che il momento sia giunto. Andiamo!"

 

Si avviarono nuovamente verso le luci vive ed intense della festa.

Molti invitati avevano già preso posto alla mensa. Non appena videro affiorare il re e il principe dal bosco, dopo un primo momento di stupore, si alzarono in piedi, chinando rispettosamente il capo nei loro confronti.

Re Thranduil sorrise a Legolas e si andò a sedere in cima alla tavola. Il giovane Elfo lo ricambiò a sua volta con un sorriso d'intesa e si sedette accanto al padre.

Dopo pochi istanti, non riuscì più a contenere la curiosità e iniziò a guardarsi intorno, scrutando ogni ospite che si aggiungeva alla mensa.

Una giovane dama elfica si sedette accanto a lui ed iniziò a parlargli. Sorrideva, ammiccava, tentava di attirare la sua attenzione in ogni modo: declamando la bellezza di Bosco Atro, l'interesse nei confronti del futuro del regno e una serie di complimenti rivolti al principe stesso!

Legolas non disdegnava i sorrisi e la compagnia della giovane, ma si distraeva facilmente.

Quasi tutti gli ospiti erano ormai giunti, la tavola si era lentamente riempita di molti invitati. Vi erano gli Elfi del Bosco Atro, Elfi provenienti da altri regni, i servitori stessi avevano quella sera un posto riservato alla mensa del re.

Ma di Aragorn nessuna traccia...

Legolas iniziò a spazientirsi. Un pensiero gli attraversò la mente… «E se fosse partito…?»

Sussultò a quell'idea.

Sentiva gli occhi del padre addosso e non riusciva a nascondere la sua agitazione. La curiosità, complice l'attesa, cresceva sempre di più. E la giovane dama accanto a lui continuava a parlargli incessantemente!

In quel momento sarebbe corso volentieri via, se avesse potuto, tra i boschi, a sfogare tutta l'adrenalina che aveva in corpo.

Ma non poteva farlo. Così prese un calice e lo riempì di vino. Riempì anche quello della dama e inaspettatamente brindò con lei.

La giovane sussultò, colta di sorpresa e Legolas osservò divertito una scintilla di desiderio brillare nel suo sguardo.

Bevvero, scambiandosi una complice occhiata.

Risero. L'Elfo non poté fare a meno di perdersi per un istante negli occhi verdi di lei che brillavano sotto la luce delle candele.

"Legolas..." lo scosse d'un tratto il re.

L'Elfo si voltò continuando a sorridere, "Cosa padre...?"

Il re non rispose, ma con la testa indicò la porta del palazzo.

Una sagoma stava giungendo nell'ombra.

Legolas strinse tra le dita il calice, un brivido gli percorse la schiena. Ma ancora non riusciva a distinguere bene.

Le foglie scricchiolarono sotto il peso di quei passi, le vesti solleticarono l'erba, gli Elfi si zittirono e si voltarono lentamente.

Il volto di Thranduil s'illuminò improvvisamente. Ma non era stato il fuoco a brillare su di lui. Una gioia profonda gli crebbe nel cuore e si spinse su fino a dipingersi come sorriso commosso sul volto.

L'Uomo si fermò dinanzi al re.

"Maestà..." mormorò e si portò la mano al petto.

Legolas tratteneva il respiro. Non riuscì a dire nulla.

Com'era possibile? Sgranò gli occhi per guardarlo meglio. Non l'aveva quasi riconosciuto. Il suo volto aveva assunto un'espressione grave, intensa e malinconica al tempo stesso. I suoi occhi brillavano di una luce profonda, senza neppur parlare quell'uomo riusciva a narrare storie. Legolas poteva leggerglielo nello sguardo.

I capelli neri e mossi non erano sporchi, intrecciati di fango ed erba, ma ricadevano lucidi e morbidi sulle spalle. Sul suo corpo non scivolava una casacca sbiadita e un mantello provato dalle intemperie, ma una lunga tunica di velluto nero lo ricopriva fino ai piedi, interrompendosi a metà, sulla vita, dove la stoffa veniva trattenuta da una cintura dorata.

Le spalle ampie ed imponenti si confondevano con l'oscurità della notte, mentre la luce delle candele gli illuminava il collo scoperto e parte del volto.

Legolas per un istante ebbe quasi timore. Quell'uomo gli incuteva rispetto.

Non lo ricordava così.

La sua figura aveva assunto un aspetto regale, anche se egli sembrava ignaro di questo.

Il re gli fece cenno di sedersi.

Legolas si rese improvvisamente conto che l'avrebbe avuto davanti per tutta la cena. Le immagini del pomeriggio gli ritornarono tempestose nella mente. Lo travolsero. E ad esse si aggiunsero anche strane sensazioni.

Ora più che mai avrebbe voluto fuggire, o sedersi all'altra estremità del tavolo. Ma non si mosse. Non poteva. Non ci riusciva.

Tutto scomparve attorno a lui, quando l'Uomo, tenendo ancora bassi gli occhi, gli si sedette davanti e i lunghi capelli neri volarono liberi nell'aria. Il suo profumo lo raggiunse all'istante.

Legolas cercò di guardare altrove, ma non ci riuscì. I suoi occhi erano fissi sul volto del Ramingo, le labbra serrate, il respiro interrotto.

Che cosa sarebbe accaduto...?

Non ebbe il tempo di darsi una risposta. L'Uomo alzò gli occhi…

"Voi!" esclamò stupito.

Anch'egli non s'immaginava che si sarebbe trovato davanti quell'Elfo alla mensa del re.

Legolas continuava a fissarlo, ma non riusciva a dire nulla.

"Mio figlio Legolas!" esclamò d'un tratto il re.

"Voi..." mormorò l'Uomo.

Legolas accennò un sorriso.

"...allora è vero... voi siete..." continuò.

Legolas abbassò gli occhi imbarazzato.

L'Uomo si riprese, scosse la testa cercando di nascondere la sua espressione divertita.

Legolas rialzò il volto. Si guardarono. L'Uomo cercò di voltarsi per non scoppiare in una risata nel vedere lo sguardo sbigottito del giovane Elfo.

Rimasero in silenzio per alcuni istanti, quando percepirono gli occhi indagatori del re su di loro.

"Vi siete forse già conosciuti?" domandò Thranduil.

Legolas stava per rispondere, ma l'Uomo non gliene diede il tempo.

"Si, oggi... nel bosco!" esclamò lanciandogli un'occhiata.

Legolas trasalì.

"Nel bosco...?" domandò il re "...pensavo che foste stato condotto a palazzo da Menïsyr e dai suoi Elfi..."

"Infatti è cosi, ma pochi istanti prima, ho avuto l'onore di conoscere vostro figlio..." aggiunse.

"Davvero...?" domandò il re incuriosito, "...e che cosa stava facendo mio figlio in mezzo al bosco al calar della sera?" continuò rivolgendosi a Legolas.

«Ti prego… per favore… non dirgli che… non dirgli… non…» sembrava implorare con lo sguardo il giovane Elfo.

L'Uomo colse quello sguardo, attese qualche istante prima di parlare, infine disse: "Vediamo... non ricordo bene... le luci del tramonto debbono aver offuscato la mia mente..." s'interruppe, "Ah si... ora ricordo! Mi sembra di averlo visto mentre..."

Legolas spalancò gli occhi e scosse la testa.

"...controllava i confini del vostro regno, maestà!" esclamò l'uomo divertito.

Thranduil lo guardò con cipiglio, ancora non del tutto convinto.

"Io credo che non dobbiate temere alcun pericolo... avete chi desidera difendervi!"

"Lo penso anch'io..." sorrise il re.

Legolas si rilassò sulla sedia.

"E inoltre..." riprese a dire l'Uomo…

L'Elfo sussultò nuovamente, guardandolo incerto.

"...vostro figlio mi ha accolto... con tutti gli onori!" concluse sorridendo.

Legolas si morse le labbra, distogliendo il suo sguardo da quello dell'Uomo.

"E' un suo compito!" commentò il re.

"Già, dopotutto..." riprese l'Uomo "...è il signore del posto!"

Legolas si voltò lentamente, gettando un'occhiata di fuoco al Ramingo, che si portò le dita alle labbra per nascondere un sorriso.

Tutto improvvisamente assunse un'aria di familiarità.

Lentamente la realtà circostante, la Natura, gli altri ospiti e il torpore della sera ritornarono, avvolgendo tutto.

"Al pensiero che voi vi siate già conosciuti, il mio cuore si riempie ancor più di gioia...!" esclamò d'un tratto il re, "Nulla di meglio potevo desiderare. Che sia una notte di festa allora!"

E detto questo fece versare il vino nei calici, e tutti i commensali li levarono gaudenti verso il cielo.

Brindarono. L'Elfo e il Ramingo si guardarono negli occhi, lasciando ogni reticenza alle spalle.

A Legolas non sembrò possibile poter rivedere ancora una volta quell'enigmatico personaggio, sentirlo parlare, ridere, raccontare, averlo dinanzi a sé per tutta la sera.

Dal primo istante che l'aveva incontrato, aveva percepito qualcosa di speciale in lui, qualcosa di diverso dagli altri rari viandanti che avevano raggiunto negli ultimi tempi Bosco Atro.

Ricordò che il Vento aveva soffiato più forte quella mattina, desideroso di spingere aria nuova e messaggi segreti dentro i confini del suo regno.

D'improvviso Legolas sentì il tedio, la noia, la malinconia e l'irrequietezza dissiparsi e scivolare via lontane.

Cosa stava accadendo?

Non riuscì a darsi una risposta. Non volle darsi una risposta.

Si limitò a guardare il Ramingo, ascoltare le sue parole, vedere la luce delle candele danzare sul suo volto. Questo poteva bastargli. Una dolce quiete l'invase.

Senza accorgersene, iniziò a fissare l'Uomo intensamente. Desiderava trattenere nella memoria ogni suo gesto, ogni suo movimento, ogni storia e ogni istante di quella notte.

«Dunque non mi sbagliavo…» pensò, «tu non sei un semplice Ramingo…» disse fra sé e sé.

L'Uomo si voltò come attirato da quel pensiero silenzioso o da quello sguardo insistente. Così sorrise, ricambiando la dolcezza dell'altro.

"Ebbene..." disse d'un tratto il re, "...perché non ci parlate un po' di voi...?"

"Cosa potrei narrarvi, maestà...? Non so quanto un sovrano desideri ascoltare le storie di un semplice ramingo..."

"Ramingo?" esclamò il re stupefatto, "voi... vi considerate un ramingo...?"

"Lo sono, maestà...!" rispose Aragorn.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui il volto del sovrano si rabbuiò per qualche istante.

"Voi non siete..." s'interruppe, "...perché... non cominciate con il raccontarci la vostra vita?"

"La mia vita...?" mormorò improvvisamente imbarazzato l'Uomo.

"Un Ramingo... così come voi vi definite, avrà pur storie da raccontare, sebbene non abbia la saggezza e i lunghi anni di vita immortale di un Elfo. Tuttavia... sono convinto che sono molte le cose che avete visto, di cui siete stato il testimone, di cui siete... l'erede..." incalzò il sovrano.

"L'erede...?" mormorò titubante l'Uomo.

"La vostra storia... il vostro passato... la vostra..."

"Maestà..." l'interruppe il Ramingo, "vogliate perdonarmi, è da molti anni che viaggio per questa terra, il mio passato si consuma come la strada che percorro... non so davvero cosa potrei narrare se non qualche aneddoto del mio peregrinare..."

"Raccontate questi allora!" esclamò d'un tratto Legolas "Basteranno i vostri aneddoti ad allietare la cena!"

Il Ramingo lo guardò. Sorrise. Aveva compreso.

"Avanti, dunque..." soggiunse il re arrendendosi, "siamo tutti desiderosi di ascoltarvi..."

 

Gli Elfi si rivolsero verso di lui, la fiamma brillò sul suo volto e il breve silenzio fu spezzato dalle sue parole.

Il Ramingo iniziò così a narrare…