.|. Ithiliest .|.

Capitolo Uno

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Il Vento soffiò.
E soffiò ancora. Soffiò più forte. Irrequieto.
Il Ramingo si voltò di colpo. Al centro della radura. Attorniato soltanto dal verde dei prati che si estendeva senza limiti circondandolo. Sembrava quasi che i confini della terra sprofondassero in burroni senza fine, per poi tuffarsi nel cielo sottostante.
La terra terminava dunque lì?
Fece per muoversi e ritornare sui suoi passi… "Deve essere la direzione sbagliata" si disse.
Era stanco. Desiderava tornare indietro.
Il Vento tacque. Improvvisamente… silenzio.
Il Ramingo si bloccò all'istante. Si trovava spaesato in mezzo a quel verde sterminato.
Tutto era omogeneo, dello stesso colore, quasi neutro.
Alzò il volto contro il cielo e lo contemplò con dolcezza. Attese… "Ebbene? Dove vuoi condurmi questa volta?"
Il Vento continuava a tacere. "Ti prego, dammi un segno. Non so proprio dove andare!" disse implorante, ma allo stesso tempo divertito, l'Uomo.
Aveva confidenza con il Vento. Conosceva il suo linguaggio e i suoi messaggi. Sapeva quando era il momento di fermarsi e quando gli comandava di ripartire.
Il Vento era la sua guida e la sua condanna.
"Come vuoi..." disse infine l'Uomo, voltandosi ed iniziando a camminare.
Subito una brezza si levò, impercettibile salì nell'aria, e lieve andò a carezzargli il viso, scostandogli i capelli neri e scomposti dal volto.
Il Ramingo si fermò ancora una volta.
Chiuse gli occhi, assaporando per qualche istante quel contatto invisibile. Li riaprì e sorrise.
La brezza l'accarezzò nuovamente ed egli la vide rotolare via, confusa con l'aria.
Rotolò dietro alle sue spalle. Stava correndo nella direzione opposta a quella che il Ramingo aveva appena imboccato.
"Non devo tornare indietro, allora?" domandò.
La brezza insistette in quella direzione.
"Devo proseguire, dunque...? E sia…"
Il Ramingo s'incamminò ancora per la radura. Gli bastarono pochi passi, superò un piccolo declivio che gli ottundeva la vista e come per incanto, davanti ai suoi occhi comparve... una nuova meta.
Si estendeva immensa e lontana, l'entrata di un bosco. Dal declivio su cui egli si trovava poté vedere che si apriva a mo’ di cono. La piccola punta che doveva fungere da varco, mano a mano che lo sguardo si perdeva verso l'orizzonte, si allargava, diradandosi e andando ad occupare tutto lo spazio intorno.
L'occhio dell'uomo si tuffò in quella distesa verde oro e ne fu terribilmente attratto.
Il suo volto fu attraversato da una luce nuova, gli occhi gli brillarono curiosi ed eccitati, la sua anima sembrò bruciare all'idea di una nuova scoperta.
Respirò a pieni polmoni. Il Vento gli scosse i capelli, lasciandoli volare liberi nell'aria, la sua giovane e vigorosa figura si stagliava contro l'azzurro del cielo, mentre con le labbra assaporava l'aria e il respiro vitale entrava dentro di lui, invadendolo.
Dopotutto, quello era il suo destino. Il lato bello e affascinante del suo destino.
Con un fischio chiamò il suo cavallo, che se ne stava tranquillo a poca distanza da lui. Subito l'animale lo raggiunse trotterellando.
Il Ramingo non esitò un istante, montò in sella e con il cuore pieno d'ardore schioccò le briglie, spronò la bestia e si gettò nella corsa verso quei nuovi confini.
Mano a mano che si avvicinava, poté vedere le chiome degli alberi stringersi l'una all'altra, rendendo ancora più fitta la foresta.
Rassomigliavano ad un grande sipario di velluto verde calato per metà.
Al di là di esse, l'Uomo non poté vedere più nulla, tanto gli alberi erano attaccati fra loro.
Intravide soltanto oscurità.
Per un istante ebbe paura. Un'inquietudine sottile gli si insinuò sotto la pelle. Ma dopo poco, quella sensazione si tramutò in curiosità e accrebbe il suo desiderio di sfida.
Così spronò ancor di più l'animale e si lanciò verso il varco del bosco, divorando gli ultimi metri di strada.
Il varco si aprì lentamente. L'Uomo dovette scendere da cavallo per districarsi tra alberi fitti, cespugli e rami intrecciati fra di loro. Avanzò. Riusciva a farsi strada con difficoltà. Finché d'improvviso la foresta si spalancò, tanto simile ad una bocca in procinto di gridare.
Così il bosco lanciò il suo grido muto.
Il Ramingo si trovò di colpo immerso in una luce dorata, nasceva dal grembo della terra, tra le foglie secche d'autunno che brillavano dei riflessi del sole, e saliva veloce, verso l'alto, bramando il cielo.
L'Uomo alzò gli occhi e vide lunghi tronchi d'alberi, eleganti e robusti, lanciarsi lassù contro l'azzurro; le chiome ricoprivano come l'arco di una cupola la terra sottostante, mentre il sole filtrava timidamente tra di esse creando giochi di luce ed ombra sugli alberi.
L'Uomo restò per alcuni istanti incantato a guardare, ammaliato dalla leggiadria di quel luogo che pareva sospeso nel vuoto.
Tutto tendeva verso l'alto.
Le foglie non cessavano di cadere dai rami.
Il Ramingo sorrise e chiuse gli occhi quando sentì alcune di esse scivolargli sulla testa intrecciandosi ai capelli.
Rimase così in pace, a godersi quella pioggia d'autunno.
Quella terra trasudava calore, gli sembrò stranamente familiare, eppure non c'era mai stato prima, non sapeva neanche se fosse abitata da qualcuno, tuttavia noncurante dei pericoli decise che avrebbe trascorso lì la notte.
La sera stava ormai per giungere, e quel bosco sembrava così accogliente; anche se la sua esperienza gli aveva insegnato a diffidare da ciò che appariva bello e confortevole, era talmente stanco e ancora ammaliato dai colori della foresta che preferì rischiare, senza pensare troppo.
Pericoli? Non percepiva pericoli. Quel luogo che emanava bellezza da ogni angolo sembrava non poter nascondere insidie...
 
"Fermo!"
Una voce echeggiò improvvisamente nell'aria. Sobbalzò. Si risvegliò all'istante da quel torpore.
Risuonò cristallina. Non doveva essere troppo distante.
"Avanti... ora smettila!"
Istintivamente l'Uomo fece scivolare una mano sull'elsa della spada e si mosse in direzione della voce, cercando di fare meno rumore possibile.
Il lembo bianco di una tunica gli passò rapido e veloce davanti agli occhi, e subito scomparve tra gli alberi.
Il Ramingo, ancor più incuriosito da tutto quel movimento decise di seguire la scia del rumore che dei piccoli rapidi passettini avevano lasciato sulle foglie secche.
Si avvicinò guardingo... "Che cosa poteva essere...?" si domandò "...creature del bosco? ...strani esseri mai visti prima? ...camaleonti che si mimetizzano con i rami? ...fate, folletti o streghe...?"
Risate.
"Ma cos...?"
Un gridolino. Vicino. Molto vicino...
"Ti prego, lasciami andare... siamo in pieno giorno!"
La voce sembrava quella fresca e cristallina di una fanciulla.
"Veramente... é quasi sera..." rispose a sua volta un'altra voce, altrettanto melodiosa, ma più profonda.
"Ah... davvero?" mormorò quell'altra.
"Già... e così devo supporre che i colori del tramonto ti stanno confondendo oppure.... c’è forse qualcos'altro che ti sta dando alla testa in questo momento...?" rispose l'altro quasi con un sussurro.
Il Ramingo lasciò l'elsa della spada e sorrise, "Elfi!" mormorò.
Si appoggiò contro un albero, sollevato, finalmente tranquillo, ma non riuscì a trattenere una risatina.
I due non si accorsero di nulla, non lo sentirono affatto, anche se la distanza che li separava era davvero poca.
Due giovani Elfi si stavano rincorrendo spensierati tra gli alberi. Sembravano non trovare pace, si nascondevano tra i cespugli e i grandi tronchi, per poi ritrovarsi di nuovo, si legavano in un abbraccio fugace per scivolare di nuovo via, fuggire e rincorrersi ancora.
Finché lui non l'afferrò per un polso, tirandola verso di sé.
"Presa! Ed ora sei mia prigioniera!" le sussurrò sulle labbra.
"Mai prigionia é stata più piacevole...!" mormorò lei chiudendo gli occhi.
"Lo so. Anche se ti legassi, so che non fuggiresti..." disse lui, spingendola dolcemente contro un albero.
"Ne sei proprio sicuro...?" mormorò la giovane maliziosamente.
Una luce scintillò negli occhi dell'Elfo, "Non... tentarmi..."
Ma non riuscì a terminare la frase che la giovane era già scivolata via dalle sue braccia e più rapida di un lampo era scomparsa da qualche parte tra i cespugli.
"Lùnithien!" gridò l'Elfo. Strinse la corteccia dell'albero tra le dita, "Maledizione!"
Si guardò intorno, "…avanti, esci fuori! Sai che non amo questo gioco, mi fa sempre..."
"...innervosire forse...?" l'interruppe lei, riaffiorando da dietro le sue spalle e cingendogli la vita "...credevi che non l'avrei fatto questa volta ?" gli sussurrò all'orecchio.
Quel sussurro scivolò veloce dentro di lui, e dovette raggiungergli direttamente il cuore, perché l'Elfo sussultò d'improvviso, serrò tra le sue mani quelle della giovane compagna, si morse le labbra e un gemito impercettibile percorse l'aria.
"C..credevo che per almeno una volta volessi evitare di..."
"...farti arrabbiare?" soggiunse nuovamente lei.
"Già...!" sibilò l'Elfo, voltandosi.
"E perché dovrei perdermi questa scena...?" sussurrò divertita cingendogli il collo con le braccia.
"Perché posso diventare pericoloso e..." rispose lui sfiorandole le labbra, "perdere il controllo delle mie... azioni…" continuò stringendola a sé.
"Forse... é proprio quello che voglio...vederti perdere il controllo... sentirti fremere... di rabbia..."
L'Elfo scivolò velocemente con la bocca tra i capelli di lei, le mordicchiò dolcemente l'orecchio, ma il ritmo dei suoi sospiri lo spinse a scendere più in basso. Iniziò a baciarle il collo con dolcezza... desiderio... passione...
Lei gettò indietro la testa, mentre lui scivolava velocemente con le mani sui suoi fianchi e l'avvicinava a se…
Si morse le labbra..., "Continua..." mormorò.
L'Elfo sorrise e riprese a baciarla con raddoppiata passione.
"Vuoi... vuoi... davvero ... vedermi fremere...?" ansimò.
"Si... mi piace... sentire la tua rabbia crescere... sentirla vibrare nel tuo ventre e... ah... spingersi su... bruciare sul tuo petto... contro il mio... mi piace... vedere le tue labbra dischiudersi per gridare qualcosa e... sentire invece ... soltanto piccoli gemiti... si ... così... mentre la tua rabbia cresce... il tuo desiderio cresce... la tua passione cresce... su... su... sempre più su... avvampandoti il volto e... brillare nei tuoi occhi azzurri... Si... mi piace... vedere i tuoi occhi... chiudersi e... riaprirsi… umidi di desiderio... come ora..."
"Oh Lùnithien... ti prego… basta... non... resisto..." mormorò l'Elfo, soffocando la sua voce tra i capelli chiari di lei.
"...mi piace... sentirti gemere il mio nome..." incalzò lei.
"...non continuare..."
"Fammi tua, Legolas!" disse d'un tratto bloccandolo contro di sé.
"Oh Lùnithien..." gemette lui.
"…ti desidero..."
L'Elfo iniziò a slacciarle i lacci della tunica, rapidamente, confusamente, senza più riuscire a trattenere il desiderio. Ma la dama si scostò, "Non ora però..." disse.
"Cosa...?" esclamò l'Elfo sgranando gli occhi.
"Te l'ho detto... siamo in pieno giorno... qualcuno potrebbe vederci..." mormorò maliziosa.
Il Ramingo sobbalzò. Un pensiero gli attraversò la mente, riportandolo alla realtà: che cosa ci faceva lì?!
L'Elfo sobbalzò, "Vuoi forse farmi impazzire?" disse cercando di fermarla, ma non riuscì a muoversi. Era ancora frastornato dalle forti sensazioni che la compagna gli aveva trasmesso.
"No…" rispose lei innocentemente, guardandolo negli occhi, "voglio solo divertirmi un po’…" lo prese per mano, "questa volta tocca a me giocare!"
Lo condusse lentamente verso il tronco di un albero.
"Appoggia le mani contro quell’albero..." gli sussurrò all’orecchio.
"Cosa…? Cosa vuoi fare?" esclamò l’Elfo stupito.
Lei gli si avvicinò ancor di più e iniziò ad accarezzargli la testa, "Andiamo... non dirmi che non ricordi, Legolas? È strano che... non ti venga in mente niente..." sussurrò iniziandogli a mordicchiare il lobo dell’orecchio, "nessuna... immagine... nessun..."
"L..Lunithien..."
"Chiudi gli occhi, ora..."
La fanciulla si spostò dietro di lui, gli cinse la vita e appoggiò la testa contro la sua schiena.
Una mano scivolò veloce sulla tunica dell’Elfo e le dita iniziarono a slacciarne i bottoni. Uno dopo l’altro… lentamente...
"C..cosa stai facendo...?" disse l'Elfo cercando di contenere l'emozione che prendeva sempre più possesso della sua voce.
"Prova ad immaginare..."
Non appena ebbe aperto tutti i bottoni del vestito, fece scivolare una mano tra i lembi della tunica, li scostò dolcemente andando a carezzare il petto del compagno.
Legolas ansimava. A quel contatto trasalì. Lei iniziò a solleticarlo dolcemente. Ritmicamente saliva verso il collo, tracciandogli dei confini immaginari con le dita per poi scendere giù, verso il ventre.
Quella discesa rapida e folle sul suo corpo, doveva essergli funesta.
Si strinse ancor di più all'albero, affondando le sue dita nel muschio della corteccia, come per resistere ancora a quella provocazione, come per trattenere il desiderio che stava per esplodere in lui.
"Lo sai che ti amo, Legolas?" mormorò lei, muovendo sempre più velocemente la mano.
L'Elfo non riuscì a risponderle. Si stava perdendo. Sentì le sue mani raggiungergli le spalle e massaggiargli con vigore il collo, sfregargli la pelle.
Poi lei gli fece abbassare le braccia e la leggera tunica marrone scivolò via, scoprendogli la schiena. Scivolò, carezzandogli la pelle con il suo soffio di seta.
Il vestito si bloccò sulla vita trattenuto ancora da una cintura di pelle.
Gli ultimi raggi di sole rotolarono sulla pelle diafana dell'Elfo, che sotto quel chiarore serale sembrò emanare una luce ancor più cristallina.
Il Ramingo sussultò. Doveva andarsene. Aveva visto troppo. Perché continuava a restare lì?
La sua volontà taceva. Una voce gli ordinò di muoversi, e subito. Ma un'altra, ammaliante e sensuale, lo invitò a restare e godere della bellezza davanti ai suoi occhi.
Un desiderio di fuga lo colse. La curiosità lo trattenne.
Voleva ubbidire a quel primo istinto, ma non si mosse. Non riusciva a farlo. Le gambe erano come paralizzate.
La luce che aveva emanato la pelle dell'Elfo, non appena la tunica l'aveva scoperta, lo calamitava ancora tremendamente. Tutto il suo sguardo era proiettato su ogni piccolo movimento del giovane.
Osservò le sue forme. Le spalle erano ampie e ben disegnate, la schiena appena inarcata veniva scossa da piccoli tremori e brividi che la percorrevano tutta; di tanto in tanto i muscoli si contraevano in lievi sussulti per poi lasciarsi andare liberi e rilassati. Le braccia forti e ben tornite si stringevano sempre di più contro il tronco dell'albero, ogni qualvolta che una scintilla di piacere lo raggiungeva.
Era praticamente perfetto. Ogni suo gesto, ogni sussulto, ogni movimento, anche il più impercettibile, emanava grazia e leggerezza.
Ogni sua forma era delicata e vigorosa allo stesso tempo.
Il Ramingo credette di non aver visto nulla di più bello prima di quel momento. E l'amore, il piacere che l'invadeva e lo faceva abbandonare, lo rendeva ancor più affascinante.
Inaspettatamente l'Elfo inarcò la schiena e dischiuse le labbra in un gemito strozzato.
La giovane amica si era appena chinata dietro di lui e con la lingua stava tracciando dolcemente una linea invisibile in mezzo alla schiena del compagno; risaliva lentamente, poi un po' più veloce... sempre più veloce... vertiginosamente... tuffandosi infine con le labbra sulle sue spalle.
"Oh Luni... ah...!" gemette, ma non riuscì a continuare.
Lei gli mordicchiò il collo. Con una mano gli carezzò la schiena, mentre l'altra, clandestina, andò a slacciargli la cintura che tratteneva l'ultimo lembo di tunica.
Nel farlo gli sfiorò inavvertitamente il ventre. L'Elfo gettò indietro la testa, alzando il volto al cospetto del cielo, le labbra gli tremarono e i lunghi capelli d'oro volarono sul viso di lei, liberi e selvaggi.
La tunica cadde a terra con un tonfo. Legolas gemette. Il Ramingo si voltò.
"Me ne devo andare... me ne devo andare..." si ripeté in silenzio.
Ma la tentazione di voltarsi e guardare ancora era troppo forte.
La vinse. Fece un passo indietro. Si bloccò nuovamente. Prese fiato. Fu tentato ancora una volta. Resistette. Era troppo forte. Si voltò appena. Si voltò soltanto un attimo. Sgranò gli occhi...
"E ora? Dove sono finiti?!" esclamò meravigliato.
Si guardò intorno. I due Elfi erano davvero scomparsi. "Com’è possibile?" mormorò, "Mi sono voltato soltanto per pochi minuti..." disse incredulo.
Si stropicciò gli occhi con le mani, quando li riaprì la scena era la medesima: nessuno! Non c’era più nessuno.
"Stavo forse sognando?" si chiese.
Tutto tacque. I rami e le foglie si placarono. Il Vento smise di mormorare. Tutto fu avvolto da un incantevole e inconsueto silenzio.
Il Ramingo si mosse appena. Le foglie secche scricchiolarono sotto ai suoi piedi. Quel piccolo rumore crebbe, invadendo la quiete del luogo. Sembrò troppo forte, quasi insopportabile.
Il Ramingo si sentì inopportuno. Di colpo osservato. Desiderava andarsene, ma allo stesso tempo desiderava non fare alcun rumore. Gli sembrò di essere circondato da mille orecchie tese.
Si spazientì. Non poteva di certo restare immobile, allibito fra quegli alberi. Dette ancora un’occhiata dinanzi a sé, ma dei due amanti non c’era traccia.
Scosse la testa. "Di cose strane ne ho viste in giro per questa Terra ma una del genere..." ridacchiò e si mosse, noncurante dello scricchiolio delle foglie sotto di sé.
Non riuscì a fare che pochi passi. Subito il Vento si destò e un rumore sopra la sua testa lo distrasse, ma non ebbe il tempo di capire cosa fosse.
Si ritrovò a terra.
"Preso!"
Qualcuno crollò sopra di lui. Fece per divincolarsi e sguainare la spada, ma non ci riuscì. Due mani veloci gli afferrarono i polsi e glieli bloccarono contro il terreno.
Fu allora che, in mezzo a tutto quel trambusto, alzò gli occhi e riconobbe su di se l’Elfo biondo che aveva visto pochi istanti prima... immerso in esercizi amorosi con la sua dolce compagna!
 
L’Elfo lo scrutò per alcuni istanti con il suo sguardo chiaro e penetrante. Impassibile e attento come se volesse leggergli nella mente.
Poi si sollevò appena per osservarlo più da lontano.
"Guarda guarda cosa abbiamo qui! Un Uomo!" esclamò.
Il Ramingo lo guardò interdetto. Perché non si spostava da sopra di lui?
"...un Uomo che oltrepassa i confini del Bosco Atro..." mormorò continuandolo a studiare, "...mmmh... l’aria da predatore non ce l’hai, il tuo sguardo é enigmatico, ma non sembra cattivo... dunque potresti essere... Che cosa sei, Uomo...?"
Il Ramingo stava per rispondere, ma l’Elfo non gli diede il tempo di parlare, "Hai smarrito la strada? ...sei un vagabondo? ...sei un viandante? ...o forse sei..."
"...un Ramingo..." sorrise, "...sono un Ramingo!"
"Ah, davvero?" esclamò l’Elfo. E con uno scatto felino si scostò da lui, balzando in piedi.
"Alzati!" gli intimò.
L’Uomo non si mosse.
"Alzati... Ramingo!" disse ancora.
Anche se il tono era di comando nella sua voce non c’era durezza.
L’Uomo alzò gli occhi al cielo e a fatica si sollevò. Il colpo che aveva ricevuto non era stato affatto piacevole. Nonostante la leggenda che vuole gli Elfi creature leggiadre, l’Uomo aveva potuto sentire il corpo del giovane in tutta la sua materia!
Quando fu in piedi si ripulì dalle foglie che si erano attaccate ai suoi vestiti. Alzò lo sguardo e vide gli occhi dell’Elfo fissi sui suoi.
Per qualche istante non si dissero nulla.
Si limitarono a scrutarsi.
Soltanto allora il Ramingo si rese conto che non erano soli. Accanto all’Elfo, seduta su un tronco caduto a terra, c’era la sua compagna che si dondolava, osservando la scena divertita. Una leggera tunica bianca ricopriva il suo corpo fino ai piedi. Le spalle e il petto erano nudi, sulla pelle candida e vellutata ricadevano morbidi i lunghi capelli biondi, chiari, quasi bianchi. Il Vento di tanto in tanto ne faceva svolazzare qualche ciocca nell’aria.
Anch’essa emanava luce, una luce forse più tenue e lieve di quella dell’altro Elfo.
Taceva e sorrideva, non distogliendo lo sguardo dal nuovo arrivato e lanciando di tanto in tanto qualche occhiata furtiva al compagno esplorandolo rapidamente tutto.
L’Elfo prese a camminare avanti e indietro con aria regale. Lei iniziò a ridere.
«Ma dove sono capitato?» pensò il Ramingo scuotendo la testa.
"Ebbene...?" disse d’un tratto il giovane, "...non avete nulla da dire?"
"Cosa volete che vi dica? Sono giunto qui per caso, non so dove mi trovo... non so chi siete... non so con chi sto parlando..."
"Tanto per cominciare..." l’interruppe l’Elfo, "vorrei sapere io chi siete, dato che avete appena superato i confini della mia terra!"
"Ve l’ho detto... sono un Ramingo..."
"Si, ma... da dove venite?"
"Vengo dalla Contea…"
"Dalla Contea?! Non siate ridicolo! Voi siete un Uomo, là vivono gli Hobbit!" s’interruppe facendosi serio, "Vi state forse prendendo gioco di me?"
"No. È la verità, in questo momento... io vengo dalla Contea!" insistette.
"Oh... beh… capisco... ma io intendevo dire... qual è la vostra vera casa? Sarete pur partito da qualche parte!"
Il Ramingo sospirò.
"Amico mio, viaggio da così tanto tempo ormai che la mia memoria riguardo al mio passato si é fatta corta! Piuttosto voi, perché non mi aiutate a capire a quale punto del viaggio mi trovo?" tergiversò l’Uomo.
"Voi..." indugiò un istante l’Elfo ancora non del tutto convinto, "voi vi trovate nel Bosco Atro Settentrionale, ed io... sono il signore del posto!"
L’Elfo scandì quelle ultime parole con un tono così grave che la fanciulla si lasciò scappare una risatina e anche il Ramingo dovette abbassare la testa per celare un sorriso. Era così buffo!
"Il... signore del posto?!" ripeté l’Uomo.
"Esattamente!" confermò l’Elfo.
"...esattamente…! " gli fece eco il Ramingo. "Voi dunque siete... il re, Legolas..?"
Le immagini di pochi istanti prima gli ritornavano in continuazione alla mente. Non riusciva a nascondere la sua espressione divertita.
"Non esattamente, sono..." s’interruppe, "...come fate a sapere il mio nome?"
Il Ramingo sobbalzò. Si era infatti accorto troppo tardi di aver pronunciato inavvertitamente il suo nome.
Arrossì e abbassò gli occhi.
"Come conoscete il mio nome?" incalzò l’Elfo, avvicinandosi a lui, nuovamente insospettito.
"Beh... ecco…" indugiò ancora l’Uomo, cercando disperatamente una risposta credibile "...ehm... ero appena giunto nel vostro... regno... mi ero incamminato per trovare un luogo dove riposare, sotto un albero... non so... accanto ad un cespuglio, quando sono finito da queste parti e a un certo punto ho sentito... qualcuno esclamare il vostro nome... si ... ecco... pronunciarlo nell’aria..."
"Qualcuno ha pronunciato il mio nome nell’aria?" domandò interdetto l’Elfo.
D’un tratto si bloccò e si voltò lentamente verso la sua compagna che continuava ad osservare la scena divertita e maliziosa.
"Così voi avete sentito..."
"...il vostro nome!"
"...il mio… nome?"
"...già... il vostro nome… nell’aria..."
"E... non avete sentito altro...?"
"N..no…"
"...oppure...visto?" insinuò l’Elfo.
"Suvvia... cosa avrei dovuto... no, non ho visto niente... non..." rispose l’Uomo imbarazzato.
"Eppure io mi domando... come avete potuto sentire il mio nome e non sentire... tutto il resto?"
"Ahi, ahi, amico mio, ora siete voi che mi state suggerendo dell’altro...!" ironizzò.
La fanciulla rise ancora.
Legolas rimase per qualche istante in silenzio, perso tra i suoi ragionamenti.
"A quanto pare questo luogo riserva molti segreti, niente di meglio per uno della mia razza... credo proprio che andrò a dare un’occhiata in giro, se non vi dispiace, ad ascoltare furtivamente... chissà... qualche altro mistero! Vogliate scusarmi..." concluse allontanandosi.
I suoi occhi incontrarono quelli della fanciulla, e una scintilla di complicità brillò nel suo sguardo.
Il Ramingo sorrise e si voltò per andarsene.
"Dove credi di andare?" gli intimò d’improvviso Legolas.
L’Uomo si fermò e lentamente tornò sui suoi passi.
Si bloccò ancora una volta. Stupito. Vide l’Elfo che stava tendendo l’arco e una freccia era puntata dritta proprio contro di lui.
Si ammutolì.
"Non penso che potrai lasciare Bosco Atro tanto facilmente, Ramingo…"
"Legolas..." mormorò la fanciulla.
"Sono forse vostro prigioniero, ora?"
"Questo é ancora da decidere, straniero! Per il momento, per evitare che la vostra curiosità vi spinga a scoprire altri segreti del mio regno, temo che dovrò tenervi con me!" sorrise accattivante.
Il Ramingo lo guardò profondamente.
"Davvero? E se io rifiutassi questa proposta?" ammiccò.
"Non é una proposta, é un ordine...! Voi resterete qui ed io... vi terrò d’occhio!"
"Non credo che resterò a lungo qui, invece..." commentò l’Uomo.
"Questo lo vedremo..." soggiunse l’Elfo.
"La mia razza non ubbidisce ad alcuna legge, se non a quella della Natura..." mormorò ascoltando il Vento, "potrei decidere di andarmene in questo stesso istante..."
"Allora la mia freccia seguirà la vostra partenza! E vi assicuro... non ha mai sbagliato direzione!"
"Devo forse aver paura?" domandò sardonico l’Uomo, lanciandogli un’occhiata di sfida.
"Di me? ...Oh si! Ve l’ho detto... io sono il signore del posto..."
"Non me ne vogliate ma... non mi sembra un esercizio molto regale andare a caccia di stranieri..."
"E a me non sembra altrettanto consono ad un Ramingo curiosare tra le abitudini segrete di un regno che non conosce..."
L’Uomo sorrise.
"Noi siamo fatti per scoprire..."
"E noi per proteggere..."
Si guardarono in silenzio per alcuni istanti.
"Voi non siete un re..." mormorò l’Uomo.
"E voi non siete un semplice Ramingo..."
 
"Legolas, abbassa l’arco!"
Una voce sopraggiunse. Improvvisamente.
Legolas sobbalzò e istintivamente abbassò a terra l’arco, riponendo con l’altra mano la freccia nella faretra.
Si voltò e guardò in silenzio dietro di sé. Un Elfo assieme ad altri compagni era dinanzi a lui e lo stava osservando con aria grave.
"Cosa sta succedendo qui?" domandò l’Elfo.
"Nulla... nulla..." mormorò Legolas, "ho soltanto... scovato questo straniero, mentre... " s’interruppe, "esplorava i confini di Bosco Atro…"
"Che cosa intendevi fare con quella freccia?"
"Oh, niente! Volevo... intimorirlo un po’... tutto qui!" rispose Legolas titubante.
"Intimorirlo? Mi sembrava invece che stessi facendo ben altro! Stavi giocando con quegli arnesi! È un’arma, Legolas..."
"Lo so..."
"...ti ci puoi esercitare, o tirare per cacciare gli animali del bosco... queste frecce ti saranno utili un giorno, anche se spero che sia il più lontano possibile, tuttavia le potrai usare al momento giusto..."
"Volevo soltanto… difendere il mio regno!" esclamò Legolas.
"Difendere...?" mormorò d’un tratto, ironico l’Uomo.
Legolas gli lanciò un’occhiata truce.
"Accadrà! Lo potrai fare... quando sarà il momento!" ripeté l’altro.
Dopodiché si rivolse verso il Ramingo che inconsciamente, stringeva tra le dita l’impugnatura della spada.
L’Elfo lo guardò fisso negli occhi, scosse la testa e l’Uomo allentò la presa, pronto ad essere nuovamente interrogato.
"Chi é dunque costui?" domandò rivolto a Legolas, "Chi siete?" chiese ancora, guardando l’Uomo.
"Sono un Ramingo!" rispose nella loro lingua, "Anche se gli Elfi di Lòrien mi chiamano Dunédain…"
Non appena lo sentì parlare nella melodiosa lingua elfica, Legolas sgranò gli occhi e sorrise.
"Conoscete gli Elfi di Celeborn e Galadriel!" esclamò quello stupito.
"Si, nel mio lungo peregrinare attraverso la Terra di Mezzo, non molto tempo fa sono giunto a Lothlòrien..."
"Sapete dunque parlare anche la nostra lingua?"
"Conosco l’elfico. Mi sono trattenuto per un po’ di tempo con gli Elfi di Lòrien, ed ho potuto apprendere molte cose su di loro..." s’interruppe, "e dato che non conoscevano la mia lingua, non ho potuto fare a meno che imparare la vostra!" concluse.
L’Elfo guardò i compagni come per consultarsi, poi gli si avvicinò.
"Da dove vieni, straniero?"
Il Ramingo esitò un istante, invaso dalla luce chiara ed eterea che sprigionava il volto dell’Elfo. Si stava ancora chiedendo se fossero mai esistite nella Terra di Mezzo creature altrettanto belle. Ma fino ad allora non ne aveva incontrate. La risposta restava così la stessa. Guardò furtivo Legolas e si accorse che i suoi grandi occhi azzurri erano fissi su di lui.
"Vi ho detto... che mi chiamano Dunédain... questo è il nome che mi hanno assegnato. E come Ramingo, il ricordo della strada della mia casa è lontano e confuso ormai…" sospirò, "la mia casa è diventata ogni meta che raggiungo..."
"Benvenuto allora!" esclamò l’Elfo, "Io sono Menïsyr di Bosco Atro. Tuttavia, prima di stabilire se Bosco Atro potrà divenire la vostra casa per tutto il tempo che riterrete necessario, dobbiamo conoscervi meglio ed assicurarci che siate giunto nella nostra terra con intenzioni pacifiche..."
Il Ramingo annuì.
L’Elfo allora si rivolse a Legolas e alla sua dolce compagna che era rimasta in disparte per tutto il tempo della conversazione.
Lo guardò interrogativo, "Ebbene?" domandò avvicinandosi, "Cosa stavi facendo qui?"
"Ve... ve l’ho detto, stavo controllando i confini..." mormorò.
"Assieme a lei?!" incalzò l’Elfo.
Legolas abbassò gli occhi, "Ecco... beh... io..."
"Stavano cacciando stranieri, o non so… poveri viandanti… o ignari raminghi, temo..." intervenne l’Uomo.
Legolas alzò appena lo sguardo e notò il sorriso sulle labbra del Ramingo.
"Ah... é così dunque...?"
"Si... mi sono voluto divertire ad ispezionare il luogo. Lùnithien é venuta con me, poi ad un certo punto abbiamo sentito dei rumori, mi sono insospettito e abbiamo infine scovato il..."
"...Dunedain!" concluse l’Uomo.
"Infatti! È andata così!" continuò Legolas, celando un sorriso.
"Non credi che sia finito il tempo di giocare, Legolas? Dovresti occuparti di ben altre cose, anziché scorrazzare tra i boschi! Tuttavia, questo é un compito che non mi riguarda..."
Legolas annuì con la testa, così incrociò il suo sguardo con quello divertito del Ramingo e si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Grazie...» sembrò dire il giovane Elfo.
«Dovere... maestà!» rispose l’Uomo con il pensiero.
Il Vento soffiò tra i rami e scosse le foglie che all’unisono risposero al richiamo.
Ormai le ultime luci del giorno stavano morendo lontane, nel grembo di un orizzonte indistinto.
Gli Elfi si guardarono intorno. La sera stava scivolando tra gli alberi, inondando il bosco della fresca aurea notturna. Le creature della notte erano in procinto di risvegliarsi, brulicavano tra le foglie, e nascoste dietro ai cespugli. Alcune di esse stavano già intonando i loro lamenti alla Luna.
"Si sta facendo buio, credo sia meglio rientrare!" esclamò uno degli Elfi.
"La notte non é calata del tutto! Perché non restare ancora?" intervenne d’improvviso Legolas. Iniziava proprio in quegli istanti a percepire la bellezza del suo regno. Le ore della sera, appena dopo il tramonto, erano il momento che lo incantava di più.
"È tardi!" rispose Menïsyr.
"Perché... non mostriamo qualcosa della nostra terra al Dunedain?" insistette.
Il Ramingo lo guardò e sorrise.
"Legolas..." mormorò Menïsyr.
"Chi si occuperà di lui?" aggiunse.
"Noi ci occuperemo di lui!" rispose risoluto l’altro.
"Ma..."
"Avanti Legolas, fila a casa!" ordinò l’Elfo.
Legolas sospirò, evidentemente contraddetto, ma non rispose nulla.
Si avvicinò a Lùnithien, la prese per mano, salutò gli altri, con rammarico guardò fugacemente il Ramingo e sgattaiolò via veloce tra gli alberi, perdendosi nella notte.
"Avanti, andiamo!" disse Menïsyr guardando l’Uomo, "Avremo finalmente occasione per conoscerci meglio..."
Si misero in cammino. L’Elfo non parlò più per tutto il tragitto. Pareva perso tra i suoi pensieri.
Due Elfi li precedevano, veloci, impercettibili, sembravano muoversi a passo di danza tra gli alberi.
Gli altri tre li seguivano, invece, parlottando tra di loro. Il Ramingo si sentiva costantemente osservato, sentiva gli occhi dei tre Elfi sulle spalle e sulla schiena, quasi come se ce li avesse davanti. Questo lo irritava e lo divertiva al tempo stesso.
Non si accorse però che uno di essi seguiva i suoi passi, puntando una freccia contro di lui, pronta ad essere scoccata qualora egli si fosse rivelato pericoloso.
Era da molto tempo che gli Elfi non riuscivano più a fidarsi degli stranieri. Pochi erano i viandanti o genti di altre razze che approdavano a Bosco Atro, ormai.
Tutti si erano chiusi all’interno dei propri confini, difendendoli gelosamente.
Erano divenuti guardinghi ed enigmatici nelle intenzioni.
Il Ramingo si domandava perché.
Non conosceva la risposta. Ma presagiva qualcosa nell’aria. Aveva ricevuto lo stesso trattamento all’inizio anche a Lothlòrien e ad Ovest, nella Contea degli Hobbit, in modo diverso ma con la stessa diffidenza.
Un’ombra di precarietà stava nuovamente avvolgendo la Terra di Mezzo.
Tuttavia di tutte le razze che aveva potuto conoscere, aveva trovato molti amici tra gli Elfi.
Gli avevano insegnato molte cose, lo avevano reso partecipe della loro vita.
 
Proseguì. Intravide delle luci davanti a sé. La parte fitta del bosco stava terminando, aprendosi in un’ampia radura. Lanciò un’occhiata all’Elfo accanto a sé. Taceva ancora.
Guardò il cielo, cosparso di stelle. Sorrise.
Non poteva negarlo, nonostante tutto era legato a quel mondo così diverso dal suo, eppure tanto simile.