.|. Schegge di Follia - take 2  .|.

9. Innamorato

~

Look around just people

Can you hear their voice?

Find the one who'll guide you

To the limits of your choice

 

- Enigma – “Gravity of Love”

 

I am hunted by the future

Will the future be my past?

Or is time a fade out picture

Of my everlasting cast?

 

Love is phasing

Love is moving

To the rhythm of your sight

I get closer

To the crossing point of light

 

- Enigma –  “Prism Of Life”

 

That's not the beginning of the end

That's the return to yourself

The return to innocence

           

- Enigma – “Return to Innocence”

 

 

****NOTA: ANCHE QUESTO MOVIMENTO E’ UN PO’ Più FORTE DEGLI ALTRI, E MI SEMBRAVA GIUSTO AVVERTIRE I LETTORI. =) INOLTRE, A CIRCA META’ CAPITOLO TROVERETE UNA SCENA ABBASTANZA GRAFICA, CHE TRATTA DI UN TRIBUNALE UN PO’ PARTICOLARE, GENTE IMPAZZITA, FERITE AUTO-INFLITTE, SANGUE E VIOLENZA.****

 

 

Privato di Legolas, privato di Turlos e privato, infine, anche del Sogno, Aragorn si aspettò di cadere nuovamente in un baratro di tormentata frenesia. Così non fu. Tre mesi erano passati dalla scomparsa di Turlos, e una notte da quella del Sogno. Eppure, per la prima volta da quando era giunto in quel mondo lugubre e dannato, Aragorn era di nuovo sé stesso.

Le verità è che le sue illusioni notturne gli avevano aperto gli occhi sulla natura Turlos. Una verità talmente triste che per giorni Aragorn aveva sperato che la maledizione finisse, che i suoi sogni ritrovassero la loro casuale eccentricità, e gli portassero solo ardore, e non più parole di saggezza. Eppure fu indubbiamente contento quando la figura silenziosa che gli appariva in sogno si aprì a lui, gli parlò, gli disse: “Ti credo, ti ammiro, ti conosco. Ma non lui, non Turlos. Lui in realtà è questo. E questo. E questo. Ed io ti aiuterò a capire.”

Ma che razza di creatura era Turlos? Semplice: un incubo.

Parola da non confondere con tutte le altre che Aragorn aveva fin a quel momento adoperato: illusione, sogno, chimera, bellezza. Turlos era un morto non morto. Un paradosso senza fine. Una creatura fuoriuscita dagli abissi per tentare e distruggere. Un vampiro che succhiava la voglia di vivere. Un mostro dal corpo di angelo.

E la passione che ispirava?

Morbosa follia. Cancro dell’anima. Un germe come una famelica macchia che risucchia dall’interno, consumando mente ed anima fino alla morte, o al suicidio.

Più sconvolgente ancora, Turlos era qualcosa –o qualcuno- che Aragorn non aveva mai visto. Almeno, non completamente: il Turlos che lui conosceva, sebbene freddo e austero, non era affatto quello che conoscevano gli altri, quello di cui Gimli aveva parlato al loro incontro, indolente e intoccabile. La creatura con cui aveva interagito Aragorn non era affatto priva di emozioni; non era immune a dubbi e ripensamenti e non aveva ucciso Aragorn nel momento in cui si erano sfiorati - anzi, si era lasciato stringere e cullare e accarezzare. Si era mostrato vulnerabile, e spaventato, e speranzoso.

In definitiva, la creatura con cui aveva interagito Aragorn non era morta dentro. E questo pensiero lo colmò di gioia, perché gli fece sperare che quell’Elfo tanto amato, e che tramite lui era stato distrutto, fosse ancora vivo da qualche parte nell’animo nero di Turlos, e provasse amore, e lo provasse per lui.

 

Forte di questa nuova speranza, Aragorn vagava -a tre mesi dalla scomparsa del Signore della Neve- per i corridoi vuoti e bui del Palazzo Bianco, in cerca di una prova che Legolas fosse sopravvissuto dentro di Turlos. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per risvegliare il suo cuore e restituirgli la sua vera identità: amava quell’Elfo, ed aveva bisogno di lui. Ma era certo che anche la Terra di Mezzo avesse un disperato bisogno di riavere indietro il suo figlio splendente, la sua gemma imperitura. In fondo la cuore credeva che se Legolas fosse rimasto Legolas, ora ci sarebbe ancora un barlume di speranza per la Terra di Mezzo.

Un po’ curvo in avanti, come per seguire tracce invisibili sui lustri pavimenti di roccia, Aragorn perlustrò passaggi silenziosi e anfratti oscuri, senza trovare traccia di vita alcuna. Di colpo si rese conto che i canti ululanti che erano saliti dalle prigioni sotterranee per giorni erano cessati. Affacciandosi ad una delle finestre vide che le strade erano completamente vuote, e ricoperte da una patina di ghiaccio. Non una finestra era illuminata, non una porta era aperta. Colto da un senso di oscura premonizione Aragorn si gettò di nuovo in avanti, divorò metri e metri in corsa, attraversò saloni vertiginosi, strisciò sotto arcate crollate, procedette a balzi per le scalinate auree, fino a che l’unica cosa di cui era conscio era di seguire l’istinto. Quattro o cinque volte gli sembrò di vedere Legolas come era stato nel Sogno apparire e scomparire dietro un angolo o in cima ad una rampa di gradini; mai niente più di uno scintillio dorato di capelli, uno svolazzare verde del mantello, un fruscio melodioso che poteva essere o non essere il nome del Ramingo.

Seguendo quell’apparizione dietro un ultimo angolo Aragorn si ritrovò in galleria marmorea dove file e file di candide statue si scontravano in una muta disputa. Era una galleria immensa, che ai lati e in alto si perdeva in un’oscurità brulicante. Dinanzi a lui si stagliava una balaustra, anch’essa di pietra bianca. Il suono lugubre di un organo e tortuose spire di nebbia si alzavano dalla voragine che c’era aldilà. Mischiato alla nebbia ed alla musica nefasta c’era una specie di gemere sommesso, un guaire che raschiava tormentato fuori da centinaia di gole umane, ma che non osava alzarsi di volume.

Aragorn trasse un respiro profondo. Avanzò fino a stringere le mani sul bordo della balaustra, e si sporse in avanti.

Sotto di lui si apriva una navata tenebrosa, lunga e stretta, che si sbiadiva in ogni direzione in una coltre  fumosa. L’incenso sembrava scaturire dalle rocce lucide del pavimento come una misteriosa esalazione, spandendosi nell’aria immobile in spire lente e tortuose. File e file di gente inginocchiata e prostrata, disposta a semicerchio intorno ad un centro comune, si allungavano senza fine alla sua sinistra. Centinaia di volti fluttuavano nelle ombre, grandi e piccoli, lunghi e tondi, gonfi e scavati dall’età; macchie ondeggianti, spettrali nel riverbero di fredde fiamme azzurre. Una cosa sola li accomunava tutti: il fievole mugolare che sgorgava dalle loro gole, una salmodia come una lugubre ninna-nanna, un canto sacro sgorgato però da abissi di indicibile oscurità.

In un attimo di chiarezza sconvolgente Aragorn capì anche senza sentire cosa cantassero con insistenza:

il nome di Turlos, mormorato, urlato, guaito, osannato, distorto. Scuotendo la testa, che ora sentiva leggera, Aragorn trascinò riluttante lo sguardo verso l’estrema destra, dove erano puntati tutti gli occhi febbricitanti.

Decine di bracieri, ardenti di sterili fiamme bluastre, attorniavano illuminandolo un altare finemente intarsiato. In cima ai tre gradini imbrattati di sangue Aragorn scorse un uomo volto di spalle. Anch’egli salmodiava febbricitante, e nella sua voce si udiva il suono delle lacrime. C’erano altri uomini e donne gettati qua e là come foglie al vento sulla pietra rossastra, accoccolati come in preda al dolore. C’era chi si stingeva al petto il moncherino di una mano, chi piangeva per la perdita di una gamba, un occhio, la lingua. Taluni stavano sdraiati a gambe larghe, altri si inginocchiavano come in preghiera, i polsi incatenati come carcerati. Anche loro cantavano a labbra serrate. 

Poi l’uomo in piedi sulle scale urlò, fece cadere il coltello che impugnava e si accasciò al suolo, stringendosi al petto la mano che da solo si era ferito. Dietro di lui, al centro dell’altare, Aragorn scorse infine la causa di quel cantico addolorato. Il sangue gli si fece ghiaccio nelle vene.

La statua sedeva come le effigi dei Re dell’Antichità, con il busto eretto e le ginocchia strette, su un trono di marmo. Le candide braccia erano state sbozzate dalla stessa pietra scintillante dei braccioli del seggio, dando l’impressione di esservi adagiate sobriamente. La luce tremula che sgorgava dai bracieri fumanti d’incenso scivolava come acqua sulle fattezze di pietra, sopra le labbra incolori e schiuse, le narici immobili, riflettendosi nelle gemme umide degli occhi.

Con sgomento Aragorn notò che la pazzia di quella gente era tale che fili dell’argento più candido e fino erano stati disposti, a mò di capelli, sulla testa coronata e le strette spalle bianche. Probabilmente, quella minuscola ombra tremula nelle arcate degli occhi indicava che bianche, piccole ciglia erano state applicate una per una alle immobili palpebre semi-abbassate.

Il corpo di un candore accecante era drappeggiato in un vaporosa veste color del cielo. I polsi, il collo e le caviglie slanciate erano complimentati da decine di bracciali d’oro scintillante.

Una simile meraviglia avrebbe lasciato chiunque senza fiato, ma se Aragorn annaspò, coprendosi la bocca, fu per un indicibile senso di orrore.

Spesso nel creare le loro opere gli scultori le dotano di un impulso vitale; le modellano con una morbidezza che imita la vita; le pongono in atteggiamenti talmente naturali e plastici da far presagire che da un momento all’altro si possano muovere.

Ma non questa.

Le membra così perfette da sembrare reali davano un’impressione di abulia nauseante; vi era un

contrasto osceno e orribile tra la perfezione di quella figura e l’aura di devastante inerzia che emanava. La fissità dello sguardo vitreo; la rigidità ripugnante; la durezza delle membra -in contrasto con la morbidezza quasi dolorosa delle labbra, della curva sinuosità dai muscoli scolpiti egregiamente- comunicavano un impersonalità schiacciante. Più che un omaggio alla vita quella statua era un tripudio alla morte, un bellissimo cadavere congelato ed esposto agli occhi di tutti per essere additato.

Era la cosa più mostruosa che avesse mai visto.

Era Turlos come lo conoscevano tutte le genti. Il vero Turlos. Diverso e terribile dal Turlos che lui aveva visto, distante e gelido, ma ancora vivo.

Aragorn ricacciò in gola a fatica un’ondata di lacrime e bile.

Possibile che la mancanza del loro Signore  avesse così tanto sconvolto le menti sperdute di quelle gente? Anche lui avrebbe, se non fosse stato per il Sogno, modellato di sua mano una simile effige dannata per dare sollievo al suo spirito, e le avrebbe offerto sacrifici di sangue? Che fosse questa la natura ultima di Turlos – la follia estrema e devastante?
In quel momento, un vecchio scarno e dalle membra contorte fu trascinato tra le file di gente implorante. La sua pelle aveva un colorito grigiastro e spento, ed in alcuni punti era chiazzata e squamosa, come sul capo, calvo se non per qualche ciuffetto di capelli gialli e secchi che sbucavano qui e là. Aveva gli occhi vitrei e debolmente luminosi, le labbra livide erano aperte sopra un beffardo sorriso sdentato. Avanzava trascinandosi, talmente curvo sotto il peso dell’età che le ginocchia quasi sfioravano il petto ad ogni passo. Un olezzo tremendo emanava dalla sua figura sudicia e degenerata.

Quando fu direttamente sotto di lui, Aragorn notò che i suoi polsi erano stretti in un ceppo, come fosse un criminale. Nel momento in cui il vecchio raggiunse l’altare, Aragorn credette di vederlo girarsi a guardarlo di traverso e sogghignare.

Il salmodiare ascese, come il rumore di onde in una grotta, traboccò e si spense. Il giovane che aveva condotto avanti il prigioniero annunciò a gran voce i crimini di cui si era macchiato, quindi lo fece cadere con una spinta ai piedi del trono, facendo attenzione a non toccare quella carne ributtante.

Il vecchio, per nulla pentito, alzò le mani untuose e circondò le gambe della statua. I suoi occhi si illuminarono e il suo respiro accelerò eccitato a quel contatto. Quando provò a nascondere il viso in quel grembo profumato, una forza invisibile lo spinse indietro, costringendolo in ginocchio. Aragorn riconobbe con orrore montante i segni che apparvero attorno alla gola dell’uomo. Quindi venne l’orrore supremo.

La statua aprì le labbra, che rimasero praticamente immobili mentre dalla sua gola di marmo uscivano parole di accusa. Le palpebre di pietra si chiusero e riaprirono di nuovo. La sua voce era carezzevole e ruvida e inspiegabilmente eccitante quando pronunciò la sentenza di morte.

Il corpo del vecchio fu colto dagli spasmi. Tossì, annaspò in cerca d’aria. Lividi e bruciature apparvero sulla pelle grigia, un rivolo di sangue gli uscì dagli orifizi della testa. Una, due, tre volte fu sbattuto a destra e sinistra sul pavimento di dura pietra. Il volto di Turlos non cambiò mai espressione, nemmeno quando un fiotto di sangue scivolò fino a lambirgli le punte dei sandali bianchi.

Aragorn non poté resistere un momento di più.

“Turlos!” urlò, e pure mentre urlava aveva afferrato la balaustra, e con la forza delle braccia si era gettato aldilà. Atterrò su mani e piedi al centro del corridoio. Un brusio indignato e sorpreso si levò attorno a lui, tramutandosi poi in urla strozzate. Turlos si alzò di scatto dal seggio, senza perpetrare la condanna da lui emessa. Il vecchio si accasciò al suolo, dolorante ma ancora vivo, e sghignazzò come un folle.

Uno strano silenzio colmo di sgomento riempì l’aula. Una trasformazione radicale e improvvisa si era operata nel Signore della Neve nello spazio di un attimo, una cambiamento impossibile da credere per chi non l’avesse visto.

Il suo corpo si era animato improvvisamente, come se un respiro vitale l’avesse investito e colmato fino a traboccarne. La sua carne, che fino a quel momento era sembrata una sostanza dura e oscena e scintillante, era di nuovo tenera e morbida. La rigidità era svanita dalle sua gambe agili e snelle, piegate mollemente alle ginocchia in una morbida x. Le braccia inerti erano ora strette al suo corpo, le candide mani premute al petto. Ed il viso, lo splendido viso suffuso di luce, era dipinto di un espressone magnifica, le sopracciglia seriche incurvate all’insù, gli occhi sgranati, le labbra che si muovevano morbide, d’improvviso rosee come fiori in boccio.

“Aragorn!” esclamò, e la sua voce risuonò come un tintinnare di campane d’argento, dolce e modulato, ed affatto roco. Mai prima d’ora i suoi sudditi l’avevano visto così. E mentre alcuni rimasero estasiati, i più cadevano in preda al terrore.

Senza badare a quelli che stavano attorno a lui, Aragorn marciò fino all’altare, e prese la mano di Turlos teneramente tra le sue. Il terror panico si diffuse nella sala come un morbo asfissiante. Turlos permetteva ad un mortale di toccarlo? Sacrilegio! Ignominia! Eppure stava accadendo; accadeva proprio dinanzi ai loro occhi, ed anche se non riuscivano a crederci, nessuno poteva costringersi a non guardare.

“Che accade qui, Turlos?” chiese Aragorn dolcemente. “Perché punisci in modo così crudele quel povero vecchio?” Turlos emise un suono come un gemito strozzato. Ah, possibile che ciò che è affascinante per natura diventi così incredibilmente bello quando è preda delle emozioni?

“Povero vecchio!” esclamò. “Aragorn! Aragorn! Quell’uomo è un folle e un assassino! Si è macchiato di violenze tremende, che nella mia mente ho visto come se vi avessi assisto! Ha reso orfani decide di bambini, e privato dei figli altrettanti genitori! Ha rubato l’innocenza a fanciulle e ragazzi senza pietà e ritegno!” La sua voce tremò d’emozione. Aragorn gli sfiorò la guancia teneramente, mentre con un braccio l’attirava a sé. Sentì le mani di Turlos posarsi sui bicipiti, e la schiena dell’elfo inarcasi contro il braccio che lo cingeva per la vita. La luce brillava suadente sul suo profilo e nei suoi occhi.

“Non chiamare me crudele. Egli lo è,” mormorò Turlos.

“Non mi importa del suo fato,” ammise Aragorn in un filo di voce. “E’ un criminale, e come tale merita di essere punito. Ma ti prego, non sporcare le tua mani di sangue per colpa sua.” E così dicendo posò un bacio su ognuna delle sue dita, che stringeva dolcemente, sul palmo e poi sul dorso della mano immacolata. Turlos scosse la testa, ma non si allontanò.

“Le mie mani sono già sporche di sangue. Non vedi?” indicò con la testa coloro che già erano stati puniti. “Ciò che essi tolgono alle loro vittime, io tolgo loro. Chi ha rubato è stato privato delle dita; chi ha ferito l’occhio al compagno in una lite, allo stesso modo è stato accecato; chi ha commesso stupri viene privato del desiderio; e chi uccide viene ucciso.”

“E non c’è attenuante che valga? Nessuna eccezione alle tue condanne?”

“Non vi sono attenuanti. Ha agito col solo desiderio di fare del male.”

“Quell’Uomo si. Ma dimmi,” col dito indicò una bimba di non più di sette anni seduta ad uno dei banchi, col visetto vispo incorniciato da una cascata di riccioli biondi. “Se a causa sua, di un suo gioco od errore, qualcuno morisse, tu l’uccideresti?” Turlos guardò la bimba, che gli sorrise, mentre la madre sgomenta la prendeva tra le braccia e la nascondeva alla vista del loro Signore.

“Si.”

“Ma è solo una bimba!”

“Ma avrebbe ucciso.”

“Non per volontà sua.” Aragorn scosse la testa. “Forse la giustizia che tu applichi è quella suprema dei Valar, ma usarla qui sulla Terra di Mezzo è un errore. Cos’è in fondo la giustizia? Chi di noi può dirlo? Il massimo che noi possiamo fare è mostrarci duri dinanzi ai crimini, e compensare i grandi atti di eroismo e amore. Non accomunare tutti gli individui come se non avessero personalità e motivi differenti. Forse che chi ruba un tozzo di pane duro perché muore di fame và punito al pari di chi ruba e uccide per il semplice piacere di farlo? No.

“Oh, Turlos, mai prima di adesso i tuoi sudditi avevano trasgredito alle tue leggi. E questo perché in cuore loro essi ti temono tanto quanto come ti adorano! Ma guarda! Non appena ti sei allontanato, e la minaccia della tua punizione è venuta meno, il terrore è prevalso, ed i peggiori misfatti sono stati compiuti!

“Possibile che tu non veda? Se loro ti amassero, ti amassero senza riserve e senza timori, allora anche quando sei lontano essi ti rispetterebbero! Mostra loro pietà, Turlos! Trattali con dolcezza, e con dolcezza essi ti serviranno! Punisci quest’uomo come merita, si, ma non ucciderlo! Lascia che io lo curi, e poi imprigionalo, perché essere rinchiuso sarà una pena maggiore per lui che la morte, che lo renderebbe incapace di sentire vergogna e pentimento.”

Per un lungo istante nessuno fiatò. Il vecchio aveva smesso di sghignazzare, e stava ora col corpo teso, la testa nascosta nell’incavo del braccio, a mormorare oscenità. Il silenzio era tale, e tanto pesante, da sembrare palpabile. Come se il mondo fosse stato oscurato e lentamente asfissiasse sotto una pesante cappa. Sempre guardando Aragorn negli occhi, Turlos disse infine:

“Porta con te quest’Uomo, Aragorn, e curalo. Per intercessione tua la sua pena viene mutata, e non più sarà ucciso, ma solo imprigionato.” Le sue parole echeggiarono nella sala tenebrosa come il sussurro del vento. Nessuno parlò. Aragorn trattenne a stento l’istinto di baciare Turlos sulla bocca, e stringendoselo al petto si limitò a posargli le labbra sulla fronte.

Staccandosi da lui si diresse verso il vecchio, e con l’aiuto del giovane carceriere lo portò dolcemente via. Sospirando, Turlos li guardò scomparire nelle ombre, fissando con espressione rapita e addolorata il punto in cui da ultimo aveva scorto Aragorn. La luce delle torce, scivolando sul suo corpo, faceva trapelare non più quella sensazione di distacco ultraterreno e indolenza, ma una carica di sensualità e una morbida aura soprannaturale che lasciavano senza fiato.

Né morto né vivo; né Turlos né Legolas; né Valar né Creatura dell’Abisso.

Solo una creatura che respirava lievemente, e lievemente si muoveva.

Quando infine lasciò la stanza, avanzando non come uno spirito pauroso ma come un angelo celeste, Gimli lasciò il suo posto all’organo e gli trotterellò dietro, sorridendo da orecchio a orecchio. Rimasta sola, la gente nell’aula iniziò a mormorare concitatamente, alternando commenti sorpresi, profezie nefaste e sussurri gioiosi.

Ormai non c’era più alcuna ragione per loro di dubitarne:

Turlos si era innamorato.