.|.The Matrix .|.

 

5. In Viaggio

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Quando Aragorn si svegliò non riuscì a capire dov’era, perché si trovava immobilizzato nel buio più assoluto, e fu colto improvvisamente dal terrore di essere stato imprigionato in qualche segreta sotterranea e abbandonato lì.

“Aragorn non ti agitare,” mormorò una voce rassicurante al suo orecchio “così strapperai tutte le bende.”.

Il Ramingo riconobbe subito la voce e mormorò con voce rauca: “Laiqalassë...”.

“Si sono io, ora stai tranquillo sei al sicuro, sono qui accanto a te.”.

Aragorn cercò parlare di nuovo, ma aveva la gola troppo secca e riuscì solo a sussurrare: “...acqua... per... favore...”.

Un attimo dopo sentì una mano che gli sollevava gentilmente la testa e un bicchiere gli venne appoggiato alle labbra. Bevve a lungo a piccoli sorsi, la sua sete sembrava inestinguibile, poi ricordò che era la prima volta che lo faceva realmente e si disse che tutto per lui, almeno per un po’ di tempo, sarebbe stato nuovo.

Quando Legolas gli ebbe fatto appoggiare la testa sul cuscino restò per un po’ in silenzio, poi trovato il coraggio pose la domanda che lo angosciava da quando si era svegliato: “Legolas, perché non riesco a vedere nulla?”.

Aragorn poté intuire chiaramente un sorriso nella risposta dell’elfo: “Perché hai gli occhi chiusi.”.

Il Ramingo tentò di aprirli, ma i suoi sforzi non approdarono a nulla, a lui i suoi occhi sembravano già aperti!

“Non ci riesco!” Mormorò frustrato dai tentativi inutili e come avrebbe desiderato almeno potersi muovere! Improvvisamente sentì qualcosa di umido che gli veniva passato sul viso e in particolare sugli occhi e poi di nuovo la voce di Legolas: “Provaci di nuovo.”.

Questa volta riuscì a socchiudere le palpebre, ma la luce fioca che si trovava nella stanza fu troppo per il Ramingo, serrò le palpebre con un lamento, se avesse potuto avrebbe pianto dalla rabbia!

“Non adirarti Aragorn,” mormorava di nuovo la dolce voce di Legolas “presto entrerai in possesso di tutte le tue facoltà, per ora devi solo riposare e attendere, diventi ogni giorno più forte da quando siamo in viaggio.”.

“Parlami di dove siamo ora e del percorso che ci aspetta, ti prego.”.

“Non è un percorso particolarmente difficile: per ora stiamo risalendo il corso dell’Anduin su una piccola nave che si chiama Maew...”.

“Strano trovare un maew (gabbiano) così lontano dal mare,” mormorò Aragorn sorridendo.

Anche Legolas sorrise e continuò: “Continueremo a risalire l’Anduin fin dove s’incontra con il fiume Gaggiolo, nel quale c’immetteremo fino alle Montagne Nebbiose, lì, con la guida dei nani, attraverseremo Moria: il modo più veloce per superare le Montagne. Fuori Moria c’è una scorta e dei cavalli che ci attendono per farci raggiungere nel più breve tempo Gran Burrone. E questo è tutto.”.

Aragorn non disse niente e Legolas cominciò a sospettare che si fosse addormentato a metà del suo discorso, quando improvvisamente il Ramingo parlò di nuovo: “Legolas?”.

“Dimmi.”.

“Tu mi stai dicendo che Moria è di nuovo in mano ai Nani e che gli Elfi sono arroccati a Gran Burrone...”.

“Non solo a Gran Burrone, e Moria è in mano ai Nani perché tutti quelli che sono riusciti a fuggire si sono riuniti lì da quando Sauron ha spostato i suoi Orchi altrove.”.

“Dove?”.

Legolas tacque per un lungo momento prima di rispondere, per lui era una ferita aperta e sempre sanguinante, poi parlò: “A Bosco Atro.”.

Aragorn tacque nuovamente a lungo, poi fece un’altra domanda: “Legolas il tuo aspetto è lo stesso con il quale ti ho visto a Matrix?”.

“Si...”.

“Allora sei un elfo silvano... Bosco Atro era la tua terra.”.

“Era il regno di mio padre, io non l’ho mai visto.”.

“Mi dispiace,” mormorò il Ramingo, poi dopo un altro lungo silenzio chiese: “Qual’è la tua storia?”.

Fu il turno di Legolas di tacere a lungo prima di parlare: “La mia storia non ha niente di particolare. Sono nato l’anno dell’invasione di Bosco Atro, mio padre è morto combattendo e io e mia madre siamo stati fatti prigionieri. Io sono finito per quasi vent’anni in una di quelle vasche... mia madre era troppo vecchia, non poterono tenerla a lungo in quella stasi e quindi la uccisero. Io, in seguito, fui salvato da Elrond che mi crebbe insieme ai suoi figli...”.

La voce di Legolas si spense improvvisamente, non aveva mai raccontato, a parole, la sua storia a nessuno prima di allora e il dolore per quello che era successo lo colpì improvvisamente come un pugno allo stomaco e lacrime silenziose cominciarono a cadere dai suoi occhi.

“Avo ninno (non piangere) Laiqalassë,” mormorò Aragorn.

“Come fai a sapere che piango?” Chiese Legolas stupito.

“Lo sento, ti sento...” rispose Aragorn sottovoce.

Restarono a lungo in silenzio, poi la voce soffocata di Legolas: “Hanta (grazie) Estel.”.

Poi per lungo tempo non regnò che il silenzio.

 

Il viaggio durò ancora diversi giorni, durante i quali Aragorn riacquistò la vista e tutte le sue capacità motorie, anche se si stancava presto e Legolas non gli permetteva  di fare sforzi inutili, ripetendogli che avrebbe avuto da camminare a sufficienza quando avrebbero attraversato Moria. Per il resto passava tutto il tempo in cui non era richiesta la sua presenza altrove nella cabina di Aragorn, poi improvvisamente, un giorno, annunciò: “Domani notte sbarchiamo.”.

Il Ramingo sorrise e rispose: “Non vedo l’ora di ritrovarmi di nuovo all’aperto, di rivedere il mondo!”.

“Non aspettarti troppo,” lo ammonì l’Elfo cupo.

Aragorn aprì la bocca per ribattere, ma poi ricordò la landa desolata che gli aveva mostrato Elrond dalla cima della torre e cambiò discorso: “Legolas?”:

“Si, dimmi.”.

“Tu non riposi mai? Se non sei con me so che stai facendo qualcos’altro...”.

L’elfo sorrise e rispose: “Non sto riposando molto, hai ragione, ma noi elfi conosciamo altri modi di riposare oltre al sonno.”.

Il Ramingo tacque un attimo come indeciso poi chiese: “Vorresti riposare accanto a me stanotte? Ovviamente se ti fa piacere...”.

Legolas sorrise a quella richiesta, si alzò dalla sedia su cui era seduto e si sdraiò accanto all’uomo, appoggiando la testa sulla sua spalla. Aragorn trattenne il respiro per un attimo, poi cominciò ad accarezzare i capelli biondi sottili come seta e, abbassata la testa, gli sfiorò la fronte con le labbra.

“Aragorn?”.

“Si, Legolas.”.

La voce dell’elfo era tesa come una corda di violino: “Tu mi odi?”.

Aragorn restò talmente sconvolto da quella domanda che smise di accarezzare i capelli dell’elfo e si spostò in modo di poterlo guardare negli occhi mentre rispondeva: “Io ti amo.”.

Legolas chiuse gli occhi e mormorò: “È molto più di quello che avessi osato sperare...”.

L’uomo gli prese il volto tra le mani e cominciò a baciarlo, dapprima dolcemente, poi visto che non trovava opposizione da parte dell’elfo sempre più appassionatamente. Dopo un po’ Legolas rispose al suo bacio con altrettanto slancio e lo abbracciò stringendosi a lui il più possibile.

Quando Aragorn si staccò per respirare il gemito di protesta che uscì dalla bocca dell’elfo lo fece sorridere e mormorò: “È inutile che ti lamenti mio bellissimo elfo, me lo hai detto tu che non devo fare sforzi inutili, quindi credo che stanotte non potremo fare altro che riposare.”

Legolas sorrise a sua volta e fece stendere nuovamente l’uomo sulla schiena e ribatté: “Tu non devi fare sforzi, ma io posso fare quello che voglio!”.

Detto questo slacciò i pantaloni dell’uomo, li abbassò e si chinò accogliendolo nella propria bocca. Aragorn era così sorpreso che inizialmente non riuscì a dire nulla e poi tutto quello che uscì dalla sua bocca furono gemiti di piacere. Legolas muoveva la lingua e le labbra lentamente sul corpo dell’uomo, cercando di far durare il piacere il più a lungo possibile, intanto Aragorn aveva preso ad accarezzargli i capelli. L’uomo si sentiva completamente perso nel piacere, sapeva che non avrebbe resistito ancora a lungo, ma non voleva fermare Legolas, poi all’improvviso l’attimo giunse e fu come essere attraversato da continue onde di energia.

Il Ramingo sentì Legolas che si sdraiava nuovamente accanto a lui e girò la testa sorridendogli, mentre si risistemava i pantaloni.

“Grazie, è stato bellissimo.”.

Legolas si limitò a sorridergli di rimando e poi si abbracciarono godendosi quell’attimo di silenziosa intimità. Aragorn, dopo un po’, fu il primo a parlare: “Perché prima mi hai chiesto se ti odiavo?”.

“Quando Elrond mi liberò io lo odiai per lungo tempo, perché mi aveva strappato dalla mia illusione, dal mio bellissimo sogno nel quale giocavo e cavalcavo nella mia foresta con mia madre sotto il sole e la luna, per trascinarmi in questo mondo morto. Così ho temuto che anche tu mi odiassi visto che ti avevo fatto la stessa cosa.”.

“Legolas,” rispose l’uomo “io là non ero altro che una specie di mercenario che passava da un incarico all’altro, la mia vita non aveva più niente di bello da molti anni, e non avevo mai incontrato un essere splendido come te.”.

“Sarà perché non avevi mai conosciuto un elfo, non sarà solo il fascino della novità? Ti stancherai di me come hai sempre fatto con le tue precedenti conquiste.”.

Aragorn tacque rendendosi conto che Legolas conosceva anche troppo bene la sua vita, poi ribatté: “Ho mai detto a qualcun altro che lo amavo prima di dirlo a te?”.

L’elfo lo fissò negli occhi e sussurrò: “No, mai.”.

“Allora credimi se ti dico che tu per me non sei un passatempo, tu sei il mio amore,” e lo baciò dolcemente.

Legolas sorrise e appoggiò la testa sul petto dell’uomo per ascoltare il battito del suo cuore.

Dopo un po’ Aragorn parlò di nuovo: “Mi hai detto che odiavi Elrond per averti strappato da Matrix, come è successo che hai cominciato ad amarlo come se fosse tuo padre?”.

“Gli resi la vita difficile per un lungo periodo,” esordì Legolas “ero un bambino testardo sin oltre i limiti della maleducazione, mi rifiutavo di rivolgere la parola a chiunque, sicuro che se avessi fatto finta che lui e la sua gente non esistessero sarei riuscito a tornare del mio sogno. Non facevo altro che cercare di dormire per sognare della mia foresta e di mia madre e ogni volta mi svegliavo in un mondo che mi sembrava un incubo.

“Poi, una notte, quando ero finalmente riuscito a tornare nel mio bellissimo sogno esso si rivelò per quello che era realmente, una finzione e un artifizio: gli alberi avvizzivano e marcivano intorno a me e io cercavo di fuggire, ma ovunque era lo stesso e, alla fine di un sentiero giaceva il cadavere in decomposizione di mia madre coperto di insetti...

“Mi svegliai urlando e piangendo, forse per la prima volta grato di trovarmi dov’ero, ed Elrond venne da me, senza un rimprovero sulle labbra per come mi ero comportato fino a quel momento, asciugò le mie lacrime e mi stette accanto tutta la notte consolandomi e promettendomi che un giorno sarei stato felice anche in questo mondo, molto più di quello che ero stato in Matrix. Da quel giorno ho cominciato a chiamarlo padre.”.

Aragorn non disse nulla, ma strinse più forte l’elfo tra le sue braccia come se volesse tentare di far avverare la promessa di Elrond.