.|. Schegge di Follia - take 2  .|.

4. Il Signore della Neve

~

Coprigli il volto

i miei occhi sono abbagliati

è morto giovane.

 

                        - libero adattamento delle parole di John Webster

 

His lips were cold, his looks were free,

His locks where white as snow,

His skin was as white as leprosy,

The nightmare LIFE-IN-DEATH was he,

Who thicks the man’s blood with cold

 

     - libero adattamento della poesia citata in Interview with the Vampire da A. Rice

  

Aragorn dormì come un morto per una notte e un giorno.

Si risvegliò per la prima volta la sera successiva al suo arrivo, e rimase cosciente giusto il tempo necessario a divorare una scodella di carne e un boccale di birra di mele. Fu solo all’alba del terzo giorno che il Ramingo ritornò dal suo deliquio, integro nella mente e nel corpo, sebbene ancora ferito nell’anima.

Gimli accolse con gioia la sua ripresa miracolosa, e festeggiò offrendogli una tazza di latte bollente addolcito con uno strano miele bianchiccio ed un piatto di urwing –piccole gallette incolori a forma di foglia, nutrienti come lembas ma insipide come sabbia di lago.

Aragorn le divorò avidamente come la cena della sera prima.

Quando ebbe finito, ripose con cura piatto e scodella sul vassoio con cui erano state serviti. Quindi si sedette sul bordo del letto con gli avambracci posati sulle ginocchia e fronteggio il Nano. Gimli abbozzò un sorriso bonario sotto lo sguardo indagatore di Aragorn, quindi brancolò in cerca della sua mano. L’afferrò, e tenendola mollemente tra le sue disse:

“So che hai delle domande, e ti chiedo di non esitare a farmele. Ho avuto modo di riflettere in questi giorni, e sono sicuro più che mai di non sbagliarmi sul tuo conto. Chiedimi pure qualunque cosa, e ti dirò tutto ciò che so.” Il Ramingo sospirò, lasciando trapelare la sua stanchezza emozionale.

“Anch’io ho riflettuto -o sognato, se vogliamo- e sono riuscito a capire cose che prima mi confondevano.” Mosse lentamente le dita, come se sentisse ancora il tocco viscido dello Specchio sgusciargli umido sulla pelle. Strinse il pugno. Ciò che credeva di aver capito l’atterriva nella sua infinita grandezza, lo schiacciava col suo orrore supremo, ma questo non lo rendeva meno vero: ahime! Aragorn sapeva da tempo come funzionava il gingillo magico della dama Galadriel; di conseguenza, gli fu facile capiva cosa gli fosse successo, benché non sapesse spiegarlo.

Ormai, non si trattava più di sapere dove lo aveva condotto lo Specchio: per quanto l’anima si ribellasse ad un tale sacrilego pensiero, Aragorn sapeva di trovarsi a Lothlórien.

La domanda giusta era quando.

Lo Specchio non mostrava altre dimensioni, bensì altri tempi.

Aragorn l’aveva capito, o forse l’aveva sempre saputo, che quello in cui si trovava era il futuro - un futuro in cui lui non esisteva più (non aveva forse visto la sua tomba coi suoi stessi occhi?), un futuro dove, per quanto aveva udito, Sauron regnava, e degli Elfi non c’era più traccia.

Legolas… pensò con una fitta dolorosa al cuore. Arwen, Elladan, Elrohir, amici miei…

“Non ti farò domande, non ancora, ma posso chiederti di condurmi in città? Di mostrarmi le sue vie, e la sua gente?”

Per un lungo momento il Nano non rispose, quasi fosse calato in meditazioni tutte sue. Quindi annuì sollecito, borbottando perplesso che era la cosa più giusta da farsi. Fece per alzarsi, ma Aragorn lo trattenne con una mano sul braccio.

“Aspetta! Prima di andare, dimmi di… dimmi di…”

“Turlos?”

“Turlos.” Il suo tono si fece sommesso al ricordo di quella voce, quella voce roca e sensuale, che l’aveva guidato per mano nel deliquio in luoghi ultraterreni e vividi. Il cuore cominciò a pulsargli nel petto quando ripensò alle fantasie che essa aveva fatto sgorgare nella sua mente – non le fantasie morbose che ci si aspetterebbe tormentino una mente offuscata dall’orrore, ma fantasie inebrianti di pelle nuda e membra avvinghiate strette e lunghi baci.

Quella di Turlos non era solo una voce, ma una droga potentissima. Aragorn ne aveva avuto appena un assaggio, e stava impazzendo per averne di più. Voleva sentirlo parlare ancora. Ne aveva bisogno.

“Parlami di lui,” chiese.

Gimli ebbe un sorriso di trionfo, come se avesse saputo da tempo che un desiderio folle di conoscere di Turlos avrebbe infettato il Ramingo.

“Ah, Turlos!” esclamò. “Una creatura millenaria, unica! Bello come un Vala, e freddo, freddo come il ghiaccio che mai si scioglie in cima ai monti inaccessibili! Se solo avessi ancora occhi per vederlo, per vedere il suo volto un’ultima volta! Se la condizione per guardarlo fosse morire subito dopo, allora morirei all’istante! Adesso! Ora! Non sussultare, ragazzo, non ce n’è motivo: non è passione che mi spinge, ma l’affetto che un guerriero porta al suo compagno; chiamala fratellanza, se vuoi, o affetto paterno – sebbene immaginare una creatura come Turlos rampollo di un Nano sarebbe pura follia!

“Ora devi sapere che, sebbene io non l’ami, la bellezza di Turlos è tale che in ogni angolo della Terra di Mezzo se ne parla. Senza fine è il numero di coloro che si sono consumati d’amore per lui: Uomini e Donne, Hobbit e Nani, e persino servi del nemico l’hanno desiderato durante la sua lunga vita! Ma il suo corpo è intoccabile, e la sua anima implacabile: Turlos guarda il mondo dall’alto del suo disprezzo, del suo Odio consumante per il Nemico. Ma amore… egli non conosce amore.

“Turlos è quintessenza di giustizia: egli non prova nulla, e questo lo rende imparziale persino più dei Valar. Freddo, bellissimo, compassionevole solo con chi merita pietà, e spietato fino alla crudeltà più inaudita con chi l’invoca senza merito. Turlos! Turlos!” gridò Gimli. “Creatura meravigliosa! Spirito inesorabile! ‘Signore della Neve’ è il significato del suo nome, e niveo è il colore della sua pelle, nivei i lunghi capelli sciolti, e freddi come neve la sua carne ed il suo cuore. Chi lo vede non può fare a meno di amarlo. Chi lo ascolta parlare non può non bruciare di desiderio. E tutti morranno agognando un tocco, un bacio, impossibili da ottenere.

“Molti lo acclamano come Re di questa città, Ultimo Re della Gente Libera, Ultimo Re della Terra di Mezzo, e sebbene non ci sia stata nessuna cerimonia ufficiale, questo Palazzo è stato costruito apposta per lui dalla gente della Città, e nulla accade qui senza che lui sia stato consultato. E’ lui a decidere le punizioni per quei pochi che osano fare del male ai loro concittadini, o derubarli, o compiere altre azioni abbiette. Inoltre, tutto coloro che si trovano qui, sono vivi solo grazie lui.”

Fece una pausa, quasi fosse insicuro su come continuare. Passò qualche minuto, quindi, sospirando, si allungò verso il Ramingo, quasi volesse renderlo partecipe di un grande segreto.

“Ma non credere che egli li abbia salvati con le sue mani. Turlos non ha cuore! Molti degli abitanti della città gli devono la vita, è vero: ma questo perché, attirati qui dalla fama della sua bellezza, essi si sono salvati dalle incursioni e le barbarie indicibili che hanno afflitto le loro terre! Da lungi è passato il tempo in cui Turlos rischiava la vita sul campo per salvarne altre – anzi, Turlos non l’ha mai fatto. No, a lui non importa nulla di nessuno. Ma un tempo c’era qualcun’altro…” Esitò ancora. Scosse la testa.

“Ma se te lo dicessi ora non capiresti. Devi vederlo. Devi vederlo. Poi ti racconterò il resto della sua storia. Ed allora potrai credermi.”

Aragorn, che aveva ascoltato le sue parole col respiro mozzato, annuì, confuso ed ammaliato come mai prima d’allora. Il solo nome di Turlos bastava a farlo tremare. Il ricordo della sua voce lo eccitava come null’altro avesse sentito o visto nel corso della sua vita.

“Turlos sa che sei qui, come potrebbe non saperlo? Ma non sa chi tu sia, o come ti ho trovato, e non ti ha cercato per via del rispetto che ha per me. O forse mi illudo, ed egli non ha fatto né detto nulla perché la curiosità non è nella sua natura.” Sospirò. “E’ giunto il tempo di vederlo, ormai. Non posso rimandare ancora. Vieni: ti condurrò da lui. E possano i Valar aiutarci.”

Ancora stordito dal pensiero di Turlos, Aragorn seguì il Nano senza fiatare quando questo si alzò ed uscì dalla stanza. Ripercorsero a ritroso la strada fatto il giorno del suo arrivo a Palazzo, ed Aragorn non si stupì quando Gimli imboccò il corridoio blu e si fermò dinanzi alla porta intarsiata di meraviglie. Aldilà, si poteva udire un canto ruvido e ansimante: la voce di qualcuno che canta tra le lacrime… o che mormora il nome amato mentre si avvicina all’estasi.

Quando la porta si aprì e la voce giunse chiara e morbida alle sue orecchie Aragorn barcollò all’indietro, come se una corrente di turbamenti sensuali fosse sgorgata da quelle stanze fumose e avesse permeato il suo corpo come un’onda. Sensuale. Quella voce era sensuale. Aragorn fu assalito nuovamente dalla duplice immagine di un amante appassionato e di un bimbo in lacrime.

Cosa mi aspetta tra le tue braccia, amor mio? Estasi pura, o morte?

Guardandosi intorno Aragorn si rese conto di trovarsi in una loggia di pietra grigia, traboccante di una nebbiolina argentata ed umida. Unito al canto gli giunse alle orecchie lo scroscio rombante di una cascata sotterranea. Veli di luce ondeggiante si riversavano nella grotta da ampie spaccature nella volta sovrastante, illuminandola di un dolce bagliore azzurro. Un profumo d’acqua e fragranti essenze speziate gli riempì le narici.

Avanzarono di qualche passo ancora, raggiungendo l’orlo di una ripida discesa, una sorta di scalinata sbozzata nella strana roccia punteggiata di frammenti luminosi. Sotto di loro si apriva un lago sotterraneo, la cui superficie traslucida diveniva ribollente e schiumosa dove, all’estrema destra, una cascata scrosciante vi si riversava dall’alto. Stretti grumi di roccia si alzavano torreggianti dalle acque, coprendo parte della visuale con la loro mole grigia. Dal centro del lago, un punto infiammato etereamente da una cascata di luce blu, sgorgava quel canto straziante e bellissimo.

Al centro del lago, illuminato dal gioco trasparente delle acque sulla pelle chiara, stava Turlos.

Turlos!

Quando lo rivide per la seconda volta, e poi le successive, Aragorn lo trovò sempre più e più bello. Eppure, in quel momento, la vista di lui gli tolse il fiato, gli annebbiò la vista, gli fece battere il cuore in petto con tanta violenza da temere per la sua vita. Vedendolo, Aragorn non poté fare a meno di pensare ad un Vala.

Era nudo, e immerso di spalle nell’acqua limpida fino alla curva armoniosa e dolorosamente sensuale dei fianchi. Le lunghe dita affusolate scorrevano veloci sulle braccia bianche. Morbide goccioline luccicanti gli scivolavano giù per il lungo collo, le spalle; giù, giù, seguendo le curve armoniche e i piani lucidi dei muscoli guizzanti, fino ad abbandonarsi nuovamente al lago da cui erano venute, beate, perché a loro sole era concesso toccare ciò che molti agognavano, ciò che Aragorn agognava…

Il Ramingo si spinse ancora più avanti, dimentico di Gimli, giù per i gradini verso quella visione ultraterrena, muovendosi come se una forza magnetica l’attraesse, come se una catena che gli si attorcigliava nel petto palpitante lo trascinasse avanti e ancora avanti, come se il suo corpo e la sua mente non gli appartenessero più.

La pelle di Turlos risplendeva come la neve risplende sotto i raggi benevoli dell’alba, spandendo un chiarore morbido e fluttuante. I lunghi capelli erano bianchi, ma non come quelli di un vecchio: sembravano luce di stella intessuta in un serico velo, perlacei, e si adagiavano umidi e tempestati di goccioline d’acqua su quel corpo perfetto ed eccitante.

Tanta bellezza, come poteva esistere la mondo tanta bellezza? Come si può affermare di sapere cosa sia la bellezza senza aver posato gli occhi su di lui? Oh, Valar, se il prezzo per vederlo fosse morire, morirei adesso…

Aragorn deglutì a vuoto.

Si avvicinò ancora, fino quasi a raggiungere il cerchio di alte pietre grigie.

Nascosto dal velo dei lunghi capelli umidi il viso di Turlos gli era completamente celato, se non per quei brevi attimi in cui riusciva a scorgere la sua bocca, rosea come madreperla e schiusa attorno a quella salmodia struggente, e la sua lingua che scorreva a catturare una goccia d’acqua dalle labbra lucide. Anche il suo volto riluceva.

Oh, come desiderava fissarli negli occhi!

Nella sua mente già poteva vederlo, un volto talmente perfetto che le mere parole non sarebbero mai bastate a descriverlo. Si, si, poteva quasi sentirlo, sentire il tocco delle sue dita sulla pelle, il tremore del suo corpo contro il petto, il calore del suo respiro sulla guancia, mentre mormorava il suo nome, ancora e ancora, sempre più forte, così come sentiva la forza delle gambe strette attorno alla sua vita, e vedeva la curva perfetta del suo collo mentre Turlos gettava indietro la testa, ed il nome di Aragorn esplodeva dalla sua gola in un grido roco che lo lasciava senza forze…

Avanzando con la mente annebbiata Aragorn si portò dietro una delle steli di pietra, e si sporse aldilà. Ah, dolore tremendo! Sciagura nefasta! Turlos era scomparso!

Colto da un’angoscia incalzante, Aragorn si guardò intorno convulsamente, prima a destra, poi a sinistra, e poi di nuovo a destra, ma non c’era nulla da vedere; persino il canto si era spento, come una brezza che recede.

Intravide appena Gimli che arrancava con le mani protese per raggiungerlo, ed un secondo dopo giaceva a terra, un corpo nudo e mortalmente gelido spinto contro il suo, ed una lama altrettanto gelida posata contro la gola. Turlos lo aveva bloccato ed atterrato con una facilità indicibile, ed ora lo sovrastava, il volto pallido e luminoso sospeso a pochi millimetri dal suo.

Lo sgomento di Aragorn fu totale. Il volto della creatura meravigliosa era esattamente ciò che aveva sognato – e non solo nel deliquio dei giorni precedenti, ma durante tutta la vita- eppure mai, mai, si sarebbe aspettato che il volto di Turlos fosse quello.

Luce, pura luce davanti ai suoi occhi, luce liquida, fredda come il riverbero della luna su una distesa innevata, eppure accattivante come la radiosità di un camino d’inverno. E poi quello sguardo! Occhi di un azzurro opaco, quasi fossero stati scoloriti da torrenti di lacrime amare, che sembravano scavargli nell’animo, e che mentre lo fissavano s’incendiarono, stringendosi in un espressione di odio devastante.

Aragorn provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì.

La bellezza china sopra di lui era troppo selvaggia, il suo disprezzo troppo intenso.

Carne fredda, fredda come pietra, fredda come fosse morta… Oh, copritegli il volto, mi abbaglia! Giovane, è morto giovane…

Sentì il pugnale che Turlos stringeva nella destra premersi un po’ più a fondo nella carne del suo collo.

“Aragorn…” disse, in un bisbiglio che non aveva nulla di umano, che non poteva essere umano; ruvido, basso, sensuale e sprezzante al tempo stesso, il ringhiare di un lupo famelico.

Così tanto odio! Perché mi disprezzi? Perché la tua voce mi ferisce come lame al cuore? Oh, Amore amami! Amami, ti prego! Smetti di tormentarmi, sorridi pronunciando il mio nome, carezzami!

Il pugnale lacerò la pelle, si macchiò della prima goccia di sangue. Aragorn continuava ancora a fissarlo, inorridito, ammaliato, e voleva urlare il suo nome, il suo vero nome, e spingerlo via, e stringerlo, ma non vi riusciva.

Estasi pura.

Sentì la lama scorrere languida sul collo, e rivoli di sangue scivolargli sul petto. Il respiro di Turlos era caldo sulla guancia. Profumo di fiori, fresie e vaniglia.

Morte.

“Turlos! Turlos, fermo! Non fargli del male, lascialo!”

Gimli caracollò giù dagli ultimi due gradini, e cadde fragorosamente in acqua. Solo le sue mani si vedevano sopra la superficie, e si agitavano convulse, levando alti spruzzi scintillanti. Immediatamente Turlos si staccò da Aragorn, e ripescando il Nano con un braccio lo issò lentamente a riva. Per tutto il tempo, il suo volto rimase inespressivo: il volto di un santo su quadro. 

Una volta che Gimli si era ricomposto (ed aveva iniziato a borbottare oscenità sottovoce) Turlos si girò verso il Ramingo, guardandolo con un tale disprezzo da trafiggergli il cuore.

Oh, quel volto! pensò Aragorn. Quello splendido volto! Bello, così assurdamente bello! Ma il colore di quei capelli, quella pelle… no, no, è tutto sbagliato! Sbagliato! La sua pelle non è cosi chiara, non è così fredda! I capelli biondi, non bianchi! Gli occhi che amo, blu come il mare, blu come il cielo, non pallidi come acqua ghiacciata, non freddi come fuochi fatui! Ed un simile odio! Oh, perché tu? Perché tu?

Si tirò in piedi barcollando, e finalmente sentì il nome dell’altro scivolargli dalle labbra come il lamento di un moribondo:

Legolas…

 

* * * * *