.|. Il Canto di Natale di Viggo Mortensen .|.

by Egle

Questa fanfic si ispira liberamente al racconto "A Christmas Carol" di Dickens.

Sentimentale/Humor | Slash | Rating PG | One Piece

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Gettò le chiavi sul mobile, passandosi stancamente una mano tra i capelli corti, imperlati di pioggia. Accese lo stereo e si versò un bicchiere di vino, sedendosi sulla poltrona. Anche quella lunga serata era finalmente giunta al termine. Cominciava ad odiare i flash dei fotografi, le domande indiscrete dei giornalisti, i continui no comment che era costretto a dire, il trambusto e la confusione di New York. Aveva voglia di tornare dai suoi cavalli, dal suo cielo stellato, dall’aria buona, che sapeva di libertà. Ma non poteva. Non poteva mollare tutto. Non in quel momento. Ancora qualche giorno, pensò, ancorandosi al progetto di tagliare la corda appena dopo l’ennesima premiere. Rilasciò piano il fiato, chiudendo gli occhi. Abbandonò la testa sullo schienale della poltrona, avvertendo la stanchezza posarsi sulle sue spalle come un manto. Il sonno gli intorpidì i sensi e senza che lui se ne accorgesse lo accolse tra le sue braccia.

Il fragore del bicchiere che si frantumava sul pavimento lo risvegliò bruscamente. Fece per alzarsi quando si accorse di una figura ammantata di bianco in piedi di fronte a lui.

“Ian?” disse, fregandosi gli occhi con una mano per dissipare anche gli ultimi strascichi di sonno.

Le labbra dell’uomo si arcuarono lievemente, sotto i lunghi baffi bianchi.

“Ian? Si è così che mi chiamano qui…Ian McKellen” rispose l’uomo con voce pacata.

“che stai dicendo?” borbottò Viggo, osservando con maggior attenzione l’amico. “perché sei conciato così? Come hai fatto a entrare?”

Il sorriso dell’uomo si accentuò maggiormente, mentre spostava il bastone da una mano all’altra.

“sono stato mandato qui per comunicarti un messaggio”

“mandato? Mandato da chi? Che stai dicendo?” ribattè Viggo, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e congiungendo le mani.

“Non è importante chi mi ha mandato. L’importante è quello che devo dirti”

L’uomo sbattè le palpebre incredulo, rimanendo immobile a fissare l’attore più anziano.

“sei sicuro di sentirti bene?” gli chiese dopo quella che sembrava un’eternità.

“mai stato meglio” rispose l’uomo, avanzando di un passo e Viggo pensò che in qualche modo sembrasse più alto di quanto non fosse in realtà. Forse a causa del costume di Gandalf…perché l’amico si fosse introdotto a casa sua con addosso il vestito e il trucco di scena era un mistero.

“Ehm…posso offrirti qualcosa?” domandò, non sapendo che altro dire.

“no, non abbiamo molto tempo. Sono stato mandato qui per avvertirti…”

“avvertirmi di cosa? Insomma…” sbottò Viggo balzando in piedi e facendo un gesto brusco con il braccio “Ian, che cosa…”

“io non sono Ian. Io sono Gandalf…Gandalf il Bianco” lo interruppe pacatamente l’uomo, fissando gli occhi chiari in quelli di Viggo. Il silenzio cadde pesantemente tra di loro, frammezzato solo dal gorgogliare della pompa dell’acqua dell’acquario.

“va bene, Gandalf” borbottò Viggo, calcando l’ultima parola di una palpabile venatura d’incredulità.

“vedo che non hai capito. Io sono davvero Gandalf” rispose l’altro e la sua figura crebbe improvvisamente, gettando ombre inquietanti tutt’intorno. La sua voce rimbombava nella stanza come il lamento del tuono, così cupa e grave. Viggo barcollò all’indietro, scontrandosi con la poltrona su cui si era addormentato e cadendoci pesantemente sopra.

“non sto cercando di prendermi gioco di te” disse lo stregone con più calma, ritornando a essere il vecchio vestito di bianco “cerco solo di prepararti”

“prepararmi?” articolò confusamente Viggo, inumidendosi le labbra con la punta della lingua. La sua gola si era fatta secca e arida.

“tre spiriti…o per meglio dire tre guide verranno da te questa notte. Segui i loro consigli. Loro possono farti vedere cose che ti serviranno”

“serviranno per cosa?”

“per decidere il tuo futuro. Il mio tempo è giunto a termine. Devo andare. Addio” e così dicendo, Gandalf abbassò il bastone e una nube biancheggiante avvolge il suo corpo. Se n’era andato.

L’attore fece scorrere lo sguardo sulla stanza, ma non sembrava che nulla fosse mutato da prima dell’apparizione di…quel tizio. Il bicchiere era intatto sul tavolino e le luci della strada proiettavano tremule ombre sulle pareti. Non c’era nulla di insolito.

Viggo proruppe in una debole risata coprendosi il viso con le mani. Doveva aver sognato tutto…non c’era altra spiegazione plausibile. Ricordava di essersi seduto sulla poltrona e poi…beh lo stress o la sua immaginazione dovevano avergli giocato un brutto scherzo.

Raggiunse la camera da letto e si spogliò nel buio, indossando solo un paio di leggeri pantaloni neri e una maglietta. Si coricò sul letto con le braccia incrociate sotto alla testa e lo sguardo inchiodato al soffitto. I particolari del sogno erano impressi vividi nella sua mente. Sospirò sonoramente, continuando a rimuginare su quanto era accaduto, quando le sue palpebre si fecero improvvisamente pesanti e lui scivolò lentamente nel sonno.

Fu una voce familiare a risvegliarlo…solo che quello che disse era così strano che pensò di star ancora sognando.

“riesco a vedergli i peli del naso, Merry”

“Dai, Pipino! Che schifo! Lascialo stare!”

Viggo sbarrò gli occhi , accorgendosi che c’erano due visi appena al di sopra del suo.

“oh oh” disse uno.

“adesso ci strangola” gli fece l’eco l’altro, mentre Viggo scattava a sedere, spostando lo sguardo dall’uno all’altro alternativamente.

“Che cazzo…” bofonchiò mentre i due scendevano precipitosamente dal letto e rimanevano a fissarlo con espressione concentrata.

“sai che mi fa senso vederlo senza barba e i capelli lunghi?” disse con solennità quello più basso.

“anche a me. Ma siamo sicuri che sia lui? Non somiglia poi tanto ad Aragorn!”

Viggo seguiva quello scambio di battute,senza sapere che cosa dire…si chiese se per caso non fosse finito in uno dei film di Tarantino. O di Tim Burton.

Quelli…insomma quelli che aveva davanti erano Billy e Dom. Solo che non erano veramente Billy e Dom! Erano…piccoli, come bambini! Sembravano…

“Merry? Pipino?” chiese in un soffio, quasi non riconoscendo la sua stessa voce.

“Ci riconosce! Buon segno!” disse Merry, sfregandosi le mani.

“ma sei sicuro che sia lui?” insistette Pipino esaminandolo con occhio clinico.

“Aragorn è più…”

“regale?”

“non è esattamente la parola che stavo cercando” ribattè l’Hobbit stropicciandosi il mento con due dita.

“scusate, posso sapere che ci fate nella mia camera da letto?” li interruppe Viggo, scivolando giù dal materasso e rimanendo davanti a loro con le mani sui fianchi. Gli arrivavano appena alla vita. Non potevano essere in nessun modo Dom e Billy.

“Gandalf non ti ha avvertito?”

“ah sapevo che quel vecchio barbagianni si sarebbe dimenticato! Magari ha sbagliato ora!” disse Pipino, facendo una smorfia.

“Uno stregone non è mai in ritardo o in anticipo! Arriva sempre quando intende farlo” borbottò Merry, abbassando la voce e gonfiando il petto per imitare il tono di Gandalf.

“Gandalf…sì, lui è stato qui” mormorò Viggo.

“ah bene! allora andiamo”

“andare dove?”

“nel passato! O futuro…o in un’altra dimensione! A dire il vero non lo sappiamo nemmeno noi” bofonchiò Pipino.

“guarda che così non ci facciamo una bella figura!” gli fece presente l’altro Hobbit.

“Perché tu sai dove si situa la Terra di Mezzo rispetto a questo posto? A proposito dov’è che siamo?”

“New York” rispose Viggo, avvertendo una punta di apprensione.

“New York…il nome non mi è nuovo! C’è per caso una taverna con una padrona con due enormi tettone da queste parti?” disse Pipino, facendo un gesto esplicito con entrambe le mani per mostrare l’abbondanza delle grazie della donna.

“ehm…”

“Ma la vuoi piantare! Dobbiamo fare le persone serie!” lo redarguì Merry, mettendosi a posto il bavero della giacca e sollevando di poco il mento per darsi un contegno. Viggo sbuffò. Quei due erano più stupidi di quanto si fosse mai immaginato.

“Bene, vieni con noi!”disse poi l’hobbit con i capelli chiari, porgendo una mano all’attore.

“dove?”

Entrambi si strinsero nelle spalle. “di preciso non lo sappiamo! Devi solo seguirci!”

“e di grazia, potreste dirmi perché dovrei farlo?” chiese l’uomo con una marcata vena di scetticismo nella voce.

Merry roteò gli occhi, mentre Pipino bofonchiava qualcosa che aveva a che fare con le loro forniture di erba pipa requisite, la fine del mondo e un non meglio specificato fondo…

“fondo?” ripeté stupidamente Viggo.

“fondoschiena” puntualizzò l’hobbit, mentre Merry gli tirava un pugno sul braccio per cercare di zittirlo.

“Ahi!” esclamò Pipino, restituendo il pugno all’amico “deve pur sapere che cosa ci deve mettere lui in questa storia!”

“Pipino, non credo che si tratti solo di questo! Insomma…non hai sentito il discorso di Galadriel sull’amore, la felicità, il completarsi a vicenda?” rispose l’hobbit consultando una lunga pergamena che aveva estratto dalla giacca e che ora penzolava dalle sue mani fino a raggiungergli le ginocchia.

“Hai preso appunti?”

“e altrimenti non mi ricordavo cosa bisognava dire per convincerlo!”

“Dai allora” disse Pipino incrociando le braccia sul petto “convincilo a seguirci”

“sì”. Merry si schiarì la voce, cominciando a parlare in modo solenne “Viggo Mortensen, noi siamo in tuoi spiriti guida…”

“oh!” esclamò Pipino, tirandogli una gomitata e toccandosi una parte ben precisa del corpo come gesto scaramantico.

Merry lo ignorò. “dobbiamo aiutarti a orientarti nel dedalo dei suoi sentimenti. Dobbiamo aiutarti ad ascoltare la voce soave del tuo cuore…” declamò, leggendo spudoratamente quello che c’era scritto sul foglio.

Viggo si portò una mano alla fronte, iniziando ad avvertire i primi sintomi di un colossale mal di testa. “va bene, va bene…ho come l’impressione che non mi lascerete in pace finché non verrò con voi”

“a questa parte non c’ero ancora arrivato…era il piano Z2” disse Merry, consultando il fondo della pergamena.

“okay” Viggo sollevò entrambe le mani con i palmi rivolti verso i due hobbit come gesto di resa “basta che facciamo in fretta!”

“in frettissima!”rispose Merry porgendogli una pipa.

L’attore la guardò sospettosamente prima di afferrarla.

“e ora una bella boccata” disse Pipino ficcandosi in bocca la sua pipa e aspirandone un’ampia boccata. Merry fece altrettanto e subito i due Hobbit vennero avvolti da una spessa nube di fumo. Viggo roteò gli occhi, sperando ardentemente che quell’incubo o quell’allucinazione giungesse presto alla fine. Si portò la pipa alle labbra e inspirò. Subito sentì un dolore alla nuca, come se qualcuno gli avesse appena dato una mazzata, e fu costretto a chiudere gli occhi. I suoi polmoni e la sua gola stavano bruciando come se avesse mangiato un cerino acceso.

“Fico! Lo rifacciamo!” stava dicendo Pipino, finito a testa in giù in un cespuglio con ancora la pipa in mano. Viggo lo prese di peso e lo tirò fuori dall’arbusto, rimettendolo in piedi, poi diede un’occhiata in giro. Conosceva e allo stesso tempo non conosceva quel luogo. Era in tutto e per tutto uguale al set di Gran Burrone, solo che non c’erano microfonisti, tecnici del suono, videocamere…quello era l’autentico Gran Burrone.

“che cosa ci facciamo qui?” chiese sbrigativamente.

“dobbiamo farti vedere una scena! Seguici” disse Merry con voce tremolante, facendo strani versi con le mani come se fosse un fantasma di un b-movie.

Viggo sbuffò, camminando dietro ai due Hobbit. Si fermarono in un angolo dei lussureggianti giardini della casa di Elrond da cui potevano vedere l’entrata di un’ala del palazzo. Un bambino che non doveva avere più di otto anni era seduto sui gradini di marmo. I capelli lunghi e ondulati celavano le fattezze del suo viso. Le nocche delle sue mani erano escoriate e sanguinanti e i suoi vestiti presentavano qualche strappo. Tra le mani rigirava un arco di legno chiarissimo.

“hai un vago senso di deja-vu?” lo pungolò Merry, dandogli una leggera gomitata.

“no” rispose secco Viggo per poi tornare a guardare il bambino.

Si avvicinò lentamente, fino ad arrestarsi di fronte a lui.

“ciao” lo salutò. Riusciva, nemmeno lui sapeva come, a percepire la sua tristezza. Che cosa ci faceva un bambino di quell’età con un’arma in mano? E cosa ci faceva tutto solo, senza coetanei con cui giocare?

Il bambino non sollevò il capo.

“Non può sentirti” disse Pipino , fermo a parecchi passi di distanza.

Viggo si girò verso i due Hobbit e così facendo individuò una figura che avanzava nella sua direzione attraverso il cortile. Un caldo venticello primaverile faceva frusciare le foglie degli alberi, trasportando un intenso profumo di fiori.

“Orlando” mormorò Viggo con un filo di voce, mentre il nuovo arrivato lo superava e si sedeva sui gradini, accanto al bambino. L’uomo si soffermò a contemplare la bellezza del suo viso, la tranquillità, che veniva trasmessa dalla sua espressione, il pallore della sua pelle, il blu intenso e magnetico delle sue iridi, l’oro dei suoi capelli…

“Legolas” pronunciò quel nome senza quasi rendersene conto. L’elfo lo guardò negli occhi come se lo avesse udito e il corpo di Viggo fu attraversato da un tremito. Ma poi Legolas riportò la sua attenzione sul bambino e l’attore fu in grado di respirare nuovamente.

“Perché non sei a fare il bagno con gli altri?”.

La voce del principe di Bosco Atro era dolce e musicale.

Il bambino non rispose, continuando a pizzicare debolmente la corda del suo arco.

“Ti sei allenato fino ad ora?”

Il bambino fece di sì con la testa senza sollevare lo sguardo.

“è successo di nuovo?”

Il bambino chinò maggiormente il capo. Viggo si accorse che le sue piccole mani, ricoperte di ferite, stavano tremando.

“Estel” lo chiamò piano Legolas, stringendogli una spalla con una mano e costringendolo a voltarsi verso di lui. E Viggo si ritrovò a fissare sé stesso con quasi quarant’anni di meno. A parte i capelli lunghi, quel bambino sembrava lui quando aveva più o meno la sua età.

Forse gli occhi erano diversi…gli occhi del bambino erano di un azzurro intenso, velato da una pena infinita. Erano occhi che avevano già visto il male del mondo, occhi che avevano perso la loro innocenza, occhi profondi e inquieti come l’oceano d’inverno.

“Non riesco a vederlo” disse in un soffio per poi voltare nuovamente il capo, per celare le tante lacrime che si assiepavano nei suoi occhi.

“che cosa? che cosa non riesci a vedere?”

Estel allungò un braccio di fronte a sé, indicando qualcosa alle spalle di Viggo. L’attore si girò su sé stesso per seguire lo sguardo del bambino, ma non vide nulla.

“quel cerchietto laggiù?” chiese Legolas.

Viggo socchiuse gli occhi, controllando di star guardando nella direzione giusta, ma continuava a non vederlo.

“è naturale che tu non lo veda” continuò Legolas, dopo qualche istante. Viggo si accorse che il bambino ora stava fissando l’elfo intensamente. “sei un Uomo, Estel. Benché la tua vista sia più acuta di quelli della tua razza, è impossibile che tu possa centrare con una freccia un bersaglio così piccolo a una così grande distanza”

“gli altri bambini ci riescono” lo contraddisse Estel.

“Gli altri bambini sono elfi. È naturale che loro lo vedano. È nella loro natura. Tu non puoi, non perché non sei un arciere abbastanza abile, ma perché i tuoi occhi non te lo permettono…per come sono fatti” .

Estel parve soppesare le parole di Legolas , aggrottando le sopracciglia.

“Gli Uomini hanno altre capacità” continuò Legolas, spostando lo sguardo di fronte a lui e incrociando le caviglie l’una sull’altra.

“per esempio?”

“per esempio l’intelligenza. L’ingegno. La forza…sono molto più abili degli Elfi con determinate armi”

Estel lo guardava ammirato.

“come la spada” aggiunse l’elfo.

“p-puoi insegnarmi a maneggiarla?”

Legolas sorrise e il suo sorriso parve illuminare il suo viso, rendendolo ancora più bello nei raggi caldi del sole.

“certo. Domani però…ora è tardi. Devi riposarti se vuoi cominciare presto l’addestramento”

Il bambino scattò in piedi e salì di corsa i gradini. Stava per entrare nel palazzo, quando si voltò indietro e guardò l’elfo, ancora seduto.

“Grazie, Legolas” disse semplicemente prima di correre dentro.

I dolci capelli di Legolas, che ondeggiavano nella calda brezza primaverile, come fili di luce cristallizzati, furono l’ultima cosa che vide, prima di ritrovarsi sbalzato sulla riva di un fiume. Era notte e il canto dei grilli riempiva il cielo punteggiato di stelle. Viggo si rimise in piedi rapidamente voltandosi verso Merry e Pipino, a poca distanza da lui.

“che è successo?” chiese, dando un’occhiata tutt’intorno.

“stiamo seguendo l’itinerario” rispose Merry, togliendosi dalla bocca la pipa. “Ci hanno detto di farti vedere determinate scene e noi obbediamo!”

“certo! Altrimenti addio scorte di erba pipa!”

“posso farvi una domanda?” borbottò Viggo, incrociando le braccia sul petto.

“fai in fretta però! Lo spettacolo inizia tra poco e se non lo vedi chi lo sente Gandalf!”

“Perché hanno mandato voi due a farmi da guida? Senza offesa, ma non mi sembrate molto adatti a questo ruolo!”

“ma sentitelo” esclamò Pipino roteando gli occhi “lui si lamenta! E noi che dovremmo dire? Eravamo lì seduti a farci gli affari nostri, dilettandoci con un po’ di erba pipa quando Gandalf viene da noi e ci fa: “Merry, Pipino! Ho una missione per voi!”

“Missione per noi?” ho detto. Che missione avrebbe mai potuto affidarci? L’anello era distrutto. Frodo e Sam si stavano riprendendo nelle Case di Guarigione. Aragorn stava per diventare re di Gondor. La Terra di Mezzo era salva. La Compagnia dell’Anello riunita, Boromir a parte che era leggermente cadavere…che altro voleva quel vecchiardo da noi?”

“è la stessa cosa che mi sono chiesto anch’io , socio” concordò Merry, aspirando un’altra boccata di fumo.

“Ma Gandalf ci fa: “dovrete solo eseguire quello che vi dico. Niente di più.”. Poi tira fuori la storia dell’erba pipa sequestrata e allora … tu capisci? Siamo stati costretti a…”

“Noi non volevamo ma siamo stati obbligati a tirarti giù dal letto in piena notte!”

“va bene” mormorò Viggo, socchiudendo gli occhi “ho capito! Lasciamo perdere!”

“ottimo piano! L’ho sempre detto che era la cosa migliore…lasciar perdere!” si compiacque Merry, quando Pipino gli diede una gomitata indicando un punto indeterminato alle spalle di Viggo. L’attore si voltò, finchè non vide due figure dall’altra parte del fiume.

La luna piena si specchiava nelle acque, facendo rispendere il fiume di pallidi riflessi d’argento, e Viggo si ritrovò ancora una volta ad osservare un altro sé stesso, solo molto più giovane.

Il ragazzo dai capelli scuri si lasciò cadere sul pietrisco della riva con un gemito, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.

“li abbiamo seminati?” chiese con voce ansante alla figura in piedi di fianco a lui. L’elfo uscì dall’ombra gettata dagli alberi, immergendosi nella lattea luce lunare. Sollevò il viso verso il cielo come se ascoltasse voci e melodie lontane.

“sì. Gli alberi li hanno bloccati. Non c’è più pericolo per questa notte, ma è meglio non accendere il fuoco, Aragorn”

Il ragazzo annuì, rimettendosi in piedi. I capelli lunghi fino alle spalle erano umidi di sudore. Gettò a terra la pesante cotta di maglia e si slacciò la casacca rimanendo a torso nudo. Si tolse gli stivali e con solo i pantaloni addosso raggiunse un punto del fiume dove l’acqua gli arrivava appena al di sotto della vita. Chiuse le mani a coppa e si gettò l’acqua fredda sul petto, sporco di fango e sangue.

“e’ gelata” disse, continuando a lavarsi e a rabbrividire.

L’elfo non rispose, fissando il cielo, come se questo potesse sussurrargli segreti che solo a lui era dato di custodire.

Quando Aragorn si fu ripulito, uscì dal fiume con passo malfermo, scivolando sulle pietre levigate del greto. L’aria della sera era carezzevole sulla sua pelle dolorante. Un ematoma violaceo risaltava sulla sua spalla destra e un lungo graffio, non molto profondo e ormai cicatrizzato, gli attraversava la parte superiore del busto. Fece per afferrare la casacca, quando qualcosa attrasse la sua attenzione.

“Legolas” lo chiamò piano, avvicinandosi a lui.

L’elfo riabbassò il viso, fino a incontrare i suoi occhi con i propri.

“S-sei ferito” mormorò il ragazzo. Il principe di Bosco Atro aggrottò le sopracciglia, aspettando che l’altro continuasse.

“lì…” disse Aragorn, indicando una piccola ferita appena al di sotto dell’orecchio. Legolas si toccò il collo con la punta delle dita. I suoi occhi divennero dello stesso colore del manto stellato.

“No, non ti toccare” lo fermò il ragazzo, prendendogli la mano nella sua e allontanandola dal graffio. “non mi sembra grave. Fammi vedere” disse, scostandogli di poco il bordo della casacca. Legolas trasalì.

“non ti faccio male” mormorò Aragorn, sorridendogli incoraggiante.

“non è per questo” sussurrò Legolas con un filo di voce, spostando la mano del ragazzo e voltandogli le spalle.

Aragorn corrugò la fronte, riabbassando la mano lentamente e cancellando il sorriso dalle sue labbra.

“va tutto bene?” gli chiese, dopo qualche istante.

L’elfo si girò nuovamente verso di lui. I lineamenti delicati del suo viso erano celati delle ombre scure della foresta dietro di lui.

“non lo so…è come se…come se avvertissi costantemente un dolore qui, al centro del petto” rispose, portandosi una mano sullo sterno. “come se stessi cadendo da un dirupo e…continuassi a cadere all’infinito, aspettando l’impatto con il suolo. Come se fossi preda di una profonda angoscia, ma è…qualcosa di remoto. Di distante. Di indefinibile. Sento dolore, ma non so perché.”

Aragorn chinò per una manciata di secondi il capo. L’acqua che sgocciolava dai suoi capelli tracciava sentieri tortuosi sul suo corpo magro.

“A-anch’io provo la stessa cosa da quando…”disse, fissandolo.

Il ragazzo s’interruppe un istante, distogliendo lo sguardo da quello di Legolas.

“da quando re Elrond mi ha detto chi sono. E da quando ho deciso di partire”

Aragorn compì qualche passo, distanziandosi ulteriormente dall’elfo. Afferrò la casacca e la indossò velocemente, allacciandola sul davanti con calma.  “Abbiamo già affrontato il discorso altre volte” continuò, dopo qualche minuto di silenzio, con voce atona. “E mi sembrava che anche tu fossi d’accordo che per me sarebbe stato indispensabile prendere contatti con la mia gente, con i Raminghi delle terre selvagge del nord. Sono cresciuto tra gli Elfi, ma sono un Uomo…non devo e non posso dimenticarlo.”

Si bloccò, passandosi una mano tra i capelli ancora bagnati. Una brezza leggera aveva scosso le cime degli alberi, facendo cantare i loro rami e le loro foglie.

Legolas era ancora immobile, immerso quasi interamente nelle tenebre.

Aragorn chiuse il pugno lungo la gamba, osservando un punto indistinto sulla superficie dell’acqua.

“non vorrei andarmene. Una parte di me grida incessantemente di restare, ma l’altra parte…devo andare, Legolas” disse, voltandosi a guardarlo, senza riuscire a scorgere chiaramente i lineamenti del suo viso.

“Non…non vorrei separarmi da Gran Burrone, dal popolo degli Elfi, dagli amici più cari”. Esitò come se le parole che avrebbe voluto pronunciare fossero lì, da qualche parte dentro di lui, ma si rifiutassero di salire fino alle sue labbra. Poteva scorgere gli occhi blu di Legolas fissarlo attraverso il velo delle ombre della notte.

“Sarà solo per poco tempo…tornerò appena il mio addestramento sarà concluso”

Ancora il vento tra gli alberi a riempire il silenzio penetrante della notte. L’elfo era immobile.

“Legolas...” mormorò il ragazzo e la sua voce fremette di impazienza.

“Come hai detto tu, ne abbiamo già parlato. E’ giusto che tu parta. E’ solo che…sentirò la tua mancanza…non ti sembra strano?” disse l’elfo e Aragorn potè distinguere distintamente un sorriso tremolante distendersi sulle sue labbra.

“No. Certo che non è strano. Gli amici…si sente la mancanza degli amici quando si allontanano per ragioni, che probabilmente non dipendono dalla loro volontà. Mi stupirei del contrario, piuttosto. Anch’io sentirò la tua mancanza…perché noi siamo amici…ma gli amici si riuniscono. Si ritrovano. Prendono strade diverse, che li porteranno a incontrare nuove persone, a conoscere nuovi mondi, ma…gli amici rimangono dentro di noi…per quanto lontano possiamo andare, loro… ” rispose il ragazzo, riducendo la voce a un bisbiglio.

“Io sono dentro di te?” chiese Legolas avanzando di un passo. La luce della luna si rifletté sul blu intenso dei suoi occhi, facendo risplendere milioni di stelle, intrappolate nelle iridi dell’elfo.

“P-perché stai piangendo, Legolas?” mormorò Aragorn tendendo una mano fino a sfiorare delicatamente la guancia del principe di Bosco Atro, che trasalì al suo tocco.

“io non sto piangendo” sussurrò l’elfo, allontanando con gentilezza le dita del ragazzo dal suo viso. “Io…non sto piangendo”.

Aragorn avanzò di un altro passo, fino a ridurre la distanza che separava i loro corpi a pochi centimetri.

“lo sei, Legolas. Tu sei dentro di me…sei parte di me. Più di un amico. Più di un fratello…non conosco nessuna lingua, nemmeno quella soave degli Elfi, che possa esprimere quello che tu sei per me”

“non è necessario…il tuo cuore parla per te” rispose l’elfo, sollevando piano una mano e appoggiandola sul petto del ragazzo. Fu solo un tocco fugace. Una carezza appena accennata. Aragorn rabbrividì. Fece per accarezzare la guancia liscia di Legolas, ma l’elfo indietreggiò, ritornando a confondersi con le ombre scure gettate dalla foresta. Le stelle nei suoi occhi si spensero, come fiammelle soffocante dall’oscurità. Il ragazzo rimase a fissarlo, riabbassando lentamente la mano e serrando forte la mascella.

“sarà meglio andare ora. Gran Burrone dista meno di un giorno di cammino da noi” disse infine, recuperando il resto della sua roba e attraversando il fiume di corsa, senza assicurarsi che l’altro lo seguisse. Passò a pochi metri da Viggo ancora impietrito sulla riva, con Merry e Pipino, e poi sparì nel sottobosco, producendo soltanto un lieve fruscio.

L’attore si voltò nuovamente verso l’altra sponda, accorgendosi che Legolas era emerso dalle tenebre. Le stelle avevano abbandonato i suoi occhi per scendere lungo la linea gentile delle sue guance, tracciando sentieri perlacei, che rilucevano nella luce lunare, come scie d’argento.

“Anche noi dobbiamo andare” disse Merry, porgendogli la pipa.

“sì, ma loro…”

“Oh si incontreranno di nuovo! Non preoccuparti” rispose l’hobbit, stringendosi nelle spalle.

“sì, ma Legolas stava…” protestò l’uomo, voltandosi di nuovo, ma invece del profilo slanciato dell’elfo vide sé stesso...o meglio Aragorn camminare in un bosco. I raggi solari penetravano attraverso il complicato intrico di foglie, colpendo il suo viso obliquamente.  Avanzava sicuro, confondendo il rumore dei suoi passi con la voce della foresta. L’oro, il rubino e l’arancio dell’autunno tinteggiavano il bosco, rendendolo simile a un quadro impressionista.

“dove siamo?” chiese Viggo alle sue due guide. Entrambi fecero spallucce, imbronciando le labbra.

“dovevo immaginarlo” borbottò l’attore, ritornando a fissare il punto fino a cui un momento prima c’era l’erede di Isildur, ma Aragorn era scomparso.

“dov’è andato?” chiese più a sé stesso che agli hobbit, disperando dall’avere da loro una risposta sensata.

Successe tutto in un attimo. Aragorn spuntò da un cespuglio con una freccia incoccata nel grande arco di frassino, puntando verso la cima di un albero.

“so che si sei” disse con voce profonda “fatti vedere”.

“sei migliorato” rispose una voce nota. Il principe di Bosco Atro si lasciò cadere a terra, sorridendogli.

“Legolas” mormorò in un soffio.

“hai intenzione di trafiggermi?” chiese l’elfo indicando con un cenno del capo l’arco ancora minacciosamente rivolto verso di lui. Le sue labbra si piegarono in un sorriso, che raggiunse anche gli occhi, facendoli diventare di un azzurro intenso.

Aragorn sorrise abbassando l’arma e rimettendo la freccia nella faretra agganciata alle spalle.

“Una volta non mi avresti mai udito, Mortale. Devo pensare che il tuo addestramento sia finalmente concluso?”

“Oppure tu ti sei arrugginito” rispose il Ramingo, avanzando fino a fronteggiare l’amico.

“ben tornato” mormorò Legolas, porgendogli una mano. Aragorn lo afferrò per l’avambraccio e lo tirò a sè,abbracciandolo stretto e appoggiando la fronte sulla sua spalla. Legolas trasalì, stringendogli un braccio con una mano, quasi a volerlo allontanare da sè. Ma fu solo un istante, prima che il suo corpo si rilassasse.

“mi sei mancato” disse Aragorn, indietreggiando di un passo, sempre tenendolo per le spalle. Legolas sorrise, ma la sua espressione era meno calorosa rispetto a quella di poco prima. Le sue labbra sorridevano, ma non i suoi occhi, improvvisamente diventati freddi e distanti, come la superficie di un lago ghiacciato in inverno. Fu solo un istante, prima che la primavera tornasse a illuminare i tratti del suo viso.

“Gli Elfi che perlustrano il Bosco non hanno segnato la tua presenza. Tremo ad averti come nemico” disse Legolas, cominciando a camminare di fianco a lui.

“Lo devo prendere come un complimento, principe?”

“Forse. Mio padre sarà felice di vederti, Aragorn. Troppo tempo è passato da quando sei stato ospite alla corte del re di Bosco Atro”

“Legolas”.

Il tono di Aragorn si era fatto tutt’a un tratto grave. Il Ramingo si arrestò, accarezzando quasi inconsciamente l’elsa della spada. L’elfo si voltò per guardarlo negli occhi.

“Non sono buone nuove quelle che porto.”

“Lo so. Oscuri presagi hanno invaso il mio cuore. L’ombra cresce a Est. L’angoscia si è tramutata in timore. Il timore in paura. Paura per i popoli della Terra di Mezzo. Paura per te”. Lo sguardo dell’elfo era fisso in quello del Ramingo. Parlava di paure, ma la sua voce era ferma e determinata. Il suo cuore non vacillò nemmeno per un istante.

“Legolas” mormorò Aragorn con un filo di voce, avanzando verso di lui.

“Potrai sempre contare sulla lealtà del mio popolo, erede al trono di Gondor. Potrai sempre contare sulla mia lealtà”

“Legolas” ripetè l’Uomo, compiendo un altro passo nella sua direzione.

“Una volta una persona mi ha detto che gli amici si ritrovano, per quanto lontano possano spingersi, per quanto il loro cuore possa provare sofferenze o gioie immense. Aveva ragione. Gli inverni si sono susseguiti ad altri inverni, ma nulla è mutato. Forse il resto del mondo…ma non quello che mi lega a te”

“che cosa ti lega a me, Legolas?” chiese l’Uomo con un filo di voce. Le foglie degli alti alberi cadevano intorno a loro, vorticando nella brezza autunnale e nella tiepida luce del sole, come leggiadre piume dorate.

“non lo sai?”

“sì” sussurrò il Ramingo, abbassando lo sguardo e sistemando la spada al suo fianco.

“vieni. Sarai stanco per il viaggio” concluse Legolas volgendogli le spalle e riprendendo a camminare.

Viggo fece per seguirli, ma la voce di Merry lo richiamò indietro.

“dobbiamo andare, Mr. Mortensen” disse l’hobbit.

“Ma…non li seguiamo?”

“Oh, no! Intanto non succederà niente. Andranno alla reggia di Bosco Atro, dove verrà organizzato un banchetto per festeggiare l’arrivo di Aragorn: canti, tanta frutta…roba da Elfi” rispose Pipino, poco entusiasta.

“Già secondo me gli elfi non si sanno divertire. Insomma…tutto quel cantare di tempi andati…meglio un bel boccale di birra e le ballate che ci ha insegnato Bilbo”

“per non parlare dell’erba pipa”

“per non parlare dell’erba pipa!” gli fece eco Merry, dando una pacca sulla tasca della giacca, da dove spuntava la pipa.

“Sì, ma Aragorn e Legolas?” insistette l’attore.

“Aragorn e Legolas cosa?”

“che cosa accadrà tra di loro?”

“in che senso?”

Viggo chiuse gli occhi, rilasciando piano il fiato, nel tentativo di non cedere all’istinto di prenderli a sberle.

“forse vuol sapere se loro due…” disse Merry facendo un gesto esplicito con la mano.

“oh! No, non trombano” rispose Pipino, scuotendo il capo “Si guardano attraverso le fiamme del falò, si sfiorano le dita delle mani, quasi casualmente, ma poi niente…sai quanto abbiamo dovuto sopportare tutto questo?”

“No” sospirò Viggo, passandosi una mano sulla faccia.

“Beh con esattezza neanche noi! Ma era comunque tanto!” rispose l’hobbit addentando una mela.

“Pipino, ma se noi non ci siamo mai accorti di nulla! Se non ce lo diceva Gandalf…”

“Possiamo andare ora?” lo interruppe Viggo spazientito.

“ah sì , sì certo” rispose Pipino, indicandogli qualcosa alle sue spalle.

Viggo si ritrovò di nuovo a Gran Burrone. Una figura, seduta sul bordo della finestra, con una gamba all’interno della stanza e una a penzoloni nel vuoto, si stagliava contro il cielo stellato. Un penetrante profumo di gelsomini e il dolce mormorio di una cascata riempivano l’aria della sera. Viggo si avvicinò quel tanto che bastava per poter scorgere con chiarezza il viso di Legolas, immerso nella pallida luce lunare. Indossava una semplice casacca azzurra e aveva i piedi nudi. I suoi capelli sembravano fili d’argento, accarezzati dalla Luna. La bellezza, la luminosità, la serenità che sapeva trasmettere l’espressione sognate del suo viso, rivolto verso il cielo era capace di spiazzarlo, fino a fargli trattenere il fiato. E ancora una volta Viggo pensò che l’elfo stesse ascoltando i bisbigli del vento. Sussurri in una lingua sconosciuta, antica come le radici della terra e sfuggente come lo scorrere del tempo. Viggo trasalì nell’accorgersi di una presenza in piedi di fianco all’Elfo. Era Aragorn. Non l’aveva sentito avvicinarsi. Scrutò i lineamenti del suo viso, per cercare di capire i suoi pensieri, ma non riuscì a decifrarli.

“Ho paura” disse così a bassa voce, che l’attore si chiese se l’avesse detto davvero oppure se lo avesse soltanto immaginato.

Legolas si voltò verso l’Uomo. I suoi occhi esprimevano un’infinita dolcezza.

“Lo so”mormorò in risposta.

“Il mio cuore… potrebbe cedere. Potrei…” .

Aragorn si bloccò, chiudendo le mani a pugno lungo i fianchi e serrando forte le mascelle.

“Già una volta il mio sangue ha ceduto ai richiami del potere. Potrei farlo ancora…potrei soccombere”articolò con voce talmente emozionata da risultare irriconoscibile.

“Anche se ciò dovesse accadere…io sarò con te”  

Aragorn abbassò lo sguardo sul principe di Bosco Atro con il respiro che sibilava bruscamente tra i denti.

“Non posso chiederti questo”

“Non devi chiedermelo. Lo farò e basta”

Il Ramingo si appoggiò allo stipite della finestra con una mano, curvandosi verso il viso dell’elfo fino a sfiorarne la fronte con la propria.

“Potrei portarti nelle tenebre con me. E’ questo che vuoi?” sibilò.

“E tu cosa vuoi, Estel?”

“lo sai cosa voglio, maledizione” gridò l’Uomo allontanandosi di scatto. Si passò una mano sugli occhi, tirandosi indietro i capelli. “lo sai che cosa voglio, Legolas” sussurrò, con la mano ancora appoggiata appena sopra la fronte, tra le ciocche scure. Risollevò lo sguardo dal pavimento e lo posò sul viso dell’elfo. E i suoi occhi sembrarono nuovamente quelli del bambino seduto sui gradini in quel lontano giorno di primavera.

Guardò l’elfo per un lungo istante, prima di coprire la distanza che li separava e di unire con forza le labbra alle sue, come se da quel gesto dipendessero le loro stesse vite. Come se sopravvivessero l’uno grazie al respiro dell’altro. Come se l’intero universo si fosse cristallizzato in quel momento…in quel bacio. Aragorn si scostò da lui, ansante. I pollici gli accarezzarono piano le guance, mentre le dita di Legolas si posavano leggere sulle sue braccia.

“E’ da tutta la vita che volevo farlo” sussurrò.

“E’ da tutta l’eternità che desideravo che tu lo facessi” rispose Legolas. E la sua voce era simile al canto della brezza autunnale, triste e memore delle gioie dell’estate. “E’ da tutta l’eternità che ti aspetto”.

Aragorn cadde in ginocchio e appoggiò la fronte sul petto dell’elfo. Le sue mani si aggrappavano con forza a lui, quasi a cercare sostegno nel portare un peso che avrebbe piegato qualsiasi altro uomo. Le dita di Legolas si muovevano leggere tra i suoi capelli.

“Raggiungi il tuo popolo ai porti grigi. Parti…vattene da questa terra che sta morendo”

Legolas lo costrinse a rialzare lo sguardo fino a incontrare i suoi occhi.

“sai che non posso farlo. Come sai che la Terra di Mezzo non sta morendo. Non finchè ci sarà la speranza”

“E allora resta con me, Legolas”

“Finché lo vorrai” rispose l’elfo e un dolce sorriso si distese sulle sue labbra.

Si chinò verso l’Uomo e lo baciò nuovamente.

“ben io direi che possiamo andare” disse Merry ad alta voce per attirare l’attenzione di Viggo.

L’attore si girò verso le sue due guide e si ritrovò nella camera da letto del suo appartamento.

“Che cosa…” bofonchiò guardandosi intorno.

“beh il nostro compito è finito”

“finito? Come finito?”

“finito. Non abbiamo altro da farti vedere!” rispose Pipino

“Ma…Legolas e Aragorn”

“Partono con noi per Mordor! La Compagnia dell’Anello, la finta morte di Gandalf, la battaglia al Fosso di Helm…la battaglia sul Pelennor…ti dice niente questa roba?”

“Sì, ma…”

“Beh non è necessario che veda nient’altro con noi. Ripensa a quello che hai vissuto tu come Aragorn…le cose non sono andate molto diversamente. Erano sempre lì a scambiarsi occhiate languide, a parlarsi in elfico, così non capivamo un tubo di quello che si dicevano…”

“Secondo me si dicevano sconcezze”  disse Pipino, scuotendo la testa con disapprovazione.

“Sai che non ci avevo mai pensato, ma è possibile che tu abbia ragione. Dato che non potevano farle davanti a noi, si sfogavano a voce!”

“Io, però, una volta li ho visti allontanarsi da soli a Lorien. E quando sono tornati avevano un’aria piuttosto colpevole”

“davvero?”

“altrochè! In ogni caso, noi dobbiamo andare. Il nostro contratto” rispose Pipino consultando una pergamena “prevede solo la visione di quattro scene e un po’ di consigli gratuiti. Dato abbiamo fatto sia l’una che l’altra cosa, non ci resta che salutarti” concluse porgendo una mano all’attore.

“Ben detto” concordò Merry.

Viggo strinse entrambe le mani, senza essere in grado di dire nulla. Era tutto troppo strano. Troppo surreale.

“Tra un po’ dovrebbe arrivare la prossima guida. Cerca di…come dire?”

“imparare qualcosa?”

“Non sentire la puzza che emana” rispose Pipino con aria pensosa.

Dopo un ultimo cenno di saluto con la mano, i due Hobbit si misero la pipa in bocca e inspirarono un’ampia boccata. Vennero circondati da una spessa coltre di fumo e sparirono.

“Non è possibile” mormorò l’attore, chiudendo gli occhi e sfregandosi la faccia con le mani. Quando risollevò le palpebre vide riflesso nello specchio di fronte a lui una figura nota, seduta su un baule.

“ben trovato” borbottò il Nano, alzando nella sua direzione un boccale di birra, quasi a voler brindare. “Io sono la tua guida per il presente”

“Gimli?” chiese Viggo, osservando il nuovo arrivato con malcelata curiosità. Era quasi più massiccio di John, anche se molto più basso. E le orecchie che gli spuntavano dai capelli o dalla barba –Viggo non sarebbe mai riuscito a capire dove finissero gli uni e cominciasse l’altra- erano veramente grandi.

“In carne e ossa” rispose il Nano.

“E peli” aggiunse una voce familiare proveniente da dentro la cassa.

“Pipino, stai zitto! Vuoi che ci scoprano?”

“Quei piccoli disgraziati” sbottò il Nano, scendendo dal baule e aprendolo con un gesto secco. Merry e Pipino erano coricati al suo interno.

“Che cosa ci fate qui?”

“Gimli! Ma come sei affascinante oggi! Hai acconciato la barba in modo diverso?”

“Un nuovo profumo?” suggerì Pipino, liberandosi della mano che Merry gli avevo messo sulla bocca per cercare di farlo tacere.

Il Nano afferrò entrambi per la collottola e li tirò fuori a forza dalla cassa, mettendoli in piedi di fronte a lui.

“Gandalf vi aveva detto di non venire”

“Gandalf dice tante cose” liquidò l’argomento Pipino con un vago cenno della mano.

“E io ho portato questa cosa sulle spalle fino a qui! Che ne avete fatto del contenuto?”ringhiò il Nano leggermente incazzato.

“L’abbiamo buttato!”

“Voi l’avete cosa?”

“non ti inquietare, Gimli, figlio di Gloin! Era tutta cianfrusaglia!” disse Merry scartando di lato per non farsi afferrare dalle grandi e minacciose mani del Nano. Poi prese la rincorsa e gli diede una spinta con quanta forza aveva in corpo, facendolo inciampare in Pipino a bocconi dietro le sue gambe e facendolo cadere nel baule.

I due Hobbit sbatterono il coperchio e lo fissarono con un lucchetto, incuranti delle  grida di Gimli, intrappolato lì dentro.

“ecco fatto” sospirò Merry sfregandosi le mani.

“che cosa ci fate voi due qui?” chiese Viggo che aveva assistito alla scena talmente sorpreso da non riuscire nemmeno a muoversi.

“beh ci stavamo annoiando a Minas Tirith! Qui sono passati solo pochi minuti, ma là sono trascorsi quasi tre giorni. Non possiamo festeggiare perché Aragorn dice che bisogna portare rispetto agli ammalati e ai morti. Non possiamo fumare liberamente perché Gandalf non ci ha ancora ridato le scorte di erba pipa sequestrate…”

“e tutto per quella sciocchezzuola!”

“Quale sciocchezzuola?”

“Niente di particolare…un principio di incendio nella sala da pranzo, ma nulla di grave”

“Oltre che rompipalle anche piromani” sospirò Viggo, senza poter nascondere un sorriso divertito.

“è stato un incidente!” puntualizzò piccato Merry, ficcandosi in bocca la pipa.

“Ma se non avete più erba pipa…che cosa state fumando?”

“Erba pipa! Credi che un paio di inferiate possano tenerci lontano dalle nostre scorte? Solo che se Gandalf ci scopre, sarebbe capace di trasformarci in due rospi! Qui almeno possiamo fumare come vogliamo!”

“senza contare che tutta questa storia è un fantastico diversivo!”

“va bene. Verrò di nuovo con voi. Per lo meno facciamo uscire Gimli dal baule!” l’attore, prendendo la pipa che Merry gli porgeva.

“non se ne parla! Sarebbe capace di legarci e rimandarci a casa in sacco. E adesso andiamo!” rispose Pipino, aspirando un’ampia boccata e sparendo nel ben noto fumo.

Si ritrovarono subito in un giardino immerso nelle tenebre della notte. Aragorn era seduto sul bordo della fontana di forma circolare posizionata al centro del parco. L’affanno lasciato dal dolore e dal tempo sul suo viso era parzialmente scomparso, mitigato da un’espressione pacata e saggia. Tra le mani rigirava piano un bracciale di cuoio con sopra impressa l’effige dell’albero bianco di Gondor. Le sue dita seguivano con calma le linee del disegno in rilievo.

“Alle Case di Guarigione mi hanno detto di poterti trovare qui”

Legolas avanzava verso di lui silenziosamente, quasi come se i suoi piedi scivolassero sull’erba fresca di rugiada più che calpestarla.

Aragorn sollevò il capo, puntando i suoi occhi in quelli dell’Elfo.

“Frodo?” chiese il principe di Bosco Atro sedendosi accanto all’uomo.

“Si sta riprendendo. È ancora debole, ma il suo corpo sta reagendo alle cure. È la sua anima che mi preoccupa” rispose il re, spostando lo sguardo dal bracciale al cielo stellato.

“Il potere dell’anello ha scavato dentro di lui un solco profondo, ammantato di tenebre e odio. Ma il suo cuore è ancora limpido”

Aragorn si voltò a guardarlo. Una leggera brezza faceva ondeggiare i loro capelli nell’aria, accarezzando i sottili fili d’erba del prato come una mano invisibile.

“Credi che starà bene?”

Legolas scrollò le spalle, rivolgendosi di nuovo verso la sottile falce lunare. “Non lo so” ammise in un sospiro.

“beh almeno lui è ancora vivo” mormorò Aragorn, mettendosi in piedi e allontanandosi di qualche passo dalla fontana. Tra le sue mani, il bracciale di Boromir sembrava essere diventato improvvisamente pesante.

“c’è qualcosa peggiore della morte…” fu il bisbiglio appena udibile di Legolas.

Aragorn si girò verso l’elfo per una manciata di secondi, prima di voltargli le spalle e di inspirare profondamente il profumo fresco della notte.

“n-non farlo”.

La voce di Legolas vibrò nell’aria come la corda di un arco. Le sue mani si erano chiuse a pugno sulle sue gambe, tanto che le unghie si conficcavano carne. L’uomo tornò a fissarlo negli occhi, con una muta domanda. I lineamenti del viso di Legolas erano duri e privi di emozione, ma Aragorn sapeva che mascheravano un profondo turbamento. Forse dolore. Forse rabbia. Forse amore…

“Non fingere con me. Non fingere che vada tutto bene. Non fingere che…”

L’elfo s’interruppe, serrando forte la mascella. Si rimise in piedi e compì qualche passo, rilassando con fatica i pugni ancora chiusi lungo i fianchi.

Studiò per qualche secondo un punto indeterminato sul tappeto erboso, prima di riportare il suo sguardo sul viso di Aragorn.

“Non possiamo rimandare ancora. Non possiamo ancora strappare tempo all’inevitabile. Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. Sapevamo che non potevamo lottare ancora contro la corrente che ci trascinava verso…verso questo giorno” rispose l’uomo, stringendo forte il bracciale nella sua mano. Se lo portò alle labbra per un istante, per poi riabbassare il pugno con calma. “Sai…sai che il mio cuore appartiene a te” .

Si voltò verso l’elfo con lentezza. La sua voce era appena riconoscibile, stravolta dalla disperazione. “solo a te. Da tutta l’eternità il mio cuore era destinato ad appartenere a te. A te solo, ma…la mia vita appartiene al mio popolo”.

Il silenzio s’ispessì, calando tra di loro come un muro fatto di veli, appena scossi dalla brezza serale. Una nube oscurò la luna, gettando una pesante ombra sui loro visi. Fu solo un istante prima che la luce perlacea abbracciasse i loro corpi e i loro visi rendendoli simili a statue marmoree.

“lo so”.

Fu Legolas a infrangere il silenzio con un tono di voce sorprendentemente dolce.

“So che sei disposto a sacrificare il tuo cuore per il tuo popolo. So che preferiresti una vita peggiore della morte per adempiere ai tuoi doveri. So che saresti capace di estirpare i tuoi sentimenti dal tuo stesso petto, pur di non deludere le tante persone che credono in te. La Terra di Mezzo ha bisogno di te. Ha bisogno della tua forza, della tua saggezza, della tua guida…”. L’elfo tacque, avvicinandosi ad Aragorn senza distogliere i suoi occhi da quelli dell’uomo.

“Non chiedermi di scegliere, Legolas”

“sai che non lo farò. Sai che non sarà necessario perché io ho già scelto per entrambi”.

Aragorn scosse la testa. Il labbro inferiore fremeva nervosamente.

“no”. La voce proruppe dalla sua gola come un grave lamento. “Legolas, no”.

La mano di Legolas raggiunse il suo viso, accarezzandone piano la guancia con la punta delle dita. Sulle sue labbra si distese un sorriso triste, più tagliente di mille lacrime, più agghiacciante di mille strepiti, più assordante di mille urla di dolore.

“Non dovrai scegliere, mio re”

“Legolas…no”.

Aragorn abbassò le palpebre, scuotendo ancora la testa in segno di diniego. Le sue possenti spalle tremavano lievemente, incurvate in avanti.

“come sapevi che io non ti avrei mai chiesto di scegliere tra il tuo cuore e il tuo popolo, i tuoi obblighi…come sapevi che non dovevi chiedermi di restare con te”

“Legolas…ti prego…t-ti prego…non farlo. Non legare la tua vita a me. Non a un Mortale…a un Mortale che dovrà sempre metterti al secondo posto…che dovrà…”

“Come sai” continuò l’elfo, come se non avesse neppure udito le sue parole “che non dovrò legare la mia vita a te, perché le nostre esistenze sono intrecciate da sempre…ho attraversato la vastità del tempo, aspettando che la mia esistenza fosse completa…tu l’hai resa tale…perché tu fai parte di me, come io faccio parte di te”.

Legolas affondò entrambe le mani nei capelli scuri di Aragorn, attirandolo contro di sé. Le sue labbra si unirono a quelle dell’uomo con dolcezza, sfiorandole appena, aspirando il dolce profumo del suo alito.

Il bracciale di Boromir cadde nell’erba silenziosamente, mentre le mani di Aragorn si aggrappavano alle spalle dell’elfo, scostandolo da sé.

“No…Non posso permetterlo…non posso…”

Le sue parole furono interrotte dall’indice di Legolas appoggiato sulla sua bocca.

“Forse l’inevitabile…quello contro cui abbiamo lottato per tutta la vita non era la separazione. Forse l’inevitabile era semplicemente il renderci conto che non c’è scelta. Non c’è mai stata. Eravamo destinati a divenire una cosa sola, un unico essere. Tu fai parte di me. Io faccio parte di te”

“E’ per questo che devi andartene. Il tuo popolo sta lasciando la Terra di Mezzo. Parti…vattene…porterai per sempre me stesso dentro di te…vattene, Legolas”

“Non posso, perché se tu verrai con me, una parte di me resterà qui con te…quindi non mi sentirei completo in ogni caso…non c’è scelta, Aragorn”

Un altro sorriso arcuò le labbra dell’elfo, ma questa volta non c’era tristezza. Non c’era dolore. Non c’era sofferenza.

“Maledetta la cocciutaggine degli elfi” borbottò Aragorn, sorridendo a sua volta. Le sue braccia circondarono senza fretta il corpo di Legolas, sfiorando i capelli sottili e percorrendo la linea appena accennata della sua spina dorsale.

“Sono legato a te per l’eternità, ma anch’io ho degli impegni da rispettare. Quando gli hobbit se ne andranno, partirò con Gimli per visitare la foresta di Fangorn…”

Aragorn fece aderire il palmo della sua mano alla guancia di Legolas, ponendogli il pollice sulle labbra per impedirgli di concludere la frase.

“non parliamone ora…non…non pensiamo al futuro…non stanotte. Fingiamo di essere solo Legolas ed Estel. Fingiamo che questo…” continuò prendendo per mano l’elfo e conducendolo accanto alla grande quercia del giardino “sia il bosco a nord di Gran Burrone, dove ci siamo rifugiati tante volte”

“un po’ scarno come bosco” mormorò Legolas serio.

Aragorn sorrise, senza lasciar andare la sua mano.

“Dimenticavo che sua altezza è abituato a ben altro”

“non pretendo che un comune Mortale sia in grado di comprendere la bellezza degli alberi” rispose Legolas, fissandolo intensamente.

Aragorn rise ancora, afferrandolo per un braccio e spingendolo contro al tronco dell’albero. La sua mano imprigionò la mascella delicata dell’elfo, facendogli alzare di poco la testa. Il suo respiro si era fatto improvvisamente rapido e il sorriso era scomparso dal suo viso, sostituito da un’espressione maliziosa ed intensa.

“allora il principe di Bosco Atro dovrà mostrarmela” mormorò, coprendo la distanza che separava le loro bocche. La mano sul viso dell’elfo scivolò lungo la linea gentile del suo collo, insinuandosi nell’apertura della casacca. Le sue labbra abbandonarono quelle di Legolas per risalire fino al lobo del suo orecchio.

“Estel” sospirò l’elfo, gettando la testa all’indietro e spingendo il suo corpo contro quello dell’uomo.

“che schifo! Che schifo che schifo!”

Viggo, che fino a quel momento aveva assistito alla scena perfettamente immobile, lanciò un’occhiata al di sopra della spalla a Merry e Pipino. Entrambi si erano coperti gli occhi con le mani. E sorprendentemente non stavano fumando. Gran brutto segno.

“che vi prende?”

“sono due uomini! Capito? Due uomini!”

“e allora? qual è il problema?” chiese l’attore, voltandosi verso di loro con le braccia incrociate sul petto.

“qual è il problema?” strillò Pipino, senza accennare ad abbassare le braccia.

“il problema è che hanno tutte due qualcosa di troppo in mezzo alle gambe! Non è normale che due uomini facciano certe cose! Che schifo!” sbraitò Merry.

“ma sai che io ho avuto l’impressione che anche Sam provasse qualcosa del genere per Frodo?” disse Pipino, togliendosi le mani dalla faccia e vedendo, in questo modo, che cosa stava succedendo a qualche metro di distanza. “Oh Valar! Si stanno togliendo i vestiti! Merry! Si stanno togliendo i vestiti! Andiamo via!”

“ma…” obiettò Viggo.

“ma vuoi star qui a guardare! Ma sei un depravato” urlò Merry, allontanando le mani dagli occhi, che per poco non schizzarono fuori dal cranio, soffermandosi su Aragorn e Legolas, inconsapevoli di essere spiati.

“Aragorn sta…e Legolas sta…que-quello è…ce l’ha…ce l’ha in boc…”bofonchiò Merry.

“oh…oh…ora capisco perché lo chiamavano Grampasso!”esclamò Pipino arcuando esageratamente le sopracciglia. Viggo fece per voltarsi, ma gli hobbit glielo impedirono.

“Non guardare! Potrebbe sconvolgerti!”

“sconvolgermi?”

“ha ragione! magari potrebbe piacergli!” suggerì Merry pensoso.

“Estel…”.

Gli Hobbit sgranarono gli occhi udendo il gemito di piacere di Legolas.

“andiamo via”.

E senza dar tempo a Viggo di ribellarsi, si ficcarono in bocca le pipe e poco dopo si trovarono di nuovo nell’appartamento newyorchese dell’attore. Frammenti di legno erano sparsi sul pavimento della camera da letto e quello che rimaneva del baule era abbandonato in un angolo. Due grosse mani si serrarono attorno ai colletti degli hobbit, alzandoli da terra. “vi siete decisi a tornare, razza di delinquenti” disse la voce possente di Gimli.

Viggo cercò di mascherare il suo divertimento, portandosi una mano alla bocca.

“Sono stati bravi?” chiese il Nano all’attore.

“Sì, diciamo di sì”

“Ti hanno fatto vedere la scena giusta?”

“i-io credo di sì” rispose l’attore, tentando di non ridere nel vedere le espressioni piene di sgomento dei due hobbit. Pipino stava pregando.

“bene, allora per stavolta non dirò niente a Gandalf…ma questi due” borbottò Gimli, dando a entrambi una bella scrollata “dovranno pulire tutte le mie asce e la mia armatura per essere perdonati…”

“tutto qui?” sbottò Pipino, quando Merry gli diede una gomitata per farlo tacere.

“e mi laverete la schiena quando farò il bagno” aggiunse con aria sadica il Nano, rivolgendo un cenno di saluto a Viggo e sparendo assieme ai due hobbit, paralizzati dall’orrore.

Non appena i tre furono scomparsi un’ombra scese sulla stanza. Viggo rabbrividì. Si voltò lentamente verso il nuovo arrivato, in piedi alle sue spalle: un Nazgul. L’essere allungò una mano, coperta da un guanto di metallo, verso di lui, avanzando di un passo. I suoi piedi risuonarono cupi e minacciosi nel silenzio innaturale della camera.

“sei tu l’ultimo spettro?”

L’essere annuì impercettibilmente, emettendo un sibilo sinistro.

“Devi mostrarmi il futuro?”

Il Nazgul annuì di nuovo, indicandogli qualcosa dietro di lui. L’attore si ritrovò improvvisamente in un ambiente familiare: il palazzo di Minas Tirith. Aragorn era seduto sul trono, attorniato da alcuni uomini, recanti sul petto lo stemma di Gondor. Il suo viso era solcato da molte rughe, ma invece che guastarne l’armoniosità, queste lo rendevano ancora più solenne, ancor più bello. I capelli bianchi gli ricadevano morbidamente sulle spalle come fili d’argento. Le mani forti e abbronzate stringevano i braccioli del trono. La corona era appoggiata su un cuscino purpureo al suo fianco. Arwen, ai piedi della pedana dov’era posizionato il trono, nascondeva il viso in un fazzoletto e un ragazzo dai capelli scuri e dagli occhi color del mare le cingeva le spalle in un amorevole abbraccio. Aragorn si alzò,congedando con un vago cenno della mano gli uomini, probabilmente i suoi consiglieri, e scendendo lentamente i pochi gradini marmorei. Prese i polsi sottili di Arwen fra le mani e la costrinse ad abbassare le braccia per poterla guardare in viso.  

“e’ ora” disse la grave voce del re, ma non c’era pena nel suo tono, solo dolcezza.

L’elfa strinse gli occhi nel tentativo di trattenere le lacrime. Il tempo e la vita mortale non avevano guastato la freschezza della sua pelle e l’espressione intensa dei suoi grandi occhi azzurri. Era ancora la Stella del Vespro, l’elfa più bella e luminosa del popolo immortale, colei che con il suo splendore poteva combattere l’oscurità delle tenebre. E l’amore che ricadeva dai suoi occhi era come le lacrime del cielo.

Aragorn sfiorò la sua fronte con le labbra, imprigionandole il viso tra le mani. E lo stesso amore brillò nei suoi occhi.

Arwen coprì una delle sue grandi mani con la sua in un tocco leggero, abbassando il capo. Sapevano entrambi che era inutile parlare. Tutto quello che era stato detto in quegli anni aleggiava nei loro cuori, nelle loro menti, nelle lacrime che scintillavano nelle iridi chiare.

Aragorn si voltò verso il ragazzo. Lo strinse tra le braccia, per poi scostarsi da lui, tenendolo per le spalle.

“Ti ho insegnato tutto quello che conoscevo…sei stato il figlio migliore che potessi desiderare. Ora sii un grande Re”

“Lascia che venga con te, padre” mormorò il ragazzo con voce rotta dall’emozione.

Aragorn sorrise e il suo sorriso era caldo, rincuorante come una vecchia canzone sui Re ormai entrati nella leggenda. Aragorn stesso era diventato ormai parte di essa. Non c’era uomo, donna o bambino che non conoscesse il suo nome, che non conoscesse le sue gesta e il suo senso di lealtà e di giustizia. Era stato il primo, grande Re dell’Era degli Uomini.

“no, non voglio che tu sia presente. Voglio che tu e tua madre” rispose Aragorn accarezzando brevemente la guancia umida di lacrime di Arwen “mi ricordiate così…non voglio che assistiate”. Prese tra le mani per un’ultima volta il viso di suo figlio e lo baciò sulla fronte nuovamente.

“L’unica cosa che potessi sperare è di avere un figlio che potesse essere più grande di me…migliore di me…e guardandoti oggi, capisco che i Valar hanno ascoltato le mie preghiere”

Aragorn lo lasciò andare e il ragazzo si strinse alla madre,  singhiozzando. Il re inchinò il busto portandosi una mano sul cuore. Mai era sembrato così bello…così immortale…così forte…con il lungo mantello che scendeva dalle sue spalle imponenti e l’albero bianco di Gondor impresso nel blu scuro della sua casacca. Si allontanò facendo risuonare il tacco degli stivali sul pavimento di marmo del palazzo, senza voltarsi indietro.

Viggo sentì una mano del Nazgul che lo spingeva a seguirlo e obbedì. Dovette correre per raggiungerlo. Aragorn entrò in una lussuosa camera da letto e si richiuse la porta alle spalle. La luce calda del sole morente penetrava dalle grandi finestre spalancate. Le tende leggere ondeggiavano sospinte da una lieve brezza. E tra quel turbinio di bianco e oro, lui…Legolas, in piedi con il viso illuminato dall’ultimo sole. Aragorn lo prese per mano e lo condusse sul balcone, senza dire nulla. Il suo sguardo si perse sulla vasta pianura in cui si ergeva la sua città, dando l’addio ai luoghi tanto amati.

“Anche se ho vissuto abbastanza, mi mancherà tutto questo, Legolas…mi mancherai tu…” mormorò con un filo di voce, voltandosi verso l’elfo. Legolas strinse con forza la sua mano nella propria.

“sarà solo per poco, mio re” rispose l’elfo, sedendosi sulla panca di marmo posizionata sul terrazzo. Aragorn si sistemò tra le sue gambe, con la schiena appoggiata al suo petto. Le braccia di Legolas lo circondarono lentamente. Le mani sulle mani. Le dita intrecciate. I capelli mossi dal vento. La bocca di Legolas premuta sull’orecchio di Aragorn a sussurrare poche parole d’amore, soltanto a lui destinate.

“ti amato…probabilmente più di quanto ti abbia mai dimostrato” mormorò l’uomo, abbandonando la testa sulla sua spalla e sospirando gravemente.

“sai che non è vero. Ho sempre saputo quanto mi amassi…sempre…”

“ho paura…è strano…alla mia età e dopo tutto quello che abbiamo passato, è strano aver paura di qualcosa di così naturale…”

“ti raggiungerò presto, amore mio” rispose Legolas, stringendolo forte.

“voglio…voglio vedere le stelle…quelle stelle che tu mi hai insegnato ad amare”

Legolas gli sollevò la testa, imprimendo un leggero bacio sulla sua fronte.

Il sole stava annegando in un tripudio di rosso e oro sulla linea appena distinguibile dell’orizzonte, ardente e fulgido nell’ultima battaglia contro le tenebre. Battaglia che era destinato a perdere.

“s-sento la vita scivolare via dal mio corpo….come granelli di sabbia tra le dita…ma non ho paura. Non ho mai paura quando tu sei con me, né nel furore del combattimento, né nel lungo cammino tra le tenebre…”

“Sssh. Non parlare”

“ti ho amo, Legolas. Ti ho amato con quanto amore i Valar hanno concesso al mio cuore di provare. Te…te solo…da sempre e per sempre…”

E con lo stesso malinconico ardore del sole al tramonto, con la stessa fiera dignità con cui era vissuto, Aragorn morì. Morì non da re, non da Ramingo, ma da Uomo. Morì con il riverbero lontano delle stelle e le calde lacrime di Legolas sul suo capo. L’elfo lo strinse a sé, baciando il suo viso immobile, urlando al vento il suo dolore, cullando il suo corpo inerte.

E poi tacque immobile.

Il ghiaccio ricoprì l’azzurro intenso delle sue iridi, i lineamenti del suo viso divennero marmorei. Rivolse lo sguardo al manto stellato, ascoltando i bisbigli del vento. Con dita tremanti abbassò le palpebre di Aragorn sugli occhi opachi, accarezzando con devozione le sue labbra lievemente dischiuse. Le rughe sul suo viso sembravano scomparse, cancellate dalla benevola morte, e la sua espressione esprimeva serenità e compostezza. Non c’era traccia di dolore. Non c’era traccia di tristezza. C’era solo pace.

Legolas sollevò il corpo del re tra le braccia e uscì dalla stanza, percorrendo i corridoi del palazzo, incurante dei tanti, tanti sudditi che piangevano e che si prostravano al suo passaggio. Il corpo di Aragorn era leggero tra le sue braccia, come se gli affanni del tempo e delle responsabilità si fossero dissolti. Legolas raggiunse l’altare di pietra, che l’uomo aveva fatto preparare, e vi depose le spoglie del re.

S’inginocchiò brevemente davanti all’altare, rendendo omaggio a quell’Uomo straordinario, più abile di mille Elfi, più resistente di mille Nani, più coraggioso di mille Uomini…eppure soltanto un Uomo.

“Se n’è andato” mormorò una voce incrinata dal pianto al suo fianco.

“è tempo che anche gli ultimi membri della Compagnia lascino la Terra di Mezzo” rispose Legolas, girandosi verso Gimli a qualche passo da lui. Le lacrime rimanevano impigliate nella sua barba rossa, simili a gocce di rugiada.

Il Nano annuì, poi si congedò solennemente dal re di Gondor e tra le tante lacrime seguì Legolas fuori dal palazzo…nella notte scura, nel vento che li avrebbe condotti all’ultima nave.

Viggo rimase ad osservare le figure dei due compagni sparire nelle tenebre, incapace egli stesso di trattenere le lacrime.

“Ecco perché Gandalf non voleva che assistessimo a questa scena” singhiozzò una voce tristemente nota. Viggo si voltò verso il Nazgul, che doveva essere la sua guida. Il mantello nero cadde al suolo rivelando Pipino sulle spalle di Merry. Entrambi stavano piangendo, tirando su rumorosamente con le narici.

“A-allora è così che finisce la storia…la Compagnia si è sciolta…”

Veder i matti e scanzonati Merry e Pipino in lacrime fece contrarre dolorosamente il cuore di Viggo, che cadde in ginocchio e abbracciò entrambi. Poi tutto divenne buio.

Quando riprese i sensi, Viggo si accorse di essere coricato nel suo letto, circondato dai rumori e dagli odori familiari del suo appartamento. Si mise a sedere, massaggiandosi piano la nuca,in preda di un feroce mal di testa.

“ben svegliato” disse la voce allegra di Merry, seduto sulla poltroncina accanto alla finestra. Sia lui che Pipino stavano fumando.

“Ragazzi, ma cosa è successo? Dov’è Aragorn?”

“Non lo sappiamo e non vogliamo saperlo! Gandalf ci ha richiamati nella Terra di Mezzo e ci cancellato i ricordi, prima di rimandarci indietro. Qui sono passate solo poche ore” rispose Merry.

“dice che continuavamo a piangere attaccati alle gambe di Aragorn! Ti pare possibile?” aggiunse Pipino, sfoderando un’espressione particolarmente buffa.

Viggo sorrise, felice che i suoi due piccoli amici avessero ritrovato il buon umore.

“allora” disse, scivolando giù dal materasso “mi volete spiegare perché Gandalf vi ha mandato qui?”

“non l’hai ancora capito?”

“eh ma sei proprio tonto!”

“ehm…magari un piccolo aiuto”

“Aragorn e Legolas. Tu e…com’è che si chiamava quell’altro tizio?”

“Orlando?” suggerì Viggo, incrociando le braccia sul petto.

“Orlando! Esatto…ehi ma allora ci hai già fatto un pensierino!” esclamò Pipino tutto contento.

Viggo scoppiò in una sonora risata, gettando la testa all’indietro.

“Beh ci ho fatto ben più di un pensierino…Io e Orlando ci siamo messi insieme due anni fa!”

“v-voi cosa?”

“T-tu e…” bofonchiarono contemporaneamente gli hobbit.

Viggo rise ancora, mentre un’espressione sconvolta si distendeva sulle facce dei due.

“Vuoi dire che abbiamo fatto tutto questo per niente?” strillò Pipino. Merry era ancora troppo sconvolto per poter parlare in modo coerente.

“bella fregatura!”

“beh guardate il lato positivo della faccenda: avete conosciuto me”

“che culo” esclamò Merry, riscosso dalla trance.

“in che senso?” chiese Pipino

Viggo roteò gli occhi, afferrando un pacchettino e lanciandolo all’Hobbit biondo.

“un regalino per voi”

“che cos’è?” domandò Merry, annusando sospettosamente il pacchetto.

“Tabacco”

“Fico” esclamarono Merry e Pipino all’unisono, correndo ad abbracciare l’attore, per poi ritrarsi schifati.

“non è che questo fraintende?” disse Pipino orripilato.

Viggo scompigliò a entrambi i capelli affettuosamente, quando la porta d’ingresso si aprì, cigolando debolmente sui cardini. Orlando entrò, trascinando un borsone rosso.

“Ehi Vig, perché non sei venuto all’aeroporto a prendermi? Ti ho aspettato per quasi un’ora! Potevi almeno avvisarmi! Ero preoccupato. Ma cosa…”esclamò quando i suoi occhi si posarono sui due hobbit.

“ma che cazzo…”

“tanto per rimanere in tema” sussurrò Pipino, facendo ridere il suo compare.

“beh noi andiamo! Cosa si dice in questi casi? Felice vita?”

“forse basta un arrivederci” suggerì Viggo sorridendo.

“hai ragione! Ciao bell’uomo!” strillarono in coro Merry e Pipino prima di ficcarsi in bocca le pipe e svanire in un nube tossica.

Orlando mollò per terra il borsone ancora impietrito sulla soglia.

“Ma quelli chi cazzo…”

Viggo gli circondò le spalle con un braccio attirandolo contro di sé e catturando le sue labbra in un lungo bacio.

“devo raccontarti una storia che ha dell’incredibile” mormorò l’attore, accarezzandoli piano una guancia.

Orlando sorrise, liberandosi del suo abbraccio e dirigendosi con passo stanco verso la cucina.

“e allora sarà meglio berci una tazza di tè”

“io ho un’idea migliore…” rispose Viggo estraendo una bustina dalla tasca dei pantaloni.

“che cos’è?”

“qualcosa che ho fregato ai nostri piccoli amici…erba pipa!” disse solo, prima che le loro risa riempissero il caldo silenzio di quella notte di Natale.

FINE

 

Solo poche parole di ringraziamento per concludere…

Grazie a Leiuccina per avermi fatto conoscere la coppia Aragorn/Legolas e per aver letto in anteprima la mia fanfic! Grassssie Ele!

Un grazie speciale a Eli (Elivi), la mia insostituibile socia, per essere la mia prima lettrice di tutte le storie di LotR, per i deliri sui personaggi tanto amati (soprattutto Merry e Pipino)…e per tutto il resto!

Grazie a tutti coloro che hanno letto la mia fanfic.

E un grazie in particolare alle canzoni di Enya che mi hanno aiutato nella stesura di questa storia.

Un bacio

Egle