.|. Happy b-day Mr Mortensen .|.

by LoLL

Viggo e Orlando sono tornati nel mio cuore. Che ci posso fare? Cicli e ricicli. L'ispirazione per il tema mi è venuta leggendo la bellissima fic di Cee to viggo on his forty-sixth birthday

Sentimentale | Slash | Rating R | One Piece

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“Io non sono fragile.”

“Come?” Alza lo sguardo e lo osserva, stupito.

No, certo che non lo sei.

“Hai capito benissimo: Io. Non. Sono. Fragile. Sono cresciuto, sono più forte di quello che credi.”

Le parole rimangono per un momento sospese nell’aria e a lui pare di vederle e hanno un brutto colore. Prova un senso di fastidio, no, rabbia nel sentirsele buttare in faccia così, come se...

“Se lo dici tu.” Riporta lo sguardo su quello che sta scrivendo ma le parole questa volta rimangono dentro la penna e non vogliono saperne di uscire. La scuote con forza, come per costringerle a venire fuori.

“Credimi, Vig, ho ingoiato molta più merda di quello che credi e, sicuramente, più di quella che hai dovuto buttare giù tu.”

“Di questo ne dubito.” Alza di nuovo lo sguardo, sicuro di vedere una nota di disappunto mista a rabbia e a qualcos’altro, forse dolore: lui è appoggiato al tavolo, con le gambe allungate in avanti, incrociate, e le braccia conserte. E non è stupito, né arrabbiato, né addolorato.

Ha paura di non conoscerlo più.

Poi lo vede alzarsi, scuotere un po’ la testa e andarsene verso la porta.

“Me ne vado a letto, buona notte.”

Solleva la penna in gesto di saluto e tira un sospiro di sollievo, se l’è cavata con poco, in fondo. Poteva andare peggio.

Guarda l’orologio: le undici e cinquanta. Ancora dieci minuti e un altro anno... Meglio così, non ha nessuna voglia di festeggiare.

Se lo immagina seduto sul letto, con le gambe incrociate e le mani a torturarsi i capelli, mentre legge uno dei suoi libri, muovendo appena le labbra per seguire le parole, come se, così facendo, fosse più facile ricordarle. Lo immagina sorridere e ripetere una frase e buttarsi all’indietro sul letto con gli occhi chiusi e, all’improvviso, quei sei anni non esistono più e l’Orlando che vede è quello che conosce.

Si alza di scatto perché ha bisogno di vederlo, ora, subito. Deve capire se c’è ancora qualcosa in lui, una traccia, un segno anche piccolo, di quel ragazzo che doveva proteggere dal mondo.

Entra in camera senza bussare, perché dovrebbe poi... e lo vede in piedi di fronte alla finestra, sta telefonando e sta ridendo. Questo no. Questo no quando lui sta così male che si sente come se il cuore si stesse spaccando in due.

 

Gira intorno al letto, lo afferra per un polso e gli strappa il telefono di mano. Ora è arrabbiato, lo capisce dal modo in cui serra le labbra. Non gli dà nemmeno il tempo di protestare perché gli ha già spinto la testa contro il muro e la lingua in bocca.

Fai qualcosa...

Sente le sue mani sul petto che cercano di spingerlo lontano ma lui è molto più forte, più grande e più forte.

Poi le dita si stringono sulla sua maglietta e non lo spinge più via ma lo sta tirando contro di sé. Sente il suo nome dentro la bocca e crede di impazzire per quanto lo ama.

Non sa nemmeno come sono arrivati sul letto, non se nemmeno come si sono spogliati. Vede solo lui, la sua schiena, le gambe aperte e le proprie mani che lo tengono immobile, schiacciato dentro il materasso, la testa sprofondata nel cuscino.

“Viggo, aspetta...”

Non c’è un cazzo da aspettare, il tempo sta passando troppo in fretta.

Entra dentro di lui di colpo, senza prepararlo, senza avvertirlo ed è così eccitato che per un attimo pensa che sta per venire subito. Porcaputtana, non così in fretta. Cazzo.

Si ferma e lo ascolta: sta respirando forte, in modo irregolare, come se avesse paura; guarda le nocche bianche mentre stringe il lenzuolo e poi, si spinge ancora dentro di lui con un rantolo rauco che gli sembra più un grido di dolore che di piacere.

E finalmente eccolo, quel singhiozzo. Silenzioso quasi, soffocato dal cuscino. Ma vivo, tangibile e presente. È il suo Orli che è tornato, giovane, fragile, insicuro. Il suo Orli che gli si accoccolava contro di sera, che piangeva fra le sue braccia, che faceva l’amore con lui come se vivesse solo per quello, che si lasciava accarezzare i capelli, che si lasciava proteggere. Non questo Orlando, non l’uomo che è diventato, non l’adulto che non ha più bisogno di lui. Questo gli fa paura, quasi.

Sente una mano sulla coscia e lui lo sta tirando ancora dentro di sé. Lo gira su un fianco e le vede quelle maledette lacrime, e si sente meglio.

Lo afferra in mezzo alle gambe e lo sente così bagnato che per un attimo pensa che sia già venuto, ma non è così, è durissimo e sente il sangue pulsare nella carne sotto la sua mano. Scende ad accarezzare i testicoli, li massaggia piano mentre sente i muscoli contrarsi intorno a lui. Ancora  un movimento, un’ultima spinta, e finalmente viene, e anche Orlando viene nello stesso momento, con la mano ancora avvinghiata nella sua coscia.

E lui non riesce a fare altro che affondare il volto nei suoi capelli e nascondersi, da lui, da sé stesso, da tutti e non riesce a smettere di ripeterlo “Orlando ti amo, Orlando ti amo...”

 

***

 

Sono le quattro e venti. Orlando non è nel letto. Ovviamente.

Si alza e scende e lo vede seduto sui gradini della veranda, che sta fumando. Fuma sempre quando è nervoso o preoccupato. O spaventato.

Vede le nuvolette di fumo uscire dalla sua bocca e avvolgerlo, si porta un pollice in bocca e si morde la punta e lui non può fare a meno di sorridere perché quel gesto non è cambiato.

Esce dalla porta finestra e i piedi scalzi fanno scricchiolare le assi di legno. Lui si gira e gli sorride. Allora si siede al suo fianco e stanno per un po’ in silenzio, guardando gli alberi davanti a loro, il buio.

“Lo so che sei cresciuto. È che non posso smettere di avere paura, so come vanno le cose da molto prima-”

“Paura di cosa?” Orlando lo sta guardando e lui alla fine abbassa gli occhi. Lui...

“Paura per te, che ti succeda qualcosa, che tu possa cambiare più-”

“No, non è così.”

“Come?” Non ci crede!

“Non è così, Vig.” Si gira verso di lui e lo guarda dritto negli occhi. “Tu non hai paura per me. Tu hai paura per te.”

Cazzo. È da tanto che lo stava aspettando. Buon compleanno, Viggo.

“Tu hai paura che mi succeda qualcosa, che io possa cambiare, ma non per me. Per te. Hai paura che io me ne vada.”

Ecco, l’ha detto. E adesso? Che cosa si aspetta? Che gli batta le mani?

Cazzo, ha quarantasei anni e lui quasi vent’otto e quando Orlando ne avrà quarantasei lui ne avrà sessantaquattro... Non si è mai illuso che rimanesse con lui per sempre, ma il tempo sta passando così in fretta che lui comincia ad avere paura. Paura di non potere più fare a meno di lui.

Gli accarezza una guancia con il pollice e ora si accorge, sotto la luce del portico, che ha pianto. Ma da solo, e questo gli fa ancora più male.

“Una paura fottuta.”

E mentre lo dice si rende conto, forse per la prima volta, di quanto sia grande e irrazionale, e presente e terrificante questa paura. Di come gli abbia quasi impedito di vivere e di amare come sa fare lui.

Si è fottuto con le sue mani.

Lo guarda, guarda quel giovane uomo così forte e coraggioso e si rende conto che forte e coraggioso lo è sempre stato, così come è sempre stato fragile e sensibile.  Erano, sono, solo aspetti, parti di un tutto... solo che alcune non ha mai voluto vederle, lui.

Orlando lo sta guardando e sorride, poi si avvicina a lui e gli circonda la vita con le gambe e le spalle con le braccia.

E lui non può fare a meno di sentirsi al sicuro. Ancora per un po’, almeno fino al prossimo compleanno.

Buon compleanno vecchio, mio.

 

Fine