.|. Tutti Pazzi per Haldir .|.

Capitolo 5

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Fin aprì lentamente gli occhi. Era l’alba. Da una finestra, poteva scorgere tra gli alberi il sole che stava spuntando.

“ Chissà da quanto tempo sono qua?” mormorò.

“ Tre giorni” la voce del suo carceriere lo fece sussultare. Era seduto su una poltrona in un angolo buio della stanza. Poteva sentire senza vederlo, il suo sguardo attento. Aveva la sensazione di conoscere quello sguardo. Ogni volta gli veniva uno strano formicolio. Conosceva il suo carceriere.

 

“ Io ti conosco!”  a quelle parole notò un lieve sussulto dell’altro, o perlomeno gli sembrò. Era troppo in ombra per esserne sicuro. Doveva fare qualcosa. Ma si sentiva ancora troppo debole. Bevve un sorso di acqua, la sua gola era riarsa, secca. Ben presto sotto lo sguardo vigile dell’altro ricadde nel sonno.

“ E’ qualcosa nell’acqua” fu il suo ultimo pensiero coerente.

Erestor rimase seduto su quella poltrona ancora per un po’.

“ Devo diminuire le dosi, basta che si senta debole.” Un sorriso increspò le sue labbra. Avrebbe approfittato di quella debolezza.

 

“ Elrond, devo parlarti” Haldir entrò nell’ufficio di Elrond. Quella mattina indossava un lunga tunica di seta nera allacciata da alamari color oro, e un paio di attillati pantaloni dello stesso colore degli alamari. La tunica ricadeva morbidamente sul suo corpo, mettendone in evidenza i muscoli levigati. Il contrasto del nero con i suoi capelli biondi e il pallore del suo viso, lasciò Elrond senza fiato.

“ Ha….Haldir” disse quando tornò padrone del suo respiro. “ Dimmi” cercò di imprimere tranquillità alla sua voce, mentre mille pensieri agitavano la sua mente e il suo cuore.

“ Ecco, io…”Haldir era indeciso. Per un attimo,pensò di fare marcia indietro. Ma ormai era tardi. Doveva sapere.

 

“ Aragorn, rientriamo” Legolas guardò l’amico. Erano fuori dall’alba. Ormai tutti i giorni partivano con il nascere del sole e rientravano al tramonto. Sempre alla ricerca di Fin. Uscivano insieme ai gemelli e poi si dividevano. I gemelli rientravano a casa e, alla sera fingevano di avere passato fuori la giornata.

“Niente, nemmeno oggi. Nessuna traccia.” La voce di Aragorn tradiva la sua preoccupazione e il suo sconforto. Non era possibile, Fin sembrava essersi volatilizzato. Legolas, si sentiva un po’ in colpa. Lo aveva portato in una zona opposta a quella dove c’era stato il finto agguato. Per questo non riuscivano a trovare la  minima traccia.

 

Fin aprì di nuovo gli occhi. Si sentiva meglio. Voltò la testa e vide un vassoio con del cibo, sul tavolo. Si sollevò a sedere e cominciò a mangiare. Aveva una fame tremenda. Mentre mangiava, il suo occhio attento studiava la stanza. La passò al setaccio nei minimi particolari. Doveva escogitare un piano per scappare. Era una stanza abbastanza grande, con una finestra che dava sul bosco e la porta che si apriva su di  un’altra stanza, che gli era sembrata una sala. Nessuna chiave, nessuna sbarra alla finestra. Come se chi lo teneva prigioniero, fosse sicuro che non sarebbe scappato.

Un rumore attirò la sua attenzione. Un cavallo. Sentì una porta aprirsi e poco dopo il suo carceriere entrò nella stanza.

“ Bene, vedo che hai mangiato. Spero che tutto fosse di tuo gradimento.”

 

Ancora quel formicolio. Perché? Chi poteva essere? Intanto l’altro gli si era avvicinato. Aveva spostato il vassoio con gli avanzi e si era seduto sul letto. Le sua mani presero ad accarezzargli il viso, i capelli, il petto. Era un tocco leggero, appena accennato. Fin rimase immobile, cercando di controllare il suo corpo. Gli tornarono in mente le parole del suo carceriere: “ Sei mio prigioniero. Chi sono non ha importanza. Cosa voglio da te è semplice: te.”

Lo fissò,  attraverso il leggero velo che lo ricopriva, cercando di indovinare chi fosse. Incontrò i suoi occhi e per un momento gli parve di annegare in quello sguardo velato. Sembrava che scrutassero dentro di lui, in fondo alla sua anima. Vagavano sul suo volto, sul suo corpo per memorizzarne ogni singolo movimento, ogni singolo centimetro. Lo spogliavano e lo accarezzavano. Il suo respiro si fece più ansante e, quando una delle mani del suo carceriere si insinuò sotto la sua tunica e prese a giocare con i suoi capezzoli, si morse le labbra per non gemere. Quel tocco leggero e delicato, lo stava incendiando.

 

“ Lasciati andare” la roca voce del suo carceriere gli sussurrò quelle parole all’orecchio,mentre con la lingua gliene lambiva la punta, facendo crescere in lui il fuoco che stava cercando di tenere sotto controllo. Allungò le mani per afferrare quel velo, ma l’altro fu più veloce. Gli imprigionò i polsi e glieli leggo alla testiera del letto.  Fin cercò di divincolarsi, ma gli era impossibile. L’altro intanto gli aveva sbottonato la tunica e si era impossessato dei suoi capezzoli. La sua lingua guizzava da uno all’altro, mentre la sua bocca li mordicchiava dolcemente. Continuò finché non divennero così duri, da strappare a Fin piccoli gemiti di dolore, ogni volta che li sfiorava. Le mani del suo carceriere intanto accarezzavano il suo corpo, sfiorandolo leggermente finché non raggiunsero il suo inguine e qui si soffermarono in carezze audaci. Non riusciva a resistere, quelle carezze lo stavano facendo impazzire, voleva di più, voleva sentire il contatto diretto di quelle mani sulla sua virilità, voleva sentire il calore di quella bocca richiudersi su di lui.  Improvvisamente, così come era cominciata quella lenta tortura finì. Il suo carceriere si allontanò da lui, gli slegò le mani e senza dire una parola se ne andò.

 

Fin rimase disteso lì sul letto, mentre tutto il suo corpo  pulsava dolorosamente. Fece scivolare una mano nei pantaloni, e cominciò ad accarezzarsi. Il suo pensiero corse a Erestor e immaginò che la mano fosse la sua, che lo accarezzava dapprima lentamente e poi sempre più in fretta… finché non si bagnò del suo stesso calore.

Intanto Res, dopo aver accuratamente chiuso tutto, fece ritorno al suo ufficio a Gran Burrone. Un sorriso soddisfatto gli aleggiava sul volto. Certo gli era costata molta fatica allontanarsi da Fin, ma per adesso bastava così.

 

“Haldir, cosa volevi dirmi?” Elrond si era ripreso e fissava l’elfo in piedi davanti a lui. Haldir se ne stava lì e lo fissava con i suoi grandi occhi blu spalancati, la mente e il cuore in subbuglio. Era deciso a raccontare tutta la verità ad Elrond, ma adesso gli mancavano le parole. Si sentiva come uno scolaro colto impreparato dal suo insegnante. Ma non poteva rimandare. Doveva raccontargli tutto. Doveva liberarsi da quella sensazione di oppressione che lo attanagliava.

Abbassò il viso e comincio a raccontare tutta la storia. La sua voce era appena un sussurro. Elrond ascoltava attento e sul suo volto si dipingevano espressioni che passavano dalla meraviglia alla rabbia, alla tristezza, alla confusione, man mano che il racconto procedeva.

Le ultime parole di Haldir provocarono in lui un moto di felicità, anche se solo per un attimo.

“ Io ti amo Elrond, per questo ho deciso di smetterla. Voglio essere certo che tu stai con me perché ricambi miei sentimenti e non per qualche strana magia.”

 

Haldir finì di parlare e un pesante silenzio invase la stanza. Elrond non sapeva cosa dire e Haldir se ne stava lì con il capo chino e tormentandosi  i bottoni della tunica in attesa. Ecco, aveva detto tutto, adesso poteva solo aspettare che l’altro parlasse. Il silenzio sembrava protrarsi all’infinito. Si potevano percepire con chiarezza i respiri dei due elfi, il suono delle foglie mosse da una brezza gentile, i rumori della casa. In quel silenzio tutti i suoni sembravano amplificati

 

“Haldir” Finalmente la voce di Elrond spezzò il silenzio. “ Io non posso dire di approvare quello che hai fatto. Non so se sono in grado di accettare tutto questo, non ancora almeno… ho bisogno di riflettere. Lasciami solo.”

Haldir uscì in fretta dalla stanza. Non voleva che l’altro vedessi i suoi occhi pieni di lacrime. Non poteva mostrargli questa sua debolezza.

 

“ Aragorn, ti prego fermiamoci un attimo” Legolas fermò il cavallo e scese. Non era stanco, non lui. Ma il suo amico si. I suoi lineamenti tesi tradivano tutta la sua stanchezza. Era pallido, con le occhiaie. Erano giorni che girovagavano alla inutile ricerca di qualche traccia. Legolas provava rimorso, ma ormai erano andati troppo oltre, non potevano fermarsi.

“ Vieni qua” Legolas si sedette all’ombra di un grosso albero e Aragorn si mise di fronte a lui.

“ Mi dispiace per Fin, ma sono sicuro che è salvo. Vedrai riuscirà a tornare a casa.” Intanto studiava il volto dell’amico. In quei giorni avevano passato tanto tempo insieme, ma non si erano praticamente detti niente. Le ricerche impegnavano tutto il loro tempo.


” Aragorn, cosa provi per lui?” non resisteva più, doveva sapere. Amava il ramingo con tutto sé stesso e voleva che ricambiasse i suoi sentimenti.

“ Gli voglio bene. E’ un amico e un compagno speciale.”

“Non ha parlato di amore” pensò Legolas. “ Allora mi ama ancora.” Sapeva di giocare sporco. Non aveva mai voluto dare importanza ai sentimenti di Aragorn per lui, anzi aveva sempre accuratamente evitato l’argomento. Per  lui era sempre stato solo un amico. Almeno, così aveva sempre creduto. Ma, nel momento stesso in cui aveva visto Aragorn con Glorfindel, aveva capito che non era solo amicizia. Adesso rischiava veramente di perderlo. In tutto quel tempo il Ramingo non aveva mai mostrato interesse verso nessun altro e lui si era sentito al sicuro, ma la storia con Fin aveva cambiato le cose.

 

“Stenditi un poco” gli disse. Aragorn si distese al suo fianco incrociando le braccia dietro la testa.

“ Sono veramente stanco” disse. Chiuse gli occhi e poco dopo si addormentò.

Legolas di distese sul fianco e si mise ad osservarlo.

Come era bello! Nel sonno i suoi lineamenti si erano leggermente distesi. Con un dito seguì il suo profilo perfetto. Le palpebre che celavano quello sguardo stupendo, il naso diritto, la bella bocca piena e sensuale, fatta per essere baciata. Non resistette e si chinò a sfiorare quelle labbra. Che dolce sapore. Il dito proseguì la sua esplorazione e sfiorò la curva decisa della mascella, per scendere in quella sinuosa del collo e giù sul torace fino alla vita. Aragorn si mosse nel sonno e Legolas si fermò. Poi riprese la sua esplorazione, sfiorando l’inguine per scendere sulla gambe. Che perfezione.

 

Aragorn credeva di sognare. Sentiva su di sé il tocco di Legolas, una dolce carezza. Lo desiderava talmente tanto, che gli sembrava quasi reale. Non voleva svegliarsi. Gli era persino sembrato che lo avesse baciato. Improvvisamente quella lenta carezza cessò.

“ Aragorn, sveglia dobbiamo rientrare.” Questi aprì gli occhi di malavoglia. Non voleva staccarsi dal sogno, dalle sensazioni di piacere che aveva provato. Ma doveva tornare alla realtà. Aprì gli occhi e si trovò immerso nello sguardo azzurro dell’elfo. I loro visi si sfioravano quasi. Poteva sentire il calore del respiro di Legolas, che lo accarezzava. Per un attimo le loro labbra si fecero più vicine, quasi a sfiorarsi. Poi Legolas interruppe la magia alzandosi di scatto e tenendogli la mano per aiutarlo.

 

Salirono in sella ai cavalli e si avviarono verso casa, ognuno immerso nei propri pensieri.

Arrivarono a Gran Burrone al tramonto. Si recarono subito da Elrond per comunicargli l’esito delle loro ricerche. Lo trovarono seduto nel suo ufficio, al buio. I gomiti appoggiati alla scrivania e il viso tra le mani, immerso in chissà quali pensieri. Prestò loro pochissima attenzione. Stava ancora pensando al racconto di Haldir e sinceramente non gli importava niente di Glorfindel, Erestor, Legolas e Aragorn. Se quei quattro sciocchi non erano in grado di dirsi “Ti Amo”, cosa centrava lui? Che si risolvessero da soli le loro beghe, lui aveva ben altro a cui pensare.

 

Si alzò di scatto, rovesciando la sedia sul pavimento e sotto lo sguardo sorpreso di Legolas e Aragorn uscì di corsa dalla stanza. Corse attraverso i vari corridoi del palazzo, sotto lo sguardo attonito di tutti quelli che incontrava. Travolse due valletti che, usciti dalla cucina, stavano portando i piatti nel salone per apparecchiare la tavola. Li fece letteralmente volare. Volse la testa per chiedere scusa, senza nemmeno accennare a rallentare.

Arrivò davanti ad una porta e la spalancò.

“ Si! “ disse solamente.

 

Nell’ufficio, Legolas e Aragorn si scambiarono uno sguardo perplesso. Cosa cavolo stava succedendo? Poi, come spinti da una mano invisibile, si avvicinarono e le loro labbra si sfiorarono. Si ritrassero di scatto, come se si fossero scottati.

“ Devo andare.” Aragorn uscì precipitosamente dall’ufficio e si recò a grandi passi verso la sua stanza, travolgendo quasi i due valletti che si stavano rimettendo in piedi.

Legolas rimase a fissare la porta e poi uscì anche lui.

 

Erestor uscì da un cancello secondario. Portava con sé un cesto con la cena per il suo prigioniero. Doveva fare in fretta. Doveva rientrare per la cena. Non poteva mancare anche quella sera, altrimenti avrebbe destato dei sospetti. Erano giorni che non sedeva a tavola con gli altri. Trovò Fin seduto sul letto che fissava la parete di fronte a lui, con espressione corrucciata. Gli sfuggì un sorriso. Com’era tenero. Sembrava un bimbo imbronciato perché era stato messo in castigo.

“ Tieni, la tua cena.” Si avvicinò tranquillo al letto. Improvvisamente si sentì afferrare da una stretta salda e gettare sul letto, con Fin addosso che lo teneva fermo.

“ Vediamo chi si nasconde sotto questo velo” disse Fin, strappandoglielo dal viso. Rimase a bocca aperta per lo stupore.

“ Tu!” fu tutto quello che riuscì a dire.