.|. Addio e' per Sempre .|.

3. Giorni Felici

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18 Luglio 1381

 

I giorni passarono e mio padre non se n’era andato.

Tutto aveva riacquistato l’atmosfera di sempre.

Lo vedevo svegliarsi di buon ora al mattino e dopo aver fatto colazione andava a passeggiare nei giardini.

Aveva preso l’abitudine di stare a lungo all’aria aperta, soprattutto nelle ore più tranquille, in cui sapeva non ci sarebbe stato nessuno a disturbarlo.

Aveva ripreso a mangiare con gusto.

Tuttavia era silenzioso, anche con me non parlava molto, e quando si trovava in mia compagnia, preferiva guardarmi a lungo ed io, nei suoi occhi, vi scorgevo pensieri nascosti e lontani.
Tutto ciò che aveva da dirmi me lo aveva detto pochi giorni addietro quando eravamo stati assieme al villaggio e mi aveva mostrato la grandezza del suo regno.

Un giorno tutto questo sarà tuo, e quel giorno ora è arrivato…

Quelle parole, quelle maledette parole rimbombavano nella mia mente, mi turbavano ancora e non riuscivo a scordarle.

“Eldarion!”
Sentii una voce alle mie spalle, mi voltai e vidi dinanzi a me quella strana creatura, che non potevo far altro che ringraziare dato che era stato lui a trattenere mio padre ancora nel regno.

“Principe Legolas…” m’inchinai.

“Anche tu mattiniero?” sorrise il giovane elfo.

Mi colpì immediatamente il suono della sua voce… era dolcissimo.

Annuii ed iniziammo a camminare insieme.

“A quest’ora del giorno tutte le cose sono ancora più vive e più belle…” prese a dire il principe guardandosi intorno “In questo silenzio si può sentire la voce degli alberi come non mai…” si appoggiò ad un tronco, lo carezzò e sorrise “Mi confidano molte cose, sai…” proseguì, strizzandomi l’occhio.

“Pa.. parlate con gli alberi…?” chiesi perplesso.

“E non solo… ma con ogni cosa viva in questo mondo!” rispose ed iniziò a solleticare le foglie ed i rami più bassi “A loro piace molto…”

“Certamente…” mormorai chinando la testa.

A dire il vero mi veniva da ridere, erano così strani i suoi modi ed era così buffo ciò che stava facendo, eppure, allo stesso tempo, non riuscivo a staccare gli occhi da lui: vi era una grazia tale in ogni suo gesto, una dolcezza e una perfezione che mai avevo visto prima in qualcuno o che forse… semplicemente non ricordavo.

Non avevo conosciuto la razza degli Elfi, mia madre se ne era andata quando avevo solo tre anni, la sua immagine l’avevo costruita grazie ai racconti di mio padre… doveva essere bellissima… mentre i ricordi erano così pochi… soltanto la sua voce, cristallina, che invadeva tutto e mi entrava dentro ogni volta che si chinava al mio orecchio e la sentivo parlare.

Era forse simile a quella del principe di Bosco Atro, ma più stavo insieme a Legolas (presto imparai a chiamarlo così), più mi rendevo conto che egli possedeva qualcosa di diverso, particolare… unico.

Se a quell’epoca non fossi stato un bambino di dieci anni avrei sicuramente notato che alla grazia dei suoi movimenti, si accompagnava una bellezza a dir poco rara e una sensualità quasi disarmante.

Nessuno poteva non notare queste sue qualità e ripensandoci bene… chissà… avrei anche potuto innamorarmene!

“Principe Legolas…” lo chiamai tirandolo per un lembo dell’abito.

“Dimmi piccolo…”

“Gra..zie…” sussurrai, mentre i miei occhi, senza una spiegazione, si erano fatti lucidi.

“Di cosa?” esclamò l’elfo, inginocchiandosi dinanzi a me.

“Di non… aver fatto andar via mio padre.”

Legolas mi guardò meravigliato.

“Andar via?”

Annuii, ma mi nascosi al suo sguardo… forse avevo parlato troppo e forse ancora non sapeva del giorno al villaggio, della Casa dei Re… di quella scelta.

“E dimmi… dove voleva andare tuo padre?”

Non risposi, continuai a tenere gli occhi bassi, sperando che l’elfo mi lasciasse andare.

“Eldarion, a me puoi dirlo!” mormorò invece dolcemente Legolas.

“Lui…”

“Legolas!”

Una voce ci distrasse improvvisamente dal nostro dialogo, era mio padre, che probabilmente ci aveva intravisti dalla finestra e ci aveva poi raggiunti nei giardini.

“Finalmente ti ho trovato!” disse, ansimando un poco.

“Aragorn…” sorrise l’elfo, rialzandosi in piedi.

Il re si appoggiò con un braccio contro un albero, come per riprendersi dalla corsa appena fatta, chinò la testa e sorrise a sua volta all’amico.

Sorrise…

Da quanto tempo non lo vedevo sorridere… non in quel modo…

“E’ tardi Legolas, o forse ti sei dimenticato del nostro impegno?”

“Certo che no! Come potrei? Non attendo altro!”

Li guardai entrambi incuriosito, non capivo di che cosa stessero parlando e volevo sapere.

“Dove andate?”

L’elfo si voltò e si chinò di nuovo verso di me.

“Accompagno tuo padre al villaggio.”

“Davvero?” esclamai con gioia.

Non credevo che vi avrebbe fatto ritorno dall’ultima volta che c’era stato con me.

Quel giorno mi aveva fatto credere che tutto era ormai perduto.

“Si, mi farà conoscere la vostra gente e…”

“Ti porterà nelle botteghe degli artigiani e poi in quelle dei giocattoli e poi dai venditori sulla strada e poi in quelle dei dolci…” l’interruppi entusiasta

Legolas sorrise.

“Vuoi venire?”

“No, Eldarion ha da fare qui in casa oggi…” s’intromise mio padre che era stato in disparte ad osservare la scena “Deve aiutare le cuoche a preparare la cena per stasera, non è così?”

“Io…si…” mormorai, pensandoci su un attimo.

In fondo avevo chiesto io di fare questa festa, desideravo una grande cena nei giardini con le fiaccole, la musica e l’allegria di un tempo.

Mio padre aveva finalmente acconsentito e non potevo certo tirarmi indietro ora!

“Bene Legolas, lascialo pure qui…” sorrise, incamminandosi verso il palazzo “E poi… questa giornata voglio passarla solo con te!”
L’elfo lo guardò allontanarsi, mi baciò velocemente sulla fronte e lo raggiunse senza perdere tempo.

Rimasi seduto a terra guardandoli allontanarsi, li vidi parlare, sorridersi, ridere e scherzare e per un istante pensai che nulla avrebbe potuto interrompere il corso di quei giorni felici.

Dove voleva andare tuo padre…?” echeggiò una voce nell’aria.

Li vidi scomparire tra gli alberi.

“Lontano, voleva andare molto lontano… troppo…”

Aragorn e Legolas arrivarono al villaggio poco dopo l’ora del pranzo ed iniziarono a girovagare per le botteghe e per i piccoli negozi agli angoli delle strade.

Un silenzio accompagnato da moti di stupore avvolgeva l’aria al loro passaggio.

“E’ te che stanno guardando!” rise il re, dando un colpetto all’amico “Non sono più abituati a vedere gente della tua razza da queste parti…”

“Capisco…” sussurrò Legolas, senza prestare attenzione né alle parole di Aragorn, né ai commenti che si facevano intorno a lui.

Era terribilmente attratto da quella gente apparentemente burbera ma dall’animo gentile che aveva potuto conoscere talmente poco nella sua vita sulla Terra di Mezzo; curiosava in ogni bottega, toccava ogni oggetto, lo esaminava con attenzione, aveva un sorriso per tutti.

Aragorn per parecchio tempo non parlò più, si limitò ad osservare l’amico ed ogni suo gesto, ogni suo moto di sorpresa negli occhi, la voce cristallina della sua risata… ogni cosa le ricordava la sua amata Arwen.
D’un tratto lo vide raccogliere un oggetto di legno da un tavolo e sfiorarlo con le sue dita lunga e affusolate… quanta grazia in quel tocco, quanta delicatezza riusciva a mettere in quelle mani e in quelle carezze nel toccare anche un semplice oggetto.

“Per tuo figlio, guarda…” disse Legolas voltandosi verso di lui.

“Davvero bello, si…” mormorò Aragorn, non riuscendo a smettere di guardare le sue dita muoversi sul legno.

“Perché non glielo compri? Adora i giocattoli!”

“D’accordo…” disse l’uomo, prendendo l’oggetto fra le mani.

S’incamminarono verso le stradine che portavano in un borgo nascosto del villaggio, là dove si apriva il grande orizzonte verso Eldamar, dalla parte opposta in cui aveva condotto Eldarion soltanto pochi giorni prima.

“Ti va di sederti a terra?” So che non è proprio consono per un principe, ma…”

“Si, mi piace…” l’interruppe Legolas sedendosi sull’erba “Non ho perso le mie buone vecchie abitudini, e anche se ora io sono un principe e tu sei diventato re credo che in fondo siamo rimasti sempre gli stessi…!”

Aragorn sorrise e si accostò ancor di più a lui. Una leggera brezza iniziò a carezzargli il volto, scostandogli le ciocche nere di capelli dalle guance.

“E’ così bello qui… c’è una tale pace…” proseguì l’elfo, ammirando il paesaggio attorno.

“E’ anche molto malinconico…” soggiunse Aragorn.

Legolas comprese a cosa si riferisse l’amico e gli cinse le spalle con un braccio.

L’uomo nel sentire quel calore a contatto con il suo sussultò improvvisamente e provò il desiderio di poggiare la testa sulla spalla del compagno… avrebbe tanto voluto farsi abbracciare da lui.

Non ne conosceva il motivo, ma accanto a Legolas si sentiva al sicuro e… stranamente felice.

“Ci vieni spesso qui…?” sussurrò l’elfo, muovendo le dita su di lui come per riscaldarlo.

“Quasi mai… è troppo doloroso per me… vedere… quanta distanza ci separa…”

“Lo so Estel, eppure noi vi sentiamo… così vicini…”

“Non è esattamente la stessa cosa, Legolas… forse per voi è semplice, ma per noi uomini è diverso… abbiamo bisogno della presenza fisica di chi… ci sta a cuore, capisci…?”

“Io… credo di si…” mormorò l’elfo.

Si guardarono per un lungo istante, come se in quel momento qualcosa fosse rimasto celato dietro quelle parole.
Poi Aragorn cercò di distrarsi e prese a guardare lungo la linea dell’orizzonte.

Quel calore, quell’istante di serenità vennero nuovamente spazzati via da un’ombra di tristezza, come se quell’insostenibile peso avesse ripreso a gravargli sul cuore.

“A noi… non ci basta sentire, i ricordi sono troppo deboli dinanzi all’assenza, e pensare che colei che amo si trova al di là del mare e non posso averla accanto, non posso stringerla, non posso amarla come vorrei è doloroso da sopportare…”

Legolas rimase per un istante ad osservarlo in silenzio, per lui era difficile comprendere fino in fondo quel genere di bisogno, eppure ora che si trovava accanto a lui, così vicino, ora che aveva sentito quelle parole…

“E… come… vorresti amarla, Aragorn…?” domandò d’un tratto a bruciapelo.

L’uomo si voltò verso di lui e lo guardò meravigliato… cosa intendeva dire?

“Mi manca Legolas…” riuscì soltanto a rispondere “Mi manca il suo volto, mi manca la sua voce, mi mancano i suoi baci… il suo corpo…” vide le guance dell’amico tingersi lievemente di rosso, forse aveva risposto alla sua domanda “Mi manca stringerla e farla mia durante la notte, e rivederla al mattino dolcemente addormentata accanto a me…” fece una pausa, poteva sentire il respiro di Legolas aumentare rapidamente “Mi manca stare con lei come stiamo adesso… insieme… io e te…”

L’elfo non riuscì più a sostenere quello sguardo carico d’intensità e di qualcosa a lui forse sconosciuto, rimase in silenzio e cercò di condividere il dolore dell’amico, ma la sua mente ritornava di continuo su quelle parole appena pronunciate, sull’atmosfera di quella mattina e quel desiderio di stare con lui, sull’immagine del suo volto e di quelle labbra, per un istante, così vicine alle sue.
Per un attimo immaginò Aragorn assieme alla sua compagna, nel momento più intenso dell’amore… si morse le labbra.

“N..noi ti siamo vicini, Estel… lei, ti è… vicina…” disse a fatica.

“La vedi spesso?” domandò l’uomo.

“Ogni giorno…”

“E com’è?”

“Come la ricordi…”

Vide l’amico irrigidirsi nuovamente e il suo sguardo scrutare ancora più lontano, nel disperato tentativo di raggiungere almeno con gli occhi quelle terre.

“Tuo… tuo figlio mi ha detto che te ne volevi andare…”

A quelle parole, Aragorn sobbalzò e la sua espressione mutò ancora.

“Andarmene?” esclamò, voltandosi di scatto verso l’elfo.

La preghiera che aveva affidato ai Valar gli ritornò nitida alla mente. In quei giorni l’aveva quasi dimenticata.

Si sentì morire.

“Estel…” sussurrò Legolas non ottenendo risposta.

“No… n..no… perché me ne sarei dovuto andare? E dove poi?” disse nervosamente.

“E’ proprio quello che ti sto chiedendo…”

“Avanti Legolas… non vorrai dare ascolto alle fantasie di un bambino…?”

“Allora devono essere fantasie molto tristi, ho visto il suo volto rabbuiarsi!”

“Non crederai che…”

“Cosa mi nascondi Estel?” l’interruppe l’elfo guardandolo negli occhi.
Aragorn si morse le labbra. Era preparato a tutto in quel momento, ma non a rivelargli la verità, anzi… assieme a lui aveva cercato di dimenticare.

Eresse una barriera attorno ai suoi pensieri e attorno al suo cuore affinché Legolas non gli leggesse dentro.

Cercò, per quanto poteva, di ricomporsi e di mantenere un tono di voce tranquillo.

“Nulla, amico mio, non ti sto nascondendo nulla. La verità è che forse ho solo spaventato un po’ mio figlio… l’altro giorno l’ho condotto qui al villaggio, gli ho mostrato molte cose e gli ho detto che tutto questo sarebbe stato suo… credo di averlo spaventato, ha solo dieci anni, forse… ho parlato prima del tempo…”

La paura aveva vinto ancora, era riuscita a trasformarlo in un ottimo mentitore.

Legolas continuò a fissarlo, non del tutto convinto dalle sue parole.

Dopodiché si voltò a guardare nuovamente verso l’orizzonte.

“Non lo abbandonare!” mormorò dopo un istante.

Aragorn strinse forte l’erba tra i pugni.

Mai come in quel momento si era sentito così vigliacco.

Gli occhi dell’amico erano riusciti a vedere, seppur inconsapevolmente, oltre la sua maschera.

D’un tratto però accadde qualcosa d’inaspettato… la luce negli occhi dell’elfo cambiò improvvisamente, ma Aragorn non fece in tempo a decifrarla che Legolas strinse forte le dita sulla sua spalla e l’attirò a sé, abbracciandolo.

“Non ci abbandonare!” sussurrò con la voce scossa da un’emozione profonda.

 

Mio padre e Legolas rientrarono a palazzo verso sera, poco prima dell’inizio della cena.

Quando li vidi arrivare notai qualcosa di diverso nello sguardo di mio padre: una luce nuova, incredibilmente bella.

Cos’era accaduto al villaggio quel giorno?
Non appena uscirono nei giardini, abbandonai le stoviglie che le cuoche mi avevano affidato e corsi verso di loro.

Mio padre allargò le braccia e mi tirò su, dandomi un grosso bacio sulla fronte.

In quell’istante sentii che l’angoscia, la paura e la tristezza se ne erano andate per sempre.

“Questo è per te!” disse d’un tratto, consegnandomi il giocattolo di legno.

Fui ancora più felice, adoravo i lavori degli artigiani delle botteghe.

L’abbracciai forte e strinsi tra le mani i suoi capelli.

Sentii il suo cuore battere intensamente ( e pensare che ancora me lo ricordo!) e le sue dita accarezzarmi il volto.

Da tempo aveva perduto l’abitudine di quei gesti d’affetto nei miei confronti… nei confronti di tutti.

“E’ anche merito di Legolas, è stato lui che mi ha convinto a comprarlo!”

Guardai l’elfo e per la seconda volta lo ringraziai.

“Hannon le…”

Mio padre mi fece scendere a terra e si guardò intorno.

Le candele con la loro luce soffusa parevano illuminare i giardini a giorno e al rosso della fiamma si univa l’argenteo chiarore della luna.

“Bene!” esclamò sorpreso “Avete fatto un gran bel lavoro!”

“Ho pensato a tutto io!” esclamai eccitato.

“Davvero…? Non fai altro che stupirmi, figlio mio. Sono molto felice per questo!”

Lo tirai per una manica facendolo abbassare.

“Lo sei…?”

“Cosa?”

“Felice…”

Vidi un sorriso radioso incurvare le sue labbra.

“Lo sono!”

Corsi verso la tavola imbandita a festa e mi voltai nuovamente verso di loro.

Ora quel sorriso era rivolto a Legolas, si dissero qualcosa e mio padre poggiò una mano sulla spalla del suo amico, conducendolo a cena.

Una volta seduti tutti quanti, ebbi l’occasione di osservarli, l’uno accanto all’altro… da quando Legolas era giunto a Gondor, tutto pareva essere cambiato, i primi tempi pareva che si sarebbe trattenuto poco tempo nel nostro regno, ma i giorni scorrevano ed io, ogni mattina, come prima cosa li vedevo insieme sedere alla mensa del re.

Mio padre voleva cacciarlo, ma Legolas era ancora li, in ogni istante della sua giornata.

 

I giorni passarono e mio padre non se ne era andato.

Mio padre era felice.