.|. Fino alla Fine della Strada .|.

by Trinity

Orlando è scappato da tutto e da tutti, schiacciato dal peso
di una fama che gli sembra sempre più fittizia. La tristezza e l'angoscia
crescono dentro di lui, che non riesce a capire che cosa, esattamente, lo
fa sentire in quel modo. E, a dispetto della preoccupazione generale, soltanto
una persona riesce a scuoterlo.

Sentimentale | Slash | Rating G | One Piece

| Commenta - Leggi i Commenti |

Era sera inoltrata e dalla finestra entrava una luce fioca, soffusa, che gettava la stanza dell'albergo in una triste e piacevole semioscurità. Erano passati ormai due giorni da quando si era rifugiato lì, due lunghi giorni nella più completa solitudine, nella calma dei suoi pensieri confusi. Finalmente solo a tentare di ascoltare se stesso.

Era strano parlare in quel modo, proprio lui, il ragazzo determinato e orgoglioso che era riuscito a sfondare diventando l'attore famoso che tutto il mondo ora conosceva ed apprezzava. Aveva impiegato tempo, fatica. Passione. Quanta solo lui poteva sapere. Ed ora eccolo lì, steso sul letto a guardare la stanza diventare buia, con una vita piena e appagante tra le mani, una fidanzata, un lavoro che adorava, e quell'incontrollabile senso di menzogna che continuava a tormentarlo.

Perchè? Per quale motivo?

Non che ce ne fosse uno in particolare. Semplicemente da quando il suo ruolo di Legolas era finito, sentiva che una parte importante di lui era stata accantonata. Una parte essenziale, che non rappresentava il suo debutto, la sua consacrazione nel mondo del cinema, ma qualcosa di molto più profondo. Una sensazione che Orlando non riusciva a togliersi di dosso nè a definire.

E tutti quei: «Sei sicuro di stare bene? Mi sembri pallido... Aspetta, chiamo la truccatrice.»

«Orlando, cos'è quella faccia? Domani hai l'intervista con quell'emittente locale, non ricordi?»

«Sei distante ultimamente, va tutto bene? Vuoi dirmi qualcosa?»

Tutta quella preoccupazione generale, stressante, opprimente, calava su di lui come un pesante velo di nylon, freddo e soffocante. A chi era rivolta tutta quell'attenzione? A Orlando Bloom, il famoso attore? Soltanto a lui? Possibile che nel tentativo di diventare qualcuno, di raggiungere il suo obiettivo avesse perso per la strada il vero se stesso? L'Orlando che ogni mattina si svegliava per arrivare in tempo alla Guildhall School sembrava essere sparito in un meandro della sua memoria, sepolto dalla valanga di applausi che gli undici oscar che The Lords of the Rings aveva vinto.

«Non ti sarai un po' montato la testa?» sua madre l'aveva detto scherzando al telefono. Mentre lui tentava di parlarle del suo stato d'animo, cercando di spiegare qualcosa nella confusione più totale, lei aveva riso dicendo probabilmente l'unica frase che aveva distrutto completamente la sua vacillante stabilità.

E allora era scappato. Via da tutto e da tutti, lasciando impegni, manager, amici e fidanzata nel panico più totale. Al diavolo, per una giornata non moriranno! aveva pensato avviando il motore dell'auto, uscendo dal garage alle quattro del mattino dopo una notte passata insonne.

Era irresponsabile. Oh sì, maledettamente irresponsabile. E il buio della notte che lo avvolgeva non serviva a nascondere il suo senso di colpa. Possibile che fosse solo paura? Be', se era paura del successo era arrivata decisamente in ritardo. O forse era il confronto, il sentirsi inadeguato a recitare accanto ad attori di un certo livello. Cercare sempre la perfezione, l'impegno totale.

«Datti tempo!». Quella voce risuonò nella sua mente chiara e rassicurante. Quell'intonazione posata, che sembrava irradiare un tepore dolce, mentre lui gli sorrideva con tranquillità. Sì, lui non l'aveva mai fatto sentire inferiore, forse per il semplice motivo che Viggo non si era mai ritenuto superiore. Gli parlava con semplicità, con noncuranza. Gli parlava di sogni fatti da bambino, che avevano i colori di grandi e favolose avventure. Quel tipo di sogni che non ha importanza se si avverano o meno, basta continuare a farli. Era un uomo indubbiamente strano. Pieno di contraddizioni.

Anche durante le riprese di The Lord of the Rings continuava a guardare il mondo con quel suo sguardo tranquillo, sereno, mentre magari in realtà era ansioso e agitato quanto chiunque altro. Ecco una cosa che gli invidiava, quel suo riuscire a tenere a freno le emozioni, a controllarle. Avere il pieno potere su se stesso. Lo invidiava e lo ammirava, e le loro chicchierate e risate sul set di Jackson gli mancavano immensamente. Viggo Mortensen gli aveva insegnato moltissime cose, che il National Youth Theatre, la British American Drama Academy, la Guildhall School of Musica & Drama e tutti i ruoli che aveva interpretato non gli avevano insegnato.

Viggo era incredibilmente tranquillo, prendeva il suo ruolo di attore con serenità, nonostante quei ruoli importanti li avesse sognati per tutta la vita. Orlando non era mai riuscito a spiegarsi come facesse, come riuscisse ad essere sempre così imperturbabile. E a dispetto di tutta la stima che aveva per lui, quell'atteggiamento spesso lo irritava.

Orlando si alzò dal letto raggiungendo velocemente la finestra e sbuffando. Era quello il vero problema, il confronto con Viggo, e non tutte le altre idiozie a cui aveva inutilmente cercato di dare la colpa. Il problema di fondo era uno solo, da quando avevano abbandonato le vesti di Aragorn e Legolas, Orlando si sentiva continuamente messo in discussione. Dagli amici, dalla critica, dal mondo, persino da se stesso.

E la sola cosa che gli veniva in mente di fare era chiamare Viggo, sentire la sua voce calma e tranquilla ridere del suo perdersi in un bicchiere d'acqua, e dirgli ancora una volta: «Datti tempo, Orlando!». Tuttavia, con quanta forza desiderava sentirsi protetto, guidato dalle parole dell'amico, non poteva fare a meno di fissare con odio il telefono, vedendo al suo posto soltanto la sua debolezza.

Però, cazzo... Potrebbe anche degnarsi di chiamarmi. Dopotutto sono disperso da ieri mattina! si ritrovò a pensare continuando a guardare con irritazione il cellulare abbandonato sul tavolo. Aveva ricevuto come minimo un centinaio di squilli tra manager, amici, fidanzata, e genitore. Tutti, l'avevano chiamato tutti meno la persona con la quale avrebbe voluto veramente parlare in quel momento.

Inutile dire che si sentiva stupido. Immensamente stupido.

Orlando si sdraiò sul letto. Forse era normale, in fondo lui aveva una famiglia, il suo lavoro, la sua vita... non poteva costantemente pensare ai problemi che poteva avere lui. E' decisamente ora di crescere, Orlando... pensò socchiudendo leggermente gli occhi, lasciandosi cullare dall'immagine di Viggo che gli sorrideva, e gli diceva che doveva darsi tempo.

 

Si era addormentato senza accorgersene e il telefono della stanza aveva iniziato a suonare insistentemente. Ovviamente l'aveva ignorato, non aveva voglia di vedere altre persone. Persone che l'avrebbero giudicato e accusato. Infantilmente pensava che in quell'hotel sarebbe stato al sicuro e che sarebbe bastato non uscire, lasciare passare il tempo così che tutti si dimenticassero di quel che era successo. Continuava a ripeterselo inconsciamente, nonostante sapesse che prima o poi sarebbe dovuto tornare alla vita reale, e che quella stanza d'albergo avrebbe soltanto rappresentato una delle più grandi vergogne degli ultimi anni.

Il telefono continuava a suonare, e Orlando girò la testa sul cuscino osservandolo con sguardo apatico. Puoi squillare finchè ti pare... Non ho intenzione di alzare la cornetta...

Si sentiva del tutto svuotato; l'angoscia, il dolore, lo stress, l'amarezza se ne erano andate lasciando dietro di loro solo un grande silenzio dei sensi. Il suo corpo era intorpidito, come se fosse rimasto su quel letto per intere settimane e non per due giorni, e mentre il telefono desisteva sentì la prima lacrima bagnargli il volto inespressivo, fredda e priva di significato.

Orlando si mise a sedere sul letto con uno scatto e si portò una mano al viso per cancellare i segni del pianto. Che cosa stupida, pensò sbuffando mentre le lacrime continuavano a scendere senza un apparente motivo. Ormai a cosa serviva piangere? E poi per quale ragione lo faceva?

Nonostante tutto sapeva che non erano i motivi che si era dato che l'avevano portato in quell'hotel, e che non sarebbero state le rassicurazioni di qualcuno che l'avrebbero riportato a casa. Guardò il cellulare, muto già da un po', e lo prese tra le mani osservando senza emozione lo schermo. Si girò e lo affogò nel bicchiere d'acqua sul comodino, lasciandosi poi cadere nuovamente sul letto.

Era chiaro che non gli sarebbe servito.

La luce accecante del giorno filtrava dalle tende tirate e l'aria fresca le faceva ondeggiare dolcemente. C'era profumo di mare nell'aria, qualcosa di estraneo e famigliare ma cullante e rassicurante. Orlando respirò a pieni polmoni e le lacrime smisero lentamente di scendere, mentre si asciugavano sul suo volto.

Chiuse gli occhi ma in quel momento qualcuno bussò vigorosamente alla porta della sua stanza, facendolo sobbalzare e alzare in piedi. Il cuore gli batteva forte nel petto e sapeva che la persona là fuori non poteva essere un cameriere, non avrebbe mai bussato a quel modo.

«Apri immediatamente questa porta, Orlando, prima che la butti giù e te la rompa in testa!» esclamò una voce calda e irosa, meravigliosamente conosciuta.

Il ragazzo era rimasto in piedi a fissare il legno chiaro dell'uscio con una strana espressione sul volto. Il batticuore era diminuito, tornando ritmico e normale. Il vuoto lasciato da tutte quelle sgradevoli sensazioni si stava lentamente riempiendo di qualcosa di caldo e di umido, di un profumo forte e familiare, di uno sguardo severo e irritato, ma che conservava quell'incredibile luminosìtà di affetto e purezza.

«So che sei qui, me l'hanno detto alla reception! Apri!» ruggì ancora l'uomo dietro la porta e il volto di Orlando si trasformò come la maschera di un Pierrot. Sentiva il rumore assordante del pugno contro l'uscio, il gradevole tono infuriato della voce, il leggero ansito del respiro, e quasi gli pareva di vederlo, là, fuori dalla stanza che lo chiamava e gli intimava di aprire.

Viggo era là. Oltre la porta chiara. Ed era lì arrabbiato come non l'aveva mai visto prima. E tuttavia la sola espressione che il suo viso riusciva ad assumere era quella ebete e felice di un uomo pienamente appagato.

Restava lì a godere del suono iracondo della sua voce, del lieve tremolare delle parole e dei colpi battuti sull'uscio. In quel momento niente gli era mai sembrato più bello, più perfetto di quell'attimo di piena consapevolezza nel fatto che lui era venuto a cercarlo. Di persona.

Non sapeva esattamente come, ma si ritrovò a immaginare Viggo che apriva la porta, e lo vedeva così chiaramente che gli sembrava reale. La pelle abbronzata del volto, la camicia sbottonata sul collo per il caldo, i capelli biondi leggermente scomposti e i suoi occhi che lo scrutavano e leggevano dentro di lui contro la sua volontà. Lo vedeva avanzare e abbracciarlo e stringerlo, e quell'atteggiamento non era quello di un amico. Non poteva nemmeno definirlo. Per Orlando quella persone al di là della porta non era Viggo, non era il collega nè l'amico. Era semplicemente lui.

Orlando si avvicinò alla porta come un ubriaco o un sonnambulo e la aprì fissando insistentemente e senza motivo la maniglia. Era in ottone. Prima non l'aveva notata.

Era davvero una bella maniglia.

La porta si aprì, e Viggo la spalancò con una mano, irritato e accaldato. «Era ora! E adesso spiegami che cosa diavolo ti è...» ma si interruppe, con la mano ancora posata sulla porta aperta e l'altra con l'indice puntato all'interno della stanza. Tra le sue braccia invece c'era Orlando, che si stringeva a lui come se stesse per cadere, nascondendo il volto sul suo petto.

Viggo rimase interdetto per alcuni secondi, cercando di capire quel che stava succedendo. Non appena era venuto a sapere della "fuga" di Orlando si era messo in macchina, senza pensare a prendere qualcosa con sè, nè una giacca, nè le chiavi di casa e nè tantomeno il cellulare. Aveva fatto come minimo trecento miglia prima di arrivare a quel dannato hotel dove Orlando si era nascosto.

E ora se lo ritrovava tra le braccia, e non riusciva a capire se stesse piangendo o se stesse semplicemente cercando di rabbonirlo per evitarsi la sfuriata che gli avrebbe sicuramente fatto subire. Tuttavia non sembrava stesse facendo nulla di particolare... Si limitava ad abbracciarlo, come se fosse sinceramente felice di vederlo.

«Orli...?» azzardò dopo parecchi istanti di silenzio, posandogli una mano sulla testa come avrebbe potuto fare con un animale domestico. «Tutto bene...? Cos'è successo?»

Il ragazzo continuava ad abbracciarlo, l'odore dei vestiti di Viggo era piacevole come sempre, il suo corpo solido come uno scoglio nella tempesta e in quel momento tutto apparì chiaro e nitido come i riflessi di luce sulla maniglia d'ottone. Tutte le paure, le menzogne, i sensi di colpa che continuavano a schiacciarlo e che nemmeno era riuscito a definire, ora sembravano incredibilmente ovvi, come se fino a quel momento fossero stati nascosti da un sipario di velluto.

«Vig...» mormorò scostandosi da lui e sorridendogli leggermente, sinceramente. «Credo proprio di essermi preso del tempo nel modo sbagliato...»

Viggo lo fissò per un momento, osservando l'espressione calma, pentita e tremendamente esilarante del suo volto e l'ironia delle sue parole. Scosse la testa senza riuscire a trattenere una risatina sollevata.

 

Il bar era fresco e poco affollato ma il ghiaccio nel bicchiere di tè freddo che Orlando aveva ordinato si stava lentamente sciogliendo. Non era ancora riuscito a capire esattamente che cosa era successo in quei quaranta minuti durante i quali aveva costretto il personale della reception a dirgli il  numero di stanza di Orlando, bussato violentemente alla sua porta per poi ritrovarselo tra le braccia e andare a bere qualcosa ad un bar.

C'era un passaggio fondamentale che gli sfuggiva. Orlando era scappato, lui l'aveva inseguito per riportarlo a casa e per vomitargli in faccia tutta la frustrazione e la preoccupazione che gli aveva causato, quindi... perchè stavano prendendo un tè al bar?

«Non credevo che mi avresti cercato, sai?» disse all'improvviso Orlando, scuotendo Viggo dal torpore. Aveva continuato a fissare la stradina alberata che portava al bar con sguardo vuoto, cercando di districarsi negli ultimi eventi.

«Eh?» chiese senza pensare, volando gli occhi verso Orlando.

«Ho detto che non pensavo che saresti venuto. E poi come mi hai trovato?»

«Siamo venuti qui l'anno scorso...» mormorò Viggo appoggiando il mento ad una mano. «E ci siamo tornati per le vacanze perchè ti piaceva il posto. E ci sei stato per un'intervista non ricordo dove un mese fa... Non c'è voluto molto a trovarti, quando sei nei paraggi i posti in cui vai non sono molti.» scrollò le spalle e bevve un sorso di tè. «Quando mi hanno detto che effettivamente eri qui, per un attimo, ho pensato che volessi farti trovare. Sono stato il primo ad arrivare?»

Orlando annuì. Il primo e l'unico, avrebbe voluto precisare, ma non gli pareva il caso. Tutto quello metteva ancor più in evidenza ciò che davvero c'era di sbagliato nella sua vita, e non nella sua carriera come aveva pensato. L'angoscia, il senso di colpa, l'amarezza... non c'entravano niente con il suo successo. E il punto di svolta rapresentato da The Lords of the Rings non era che la pallida ombra di ciò che aveva rappresentato il suo rapporto con Viggo.

Era quello il punto si svolta. Quello che aveva messo in discussione tutto ciò che era stato in passato, che gli aveva aperto nuove porte che davano su strade larghe e infinite. Viggo continuava a parlare, e Orlando lo osservava senza capire una sola parola di quello che diceva.

Si renderà anche solo vagamente conto di quanto mi ha dato? Di quanto gli sono grato per il nuovo punto di vista che mi ha regalato quando ci siamo conosciuti? si chiese inclinando la testa, mentre Viggo beveva un altro sorso dal bicchiere.

«E quindi, riassumendo... sei scappato da tutto e da tutti perchè avevi bisogno di tempo? Tutto qui?» chiese l'uomo inarcando le sopracciglia chiare.

«Be'... Se volessimo proprio essere precisi ti direi che ho solo seguito un tuo consiglio...» sorrise innocentemente, ma lo sguardo di Viggo lo costrinse a correre ai ripari. «E comunque mi ha fatto bene. Ne avevo assoluto bisogno, davvero...»

«Hai fatto preoccupare un bel po' di gente, lo sai?»

«Oh... sì, lo so.» mormorò Orlando grattandosi una tempia con l'espressione di chi è stato beccato con le mani nella marmellata. «A casa...? Come sta andando...?»

«Sopravvivono» rispose alzando le spalle. «Kate stava per chiamare la polizia, ma tua madre l'ha fermata... Per quanto riguarda gli altri... la stampa non è ancora così interessata, hanno spacciato la tua fuga per un'influenza estiva.»

«Ma che scusa poco credibile!» obiettò aggrottando le sopracciglia e Viggo scoppiò a ridere.

«In ogni modo hai sollevato un bel polverone... Ti conviene farti vivo in fretta prima che qualcuno chiami davvero la polizia e ti riportino a casa a forza.»

«Tranquillo, Vig. Torno a casa stasera...»

Viggo rimase a guardarlo per alcuni istanti, poi distlse lo sguardo pensieroso. «Be'... credevo che sarebbe stato molto più difficile convicerti a tornare.»

«Pensavi che mi avresti trovato in un angolo buio della camera, rannicchiato e tremante?» chiese lanciandogli un'occhiata maliziosa e l'altro scosse la testa.

«No, in realtà non pensavo a niente...» rispose a voce così bassa che stentava a udirlo. «Ero soltanto infinitamente preoccupato che potesse... non lo so,  esserti successo qualcosa...».

Le ultime parole furono un sussurro che Orlando non era sicuro d'aver sentito. Ma non era ansioso. Di solito quando era con Viggo le sue energie erano sempre al massimo, aveva voglia di fare, di correre, di muoversi. C'era sempre un'irrefrenabile eccitazione quando sapeva che l'avrebbe rivisto. Ma quella volta era diverso. Si sentiva tranquillo, sulla strada di casa.

«Mentre ero in hotel ho pensato a molte cose...» disse Orlando distogliendo lo sguardo. «A quello che avevo fatto, a quanto impegno ci avevo messo. A come la recitazione sembrava essersi allargata anche alla mia vita. Tutto sembrava finto. Io stesso quando mi guardavo allo specchio somigliavo di più a un fantoccio che a una persona vera». Aveva parlato serenamente, senza l'angoscia e la paura di pochi giorni prima, e Viggo era rimasto ad ascoltarlo in silenzio, con lo sguardo fisso sui resti del ghiaccio nel bicchire di Orlando. «Io non credo di essere una persona matura, responsabile. Non ho mai apprezzato veramente le cose prima di conoscere te. Prima di allora avevo sempre qualcosa da dimostrare a qualcuno... Mia madre, i miei insegnati, i manager, il pubblico, i colleghi... me stesso. Soprattutto me stesso. E poi sei arrivato tu... e non mi hai insegnato niente, mi hai soltanto indicato dove guardare. Mi hai fatto vedere le strade più luminose che potessi sognare di percorrere... e quel senso di finzione forse è nato proprio da questo. Mi approprio di un merito che non è mio, ma tuo.»

«Ma quelle strade le percorri da solo, ora». Nella sua voce c'era una sfumatura di malinconia. Qualcosa di velato e tuttavia stranamente intenso, di percepibile con chiarezza assoluta.

«Sì... probabilmente sì, ma se le sto percorrendo è merito tuo. E fingere che non sia importante, almeno per me, è del tutto impossibile...»

«E' per questo che te ne sei andato?» chiese d'istinto, e Orlando arrossì leggermente, sospirando e guardandosi intorno. Di cosa stavano parlando veramente? Della sua fuga o di qualcos'altro? Di che cosa allora?

«Sono la causa scatenante? Non dirmi che devo sentirmi in colpa!» sorrise Viggo cercando di alleggerire la tensione, ma l'altro guardava altrove con espressione pensosa. Lo escludeva volutamente dai suoi pensieri. E faceva male.

Orlando era probabilmente l'unica persona capace di fargli così male e allo stesso tempo di renderlo tanto felice ed orgoglioso. Gli era entrato molto più profondamente di quanto non avesse immaginato, e si rendeva pienamente conto che la sua presenza vicino a lui non avrebbe fatto che danneggiare entrambi.

Lui era troppo giovane, troppo inesperto, troppo puro. Avrebbero dovuto passare anni, aveva bisogno delle sue esperienze, delle sue delusioni e delle sue conquiste. E doveva farlo da solo, non aveva bisogno di nessun maestro a indicargli la strada da seguire.

Tuttavia continuava a desiderare ardentemente di restare con lui, e sapeva perfettamente che per Orlando era lo stesso. Una strana alchimia li univa, e per molto tempo nessuno dei due era riuscito a spiegarsela.

La voce di Orlando interruppe i suoi pensieri e si voltò verso di lui, steso sul ripiano di vetro del bar. «Sai, Vig? Spesso, ci ho pensato...» mormorò ancora con quel tono sereno. «...ho pensato a come sarebbe stato se, fra di noi, le cose fossero andate in modo diverso...»

Viggo lo fissò come se di lui fossero rimasti solo gli occhi, liquidi e castani, che riflettevano la sua immagine riflessa. Quelle parole l'avevano colpito profondamente, e la sua mente aveva già formulato le immagini. Scene che mille volte aveva sognato e che soltanto un sogno erano sempre rimaste, chiuse nei suoi pensieri più segreti.«Diverso... come?». Disse quelle parole senza nemmeno accorgersene, sussurrandole, quandi se pronunciandole più forte avesse potuto spezzare qualcosa. In un momento gli era apparsa alla mente l'idea di sporgersi, e di posare le sue labbra su quelle di Orlando. Qualcuno avrebbe capito che non era malizia? Che in quel momento desiderava soltanto per sentire che sapore avevano?

«Non lo so. Diverso...». Scrollò le spalle, semplicemente. «Non so nemmeno se migliore o peggiore di come stiamo adesso, però... quando mi guardo indietro, vedo così tante strade lasciate vuote. Strade delle quali non riesco a vedere la fine, ma sono sempre assolate. E rassicuranti...»

Viggo non parlò, lasciò che il vento giocasse con i capelli di Orlando, guardandolo come se fosse la prima volta che lo vedeva. Sapeva che aveva ragione, c'erano milioni di strade che avrebbero potuto percorrere, tuttavia quella che sempre e inesorabilmente gli tornava alla mente era una. Vivide, chiare, tanto reali che quasi gli sembrava di sentire la pelle di Orlando sotto i suoi baci. Come un'incrollabile fede. La strada che avrebbero potuto percorrere insieme, fianco a fianco, senza preoccuparsi di tutti gli altri.

E per un attimo la vide, e gli sembrò immensamente vicina, tanto che se avesse mosso un passo ci sarebbe arrivato. E sarebbe bastato poco, com'era bastato poco a Orlando accendere il motore della macchina e scappare lontano da tutti, dove solo lui sarebbe riuscito a trovarlo.

La sua sicurezza vacillò, e i suoi sogni segreti si avvicinarono così tanto alla realtà che le sue labbra si erano dischiuse per renderli veri, per riverlarvi a tutti in quell'assolata mattina d'estate, vicino alla porta aperta del bar.

Rimase a guardare Orlando, seduto davanti a lui con la testa appoggiata al braccio, poi sospirò pesantemente. Sorrise al ragazzo come gli aveva sempre sorriso, con pazienza, amicizia e affetto. «Sì... credo tu abbia ragione.» mormorò alzandosi e prendendo il portafogli dalla tasca posteriore. «Andiamo a pagare, così dopo facciamo un giro lungo il viale" disse assumendo la sua solita aria pacata e tranquilla, ma Orlando continuava a guardarlo, e quello sguardo pesava più di quanto avesse mai potuto immaginare.

Il ragazzo sorrise e si alzò in piedi avvicinandosi a Viggo, che stava contando i soldi nel portafogli per assumere un atteggiamento disinteressato e tranquillo. Per la prima volta nella sua vita vedeva le cose con chiarezza. Avevano perso tanto tempo, smarrito tante strade e guardandosi indietro Orlando vedeva tutto ciò che avrebbero potuto fare e che avrebbero potuto essere insieme. Ma sapeva anche che non potevano tornare indietro.

Forse un giorno quelle strade li avrebbero fatti incontrare di nuovo e tutti i baci, le carezze e le frasi che mille e mille volte gli aveva sussurrato con il pensiero avrebbe potuto dirgliele davvero.

Sorrise, passando una mano sulle spalle di Viggo che, ripresosi dal momento di imbarazzo, aveva estratto i soldi per pagare. Nel momento in cui si mossero verso la cassa, Orlando seppe che la loro strada era appena iniziata, e che probabilmente sarebbe stata lunga, avrebbe dovuto passare molto tempo ma, questa volta, l'avrebbero percorsa fino alla fine. Almeno di questo Orlando era assolutamente sicuro.

 

Fine