.|. Forever & Ever .|.
Capitolo Sei ~
8 luglio
(tardo
pomeriggio)
Niente, mi spiace, ma non riesco a scrivere. La mia mente ha rivissuto
ogni singolo istante di quella notte e del giorno in cui ci siamo
lasciati. Sono distrutto. Continuo a piangere. Perché?
Perché reagisco
così?
E’ stato bellissimo
ripensare ai magici momenti insieme e alle parole che ci siamo detti, ma,
allo stesso tempo, è stato anche doloroso. La mattina della partenza,
prima di prendere il taxi, sono andato in camera sua. Gli ho detto di
avere paura; paura perché l’avrei perso, perché mi avrebbe dimenticato e
perché ci saremmo accorti di aver fatto un errore. Ci saremmo resi conto
di essere andati troppo oltre…a causa di una semplice attrazione fisica.
Però non avevamo fatto l’amore, e questo, forse, è stato un bene. Anche
se…l’avrei fatto, eccome. Ero pronto a donarmi completamente a lui. Ma il
destino non ha voluto…
Ci baciammo e
abbracciammo più volte; respirai il suo profumo ed assaporai tutto di lui:
volevo avere un chiaro e forte ricordo. E così è stato: tutt’ora posso
sentirlo e immaginarlo perfettamente.
Poi arrivò il
momento di andare e, prima di uscire dalla porta, gli diedi una lettera e
lui ne diede una a me, consigliandomi di leggerla in seguito. Ascoltai il
suo consiglio, e la aprii solo quando mi ritrovai seduto sul letto di
camera mia.
Era un caldo
pomeriggio di settembre e, non appena varcai la soglia di casa, mi resi
conto che era finito. Tutto. Per davvero. Il film, un sogno, gli scherzi,
le risate, le notti insonni, le discussioni, i baci, gli abbracci, le
battute…tutto. Ed era finita con lui… Ma forse non era nemmeno
iniziata.
Esitante entrai,
chiudendo la porta e i diciotto mesi in Nuova Zelanda dietro di me.
Ero esausto e non
avevo voglia di vedere e sentire nessuno. Volevo stare solo con la mia
malinconia.
Le mie gambe erano
pesanti e raggiungere il letto fu quasi uno sforzo. La mia testa girava e
il sangue pulsava forte nelle vene. Mi sdraiai e chiusi gli occhi. Mi
riposai per qualche minuto, poi allungai la mano nella tasca dei jeans e
presi la busta. Mi sedetti con le gambe incrociate e, con le mani
tremanti, la aprii.
Un piccolo petalo
di rosa cadde sul letto. Capii subito che si trattava di quella che gli
avevo lasciato accanto al cuscino e sorrisi. Lo presi delicatamente con le
dita, quasi fosse di cristallo, e lo baciai. Ero sicuro che anche Viggo
avesse fatto lo stesso.
I miei occhi si
riempirono di lacrime non appena lessi il titolo: Communion. Una
parola semplice e tutt’ora in uso, ma con un significato ben più profondo
di quanto non possa sembrare, in particolare nella tradizione elfica.
Continuai a
leggere, emozionato e nervoso.
“We’ve
left shore somehow/ become the friends of early theory/
Close
enough to speak/ desire and pain of absence/of mistakes we’d make given
the chance.
Each
smile returned makes harder avoiding/ dreams that see us lying in early
evening/ curtain shadows, skin safe against skin./ Bloom of compassion
respect for moments/ eyes lock turns/forever into one more veil that falls
away.
This
after seeing you last night/ first time smelling you with permission:
shoulders to wonder openly at/ as carefully kissed as those arms waited
impossibly on./ They’ve held me now/and your breath down my back sent away
night air/that had me shaking in the unlit Anglican doorway.
Are we
ruined for finding our faces fit/ and want to know more about morning?/
Is
friendship cancelled/ if we can’t call each other anymore in amnesia/
invite ourselves to last glances/ under suspicious clocks telling us when
we’ve had enough?”
(“SENZA SAPERE COME
ABBIAMO PRESO IL LARGO/
SIAMO DIVENTATI GLI AMICI
DI UN’ INGENUA
TEORIA/
QUANDO TI HO VISTO
LA NOTTE SCORSA, / LA PRIMA VOLTA
IN CUI,
LIBERO, SENZA
NASCONDERMI, HO SENTITO IL TUO PROFUMO: / LE TUE SPALLE
CHE SI ABBANDONANO
ALLO STUPORE DI BACI PREMUROSI/
SIAMO ROVINATI
PERCHE'
I NOSTRI VOLTI SONO PRONTI/ E
DESIDEROSI DI SCOPRIRE DI PIU' DEL GIORNO?/
Piansi.
Piansi come mai
avevo fatto prima in vita mia.
Ero felice, ma
anche tremendamente triste e vuoto. Mi sentivo sereno, ma anche
arrabbiato.
Lo
amavo e lo odiavo.
Avrei voluto averlo
vicino, ma al tempo stesso era meglio essere da solo. Avrei voluto sentire
la sua voce e parlargli, ma forse era un bene essere senza di lui.
Avrei voluto
chiamarlo, ma la paura, l’indecisione e la codardia me lo impedirono.
Lo
sentivo lì con me, nella mia mente, nel mio cuore. Percepivo ancora il suo
profumo nell’aria e potevo sentire le sue mani accarezzarmi e stringermi.
Forse stavo
impazzendo, eppure… Eppure lo sentivo. Potevo sentire il suo caldo
respiro accanto al mio viso e sul collo. E le sue morbide labbra
appoggiarsi sulle mie.
Rilessi più volte
la poesia (così come faccio ancora) e, con il cuore colmo di tristezza e
rimpianto, mi addormentai, smettendo per qualche ora di pensare a lui.
****************
(…)
‘Cause
I can feel you breathe
(Breathe,
by Faith Hill)
*****************
8
luglio
(pomeriggio)
Vig’s
diary
Oggi mi sento
strano…non tranquillo. Continuo a vagare per casa senza meta, a guardare
fuori dalle finestre, a sedermi e poi rialzarmi subito… E’ come se stessi
aspettando qualcuno o qualcosa che non arriva o che è in ritardo.
Poco fa è squillato
il telefono: con un balzo mi sono alzato dal divano e precipitato a
rispondere. Perché? Perché il mio cuore ha sussultato nel sentire il primo
squillo? Chi mi aspettavo che fosse?
Risposi quasi con
il fiatone.
“Ciao papà! Hai
fatto una corsa?” Era Henry.
Le mie labbra si
incurvarono leggermente, insoddisfatte e…deluse.
“Papà ? Pronto ?!”
“C…Ciao Henry!
Scusa ma non ti
sento troppo bene. Sarà il mio telefono che fa un po’ il matto…” Era solo
una scusa, non avevo voglia di stare al telefono. Anche se era mio figlio.
“Ah, capisco…Bhè
senti, volevo solo salutarti e dirti che va tutto bene e che io e gli
altri ci divertiamo un sacco! Ora ti saluto, ci sentiamo domani. Ciao
papi!”
Riuscii giusto a
salutarlo e poi riattaccò. Sorrisi pensando a lui in vacanza da solo con i
suoi amici: chissà che cosa avrebbero combinato!
Mi avvicinai alla
finestra e guardai il panorama. Il mio cuore si sentiva vuoto, deluso.
Sì, deluso: avevo
sperato fosse…Orlando. Perché? Non lo so. Desideravo solo fosse lui.
Anche adesso mi
piacerebbe che il telefono squillasse, e, dopo aver alzato la cornetta,
sentire la sua calda e tenera voce. Lo vorrei tanto…
Ho bisogno di lui.
Questo è il punto. Non posso fare a meno di quel ragazzo.
L’ ho capito ormai
da tempo e ne ho avuto nuovamente conferma in questi giorni, dopo l’ultima
volta che l’ ho visto. Mi sento perso senza di lui. E mi sento male senza
le sue carezze, i suoi baci, i suoi sorrisi…
E poi vorrei averlo
qui per poterlo stringere forte, baciarlo e donargli tutto il mio
amore…proprio come qualche giorno fa. Oh Dio, è stato bellissimo! Un
sogno! Abbiamo fatto l’amore come mai in vita nostra.
Era la prima volta
che mi sentivo così vivo, amato, felice e completo. Ed era la prima volta
che facevo l’amore con lui…
Mi sentivo come un
ragazzino alla prima esperienza: impacciato e nervoso allo stesso modo!
E pensare che la
prima volta che sfiorai il suo corpo e le sue labbra fui io ad avvicinarlo
e fui, anche, molto più sicuro di me stesso.
Trascorremmo tutta
la notte insieme, sdraiati su una coperta, in un prato, a guardare il
cielo e a baciarci, sussurrarci dolci parole e darci piacere. Ci toccammo
con delicatezza ma anche con decisione, esplorando ed assaporando il corpo
dell’altro. Le sensazioni che provai furono e sono indescrivibili. Le
parole le rovinerebbero e sminuirebbero. Quelle emozioni non
possono essere descritte, anche se, devo ammetterlo, ci ho provato,
scrivendo la poesia Communion e dedicandola al mio angelo.
Quella fu la prima
e unica volta che riuscii ad abbracciarlo e averlo vicino, anche perché,
ormai, le riprese erano giunte al termine. Pochi giorni dopo, infatti, ce
ne andammo dalla Nuova Zelanda, ognuno diretto verso la sua strada e…la
sua nuova vita.
Dopo uno struggente
addio con Orlando, andai all’aereo-porto, pronto a salire su quell’aereo
che mi avrebbe riportato alla mia solita vita.
Una vita monotona e
senza sole, visto che non c’era lui al mio fianco.
Mi sentivo uno
straccio: avevo il cuore colmo di tristezza.
Chiesi gentilmente
all’ hostess di indicarmi quale fosse il mio posto e mi sedetti. Ero solo,
non avevo nessuno vicino.
Quando stetti per
allacciarmi la cintura, mi ricordai della lettera di Orlando, che mi aveva
dato prima di andarsene. La presi dalla tasca posteriore dei miei
pantaloni e, con il battito del cuore alle stelle e le mani sudate, la
aprii.
Potrà sembrare
strano o da pazzi, eppure riuscii a sentire il suo profumo e a
vedere le sue lacrime sulla carta.
Time, sometimes the time just slips away,
I'll
always think of you and smile,
So,
don't forget the memories we've made.
(Nota:
parole tratte da Please remember di L.Rimes)
Non sono un poeta,
ma queste parole sono state dettate dal cuore, che batte solo per te.
Io non dimenticherò
mai…
Tuo per sempre,
Orlando
Cercai di
trattenere le lacrime, ma fu più forte di me: iniziai a piangere.
Il mio cuore non
smetteva di correre e le mie mani di tremare.
Avrei voluto
urlare!
Gridare a tutti
quanto lo amassi e quanto…mi mancasse.
Lasciai ricadere il
foglio sulle ginocchia e strinsi i pugni. Ero arrabbiato.
Ce l’avevo con me
stesso: l’avevo lasciato andare via così…senza avergli detto tutto quello
che provavo e pensavo. Ma d’altronde, erano troppe le cose che gli avrei
voluto dire, sia al momento dell’addio che lì, sull’aereo.
E anche ora ne
avrei tante…
E anche adesso lui
non è qui.
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The
sky has lost its colour ,
(…)
It's
harder to remember
(Distance, by Evan & Jaron)
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