.|. Il Falco e il Cigno .|.

Prima Parte

~

...rispose il Principe, “...da innumerevoli anni non si sono veduti quei begli esseri dalle nostre parti. E mi meraviglio di vederne uno qui, adesso, in mezzo alla guerra e alla tristezza. Che cosa cerchi?”

“...sono qui al seguito di Sire Aragorn. [...] (per la gloria del) popolo del Grande Bosco”, disse Legolas, “e per amore del Signore dell’Albero Bianco.”

 

 

Un falco volava attorno all’alta torre del castello di Dol Amroth e ogni tanto si posava sul davanzale della finestra della stanza più alta e guardava all’interno.

Quella che si rivelava agli occhi dell’animale era una camera lussuosa, dove, seduto, sul bordo di un grande letto a baldacchino, stava un elfo. Era una creatura bellissima, con lunghi capelli dorati e incredibili occhi blu velati da un’angoscia profondissima.

Improvvisamente la porta della stanza si aprì ed entrò un uomo portando, su un vassoio, il pasto dell’elfo.

“È inutile che mi portiate del cibo, non ho fame” disse l’elfo senza neppure alzare lo sguardo sul nuovo venuto.

“So benissimo che sono due giorni che non mangi nulla, e che prima hai mandato indietro la colazione, ma non credere che ti permetterò di morire di fame!”

L’elfo alzò lo sguardo sull’uomo e mormorò: “Ti prego, Imrahil, lasciami andare!”.

“No, Legolas” rispose il signore di Dol Amroth con voce dura, “non ne ho la minima intenzione! Tu rimarrai qui finché lo deciderò io!”.

“Ragiona, ti prego, quando Aragorn tornerà dalla guerra che sta combattendo contro i predoni dell’Harad, mi cercherà e quando saprà che sei tu che mi tieni prigioniero assedierà la tua...”.

Le parole di Legolas furono interrotte dalla risata maligna di Imrahil.

“Tu credi che Aragorn farà ritorno dall’Harad?”. Il tono della domanda era beffardo e Legolas si sentì il sangue gelare nelle vene dalla paura.

“No mio bellissimo elfo,” continuò Imrahil chinandosi su Legolas e prendendogli il mento tra le mani. “Ho provveduto affinché il tuo Aragorn non possa venire ad infastidirci!”.

Il principe di Dol Amroth si avvicinò maggiormente a Legolas, per baciarlo, ma quest’ultimo scivolò più indietro sul letto per evitare quel contatto indesiderato.

Imrahil si raddrizzò senza smettere di sorridere e disse: “La mia pazienza sta per finire, presto o tardi mi obbligherai a fare qualcosa di poco piacevole... soprattutto per te; sarebbe meglio se fossi più remissivo. E non pensare troppo al tuo Aragorn, ormai non gli resta molto da vivere!

Voglio che quel vassoio sia vuoto quando tornerò!”.

Detto ciò se ne andò chiudendo la porta a chiave. 

 

Legolas era disperato: da una settimana era rinchiuso in quella stanza della fortezza di Imrahil. Il principe lo aveva fatto catturare da dei briganti prezzolati e condurre lì. Probabilmente nessuno si era ancora accorto della sua assenza: lui amava vagare solo per giorni tra i boschi dell’Ithilien, soprattutto ora che Aragorn era lontano.

Adesso però non si trattava solo di lui! Anche Aragorn era in pericolo. Aveva cercato inutilmente di contattare mentalmente sia Aragorn, sia altri elfi, ma era come se qualcuno avesse eretto una barriera attorno a quel luogo, e anche se era orribile solo pensarlo, sapeva che solamente un altro elfo poteva fare una cosa simile.

Avrebbe voluto piangere, urlare, ma sapeva di dover restare lucido, doveva avvertire Aragorn!

Improvvisamente lo stridio di un falco lo strappò dalla sua disperazione e lo portò a notare l’animale appollaiato sul suo davanzale.

L’anno precedente aveva trovato il falco ferito, l’aveva raccolto, curato e rimesso in libertà, ma l’animale aveva continuato a seguirlo, spesso senza che l’elfo ne fosse conscio, e ora l’aveva rintracciato anche nella sua prigione.

Legolas guardò per un attimo l’animale in silenzio, poi sorrise e disse: “Sarai il mio messaggero!”.

Legolas cominciò subito a darsi da fare per cercare il necessario per scrivere, trovò quasi subito delle penne e della carta, ma di inchiostro neppure l’ombra! Si sentiva così frustrato, ma doveva assolutamente trovare qualcosa; improvvisamente ricordò un racconto agghiacciante, sentito alcuni anni prima, in cui, i corsari di Umbar, avevano rapito la figlia di un nobile di Gondor e avevano mandato una lettera di riscatto scritta con il sangue della ragazza.

Senza aspettare un attimo l’elfo si ferì ad un polso ed utilizzò il suo stesso sangue per scrivere il messaggio:

 

Aragorn

Sono prigioniero di Imrahil che sta tramando contro la tua vita, fai attenzione non so chi altro è coinvolto nel complotto.

Legolas.

 

L’elfo arrotolò strettamente la pergamena e utilizzò una ciocca dei suoi capelli per legarla alla zampa dell’animale.

Vai, parlò alla mente dell’uccello, conosci la strada e conosci il suo volto!

Dopo la partenza del falco Legolas si mise d’impegno per far scomparire ogni traccia di quello che aveva fatto. Appena finito osservò il vassoio con il pasto, non aveva fame, ma prese il boccale che conteneva il vino e ne bevve un sorso. Si accorse subito della sciocchezza che aveva fatto: erano due giorni che non mangiava, aveva anche perso del sangue, e l’alcol gli andò subito alla testa. Barcollando si avvicinò al letto e si sdraiò e abbassando le palpebre si disse che avrebbe riposato solo un attimo.

Un rumore risvegliò Legolas, a cui quel ritorno ad uno stato cosciente sembrò simile ad una risalita da acque profonde. Qualcuno aveva acceso due candele per illuminare la stanza ormai invasa dalle ombre della sera e ora incombeva su Legolas con il volto in ombra.

“Ti avevo detto di mangiare!” Gli disse l’uomo con voce carica d’ira

“Imrahil...?” Mormorò ancora confuso Legolas.

L’uomo invece di rispondergli gli mollò un schiaffo in pieno viso che riportò l’elfo completamente alla realtà. Legolas si sedette di scatto sul letto e fissò l’uomo sorpreso, ma Imrahil continuava a fissarlo furioso, come se quell’ultima disobbedienza dell’elfo fosse stata la fatidica goccia che fa traboccare il vaso.

Il signore di Dol Amroth si lanciò sull’elfo bloccandolo sul letto con il peso del suo corpo e tenendo il viso vicinissimo a quello dell’elfo ringhiò: “È l’ultima volta che mi contraddici Signore dell’Ithilien, adesso ti farò capire cosa significa essere una mia proprietà!”.

Legolas si sentì mancare il respiro dal terrore: era impossibile equivocare sulle parole di Imrahil, soprattutto in quella posizione quando sentiva quanto il corpo dell’uomo fosse preda dell’eccitazione. Sapeva di essere troppo debole per contrastare a lungo la volontà di Imrahil, e si maledisse per essersi ridotto in quello stato solo perché era in preda allo sconforto!

Imrahil bloccò con poca fatica le braccia dell’elfo e gli coprì la bocca con la propria baciandolo profondamente, mentre l’elfo si dimenava per cercare di sottrarsi alle attenzioni dell’uomo. Era una lotta inutile, Legolas lo sapeva, ma non avrebbe ceduto... improvvisamente  senti il grido acuto di un animale e Imrahil che lo lasciava con un urlo di dolore, portandosi una le mani alla nuca.

Legolas ne approfittò per sfuggire all’uomo, portandosi dall’altra parte della stanza, e vide il suo falco che attaccava il signore di Dol Amroth lacerandogli la parte destra del volto. L’uomo cadde in ginocchio portandosi le mani a quello che rimaneva del suo viso.

Legolas colse l’occasione che gli si offriva e, vedendo che l’uomo non aveva chiuso la porta, fuggì seguito dal falco.

In seguito l’elfo non ricordò nulla dei corridoi e le scale che aveva percorso nella sua lunga fuga, l’unica cosa che sapeva era che ad un certo punto si era trovato nelle scuderie, dove aveva preso un alto cavallo grigio e, sempre seguito dal falco, era fuggito!

 

Il palazzo di Minas Tirith era simile ad un formicaio scoperchiato con tutte le formiche che scorrevano ovunque.

L’improvviso ritorno del re nel bel mezzo di una campagna militare, con la scorta di soli duecento uomini, aveva fatto capire a tutti che la situazione era seria. Diversi nobili erano stati tratti in stato di arresto e il re, con un cipiglio spaventoso, era chiuso nella sala del trono con alcuni consiglieri, mentre erano stati spediti messi in ogni parte del suo regno.

La parola che passava di bocca in bocca prima per il palazzo, e poi per la città era: tradimento.  

Erano passati tre giorni da quando Aragorn aveva ricevuto il messaggio di Legolas e l’angoscia per la sua sorte non lo lasciava dormire. Erano stati tre giorni terribili: nell’accampamento dell’Harad aveva dovuto far giustiziare dieci uomini fedeli ad Imrahil, perché legati al complotto, lasciare la guerra nelle mani di Faramir ed Eomer, tornare a Minas Tirith, ordinare altri arresti, mandare un messo a Imladris, dove Arwen era andata a trovare i suoi fratelli per dirle di non muoversi assolutamente e infine convocare due nobili elfi per rivelargli nel più assoluto segreto la sorte del loro signore.

Mentre faceva tutte queste cose, e anche adesso tra i suoi consiglieri, l’unico pensiero che lo ossessionava era Legolas: come stava, sarebbe riuscito a liberarlo? Non aveva nessun dubbio sulla ragione del rapimento, aveva visto più volte il desiderio nello sguardo di Imrahil mentre fissava l’elfo. Sapeva che Legolas non dava peso alla cosa, ma lui non sapeva fin dove poteva spingersi la lussuria di un uomo, non lo capiva fino in fondo. Per l’elfo era solo un qualcosa per cui prendere in giro Aragorn, quando quest’ultimo, senza alcuna prudenza, lo prendeva in un corridoio poco frequentato del palazzo, o lo possedeva mentre erano ancora mezzi vestiti.

Questi pensieri non lo facevano dormire la notte, tormentandolo.

“Un estraneo nel palazzo!”.

Aragorn sentì il grido della sentinella che era stata quasi travolta da un alto cavallo grigio, seguito da un falco, che venne ad appollaiarsi sul davanzale dal quale il re stava osservando la scena. Aragorn guardò l’animale, lo riconobbe, e senza dire una parola fuggì dalla sala del trono, lasciando i consiglieri a guardarsi negli occhi interdetti.

Il tempo di arrivare nel cortile, per vedere le sentinelle che, riconosciuto l’elfo, lo stavano accogliendo, e sentire qualcuno che diceva: “Mandate ad avvertire il re!”.

“Il re è già qui!”

Disse Aragorn dirigendosi verso Legolas, che nel frattempo si era lasciato scivolare dalla groppa del cavallo, e ora restava lì appoggiato al fianco dell’animale.

Aragorn strinse l’elfo tra le braccia felice di sentirlo di nuovo vicino e si accorse che qualcosa non andava: Legolas se ne stava lì abbandonato e respirava a strappi. Si allontanò da lui quel tanto per guardarlo negli occhi e vide che le pupille erano dilatate e lo sguardo vacuo: qualcosa non andava sicuramente.

“Manda a chiamare un guaritore,” ordinò alla guardia più vicina, “e fallo venire nei miei appartamenti! Subito!”.

Impartito l’ordine, incurante di chi avrebbe potuto vederlo, e di cosa avrebbe potuto pensare, sollevò il corpo dell’elfo, che gli sembrò insolitamente leggero, tra le braccia, e lo portò nella propria stanza.

Giunto nei propri appartamenti Aragorn depose il corpo dell’elfo sul letto e, sedutosi accanto a lui, attese l’arrivo del guaritore parlandogli sommessamente e accarezzandogli i capelli. Qualcosa non andava decisamente! E cominciava a dubitare che quella fosse una malattia che potesse essere curata dall’arte di un guaritore.

Dopo poco tempo una guardia annunciò l’arrivo del guaritore e Aragorn, nel vederlo, si sentì rincuorato: era Irimon, un uomo di buon senso e di grande sensibilità nello svolgimento del suo lavoro. Il guaritore rivolse un saluto rispettoso al re e poi rivolse tutte le sue attenzioni al malato, ma dopo poco tornò a rivolgersi ad Aragorn dicendo: “Sire, questa non è una malattia del corpo, ma dell’animo, io non posso farci nulla! Tutto quello di cui ha bisogno è tempo, riposo e attenzioni.”.

Aragorn sospirò: era quello che si era aspettato, e stava già per congedare il guaritore, quando questo parlò di nuovo: “Sire, io non posso fare molto riguardo al tempo e alle attenzioni, ma per il riposo posso preparare un infuso che gli permetterà di riposare questa notte.”.

Aragorn gli rivolse un sorriso tirato, ma pieno di gratitudine, al quale il guaritore non poté fare a meno di aggiungere: “E anche voi, maestà, dovreste riposare!”.

“Si, hai ragione Irimon, stanotte riposerò.”.

Irimon se ne andò dopo aver detto ad Aragorn che sarebbe tornato di lì a poco con l’infuso.

L’attenzione dell’uomo tornò sull’elfo, adesso sembrava più calmo, forse trovarsi in un luogo conosciuto lo aveva tranquillizzato, ma la cosa che lo preoccupava di più, in quel momento, era comprendere cosa, o chi, l’aveva ridotto in quello stato. Sospirò e volse lo sguardo fuori da una delle finestre, dove il cielo era già punteggiato di infinite stelle: la cosa migliore da fare, si trovò a concordare con Irimon, era riposare.

Mentre aspettava il ritorno del guaritore con l’infuso, si occupò di spogliare Legolas e di metterlo sotto le coperte, e allora vide i lividi che segnavano molte parti del corpo dell’elfo e capì cosa era successo e perché era ridotto in quello stato. Sapeva che azioni del genere erano più uniche che rare tra gli elfi, e che probabilmente Legolas ne era restato talmente sconvolto da ridursi in quello stato per lo shock. Se in quel momento avesse potuto avere Imrahil tra le mani era sicuro che sarebbe stato capace di ucciderlo senza pietà ne rimorso.

Poco dopo Irimon fece ritorno con la tisana per Legolas e, dopo aver lasciato il boccale coperto vicino al fuoco, se ne andò subito.

Legolas bevve tutta la tisana senza protestare, poi si distese nuovamente, sempre con lo sguardo fisso nel vuoto, ma nel giro di pochi minuti l’uomo vide le sue palpebre farsi pesanti, e dopo poco sprofondò in un sonno profondo. Aragorn lo fissò per alcuni istanti, poi cominciò a spegnere le luci disposte nella stanza, ma decidendo, all’ultimo momento, di lasciare sul comodino dal lato dell’elfo una lampada accesa, nel caso si fosse svegliato nel mezzo della notte. Non voleva che si spaventasse ritrovandosi al buio. Poi si spogliò a sua volta stendendosi accanto all’elfo e prendendolo tra le braccia, sentì il corpo di Legolas irrigidirsi e si chiese se non dovesse lasciarlo dormire da solo, ma dopo un istante l’elfo si rilassò e appoggiò la testa sulla sua spalla continuando a dormire. Anche nel sonno i suoi sensi avevano riconosciuto l’uomo che amava.

Aragorn sorrise e gli passò una mano tra i capelli, e solo quando sentì il sapore del sale sulle proprie labbra si accorse che stava piangendo.