.|. Schegge di Follia - take 2 .|.
7. Eros e Tanatos ~
You tell me that you
love me so, you tell me that you care
But when I need you
baby you're never there
Never there
You're never there
You're never ever ever
ever there
- Cake – “Never
There”
"This dream never ends"
you said. "This feeling never goes. The time will never come to slip away."
"This wave never breaks"
you said. "This sun never sets again. These flowers will never fade."
"This dream always ends"
I said. "This feeling always goes. The time always comes to slip away."
- The Cure - "Bloodflowers"
Difficile descrivere lo
stato d’animo in cui si ritrovò Aragorn a seguito delle rivelazioni
strazianti, pietose e terribili che gli aveva fatto Gimli. Era infuriato
per ciò che era stato fatto a Legolas, ed addolorato al tempo stesso; ma
questo non può spiegare le varie sfumature che andavano da un sentimento
all’altro, passando per lo sdegno, la pietà, l’amarezza, l’orrore e lo
sgomento.
In definitiva, visse in un
folle stato febbrile fino a quando non rivide Turlos.
Sin dal mattino successivo
al racconto di Gimli Aragorn si prodigò in tutti i modi per rincontrare il
pallido e bellissimo Signore della Neve, ed è bizzarro come il pensiero
che rivederlo lo avrebbe condannato a morte non chetò mai il suo fervore.
Al contrario, sembrava acuirlo morbosamente.
Era come una malattia.
Doveva vedere Turlos, parlagli, sentire ancora il sussurro ruvido delle
sue parole, ammirare il candore lucente della sua pelle, inebriarsi nel
suo profumo evanescente.
E, soprattutto, doveva
spiegargli cosa era realmente successo, aprigli gli occhi sulla beffarda
realtà in cui lo Specchio l’aveva catapultato, restituire alle sue membra
il dolce tepore ammaliante. E se fosse morto tentando, almeno avrebbe
placato l’ira di Turlos – se ira, o un qualsiasi altro sentimento vivesse
ancora in quel cuore di ghiaccio.
Fece di tutto per vederlo.
Rimase sveglio giorni e notti; non mangiò, pur di non sprecare tempo
prezioso; percorse il dedalo di corridoi del Palazzo e le viuzze della
Città fino a consumarsi gli stivali. Ma fu inutile. Per quanto si
sforzasse, riusciva solo a contemplarlo da lontano; ed era come guardare
l’effige sulla tomba di Legolas, perfetta, e per questo ancora più
orribile.
Se Aragorn si trovava in
città, allora scorgeva Turlos aggirasi come un pallido fantasma dietro le
finestre a ogiva che si aprivano nel Palazzo. E quando, correndo a
perdifiato per scale ed androni, anfratti e corridoi, giungeva a quella
stessa finestra e se ne sporgeva arrancando come un naufrago emerso dai
flutti, allora vedeva la sagoma rilucente del Signore della Neve
allontanarsi nella grigia corte erbosa, o partire al galoppo su un bianco
destriero verso la superficie desolata.
Anche troppo spesso il
Ramingo soccombeva all’impulso di tornare alla caverna del lago; e qui
rimaneva per ore a vegliare invano dinanzi all’entrata sigillata.
Si, è vero: più di una
volta Turlos si recò lì durante l’attesa del Ramingo, ma lo faceva da una
seconda entrata, e tutto ciò che concedeva ad Aragorn era di sentire la
sua voce roca cantare mormorando. In quei momenti Aragorn iniziava a
picchiare freneticamente sull’uscio, a spingerlo e artigliarlo, accecato
da un bisogno frenetico e divorante, e gridava fino a farsi sanguinare la
gola.
Non ottenne mai alcuna
risposta.
Se nel corso di quei
giorni la sua mente avesse conosciuto anche un solo momento di lucidità
forse si sarebbe reso conto che se Turlos lo evitata, allora forse non
voleva ucciderlo; forse il ritorno miracoloso del Ramingo faceva agitare
dentro il suo animo di ghiaccio emozioni sopite da tempo; forse, sotto
tutta quella luce, sotto tutto quel gelo, il cuore di Legolas batteva
ancora.
Ma Aragorn non era affatto
padrone dei suoi pensieri, tanto era ossessionato da Turlos.
Chi ne incrociava la
strada lo guardava e scuoteva tristemente la testa, sapendolo spacciato.
Quel povero straniero dal bel volto tenebroso ostentava gli stessi sintomi
di tutti coloro che, prima di lui, avevano conosciuto e amato Turlos.
Amato fino alla morte.
Fu proprio una sera mentre
girovagava, a malapena conscio di sé, per gli stretti corridoi, che
Aragorn trovò infine la via che lo condusse a colui che lo tormentava.
La parte posteriore del
Palazzo era stata scavata nella pietra viva della collina, e non c’erano
finestre. Ogni corridoio rivelava alla luce di mille torce una roccia
dalla sfumatura particolare, blu, rossiccia o verde, e punteggiata di
frammenti sfavillanti. Ma c’era un corridoio spoglio, corto e angusto di
grezza roccia grigia, in cui non v’era alcuna luce, e che terminava
bruscamente dinanzi ad un immenso arazzo Rohano.
Quando, risvegliandosi dai
suoi pensieri inconcludenti, Aragorn si ritrovò dinanzi a quell’arazzo
così spesso ignorato, non ebbe alcuna reazione particolare. Aveva ammirato
molte volte, di lontano, le sue figure e i colori confondersi nella
tenebra velata, senza però avvicinarsi più di qualche passo. In fondo, che
motivo aveva di spingersi in una strada senza uscita?
Quel giorno però era
abbastanza vicino all’arazzo da accorgersi di un fatto sorprendente: una
leggera brezza profumata spirava dalla parete nascosta, facendo danzare
l’estremità dell’arazzo che sfiorava il pavimento! Travolto da un’ondata
di frenesia Aragorn afferrò l’arazzo e lo sollevò, rivelando un piccolo
uscio intarsiato con delicati motivi elfici. Dall’altra parte giungeva il
lieve e distintivo profumo che aveva sentito aleggiare sulla pelle di
Turlos.
Senza nemmeno rendersene
conto, Aragorn aveva spalancato la porta e stava penetrando aldilà,
scivolando senza suono nella sala fiocamente illuminata. La prima
impressione che ebbe fu di trovarsi in una cappella, o in una delle sale
mortuarie degli antichi Re. Dominandola, si guardò cautamente intorno.
La stanza dall’alto
soffitto a volta era ampia e fredda; nell’angolo più lontano, sulla
destra, intravide una porta da cui proveniva il monotono sciabordio di una
cascata. Nell’angolo opposto, traslucida nella penombra, affiorava la
forma rigida e squadrata di un talamo di marmo; una forma a metà tra un
altare sacrificale ed una stele mortuaria, e che il soffice drappeggio
azzurro che la ricopriva identificava come un letto.
Era, senza ragione di
dubbio, nella camera di Turlos.
Non c’era nulla di
personale in quell’ambiente, solo oggetti freddi e monotoni che
sembravano offerte votive di schiavi senza volto. C’erano decine di
crateri di metallo brunito; alte brocche aggraziate e modellate come agili
animali selvaggi baluginavano dai vari angoli; tappeti e drappi di stoffa
erano ammucchiati qui e là senza cura. E poi una miriade di fiori,
boccioli freschi e ammassi marciti, ed ovunque il fumo degli incensi
profumati. Una debole luce bluastra indugiava come un sudario su quell’atmosfera
solenne.
Aragorn pensò nuovamente
ad una tomba, mentre si faceva strada lentamente verso il giaciglio di
marmo; eppure dovette usare tutta la sua forza di volontà per contrastare
il frivolo impulso di affondare la testa nelle lenzuola azzurrate, e
perdersi così nel profumo inebriante di Turlos. Si concesse solo di far
scivolare le dita sul guanciale che tutte le notti doveva ospitare la sua
chioma candida. Sospirò.
Chi ha visto l’interno di
uno degli antichi Palazzi dei Nani sa che essi scavano nel muro delle
camere da letto una nicchia tondeggiante, celandone poi l’entrata con uno
stendardo, per custodirvi oggetti particolarmente cari e preziosi. Aragorn
ne aveva intravista una poco distante dal letto, e scoprendola non si
stupì di trovarla completamente vuota. Vi entrò cautamente, risistemando
poi il tappeto meglio che poté, e si preparò all’attesa.
Gli sembrò che passassero
secoli e secoli, mentre attendeva nel buio, attorniato da pensieri
asfissianti; ma era passata poco più di un ora quando la sua attesa finì.
L’uscio che conduceva al
lago sotterraneo si aprì. I freddi crateri si accesero di fiamme
guizzanti, e decine di torce presero vita sulle pareti di pietra
sfavillante. Un torrente di luce si riversò nella stanza, ma nemmeno
questo bastò a scacciare l’opprimente senso di desolazione che la
permeava. Poi la figura rilucente di Turlos passò dinanzi alla nicchia, ed
Aragorn non riuscì a vedere o a pensare ad altro. L’Elfo sembrava una
candida statua, ed il fatto che si muovesse non poteva essere niente meno
che un miracolo.
Avanzava languido sul
pavimento di lustra pietra scura, e la sua espressione era sempre una di
completo annullamento della volontà, di vuoto ed indolenza. I capelli
sciolti gli ondeggiavano sinuosi sulle spalle, lucidi d’acqua. La lunga
veste grigio-azzurra scivolava sulla pietra dietro di lui, aprendosi come
un fiore, e riverberava nella luce tremula delle candele come il nastro di
un fiume rilucente.
Quando Turlos raggiunse il
letto la slacciò con gesto apatico, rivelando gli scuri pantaloni a guaina
che gli modellavano le gambe e una morbida tunica di velluto blu, blu come
erano stati un tempo i suoi occhi. La carne scoperta del collo e delle
mani sembrava dura pietra, e biancheggiava fredda nella luce.
Si girò a dare le spalle
alla nicchia, ed i capelli, ondeggiando, sparsero una miriade di
goccioline sfavillanti nell’aria.
“Per quanto ancora intendi
nasconderti, Dúnedain?”
Aragorn sussultò in preda
ad emozioni sconcertanti. Il suo corpo parve muoversi senza che lui glielo
ordinasse, e prima di comprendere cosa stesse facendo si trovò in piedi
dietro Turlos, con lo spazio esiguo di un respiro che separava il loro
corpi.
“Sapevi che ero qui?”
“Il tuo cuore batte così
forte che anche un mortale ti avrebbe udito.” Si volse a guardarlo da
sopra la spalla. La sua espressione indifferente non era mutata. “Cosa
vuoi?”
Te, stava per
rispondere Aragorn, ma ad alta voce disse: “Vederti. Parlarti.” Turlos
guardò dinanzi e avanzò di un passo danzante.
“Mi hai visto. Mi hai
parlato. Puoi andartene.”
Ah, la pazzia di Aragorn!
Fulmineo afferrò Turlos per la vita, premendosi contro la sua schiena. Per
un momento, il suo profumo fu tutto ciò che conobbe, poi si ridestò, e
abbassandosi per scorgere il profilo dell’Elfo gli mormorò:
“Sono qui! Questo non
conta nulla per te? Sono tornato!”
“Le ab-dollen,” gli
rispose Turlos con voce roca mentre si abbassava sinuoso sul letto. Quando
era sgusciato fuori dall’abbraccio di Aragorn? E come? Oppure anche quello
era stato solo un frutto del desiderio febbrile, irreale e tristissimo? Ma
Aragorn non aveva tempo per chiedersi questo, né in quel momento c’era
abbastanza lucidità in lui per farlo. Turlos lo osservò con le labbra
schiuse ed una parvenza di espressione negli occhi, mentre Aragorn lo
raggiungeva sul talamo e si chinava col corpo su di lui, ricoprendolo, ma
senza mai toccarlo.
Continuarono a fissarsi
per minuti interi, senza muoversi, Aragorn sospeso su mani e ginocchia a
pochi centimetri sopra il petto di Turlos, le labbra quasi a sfiorare le
sue, ancora schiuse, gli occhi persi nell’abisso incolore che era il suo
sguardo.
La postura dell’Elfo era
rilassata e innocua, quasi ingenua, reclinato com’era sul guanciale, coi
capelli sparsi attorno a lui come una candida aura. Ma Aragorn sapeva bene
di essere fissato come un serpente fissa la preda: con calma indifferenza
e lentezza ingannatrice. Se solo avesse compiuto un passo azzardato il
serpente sarebbe scattato e avrebbe affondato le zanne mortali nella sua
carne.
Un passo azzardato! Come
se non ne avesse già fatti!
“Sono in ritardo, si, ma
sono qui,” ripeté Aragorn. Poi non seppe più trattenersi, e con la mano
sfiorò teneramente la dura guancia gelida di Turlos. “Oh, ti prego!” quasi
gridò, chinandosi ancora di più su di lui. “Ti prego, lascia che io…
lascia che… che--!”
D’impulso provò a
stringerlo, muovendosi con la stessa foga cieca di un uomo insano, ma una
forza invisibile lo colpì al petto, costringendolo indietro e sulle
ginocchia. Dita fantasma gli si chiusero attorno alla gola, affondando
dolorosamente nella carne tesa del collo, mozzandogli il respiro, e nel
frattempo Turlos si tirava su a sedere languidamente, scivolava
all’indietro, piegando mollemente le gambe così che non fossero più tra
quelle del Ramingo, e si appoggiava con fare incurante su un gomito.
“Per cosa stavi
supplicando, Dúnedain? Lascia che ti baci? Ah, ma non credo. Le mie labbra
sono gelide come quelle di un cadavere, come potresti desiderarle?” Gli
atroci segni di dita invisibili sul collo di Aragorn si fecero più
profondi. Una scintilla apparve negli occhi di Turlos, rendendoli
orrendamente e meravigliosamente simili a quelli di Legolas.
“Lascia che ti prenda?
Lasciami divertire col tuo corpo? Questo volevi chiedere? Ah, che
delusione. Siete tutti uguali. Tutti. E perché dovrei concedere a te ciò
che a nessuno è mai stato volutamente dato? La tua lascivia mi disgusta.
Dimmi, perché non dovrei ucciderti subito?”
Lascivia. Quell’orrenda
accusa.
Una parvenza di senno si
affacciò alla mente di Aragorn, che annaspando rispose:
“Perché… uccidendomi… non…
sapresti… mai… la verità.” La stretta attorno al suo collo scomparve. Fu
solo uno scherzo della sua mente, oppure Turlos aveva tratto un respiro
ansante, quasi spaventato? Aragorn si accasciò in avanti, massaggiandosi
la gola mentre ingoiava aria a bocca spalancata. Alzò gli occhi acquosi
sul volto dell’Elfo. No, non si ingannava. La mascella serrata, le labbra
tremule, gli occhi sgranati, le narici frementi... una qualche emozione si
agitava dentro di Turlos. Dolore, tristezza, sgomento? Per Aragorn fu al
tempo stesso una vittoria ed una sofferenza.
“Morire per alleviare il
tuo dolore? Sai che lo farei,” disse lentamente. “Ma se mi uccidi ora
rimarrai per sempre nel dubbio. Non saprai mai se ti ho davvero tradito, o
perché. Lascia che ti dica la verità. Questa era la mia supplica.
Ascoltami.”
“Perché dovrei?” La sua
voce tremava. La sua bocca tremava. Le sue spalle tremavano. Un movimento
impercettibile per un comune mortale, ma non per un discendente di Númenor.
“Perché tu vuoi
sapere. Il dubbio è mille volte più angosciante della certezza. Se tu
fossi stato certo del mio tradimento, saresti riuscito ad andare avanti,
perdendoti nel cambiamento che ti ha tolto la capacità di provare
emozioni. Ma l’incertezza di tormenta ancora, ed è per questo che quando
mi vedi tu provi qualcosa! Un sentimento che non è affatto l’odio
che hai ostentato al nostro incontro!”
“Io non provo nulla. Io
non proverò mai nulla. Io non ho provato nulla sin dai tempi in cui--”
esitò.
“In cui ti tradii? Lo
vedi? Non puoi dirlo, perché non ci credi. Non sai se ti abbia tradito o
no, ma non lo credi possibile!” Sfiorò con la punta delle dita la spalla
dell’Elfo, che si ritrasse. Si era piegato nuovamente su di lui, ma
stavolta i loro corpi si toccavano completamente. Turlos lo spinse via con
fermezza, ma con una gentilezza inaspettata, come se non fosse mille volte
più forte del Ramingo, ma anzi più debole. Aragorn si lasciò spingere su
un fianco, e non osò fermare Turlos quando questo sgusciò in piedi e via
dal letto.
“Perché?” sospirò. “No,
non rispondere. Piuttosto, dimmi le tue bugie, se devi, e poi vattene.”
Aragorn si portò nuovamente alle sue spalle, e nuovamente lo strinse, ma
stavolta guidò la testa dell’Elfo sulla sua spalla, e mentre parlava
iniziò a cullarlo.
“Ricordi la notte della
mia scomparsa a Lórien? Scomparsa, si, non morte, perché avevi ragione tu:
io ero vivo. Vivo. Arwen non sperò mai che potessi esserlo, né lo fece
Elrond, che per me era come un padre, né nessun altro. Tutti se ne
andarono nella certezza che fossi perduto, ma non tu. E questo è un grande
regalo, per me. Non sai quanto.
“Comunque, sebbene io non
fossi morto, il mio spirito non era più in questo mondo. Quella notte
fatidica, Dama Galadriel mi aveva convocato per comunicarmi le odiose
bugie che ti aveva raccontato – no, non interrompermi. Erano bugie, tutte
bugie. Io ti amavo.
“La Dama credeva
fermamente che avrebbe potuto convincermi del contrario, così come aveva
convinto te, ma nel mio sdegno, la attaccai.
“Ah, finalmente mi guardi!
Non stupirti. Sono stato un folle ad attaccarla, ma non me lo hai forse
sempre ripetuto anche tu? Accecato da questa mia follia la attaccai, ma
lei mi respinse. Durante lo scontro, alcune gocce del mio sangue caddero
nel suo magico Specchio, che subì una mutazione abominevole.
“Cominciò a chiamarmi, e
quando mi arresi ai suoi sussurri, fissai le sue profondità, e vi vidi gli
echi di orrori ancora da compiersi. Non ricordo cosa vidi, non tutto
almeno, ma so che il mondo che scorsi nello Specchio è quello in cui mi
trovo ora.
“Lasciami spiegare. Sai
che lo Specchio mostra possibili futuri: anche tu vi hai guardato dentro.
Ed in quel momento esso mi stava mostrando questo futuro. Un futuro
in cui io ti avevo abbandonato, in cui tu non credevi al mio amore, né
alla mia onestà. Non so spiegarti l’orrore che montò in me. Ho visto
Lothlórien distrutta, la Contea ardere nella notte, Rivendell marcire e
crollare, e credo… credo di aver visto parte di ciò che ti è stato fatto,
anche se non ne ho avuto memoria fino a quando Gimli non mi ha raccontato
tutto. Ancora adesso possiedo solo ricordi nebulosi di ciò che ho visto, e
ne sono grato.”
“E… e poi?” Ah, sentire
quella voce bassa, che alle sue orecchie suonò speranzosa e quasi timida!
Aragorn trattenne a stento l’impulso di stringerselo forte al cuore.
“Poi, lo Specchio si
preoccupò di far avverare quella visione.” La confusione in quegli occhi.
La tristezza. Sotto strati e strati di ghiaccio. Di nuovo, un dolore ed
una soddisfazione.
“Cosa intendi?”
“Inorridito da ciò che
vidi impazzii, e infransi la regola ancestrale che circonda il mistero di
quello Specchio. Si, ne toccai l’acqua! E questa si fece viva al mio
tocco, mi imprigionò, mi fece vagare nei suoi orrori finché non fu pronta
a catapultarmi qui, un mondo di duecentotrentacinque anni più vecchio. Un
mondo in cui io non c’ero più! Non capisci?” Lo prese per le spalle e
facendolo girare lo fissò. I suoi capelli ondeggiarono, gli occhi si
sgranarono, ma l’Elfo non resistette. “Guardami negli occhi! Guardami
negli occhi tu che puoi percepire i pensieri, e vedi se non è la verità!
Io non ti ho lasciato! Io non ti ho tradito! Gli Uruk ti hanno mentito!
Mentito! Io ero nello Specchio!”
Ma Turlos lo spinse via,
facendolo barcollare all’indietro.
“Taci!” Avvicinandosi su
gambe incerte fino ad un tavolino di pietra, allungò una mano a sfiorarne
la fredda superficie liscia, e non c’era differenza alcuna tra pietra e
carne. Aragorn rimase a fissare in silenzio le sue spalle curve:
desiderava ardentemente confortarlo, ma non osava. Quando parlò, la sua
voce era ferma e dura. La voce di un Re.
“Guardami negli occhi.”
“No.”
“Perché no? Hai paura di
ciò che vedrai?” Una mano candida si strinse dolorosamente sul bordo di
pietra.
“Io non provo nulla.”
“Quando non si tratta di
me, forse.” Turlos ansimò.
“Volevo che mi stessi
lontano, ma tu hai dovuto per forza trovarmi, parlarmi, torturarmi ancora
come allora! Prima che tu tornassi ero freddo e spietato, e felice, si,
felice nella mia incapacità di provare alcuna cosa! Ma adesso non so più
cosa sono! Ti guardo muoverti, ascolto la tua voce, e qualcosa si muove in
me, qualcosa che dovrebbe essere morto e sepolto!”
Si voltò di nuovo, con
occhi umidi e fiammeggianti, e si strappò la tunica dal petto.
“E’ il mio corpo che vuoi?
E’ questo? Dopo due secoli la tua lascivia è ancora tanto forte? Allora
prendilo, prendilo e vattene, e non tornare mai più! E’ solo carne morta,
carne gelida, un guscio vuoto e spezzato che ogni giorno diventa sempre
più lucido, mentre dentro l’animo marcisce! Ma non chiedermi di guardarti
nella mente! Posso perdere l’orgoglio, ma non guardare l’abominio che vuoi
mostrarmi!”
Aragorn andò da lui e lo
prese tra le braccia con una dolcezza struggente. Le dita con cui gli
sfiorò le labbra gelide si muovevano con lentezza adorante. Gli richiuse
la tunica stracciata sul petto di marmo.
“Nessun abominio. Guardami
negli occhi. Non sarà una fine, ma un nuovo inizio. Per favore…” fissò lo
sguardo nel suo, e attese.
“…no…” gemette Turlos
sotto le sue affettuose attenzioni. “No, no…”
I suoi occhi si sgranarono
all’improvviso nell’ovale cinereo del viso. Aragorn vide riflesso tra di
loro una miriade di fuggevoli visioni, e quando Turlos si allontanò di un
passo strisciante, ansando come un mortale, seppe che aveva visto la
verità.
“Perché mi fai questo?
Perché?”
“Non hai visto ciò che
provo nella mia mente? Non sai che ti amo?”
“Non ho voluto guardare
lì. Non lo farò mai.”
“Allora ascolta, se non
vuoi guardare. Ti amo. Ti amo.”
La fuggevole illusione di
vedere Legolas, biondo, roseo di guance e con gli occhi scuri come il mare
investì Aragorn nel momento in cui Turlos lo guardò. C’era vita nei suoi
occhi, vita, torrenti di emozioni che mulinavano e cozzavano,
esplodendo in miriadi di scintille, appena sotto la patina ghiacciata che
li ricopriva.
E lacrime.
Negli occhi di Turlos
c’erano lacrime.
“Cosa vuoi, Aragorn?”
“Il tuo cuore.” Turlos
scosse la testa. Un profumo celestiale si sparse tutt’attorno a lui.
“Non ho più alcun cuore da
darti.”
“Saprò attendere, vedrai.
Ed un giorno riuscirò a farti tornare di nuovo com’eri un tempo. Perché ti
amo.” Una risata soffocata sfuggì alle labbra dell’Elfo.
“Ah, che beffa! E’
esattamente tutto come allora! Dicevi di amare Legolas, dicevi che lui era
tutto per te, ma quando aveva bisogno di te, tu non c’eri mai. Mai.
Eri lì quando suo fratello minore fu portato via dagli orchi? Eri lì
quando ritrovò le sue spoglie maciullate? Eri lì quando suo padre lo punì
per aver insegnato ad un giovane mortale la parola che dava accesso a
tutti gli anfratti di Bosco Atro? Eri lì per lui quando Gandalf cadde e
lui non sapeva come superare la perdita di un maestro ed amico? Eri lì
quando gli Uruk lo portarono via? Eri lì quando lo torturavano? Quando
aveva bisogno di cure e conforto, quando desiderava con tutto il cuore
morire, e sapeva che non poteva, e tuttavia nulla che gli era caro
rimaneva su questa terra?”
“Legolas…”
“Non c’è alcun Legolas
qui.” Il suo petto si alzava ed abbassava visibilmente mentre riprendeva
fiato.
“Ammettiamo, per un
istante, che tu dica il vero. Ma tu davvero ami Legolas, allora non ami
me: nulla di ciò che è stato Legolas sopravvive in questo corpo. Io sono
un’altra persona! E se ora mi ripeterai ancora che mi ami, allora vuol
dire che Legolas non hai mai contato nulla per te.”
Aragorn non ebbe nemmeno
bisogno di pensare alla sua risposta:
“Ti sbagli,” disse. “Il
tuo aspetto può essere cambiato, ma il tuo volto, il tuo sguardo, le tue
mani, sono quelli di Legolas. La tua anima può essere ferita in modo
irreversibile, ma è pur sempre quella di Legolas. Tu sei Legolas, ed io ti
amo, Turlos, e ti amerò sempre, qualunque sia il tuo aspetto, qualunque
sia ciò che tu provi o non provi. Ti amo.”
Turlos chiuse
dolorosamente gli occhi.
“Vattene.” La fermezza di
Aragorn vacillò. “Vattene via. Torna alle tue stanze.” Lentamente l’Elfo
si raddrizzò, la sua voce si fece più forte, e quando aprì gli occhi, le
lacrime si erano congelate. “Questo è il mio Palazzo, e d’ora in poi ti è
vietato lasciarlo. Potrai vagare per i giardini e i corridoi, e ad ogni
sala tranne questa ti sarà concesso accedere, ma mai, mai lascerai queste
mura maledette! E’ un ordine, e se disobbedirai, ci saranno catene per te,
ed una cella!” Afferrò il mantello da viaggio, e se lo chiuse attorno alle
spalle.
“Cosa vuoi fare?” La
lingua di Aragorn si rifiutava di cooperare, e la sua voce risuonò flebile
e spezzata. Turlos si chinò a raccogliere pugnali ed arco da dove
giacevano, abbandonati in un angolo. Com’era strano, meraviglioso e
orribile a un tempo, vederlo agire come se non fosse estraneo alle
emozioni! Muoversi non come una statua miracolosa ma come una creatura di
tenera carne!
“Liberarmi da questa
tortura,” sibilò. “Lasciami solo. Vattene!” Aragorn inspirò rumorosamente.
Poi, con uno scatto della testa si esibì in un inchino irriverente e
sarcastico.
“Come desidera sua
Maestà.” Raggiunse l’uscio celato dall’arazzo Rohano in quattro furiose
falcate, e qui si fermò, una mano sulla maniglia, e girò il volto a
contemplare Turlos tristemente. Si era sistemato addosso le armi familiari
e vecchie di millenni; colto in quell’attimo, sembrava sia Legolas che un
suo riflesso distorto.
“Cosa provi per me?” ebbe
da chiedergli Aragorn.
“Ti odio,” fu la risposta
sibilata a denti stretti.
“E’ una bugia.”
“Si, hai ragione. Forse
non ti odio affatto. Forse ciò che provo per te è ancora più orribile.” La
sincerità in quella voce meditabonda lo schiacciò con la pesantezza di un
macigno. Cosa poteva esserci di più orribile di quell’odio consumante, di
quel disgusto schiacciante che aveva intravisto giù al lago? La domanda
gli bruciava in gola come acido, e sgorgò dalle sue labbra senza che lui
lo volesse.
“Cosa provi per me?”
insistette. “E cosa provavi allora?”
Turlos spalancò gli occhi
fiammeggianti. Aragorn fu spinto violentemente fuori da una raffica
invisibile.
“Mai! Non chiedermelo
mai!” lo udì ringhiare prima che la porta sbattesse con violenza dinanzi
al suo volto, sigillando per sempre l’accesso a quelle stanze, a quella
persona così ardentemente amata.
* * * * *
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