.|. Elen nìn, Estel nìn .|.

Capitolo Uno

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Da solo, nella notte, un uomo a cavallo continuava la sua corsa, incurante delle saette che squarciavano il cielo oltre le colline. Doveva giungere in fretta in un luogo che non conosceva, indicatogli in una lettera che era arrivata in ritardo a causa dei temporali di quei giorni. Con la testa china sul collo del destriero, il cavaliere sperava di non aver perso troppo tempo. Da quanto aveva letto, era una questione molto importante e l’unica cosa che desiderava era scoprire cosa fosse accaduto.

Ci vollero tre ore di galoppo per arrivare alla locanda segnata sul foglio. Era poco più di una bettola, scelta perché a metà strada tra il luogo da cui proveniva lui e quello del mittente, che a malapena si vedeva tra le case grigiastre e che certo non invitava ad entrarvi. Non erano pensieri da fare in una situazione simile, certo, ma non riuscì a frenarli, nemmeno dopo aver varcato la soglia. Il locale era semivuoto, forse a causa dell’ora, e gli ultimi clienti erano alticci.Ne diedero prova non appena il nuovo arrivato si tolse il cappuccio mostrando una lunga chioma di un biondo brillante. Iniziarono a fare commenti per niente gradevoli e a sghignazzare senza posa.

Solo un uomo, seduto su una panca sotto la finestra, una mano al boccale di birra e una alzata in segno di saluto non accennò nemmeno un sorriso:

- Avresti potuto scegliere un posto migliore. Non mi piace essere oggetto di scherno, lo sai bene

Bisbigliò il nuovo arrivato. L’uomo seduto scossa la testa facendo ondeggiare i ricci scuri e sorrise, mostrando il giovane viso. Dimostrava poco più di vent’anni:

- Non prendertela con loro, sono ubriachi da un pezzo. E se avessi tardato ancora mi avresti trovato nella medesima situazione.

Esclamò alludendo ai due boccali posati sul tavolo:

- Perdonami, ma questo tempaccio ha rallentato il messaggero

Disse il giovane dai capelli biondi sedendosi davanti all’amico, che sorrideva:

- Ma non ha rallentato te, amico mio! Mi fa piacere che tu abbia raccolto la mia richiesta d’aiuto.Voi Elfi siete eccezionali, non saprei come fare senza di te. Insomma, io devo partire tra pochi giorni e non potrei certo occuparmene….

L’Elfo (perché a quella razza apparteneva l’instancabile cavaliere) zittì l’amico gli occhi con aria sospettosa:

- Occuparti di cosa?

- Eheheh…non l’avevo scritto nella lettera?

- Occuparti di cosa Estel?

Sospirando l’uomo si passò una mano tra i capelli scuri poi, apparendo il più calmo possibile,iniziò a parlare:

- Vedi…mentre facevo ritorno a Gran Burrone la scorsa settimana, mi sono dovuto fermare a causa del freddo e della stanchezza. Avevo intravisto una casupola nel bosco e così mi ci sono addentrato. Ecco, là dentro ho trovato un uomo praticamente in fin di vita. Sulle prime avrei voluto tentare di aiutarlo ma non me lo ha permesso. Ha farneticato qualcosa riguardo alla sua bambina che era stata abbandonata da qualcosa “bello, luminoso e meschino”, così ha detto, e di un dono che non poteva apprezzare. Mentre spirava ha indicato un lettino di legno appoggiato alla parete.Poi è morto. Io sono andato a vedere nel letto e ci ho trovato una bambina di non più di quattro anni. E così ho pensato a te.

L’Elfo sbatté le palpebre incredulo:

- Hai pensato a me? Solo perché non ho un aspetto…insomma, non mi avrai preso per una balia?

- Affatto! Ho pensato solo a come mi ha cresciuto la tua gente. Un ramingo non è adatto a tirar su una bimba piccola. Almeno tu, nel tuo bosco potrai trovare qualcuno che la accolga. In fondo è una di voi.

Estel si alzò, lasciò cadere una moneta su tavolo,prosciugò le ultime gocce di birra rimaste sul fondo del boccale e invitò l’amico a seguirlo su per una piccola scala di legno che conduceva alle camere in affitto. Arrivati davanti ad una porta di legno chiaro il ramingo si portò un indice alle labbra:

- Fai piano, Elen sta dormendo..

L’Elfo sospirò. Era contrariato, o probabilmente fingeva di esserlo. La sua mente stava elaborando un discorso per spiegare all’amico che non poteva prendersi un simile impegno. Ma tutto crollò quando intravide un piccolo corpo disteso tra le lenzuola, una bambina dalla pelle bianchissima e dai capelli biondo scuro che le incorniciavano scomposti il viso minuto:

- Allora, non è un amore?

Sussurrò l’uomo sedendosi sul letto di fianco alla bimba:

- Non ti sto chiedendo di addossarti la responsabilità di crescerla, ma solo di portarla con te fino a Bosco Atro, al sicuro. Poi avrai libero arbitrio e…

Ecco, era il momento di spiegargli che non poteva e non voleva occuparsene. Era un Elfo guerriero in fondo, e il suo tenore di vita, per quanto tranquillo fosse in quel momento,probabilmente sarebbe mutato. Purtroppo in quel momento la piccola si mosse e sbadigliò, inarcando appena la piccola schiena. Era la bambina più bella che avesse mai visto e pensare che in quel momento era completamente priva di certezze e di un futuro sicuro gli intenerì il cuore. Si sedette accanto ad Estel e lo guardò dritto nei suoi occhi color della notte. L’uomo gli sorrise debolmente e disse:

- So di chiederti molto, soprattutto perché ci conosciamo da poco. Ma, cerca di capirmi…una come lei, che futuro avrebbe con un umano? Ho gia commesso un errore del genere cui non posso riparare, e non voglio farlo nuovamente…

Nel pronunciare queste parole accarezzò i riccioli della bambina scoprendo due piccole orecchie leggermente puntute:

- Ma allora è--

Non fece in tempo a parlare che la piccola aprì gli occhi mostrando le iridi color del ghiaccio:

- E’ gia mattina?

Chiese con una flebile vocina rivolgendosi all’umano:

- No piccolina, però ti avrei svegliata in ogni modo. Guarda, questo è il caro amico di cui ti ho parlato prima. Lui ti porterà al suo bosco e ti troverà una sistemazione

La bimba annuì con espressione solenne. Non sembrava minimamente turbata, anzi. Si mise in ginocchio sulle coperte e si mosse appena verso l’Elfo scrutandone il viso:

- Tu non sei un uomo come Estel, vero?

Lui la guardò un po’ stupito. Forse, essendo un Elfo non dimostrava la sua età reale. Magari aveva gia cinque o sei anni:

-No, sono un Elfo. Vengo dal Bosco Atro ed è lì che andremo.

Poi rivolgendosi all’umano disse serio:

- E’ meglio che parta in fretta. Mio padre non è stato messo al corrente del  viaggio e devo spiegargli tutto al più presto. Non so bene come la prenderà, ma si arrenderà presto essendo davanti ad un fatto compiuto

Così, mentre Estel raccoglieva le poche cose di Elen, l’Elfo la avvolse nel suo mantello, la prese in braccio e lo guardò con espressione rassegnata. Un velo di tristezza offuscò il blu degli occhi del ramingo mentre i due si avvicinavano alla porta. Doveva lasciarlo andare, non c’era scelta, eppure come ogni altra volta la separazione bruciava come sale su una ferita. E lo sguardo dell’amico non alleggeriva la situazione:

- Spero ci verrai a trovare presto Estel…

Disse la bambina con voce leggera sorridendo al giovane. Lui rispose al sorriso e chinò appena la testa dicendo avvicinandosi alla porta che stavano varcando. Salutò la bimba con una carezza e un bacio sulla guancia che forse fu solo un pretesto per avvicinarsi all’orecchio dell’Elfo e sussurrargli:

- Ti verrò a trovare…il più presto possibile.

 

Mentre cavalcavano verso Bosco Atro una sottile pioggerellina li divideva dal cielo violaceo dell’alba e una fresca brezza accarezzava il viso della piccola.

“Certo, mi verrai a trovare, ma intanto mi hai affidato quest’onere…spero che mio padre accetti la cosa”

Questa era solo una delle frasi che assillarono Legolas per tutto il viaggio. Non era per il fatto di accogliere una nuova orfana nel regno, quello sarebbe stato un normalissimo dato di fatto, quindi cos’era?

Aveva paura di suo padre? No, non poteva essere, non doveva essere. Era forte, e doveva far valere le sue ragioni. E fu con questa convinzione che fece il suo ingresso nel regno di Bosco Atro:

- Legolas! Dove sei stato? Sei sparito senza nemmeno avvertire.Tuo padre…

- Questo non è il momento Runyan, scusami. Mio padre è nel salone?

Il giovane Elfo annuì incerto, e attese di poter condurre il cavallo nelle stalle, mentre Legolas prendeva tra le braccia la piccola. Aveva gli occhi arrossati dalla stanchezza, eppure si guardava attorno meravigliata:

- Tu vivi qui, Legolas?

Chiese con la sua vocina acuta:

- Sì Elen, e da domani ti mostrerò tutto quello che c’è d vedere…dobbiamo solo andare a parlare con mio padre

- Ti preoccupa questo?

Legolas arrestò la sua camminata decisa e le posò un dito sulle labbra. Erano davanti alle porte della sala e suo padre sapeva per certo cosa stava per accadere. L’unica cosa che poté fare fu sperare per un attimo che la piccola si fosse basata solo su un presentimento. Sperava che la preoccupazione non gli si leggesse in viso, insomma :

- Sshh, piccola Elen…ora fa parlare me…

Le sussurrò. Poi alzò la testa e aprì le porte finemente intarsiate. Re Thranduil camminava su e giù davanti ad un gran porticato. Le vesti gli fluivano attorno, e la nuova arrivata non riuscì a non meravigliarsi.Non aveva visto molti Elfi nella sua breve vita, ma quello aveva proprio l’aria d’essere importante.Aveva i capelli castano chiaro e gli occhi blu, con in quali rivolse ad entrambi un’occhiata severa prima di parlare:

- Dunque è questa la trovatella…ti sei fatto soggiogare da Estel ancora una volta...

Il tono di Re Thranduil era molto più calmo del previsto. “Probabilmente ho solo costruito castelli in aria…”

Pensò il giovane Elfo posando la piccola a terra e sorridendole. Il sovrano si avvicinò e le mise una mano dietro la schiena ancora coperta dal lungo mantello e gli disse con dolcezza:

- Va a vedere da quelle finestre…proprio qui davanti c’è un nido d’uccellini appena nati…

Attesero. Anche se gli Elfi hanno un udito sviluppatissimo, Elen era ancora troppo giovane per captare i loro discorsi. E per di più a mala pena conosceva l’elfico:

- Non è così che è andata padre, Estel non ha colpa…questa bambina è---

- So benissimo chi è, Legolas. Il problema è un altro. Chi si prenderà cura di lei? Non tentare di nasconderlo figliolo, ci hai pensato per tutto il viaggio. Intendi tenerla con te?

Legolas guardò la bambina affacciata alla grande finestra. Si, ci aveva pensato, guardandola. Forse la vedeva come un qualcosa che lo avrebbe legato all’amico, altrimenti sempre lontano. O forse no…c’era qualcosa in quella piccolina che gli aveva scaldato il cuore. Si fece coraggio, quindi, e parlò:

- Sì padre,vorrei tenerla con me. In fondo, non ci sono molte famiglie in grado di prendersene cura, in questo momento.

La sua voce era ansiosa, e stava raggiungendo delle note piuttosto acute. Eppure nemmeno lui sapeva spiegarsi il perché:

- Questo è vero. Per questo avevo pensato di mandarla a Rivendel. Sarebbe un posto più adatto. Tuttavia se tu, futuro sovrano, vuoi prenderti questa responsabilità…fai pure. Ti senti pronto?

- Si.

- Bene allora. Le farò portare qualcosa nella tua camera, preparare un bagno e una stanza. Ora andate,siete affaticati

Legolas sorrise al padre. Era appena un po’ disorientato dalla faccenda ma, quando Elen gli corse in contro e gli prese la mano, dimenticò tutto. Almeno per un paio d’ore.

 

 

La stanza di Legolas era grande e spaziosa e la vista era una delle migliori di tutto il palazzo. Dava diretta su un boschetto fitto e verdeggiante. I suoi occhi indugiarono per parecchi minuti sulle colline illuminate dalla fioca luce del sole che filtrava dalle nuvole grigie. Le sue dita percorrevano i fini intagli dell’arco aperto che fungeva da finestra, mentre la piccola veniva riaccompagnata nella camera da un’Elfa che l’aveva lavata e vestita. Quando Legolas sentì i piccoli passi di Elen, si distolse dai suoi pensieri e si sedette con noncuranza alla scrivania, accanto alla quale era sistemato un tavolino apparecchiato per lei, e attese. Quella che apparve da dietro la porta non sembrava nemmeno la stessa bambina. I capelli, che erano stati lavati e pettinati, erano divenuti morbidi boccoli e le sfioravano le orecchie; il visino era stato lavato e la camicia da notte color lavanda metteva in risalto la sua magrezza. Legolas la invitò a sedersi e mangiare e lei non se lo fece ripetere. Probabilmente Estel le aveva dato del cibo, ma lo stress doveva averle aperto lo stomaco. Più la guardava e più riconosceva in lei comportamenti degli umani tra i quali era cresciuta. Questi umani se fecero vivi nella mente della bimba, mentre finiva di sorseggiare una tisana dal profumo dolciastro, e la spinsero a chiedere timidamente a Legolas:

- Dov’è il nonno?

L’Elfo, che si era preparato ad una domanda del genere, s’accoccolò accanto alla sedia sulla qual sedeva Elen e la guardò:

- Il nonno se n’è andato. E’ per questo che Estel ti ha portata con se. Lui non ti ha detto nulla?

- Si…ma, siccome sei un Elfo, credevo di avere una risposta diversa

Il piccolo viso minuto divenne improvvisamente triste e le labbra rosate si sporsero in un broncio. Legolas le accarezzò i riccioli:

- Vivrai con me…non ti dispiace vero?

- No…sei buono e bello come mi aveva detto il nonno. Lui mi parlava degli Elfi, sai?Però non mi ha raccontato molto…tu lo farai?

L’Elfo sorrise, felice di vederla di nuovo serena:

- T’insegnerò tutto ciò che so. Ma ora è meglio riposare, hai il viso stanco.

A quel punto Elen fece una cosa che Legolas non si aspettava. Gli buttò le braccia al collo e gli sussurrò:

- Posso dormire con te?

Naturalmente la prese con se e la mise sul letto. Era grande abbastanza da farli stare comodi entrambi, coperto da lenzuola azzurro chiaro e con tanti cuscini appoggiati alla spalliera finemente intarsiata. Elen si sistemò subito accanto sulla sinistra e si appoggiò a Legolas, che non poteva far altro che distendersi e attendere. E fu in quel momento che capì perché desiderava avere quella bambina con se. Fin dall’inizio l’aveva tenuta tra le braccia e quel piccolo corpo premuto contro il suo…gli avevano regalato un calore che non provava da anni, aveva allontanato la solitudine che lo accompagnava da sempre.